“L’ABORTO NON E’ UN DIRITTO, INGIUSTO ANCHE IN CASO DI STUPRO”: IL DELIRIO DEL CONVEGNO DELLA LEGA ALLA CAMERA
“LE DONNE, PRIMA DI UN RAPPORTO SESSUALE, DOVREBBERO PRENDERE COSCIENZA DEI POSSIBILI ESITI”: IN EFFETTI POTEVA VALERE ANCHE PER LE VOSTRE MADRI
Perfino per Eugenia Roccella l’aborto è un diritto delle donne, anche se la ministra meloniana della Famiglia, intervistata in Rai qualche mese fa, aveva subito aggiunto “purtroppo”. Seguirono polemiche. Ma nel convegno organizzato ieri dalla Lega alla Camera dei deputati si va decisamente oltre. Viene messo in dubbio addirittura questo, che sia un diritto. Anzi, viene proprio negato. “L’aborto non è un diritto legalmente accettabile”. E “anche nei casi più tragici, come quelli di stupro, non è mai giusto”. Finisce in discussione pure la legge 194 del ’78, confermata dalla stragrande maggioranza degli italiani che votarono al referendum del 1981 (88% di favorevoli all’interruzione di gravidanza, su quesito dei Radicali), legge che finora la maggioranza di Giorgia Meloni aveva assicurato di non voler toccare. Ma quella legge “non è necessariamente morale”. Così si legge nel dépliant distribuito ieri nella sala delle conferenze stampa di Montecitorio. E questo concetto viene ripetuto dagli oratori invitati dal Carroccio, cioè Marco Malaguti, bolognese classe ’88, che si autodefinisce “articolista e blogger presso varie testate di area sovranista” e Maria Alessandra Varone, dottoranda in Filosofia dell’università Roma Tre. Entrambi fanno parte del Centro Studi Politici e Strategici “Machiavelli”.
È questa organizzazione ad avere messo su il convegno di ieri alla Camera, col placet della Lega: a prenotare la sala è stato il deputato salviniano Simone Billi che, contattato da Repubblica spiega di “supportare l’iniziativa”, scusandosi poi di non essere stato fisicamente presente, “ma avevo un impegno a Strasburgo” (è membro della Commissione Esteri). Billi figura come “autore” sul sito del centro studi Machiavelli.
Durante il convegno ospitato dal Parlamento italiana è stata presentata la rivista del centro, si chiama “Biopoetica”, che appunto nega che l’aborto sia un diritto. Al massimo, si legge nel documento “l’aborto è una soluzione pratica”, ma appunto “non è sublimabile a diritto inalienabile: non è mai giusto”. L’interruzione, come l’eutanasia, secondo i relatori sdoganerebbe “anarchia e anomia, simili all’Inferno faustiano”. “Il contributo – si legge ancora nei fogli distribuiti ai presenti (pochi), tra cui Repubblica – intende confutare l’idea che l’aborto e l’eutanasia siano diritti legalmente accettabili o moralmente giustificabili”. Per gli oratori, sull’interruzione di gravidanza “i diritti del padre sono del tutto esclusi” e questo sarebbe “sbagliato sotto ogni aspetto, perché sul destino del bambino dovrebbe avere pari diritto decisionale rispetto alla madre”.
L’aborto sarebbe “un uso improprio della libertà e della responsabilità”, una “degenerazione del ruolo materno”. Per i relatori, “fatta eccezione dei casi di violenza sessuale, non è possibile credere che prima di un atto sessuale non si immagini nemmeno l’eventualità di un concepimento non desiderato”. Ma l’aborto perfino “nei casi più tragici, nei dilemmi morali più strazianti, come quelli di stupro, non è mai giusto”. E ancora: le donne, prima di un rapporto sessuale, dovrebbero “prendere coscienza di tutti i possibili esiti”, quindi “se si agisce è necessario accettare le conseguenze”. L’aborto sarebbe “un diritto in senso lato quanto può esserlo quello di uccidere, di rubare, di ferire”. Tutto materiale distribuito e propagandato in una sala del Parlamento, su invito di uno dei partiti al governo.
(da La Repubblica)
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