LE CATTEDRALI NEL DESERTO: OPERE PUBBLICHE INCOMPIUTE E SPRECO DI SOLDI PUBBLICI
SONO 600 I CANTIERI RIMASTI APERTI PER DECENNI: IL DANNO PER LO STATO E’ DI 4 MILIARDI DI EURO… MA I GUASTI PER L’AMBIENTE SONO ANCORA PIU GRAVI
Potrebbe sembrare una considerazione banale.
Ma se la costruzione di una strada, un ponte, uno stadio o una diga non finisce mai, la prima cosa che viene da pensare è che quella strada, quel ponte, quello stadio e quella diga non servano.
Oppure non servano più. Niente meglio della storia che segue rende chiaro come tale banalità possa purtroppo trasformarsi in realtà . Correva l’anno 1976.
Steve Jobs e Steve Wozniac fondavano la Apple Computers: tre mesi prima dagli stabilimenti Ibm era uscita la prima stampante laser.
La Cassazione condannava al rogo per oscenità il capolavoro di Bernardo Bertolucci Ultimo tango a Parigi. Un devastante terremoto colpiva il Friuli-Venezia Giulia, provocando 989 morti. Il Torino vinceva il campionato di calcio di serie A e l’Italia di tennis guidata da Adriano Panatta si aggiudicava per la prima volta la Coppa Davis battendo a Santiago, fra polemiche feroci, il Cile del dittatore Augusto Pinochet.
Mentre un rampante imprenditore edile milanese di nome Silvio Berlusconi si apprestava a festeggiare il suo quarantesimo compleanno, a Roma nasceva Francesco Totti.
E sulle note della canzone Ancora tu di Lucio Battisti, il singolo più venduto in Italia quell’anno, partiva in Basilicata la realizzazione del grande schema idrico Basento Bradano, che avrebbe dovuto irrigare decine di migliaia di ettari portando sviluppo e ricchezza in un’immensa area agricola.
Obiettivo: trasformare con l’acqua quelle terre baciate dal sole nel più grande orto d’Europa.
Il progetto finanziato dalla Cassa del Mezzogiorno prevedeva due dighe collegate fra loro da alcune grandi condotte, oltre a una rete di distribuzione.
Ben tre i ministri che in quell’interminabile 1976, con le prime elezioni politiche con il voto ai diciottenni e un governo Moro che vivacchiò per appena cinque mesi, si alternarono al timone dell’Intervento Straordinario nel Sud: Francesco Compagna, Giulio Andreotti e l’astro nascente della Dc, Ciriaco De Mita da Nusco, Avellino.
Ma in quell’Italia dove già la politica si stava facendo famelica, e le grandi opere pubbliche cominciavano ad arenarsi nelle sabbie mobili di una burocrazia inefficiente e corrotta, la sete delle campagne lucane passò ben presto in secondo piano.
Denari che arrivavano a intermittenza, cantieri che aprivano e chiudevano, vertenze sindacali, battibecchi continui fra l’Ente irrigazione incaricato di gestire i lavori e la Regione, nel frattempo sempre più potente.
Passano trent’anni e si scopre che se le dighe sono state fatte, mancano sempre i tubi.
E che per farli ci sono appena 17 milioni, un ventesimo di quello che sarebbe necessario. Dietro le pressioni che arrivano dai politici lucani il Cipe nel 2006 stanzia 85 milioni.
Ma per far ripartire quella macchina infernale, fra Regione Basilicata, Ente irrigazione e i vari commissari straordinari, ci vorranno ancora sette anni.
Soltanto cinque se ne vanno per stipulare un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti, che deve mettere il denaro mancante.
Altri due evaporano con le procedure della gara d’appalto. L’ex sottosegretario alle Infrastrutture Rocco Girlanda, che nell’autunno del 2013 si incarica di comunicare che i lavori stanno finalmente per ripartire, annuncia contestualmente che l’opera pubblica sarà completata presumibilmente entro il 2017.
Quarantuno anni dopo la posa della prima pietra.
Complimenti.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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