LE CONDIZIONI DI ALFANO A SILVIO: “RESTIAMO SE NON CADE IL GOVERNO”
MA PER BRUNETTA “E’ PROPRIO L’ESECUTIVO A RISCHIO”
Fuori da Forza Italia se il partito dichiarerà guerra al governo sulla legge di stabilità . «Se tenteranno ancora una volta di farci cadere, noi a quel punto andremo per la nostra strada».
È la linea di demarcazione tracciata da Angelino Alfano ieri con i ministri Pdl, Lupi, Lorenzin e Quagliariello.
Un altolà che oggi il vicepremier ribadirà al telefono a Silvio Berlusconi prima di incontrarlo nell’ennesimo faccia a faccia di domani al rientro del capo a Roma.
Le cannonate sparate dai berlusconiani di Fitto e dai governativi per tutta la giornata sono la conferma che un accordo non c’è, anzi, pare lontano.
La dura nota di fine giornata di Maurizio Lupi a nome della delegazione pidiellina al governo sa di ultimatum.
«Anche oggi dai cosiddetti lealisti la solita alluvione di dichiarazioni sulla legge di stabilità e contro il governo, a cui ricordo abbiamo votato tutti insieme la fiducia il 2 ottobre» scrive.
E il ministro della Sanità Lorenzin: «Nel nuovo partito vi dovranno essere regole di democrazia interna che permettano una leale convivenza tra anime diverse ma non incompatibili, così come in tutti i grandi partiti bipolari d’Europa».
Messaggio rivolto a Fitto, ai falchi, ma tra i destinatari impliciti c’è anche il Cavaliere. «Il governo sulla stabilità e sulla decadenza è a rischio », avverte Renato Brunetta. Berlusconi a questo punto dovrà quindi decidere se dichiarare guerra al governo Letta o trovare un compromesso sulla legge di stabilità .
E dovrà decidere in fretta. Domani mattina il rientro a Roma, per definire la strategia, prima che mercoledì il premier Letta incontri i gruppi di maggioranza, Pdl compreso
Berlusconi ha mantenuto le distanze per qualche ora, ritirandosi a Villa Campari sul lago Maggiore, da dove è rientrato ieri a ora di pranzo.
Giusto in tempo per ascoltare l’affondo di Raffaele Fitto in tv a “In mezz’ora” e chiamarlo subito dopo per complimentarsi.
«Firmino tutti il documento dell’ufficio di presidenza per il passaggio e Forza Italia e il riconoscimento della leadership di Berlusconi, a cominciare da Alfano » aveva intimato il capocorrente pugliese da Raitre.
Una tregua tra il ministro degli Interni e il leader è vista come fumo negli occhi da quella parte dello schieramento. «Alfano ormai è minoranza nel partito e in Parlamento» è la traduzione brutale di Saverio Romano, altro vicino a Fitto.
«Ti pavoneggi come fossi un leader» gli risponde Cicchitto, vicino invece al vicepremier come pure Formigoni, che critica i lealisti, li sfida sui numeri e annuncia: «Noi abbiamo già raccolto le firme di oltre un terzo dei consiglieri nazionali e ci avviamo verso la metà ».
Sarà quella, con gli 800 consiglieri, la sede della resa dei conti.
In una data che Berlusconi vorrebbe ancora anticipare l’11 e il 16 novembre, comunque prima della sua decadenza, e che Alfano si ostina coi suoi a voler mantenere l’8 dicembre.
Il pasticcio di queste ore sono le doppie firme dei tanti peones locali che temono liste di proscrizione e firmano sia per il documento Berlusconi-Fitto che per Alfano.
«Guai a trasformarlo in una rissa all’ultimo voto – dice Enrico Costa, nella squadra del vicepremier – Troppi sperano di campare sulle divisioni».
Ieri sera ad Arcore a cena la Biancofiore e Santanchè, il direttore del Giornale Sallusti e l’eurodeputata Ronzulli.
Su Villa San Martino continuano a volteggiare i falchi.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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