MEDICI SENZA FRONTIERE VISITA I CENTRI PER IMMIGRATI: DEGRADO E UN’ASSISTENZA INSUFFICIENTE
GESTIONE AFFIDATA ALL’EMERGENZA E ALLA DISCREZIONALITA’, ASSENZA DI GENERI DI PRIMA NECESSITA’, INSUFFICIENTE ASSISTENZA LEGALE E SANITARIA…. NEI CIE SONO FINITI IMMIGRATI CHE IN MEDIA RISIEDEVANO IN ITALIA DA OLTRE 7 ANNI, CHE NON HANNO COMMESSO REATI, MA SOLO PERSO IL LAVORO…TENSIONI, MALESSERI E SUICIDI
Dopo una prima analisi compiuta cinque anni fa, l’organizzazione internazionale “Medici senza frontiere” è tornata a monitorare i luoghi di trattenimento degli immigrati privi di permesso di soggiorno.
In Italia se ne contano 21, tra CIE (Centri d’espulsione), CARA (Centri per richiedenti asilo) e CDA (Centri d’accoglienza): due equipe, composte da medici, infermieri, operatori sociali e mediatori culturali, li hanno visitati per redigere un secondo rapporto, dopo quello del 2003.
Non è cambiato quasi nulla: nella relazione si legge che “la gestione dei centri per migranti, dopo 10 anni dalla loro istituzione, sembra ancora ispirata da un approccio emergenziale e in larga parte è lasciata alla discrezionalità dei singoli enti gestori”.
Scarsa tutela dei diritti fondamentali, mancanza di protocolli d’intesa col Servizio sanitario nazionale, insufficiente assistenza legale, sociale, sanitaria e psicologica, episodi di autolesionismo, risse e rivolte, assenza dei generi di prima necessità : questo il quadro generale che emerge dallo studio di Medici senza Frontiere.
E’ solo cambiato lo scenario di riferimento: si è esteso da due a sei mesi il periodo massimo di trattenimento all’interno dei Cie e si sono interrotti gli arrivi di migranti a Lampedusa via mare.
Permangono i fattori di cattivo funzionamento delle strutture e si verificano sempre episodi di scarsa tutela dei diritti individuali.
Medici senza Frontiere si è sentita opporre un rifiuto da parte del ministero degli Interni circa la possibilità di visionare le convenzioni stipulate tra i singoli gestori e le locali Prefeture : “i centri per immigrati sembrano operare come enclave con regole, relazioni e dimensioni di vita propria, senza controlli esterni e indicatori di qualità “, commenta MSF.
La situazione più grave è quella dei Centri di espulsione, dove si trova di tutto: dagli ex detenuti agli stranieri con anni di soggiorno alle spalle, figli e famiglia in Italia.
Il tempo medio di permanenza in Italia di questi immigrati è di 7 anni e 4 mesi.
In pratica, perso il lavoro, hanno perso il diritto al permesso di soggiorno e ora vivono a stretto contatto con i delinquenti, tutti in attesa di rimpatrio.
La tensione e il malessere all’interno dei Cie è palpabile: c’è chi si procura lesioni, chi deve ricorrere spesso alle strutture sanitarie e ai sedativi, chi tenta il suicidio. Sono frequenti atti di vandalismo, risse e sommosse, motivati non tanto dalla detenzione in attesa del rimpatrio, ma dal senso di ingiustizia di tanti trattenuti nel subire una limitazione della libertà personale, pur non avendo commesso alcun reato, ma solo per aver perso un lavoro.
Il tutto senza poter avere orientamento legale, assistenza sociale e psicologica.
Situazione poi particolarmente grave in alcuni Cie: a Torino mancano i mediatori culturali senza i quali medico e paziente neanche riescono a comunicare, quelli di Trapani e di Lamezia Terme sono invivibili e andrebbero chiusi subito, a Roma mancavano persino coperte, vestiti, carta igienica.
A Foggia 12 persone sono costrette a vivere in un container, a centinaia di metri dai servizi, sempre a Foggia e a Crotone in centinaia sono costretti a mangiare sui letti o a terra per mancanza di una mensa.
Un quadro d’insieme che non depone a favore della gestione civile del fenomeno, da parte di uno Stato che vuol definirsi moderno.
In questi Centri non ci sono immigrati con reati alle spalle, ma tanti esseri umani che hanno lavorato anche per 10 anni in Italia, ma non sono mai stati messi in regola.
I datori di lavoro però non finiscono mai in un container, il lavoratore immigrato sì.
In tempi di crisi sarebbe stato giusto prolungare i tempi del soggiorno, prima di arrivare all’espulsione.
Se gli italiani hanno diritto alla cassa integrazione, agli immigrati in nero finiti nei Cie si poteva dare una nuova opportunità .
Questo dice il buon senso, oltre che l’umanità .
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