MATTEO AMMETTE: “HO SMESSO DI PARLARE ALL’ITALIAâ€
RENZI TEME AGGUATI IN SENATO E IN COMMISSIONE ALLA CAMERA E CHIEDE IL VOTO SULLE RIFORME IN DIREZIONE… LA MINORANZA NON PARTECIPA
“Chiedo un voto sulla convinzione di proseguire il disegno delle riforme per capire se la direzione del Pd è convinta che le riforme vadano accelerate e non rallentate”.
Il vero motivo della convocazione della direzione del Pd arriva a metà dell’intervento di Matteo Renzi.
Doveva essere una riunione per discutere il risultato delle regionali, per fare un’analisi dell’astensionismo. E invece no, il segretario-premier coglie l’occasione per provare a blindarsi un’altra volta. Il voto sull’Italicum in Senato arriverà a metà gennaio.
Quadro politico franato, Forza Italia dissolta, minoranza Pd sul piede di guerra.
E pure Anna Finocchiaro che si gioca la sua battaglia per il Colle.
“L’Italicum 2.0, come uscito dal vertice di maggioranza e da Forza Italia non si tocca”, dice Renzi un attimo prima del voto, rintervenendo dopo Alfredo D’Attorre, che paventa un voto negativo. Ma poi c’è la Camera.
Dove prima, il 16 dicembre, arrivano in Aula le riforme costituzionali. E poi, torna la legge elettorale.
In una situazione non esattamente semplice: in Commissione Affari Costituzionali, ci sono tutti i big della minoranza, da Bersani, a Cuperlo, passando per la Bindi e D’Attorre. Gli unici renziani sono Matteo Richetti (su posizioni ormai sempre più critiche rispetto al governo) e Luigi Famiglietti.
Oggi a Montecitorio ci sarà un’Assemblea del gruppo, proprio in attesa del passaggio sul Senato: il comitato ristretto, che ha lavorato nelle ultime settimane con il ministro Boschi, alla fine più che conclusioni ha evidenziato differenze di posizioni.
Non sarà facile. E Renzi lo sa.
Per questo ha chiamato a raccolta il partito, citando Marx e scagliandosi contro la destra populista.
A questo punto c’è lui, affidabile, contro Salvini, eversivo.
Per questo si è attribuito il merito del crollo elettorale dei Cinque Stelle.
Il parlamentino del Pd ieri ha detto sì al suo odg con 2 soli no. Ma la minoranza non ha partecipato al voto.
E dunque, basterà ? Ieri il Corriere della Sera dava il buongiorno al premier con un titolo d’apertura piuttosto forte: “La fiducia in Renzi cala sotto il 50%”.
Lui taglia a zero, quasi per esorcizzarli: “Non mi preoccupano i sondaggi. Quelli del Pd vanno bene”.
La discussione in direzione è stata vivace. Proprio a partire dal dato delle elezioni regionali. Renzi è passato da definirlo “secondario” a “preoccupante”.
Ma, soprattutto sull’Emilia, è sembrato giocare in difesa: “Respingo la tesi che l’astensionismo in Emilia Romagna derivi da una disaffezione nei confronti del Jobs Act. Credo che in Emilia Romagna si sia prima di tutto vinto”.
In realtà la critica più forte a come sono andate le elezioni arriva dal presidente del partito, Matteo Orfini: “Se vogliamo fare una discussione approfondita sul voto in Emilia Romagna, dobbiamo evitare due errori: riversare su quel voto il nostro dibattito nazionale; e rivendicare con orgoglio un modello, che qualche problema evidentemente ce lo aveva”.
Ma va oltre: “Serve un partito diverso da quello che abbiamo sui territori. Dobbiamo costruire meglio la nostra classe dirigente”.
L’aveva accennato pure Davide Zoggia: “Non si capisce bene se i vertici locali le primarie le vogliono o no”.
Il problema si fa sempre più evidente: quelle dell’Emilia Romagna (con un meno 85%) sono ormai storia. In Veneto a votare sono andati in 30mila: per le primarie di Renzi contro Bersani furono 170mila.
In Puglia è andata meglio: 100mila. Ma poi il punto non è solo l’affluenza: ma che le primarie vanno a ratificare decisioni di fatto prese a livello nazionale.
Emblematico il caso della Campania: consultazioni rimandate all’11 gennaio. Per ora ci sono in corsa Vincenzo De Luca, Andrea Cozzolino e Angelica Saggese.
Nomi su cui i mugugni sono tali che è dovuto andare sabato il vice segretario Lorenzo Guerini a cercare di metterci una pezza.
Si cerca una figura che convinca tutti per evitarle.
Come in Toscana si confermerà Enrico Rossi. “Ho smesso di fare il racconto agli italiani. Io per primo ho smesso di parlare all’Italia e agli italiani. E ho parlato di più con le forze politiche”, ha ammesso ieri Renzi.
Ma non è solo questione di racconto.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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