LE BATTAGLIE DEI TAXI TRA REGALI FISCALI E LICENZE GRATIS
LA LOBBY PIU’ POTENTE D’ITALIA CHE NON HA OBBLIGO DI SCONTRINO… “PAGHIAMO IL MINIMO PREVISTO DAGLI STUDI DI SETTORE, MA GUADAGNIAMO MOLTO DI PIU'”… LE LICENZE SONO UN BENE PUBBLICO DEI COMUNI, CONCESSO IN USO AI TAXISTI, NON SONO UNA PROPRIETA’ PRIVATA
No a Uber e alle liberalizzazioni. No all’obbligo di scontrino; no al tassametro con emissione di ricevuta; no all’utilizzo delle carte di credito.
Dalla lobby più potente d’Italia, quella dei tassisti, non arriva alcuna apertura: solo la minaccia di bloccare il paese, far cadere il governo e paralizzare le città .
Abbastanza per far tremare i palazzi della politica e far correre al capezzale delle auto bianche tutti i movimenti conservatori: dalla Lega Nord ai 5Stelle, da Forza Italia a Fratelli d’Italia.
D’altra parte quando si parla di taxi si parla di uno dei più grandi bacini di voto per il centro destra. Spesso, però, si dimentica che gli autisti di piazza godono di non pochi benefici fiscali grazie ai mitici studi di settore: in sostanza per non subire accertamenti fiscali il reddito dichiarato a fine anno non deve discostarsi troppo da quello medio identificato dall’Agenzia delle Entrare insieme al dipartimento Finanze del ministero dell’Economia.
“Io — raccontava al Fatto Quotidiano un tassista — verso soltanto il pizzo che definisco “Studio di settore”, una finta dichiarazione di 12 o 14 mila euro l’anno, e basta. I miei colleghi non pagano le tasse, io non le pago. Me ne fotto di uno Stato che ci impedisce di vivere. Io frego lo Stato perchè se lo rispetto non riesco a mangiare”.
Una versione confermata anche da Giuseppe, ex tassista che ha ceduto la sua licenza per avviare una nuova attività commerciale: “Di numeri non ho mai capito nulla, ho sempre portato tutto al mio commercialista che poi faceva quadrare i conti sulla base degli studi di settore. Ovviamente guadagnavo di più di quanto dichiarassi. L’importante era fare attenzione a non incassare troppi pagamenti elettronici, perchè a quelle transazioni non si sfugge”.
La storia di Giuseppe è una delle tante raccolte da Business Insider: diverse arrivano da ex tassisti come lui che però dopo aver visto fallire le loro attività imprenditoriali si sono riciclati come conducenti di auto a noleggio. Alcuni lavorano anche per Uber e candidamente confessano di aver guadangato in passato “molto di più di quanto dichiarato negli studi di settore”.
Tradotto: le proteste di piazza servono a difendere un orticello prezioso.
A cominciare dal tema delle licenze: nate come bene pubblico di proprietà dei comuni concesso in uso ai tassisti sono diventate — nell’assoluto silenzio delle istituzioni — una proprietà privata da vendere e rivendere (da qui il bisogno di non liberalizzarle per non svalutarle).
“Uno Stato serio — ha detto Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica — non consente che le licenze amministrative pubbliche possano essere oggetto di compravendita tra privati, ma uno Stato che diventa serio deve prendere atto degli errori commessi, ricomprare quelle licenze al prezzo ufficiale pagato da ciascun privato per acquistarle e soltanto poi decidere se rendere meno regolamentato e più libero un settore, come noi pensiamo vada fatto”.
A valle, tuttavia, c’è anche una questione fiscale non indifferente: nel 2014 secondo quanto emerge dai documenti del dipartimento Finanze del ministero dell’economia i circa 22mila tassisti italiani hanno dichiarato incassi per 41.800 euro a testa da cui hanno detratto 25mila euro di spese per arrivare a una base imponibile di 16.800 euro sui cui hanno pagato le tasse dovute: poco meno di 4mila euro complessivi.
Un calcolo effettuato sulla base di 11 mesi lavorativi, ma la maggior parte dei tassisti dichiara di lavorare di più. E ovviamente negli stessi blog dei tassisti si legge che il reddito — al netto delle spese — oscilla tra 1.500 e 2.000 euro al mese, per dodici mesi. Insomma non lontano dalla media italiana che nel 2014 era poco sotto quota 20mila euro l’anno.
Insomma, la battaglia di retroguardia dei tassisti si gioca tutta in difesa degli interessi della categoria, anche a danno dei consumatori.
Per i taxi la liberalizzazione di Uber avrebbe un duplice effetto negativo: ridurrebbe il valore delle licenze e renderebbe pubblico il reale reddito annuo della categoria.
E sì perchè le transazioni del colosso americano sono tutte fatte attraverso carta di credito. E dal momento che in Italia le tariffe di Uber non sono per nulla competitive — le auto con conducente sono molto più care dei taxi -, il miglior modo per dimostrare la buona fede delle proteste sarebbe quello di chiedere l’introduzione del tassametro con scontrino. Proprio come già succede negli Stati Uniti.
(da “Business Insider”)
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