MENTRE IN EUROPA L’AGRO-POPULISMO SI FA PARTITO, IN ITALIA C’E’ IL COLLATERALISMO COLDIRETTI
IN OLANDA, FRANCIA E POLONIA GLI AGRICOLTORI SI METTONO IN PROPRIO
Un partito fondato dalla lobby della caccia. In Francia succede anche questo: si chiama Alleanza Rurale ed è il movimento politico lanciato da Willy Schraen, storico presidente della Federazione Nazionale Francese dei Cacciatori. Non si tratta di un partito monotematico anche se la tutela della libertà di caccia – insidiata dall’animalismo militante, nel racconto di Schraen e soci – è una delle principali linee programmatiche. Il movimento rivendica la centralità del settore agricolo e promette battaglia, in Europa, in difesa del comparto. Il lobbista punta alla costituzione di un gruppo politico per gli Affari rurali in seno all’Eurocamera.
Schraen si è ispirato ad un esperimento che ha avuto grande successo in Olanda, dove i contadini, in rotta con le politiche ambientaliste del governo, hanno fondato un partito (BBB) e vinto le elezioni provinciali. In Polonia Michał Kołodziejczak, il leader di Agrounia, partito ruralista con forti venature di socialismo, è entrato nel governo Tusk e ha strappato ai partner di coalizione la nomina a viceministro dell’Agricoltura.
C’è già chi appone etichette e conia neologismi: alcuni autori olandesi lo hanno battezzato “agro-populismo”. Ancora non si intravede, in Europa, un trend generale, ma questi eventi politici sono connessi alle proteste che stanno scuotendo il continente e aiutano a comprenderne le ragioni profonde. Il primo settore avverte un deficit di rappresentanza politica e dove può si organizza, mobilitandosi per proteggere i propri interessi, toccati dalle politiche improntate alla transizione ecologica avviata da Bruxelles.
Storicamente, a partire dalla Rivoluzione Industriale, fioccarono in tutta Europa (o quasi) partiti ruralisti, che si fecero carico dei problemi e delle istanze dei contadini, schierandosi a protezione di un segmento dell’economia minacciato dall’urbanizzazione del sistema produttivo. Se hanno raggiunto un certo grado di rilevanza nel proprio sistema politico è dipeso anche da ragioni di ordine economico. Dove la proprietà contadina era frazionata in realtà di piccole e medie dimensioni il settore ha avvertito l’esigenza di darsi un’organizzazione politica, per contare di più. In Italia, specie nel Sud del Paese, i grandi proprietari terrieri vennero rapidamente cooptati nel sistema di potere risorgimentale. Il vuoto lasciato è stato riempito da associazioni di categoria e sigle sindacali. In tempi più recenti Coldiretti si è imposto come interlocutore privilegiato del potere politico, anche grazie ad un rapporto incestuoso – segnato da clientelismo e commistioni politico-elettorali – con la Dc.
Oggi Coldiretti sta con chi governa e ci si imbatte in tracce di finanziamenti sia a destra che a sinistra. Ma il legame tra l’associazione di categoria – suggellato dalla nomina di Lollobrigida – e l’esecutivo non è mai stato così stretto. Eppure mentre i dirigenti della Coldiretti entrano ed escono dai palazzi del potere e stringono mani ai piani alti, le proteste dei contadini infuriano in tutto il Paese e i manifestanti lanciano proclami di fuoco contro il governo e “il suo sindacato”. I sommovimenti segnalano il declino dell’ascendente esercitato da Coldiretti sulla categoria e della sua capacità rappresentativa. Si è aperto uno spiraglio; la radiografia del movimento di protesta immortala una galassia eterogenea, frammentata in sigle. E se alcune si componessero attorno a un soggetto politico, per dare corpo alla protesta? Altri casi in Europa ce ne sono, basta guardarsi attorno. E basta prendere esempio.
(da ilfattoquotidiano.it)
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