LE PALLE DI RENZI: I TAGLI, LE PROVINCE E LA RICERCA, NIENTE NORME, TUTTO FINTO
PROVINCE E TAGLI, UNO SCHERZO… MANCANO ANCORA I DECRETI ATTUATIVI: DAI 200 MILIONI DI EURO CREDITO D’IMPOSTA PER LA RICERCA AI 240 MILIONI DI RISPARMI NEI MINISTERI
Addio, Province. Bentornate, Province. Arrivederci, Province.
Che me ne faccio di queste Province? Neanche il governo l’ha capito.
I testi sfilano in scioltezza in Consiglio dei ministri: senza i decreti attuativi, che non fanno passerella (ma sono sostanza), la legge non viene applicata.
E le Province, massa di competenze ancora astruse e dipendenti ancora appesi, muoiono lentamente, dunque con sofferenza.
Il dicastero di Maria Carmela Lanzetta (Affari Regionali) non ha risolto la contesa per ricalibrare i poteri nei territori: niente più sagre per le Province, ma la scuola, le strade e poi i trasporti?
I soldi non ci sono, e da tempo.
I trasferimenti furono eliminati all’impronta dai tecnici di Mario Monti, e l’agonia è cominciata presto.
E adesso, attesi invano i regolamenti questa settimana e forse compiuti a fine mese, non c’è denaro per pagare i servizi essenziali.
Ma i governi provinciali devono “resistere” sino a settembre.
Il sottosegretario Graziano Delrio, all’epoca ministro agli Affari Regionali, voleva consegnare ai sindaci uno spazio più largo, da gestire assieme, e non più la colletta di prebende che le Province smistavano dai capoluoghi regionali: meccanismi più fluidi, risparmi, anche se il numero di amministratori non scompariva (e non è un particolare da poco).
Ma in novanta giorni — la legge per il riordino è entrata in vigore l’8 aprile — Lanzetta e governo non sono riusciti a plasmare le nuove Province.
I dipendenti restano dove sono. I campi d’azione restano come sono.
E i soldi da consumare, seppur non esistano, vanno trovati perchè, e i sindacati annusano l’immobilismo di un renzismo iperattivo, ci sono le buste paga da riempire. I ritardi s’accumulano.
E nel groviglio provinciale, il governo aggiunge la riforma per la Pubblica Amministrazione di Marianna Madia: dovrebbe far traslocare i dipendenti provinciali dagli uffici, ma verso quali destinazioni?
I decreti attuativi, che stanno a marcire nei ministeri dove la burocrazia è quel buco nero che inghiotte capi più o meno disinvolti di qualsiasi governo, sono diventati un intralcio, un Mineo o un Chiti inanimato, anche per Matteo Renzi.
S’è fatto cupo, il premier: “Una questione molto seria. Ne parliamo giovedì in consiglio dei ministri. Così non va bene”.
Renzi deve mostrare qualcosa e, proprio per giovedì, potrebbe declamare la nuova struttura di palazzo Chigi: meno dipartimenti, in sintesi.
In quel luogo, in Cdm a palazzo Chigi, vengono licenziati tanti provvedimenti che, nei fatti, non prendono mai vita.
Ci sono i 200 milioni di euro annui di credito d’imposta per la Ricerca che rimbalzano da Enrico Letta a Renzi senza soluzione, senza prescrizioni, senza nulla di concreto.
E poi dicono che la Ricerca è importante.
Come sarà importante la spending review: il 24 aprile viene deliberata la fragile impalcatura che sostiene gli 80 euro mensili, una prima cura di tagli, che dovrà crescere, aumentare, diventare strutturale: per sempre.
Il commissario Carlo Cottarelli, il signor spending review, se ne lamenta in pubblico e in privato. Non ci sono neppure le dieci righe che servono a ridurre la auto blu per sottosegretari e singoli ministeri, che Renzi in conferenza stampa s’è venduto con invidiabile capacità comunicativa.
E non ci sono i regolamenti per piallare e (ri)modulare la spesa nei dicasteri: 240 milioni di euro in milioni di rivoli, mica spigolature.
Il tempo gioca (ancora) al fianco del premier. Ma le scadenze non sono lontane e i decreti attuativi di sua proprietà che mancano sono più di 50: 14 hanno superato i termini, altri rischiano la stessa sorte.
I 50 di Renzi vanno sommati al gruzzolo di Letta-Monti, e s’arriva a 679.
Chi ha il coraggio, può scorgere i rottami di Berlusconi in retrovia, e si decolla a 800.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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