L’AMMIRAGLIO PETTORINO SQUARCIA IL VELO DELL’IPOCRISIA DEL GOVERNO: “SENZA MARE NOSTRUM MORIRANNO TUTTI”
“LA LEGGE DEL MARE È L’UNICA A SALVARE I MIGRANTI” … ORGOGLIO ITALIA: 113.000 VITE SALVATE IN 10 MESI
È un macabro conteggio che si aggiorna quasi di ora in ora, come se qualcuno in fondo al mare avesse in mano quelle macchinette con cui le hostess contano e ricontano le persone a bordo degli aerei.
Solo che in questo caso l’overbooking è incluso nel prezzo del biglietto e la macchinetta conta invece i cadaveri che il Mediterraneo mangia e spesso non restituisce.
Oltre 230 persone in 48 ore, a partire dal naufragio di sabato al largo delle coste libiche con 200 vittime; il secondo nella notte tra sabato e domenica, con 18 cadaveri; il terzo, la notte tra domenica e lunedì, quando la macchinetta del conteggio ha fatto sei clic. Almeno.
Perchè questi sono soltanto i morti accertati. “Il mare non è una strada, dove se il pulmino ha fatto salire troppe persone si accosta ai lati e le fa scendere. In mare se scendi sei morto”.
L’ammiraglio Giovanni Pettorino è il capo del III Reparto — Piani e Operazioni del Comando generale delle Capitanerie di Porto.
È un uomo che va dritto al sodo e le polemiche politiche le liquida in poche parole: “Se finisse Mare Nostrum sarebbe un’ecatombe”.
Alfano o chi verrà dopo di lui, Frontex o Italia lasciata sola, cinismi alla Giampaolo Pansa (che domenica ha scritto, su Libero, che è ora di finirla con “buonismo” e “spirito di carità ”), la sostanza non cambia: l’operazione che vede impegnata anche la Marina Militare ha portato a terra, sani e salvi, circa 113 mila migranti (il numero è stato dato ieri dal capo di Stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi), la maggior parte dei quali in fuga da guerre e persecuzioni.
“Non potremmo fare altro che salvare le vite — spiega l’ammiraglio Pettorino — ce lo impone la legge e ce lo chiede la nostra morale”.
Presso il comando generale delle Capitanerie, a Roma, è presente la centrale nazionale cui arrivano le richieste di soccorso: “Ci chiamano appena partiti dalle coste libiche — racconta il comandante — perchè hanno già il nostro numero. Parlano un inglese stentato e dicono quasi tutti le stesse cose, a prova del fatto che sono ben istruiti: ‘Abbiamo a bordo bambini e donne incinte, stiamo imbarcando acqua e rischiamo di affondare’.
Grazie ai telefoni satellitari, che vengono dati loro da chi organizza i viaggi, riusciamo a rintracciarli. E a quel punto abbiamo il dovere di intervenire”.
L’Italia ha firmato, con altri 140 paesi, la Convenzione di Amburgo, che obbliga ogni firmatario a dotarsi di una centrale nazionale per la ricerca e il soccorso in mare.
In Italia, il comando delle Capitanerie esercita questa funzione per conto del ministero delle Infrastrutture.
Una legge nazionale determina le acque di nostra giurisdizione, circa 500 mila chilometri quadrati sottoposti al controllo delle Guardie Costiere, circa il doppio della superficie del Paese.
Ma quando si tratta di salvare vite umane, i centimetri di territorialità contano poco, perchè la legge più importante, quella che ogni marinaio conosce bene, è quella del mare. “Se soccorriamo qualcuno a sole 40 miglia dalle coste libiche non possiamo certo riaccompagnarlo su quella terra — spiega Pettorino —. La normativa stabilisce che il centro nazionale di soccorso che riceve per primo una chiamata si deve comunque attivare, anche se le acque non sono di sua giurisdizione, fino a quando le autorità competenti non intervengono e portano a termine il soccorso. Ma i libici non intervengono e quindi ci troviamo a dover gestire da soli tutte le informazioni. Poi non dimentichiamoci che la Libia non rispetta la convenzione sui rifugiati”.
E se pensiamo che dalla Libia parte il 94 per cento del flusso migratorio proveniente dall’Africa, capiamo perchè l’idea del respingimento sarebbe contro le leggi internazionali.
“Una volta arrivata la chiamata alla centrale operativa, individuiamo il mezzo più vicino — prosegue l’ammiraglio —: può essere uno dei nostri, una nave della Marina o anche un mercantile privato. Dall’inizio dell’anno ne sono stati coinvolti un centinaio. È grazie a questa imponente macchina operativa che siamo riusciti a salvare tante persone: 60 mila la Marina, 22 mila noi, più o meno altrettanti i mercantili. Se quest’operazione non ci fosse stata, sarebbe stata una strage continua”.
I numeri dell’immigrazione sono in crescita geometrica: quest’anno è arrivato in Italia il doppio dei migranti sbarcati nel 2011 e tre volte quelli giunti lo scorso anno.
“È un business talmente forte — conclude l’ammiraglio — che le barche sono sempre più fatiscenti: sono fatte per navigare per poche miglia, potrebbero portare al massimo una ventina di persone, ne portano persino 800. Non hanno dotazioni di salvataggio, nè individuali nè collettive. Se non vengono soccorse nel giro di qualche ora sono destinate a perdersi. E in caso di rovesciamento, la maggior parte di questa gente non sa nuotare. Lasciarli annegare? Sono parole che non possiamo ricevere, perchè siamo uomini di Stato e quindi rispettiamo le leggi, e perchè rispondiamo alla nostra legge morale”.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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