LE IMPRESE ITALIANE PIÙ SVANTAGGIATE: SEI SU DIECI TEMONO RIPERCUSSIONI
SI TEMONO ALMENO 60.000 POSTI DI LAVORO A RISCHIO
Tra gli «sporchi 15», come li ha definiti il segretario al Tesoro americano Scott Bessent parlando dei quindici Paesi che hanno il maggior surplus bilaterale con gli Usa, potrebbe essere proprio l’Italia lo Stato più svantaggiato dall’introduzione dei dazi. Perché, secondo un calcolo fatto da Bloomberg, oltre alle tariffe incidono anche altri fattori che gravano sulle imprese italiane che esportano negli Usa e che, già di base, sono più alti rispetto a nazioni concorrenti.
E così, anche se nell’elenco degli Stati con la bilancia commerciale più squilibrata è dodicesima (con un deficit verso gli States di 44 miliardi), mentre la Germania è quinta (deficit 85 miliardi) e la Cina è prima con 295 miliardi, si sommano voci come ad esempio l’Iva e il peso degli iter amministrativi che già ora rendono più costose le esportazioni per il nostro Paese e potrebbero finire per rendere ancora più care le nostre merci a parità di percentuale dei dazi.
Anche se al momento non è ancora ben chiaro quali effetti avranno, i timori sono generalizzati tanto che sei aziende italiane su dieci sono preoccupate delle conseguenze, secondo un’indagine di Promos Italia con le Camere di Commercio su un campione di imprese che operano negli Usa.
Il 34,2% delle imprese infatti ritiene che il clima economico internazionale non sia «né particolarmente favorevole né particolarmente sfavorevole» e il 32,9% considera, invece, il contesto «abbastanza favorevole».
Inoltre, il 45,6% delle imprese ritiene che la nuova amministrazione americana non influirà sulle loro strategie, al contrario il 22,8% si vorrebbe espandere verso mercati emergenti come Sud-Est Asiatico, Africa, America Latina e Medio Oriente.
Le esportazioni Oltreoceano sono arrivate a oltre 67 miliardi secondo l’osservatorio economico sui mercati esteri del Governo. In base alle ultime proiezioni del Csc di Confindustria i solidi legami produttivi tra le due sponde dell’Atlantico sulla chimica e il farmaceutico «potrebbero essere un deterrente alla rincorsa tariffaria» perché circa il 90% dello stock di capitali investiti dalle imprese farmaceutiche italiane nei paesi extra-Ue è diretto negli Usa.
Prodotti farmaceutici di base e preparati, con oltre 8 miliardi nel 2023, figuravano sul podio merceologico nell’export verso gli Usa. Ma gli States rappresentano anche il terzo mercato per le esportazioni della moda italiana, con un interscambio commerciale da gennaio a ottobre 2024 di ben 4,5 miliardi per la moda, 3,1 miliardi per i settori collegati affermano le associazioni di categoria. E poi c’è l’agroalimentare. Il blocco delle spedizioni di vino potrebbe costare 6 milioni al giorno alle cantine italiane, afferma la Coldiretti.
«I dazi sono di fatto già applicati. Gli importatori americani hanno fermato l’import dei nostri vini temendo di dover farsi carico loro del dazio, perché non c’è una norma che quantomeno adesso escluda dai dazi i prodotti che sono in transito» denuncia il direttore generale Unione italiana Vini, Paolo Castelletti. Con il 96% dell’export agroalimentare verso gli Usa che viaggia su nave, il timore è che i carichi possano arrivare a destinazione quando i dazi sono già scattati. E che si aprano dispute su chi debba pagarli.
E i timori si estendono anche alla tenuta dell’occupazione: «rischiamo perdere 50-60mila posti di lavoro», è il calcolo del leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, sulla base dei settori più colpiti (meccanica, agroalimentare e moda) che contano complessivamente 400 mila addetti.
(da agenzie)
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