LE SEDICENTI DESTRE D’ITALIA: DA SCONCE A PENOSE
TRA MALATTIE E RANCORI SENILI, IL TRAMONTO DI DUE DESTRE CAPACI SOLO DI ODIARE E TUTELARE EGOISMI
Berlusconi che telefona a un pubblico di sfigati 2.0 dal suo esilio morale; Salvini che fa una piazzata in autostrada contro il pedaggio e minaccia chi “tocca la Lega”.
La fotografia delle due destre d’Italia, l’una specchio e parodia dell’altra, da sconcia si è fatta penosa.
Lega e Forza Italia, un dì arrembanti, popolari, screanzate e unite dalla grancassa del furor di popolo di imprenditori e operai, oggi sfilan disunite nella malinconica parata-processione dell’uscita di scena.
Era tutta una farsa: il “mafioso di Arcore” non piaceva a Bossi, il quale da par suo imbarazzava (ma manco tanto) i piani alti di Publitalia e gli amici di Licio Gelli col proclama di avercelo duro sotto la pelliccia di pecora.
Tessevano leggende complementari: l’una scimmiottava i miti pagani, l’altra il liberalismo anglosassone, fiere entrambe di non far parte di consorterie culturali ma solo finanziarie, meglio se di quella finanza nebbiosa, buia e crapulona in cui gli echi della Dc risuonavano in un modo tutto nuovo di condonare, evadere, truffare.
I giornali erano tutti per loro. Mentre Milano2 statuiva sulla mappa la metastasi di un potere sfrenato, le feste nei capannoni, il fumo oppiaceo della paniscia, le edicole tutte verdi de La Padania, la scritta “Viva Bossi” sulle stalle componevano una iconografia primitiva in cui anche l’elemento vitale prendeva un tono feroce e funebre.
La Brianza, tappeto di villule di ipocrita facciata raccontato da Gadda, conquistava Roma. I cinepanettoni ritraevano personaggi atroci, affetti da un campanilismo da allevatori di suini, protervo e arrogante.
Gli stessi cittadini che oggi gridano al vilipendio di Brianza ad opera dello stupendo film di Virzì non si sentivano offesi dalla realtà di un localismo xenofobo, di cui i loro eletti miracolati dal Porcellum si facevano gonfalonieri andando a disinfettare i sedili della metro di Milano insudiciati dai “negher”.
“Padroni a casa nostra”, si inventò il Salvini oggi segretario, mentre Trota&Cota arraffavano; l’elemento folcloristico eufemizzava la componente fascista della politica leghista.
“Non esageriamo” era il leit motiv della stampa illuminata, come se il problema riguardasse il linguaggio con cui la Lega veniva raccontata e non quello col quale mieteva consensi e capitalizzava potere.
Bisognava trattarla in punta di forchetta, nel rispetto di quella “pancia” strapaesana che la sinistra faticava (e rinunciava) a insaccare.
Il meccanismo delle due mitologie era oliato: deformare, dopare la realtà per ottenere un quadro che desta risentimento.
Mentre B., suo inventore, offriva se stesso come parafulmine e conduttore di questa fisica del rancore, la Lega ridistribuiva questa carica seminandola e raccogliendola porta a porta, sul famoso territorio.
I grandi temi sociali si riducevano all’elemento paranoico del comunista, dei giudici, del nemico alle porte del proprio negozio; la crisi, che il ministro Tremonti (“leghista con la tessera di Fi”) negò fino all’ultimo con una pervicacia che faceva sospettare la buona fede, prendeva velocità entrando nella ossessività demente di una rotatoria.
Lo stand-by diagnostico del coma attuale, lenito dal computo morboso dei sondaggi, è insopportabile.
Per un Bossi malato che non può più articolare le parole, già vuote, di un tempo e si sottopone all’umiliazione delle primarie, c’è B., ex-re del Mundialito e padrone d’Italia, che non molla, nero del suo rancore senile.
Con la trovata di candidarsi alle europee sapendo già che la legge non glielo permette, spera di replicare l’escalation emotiva che faceva seguito agli eventi tragici del suo romanzo personale, riprodurre il numero di magia di guadagnare consenso dalla disfatta.
Ma niente è più come prima.
La scarica di barbara soddisfazione che nasceva dalla ratificazione giudiziaria delle sue ossessioni ha perso forza perchè la realtà si è accartocciata attorno al suo stesso mito.
I media, che un tempo gli offrivano, per lo più, lo specchio adatto a moltiplicare un’immagine di sè martirizzata ed eroica, ne danno ora la laconica immagine sfibrata, patetica. In casa sua, davanti all’esercito che porta il suo nome, si presenta solo in veste di voce che si convince di essere tonante, come il mago di Oz nascosto dietro una tenda.
Mentre lui arranca tra il revanscismo forzista e l’avanguardia indicata da un barboncino, la Lega cerca di conglomerare l’estremismo forconesco declinando le sfumature di una violenza da crisi. Ma le due epopee, sovrascritte da Renzi e M5S, si dissolvono, unite solo dal disperato tentativo di rinfocolarsi, di intercettare l’increspatura di corrente, come anaconde pronte a scattare dal loro fango.
Daniela Ranieri
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