“MI SENTO TUMULATA VIVA, SEGREGATA IN UN MONDO ALIENO”: LE LETTERE INEDITE DI ILARIA SALIS CHE RACCONTANO I PRIMI GIORNI DI PRIGIONIA NEL CARCERE DI BUDAPEST (FATELELE LEGGERE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, PETER SZIJJARTO, CHE HA DETTO CHE NON È UNA MARTIRE)
“LE ALTRE DETENUTE MI SCRUTANO A DISTANZA COME SE FOSSI UNA CREATURA STRANA. FORSE PERCHÉ I MEDIA LOCALI MI HANNO TRASFORMATO IN UN MOSTRO SBATTUTO IN PRIMA PAGINA, NON POSSO PARLARE NEANCHE CON MIA MADRE. NON POSSO E NON VOGLIO CREDERE CHE QUESTA PAZZIA SIA REALE”
A più di un anno dal suo arresto, l’11 febbraio del 2023, Ilaria Salis racconta, nel suo diario dal carcere, i primi giorni della prigionia. La vita in cella, l’illusione della libertà negli spostamenti tra il penitenziario e la questura, l’impossibilità di comunicare con sua madre, l’incredulità per il rinnovo della detenzione dopo un mese da reclusa. Nuove lettere che Repubblica insieme con il Tg3 è in grado di pubblicare in esclusiva, consegnate dall’Ambasciata Italiana ai familiari che hanno deciso di mostrarle.
Gyorskocsi Utca. Cella 615. Primi di marzo 2023
Sono in cella da sola e fortunatamente non soffro troppo la solitudine. Devo ammettere che talvolta mi sorprendo a rivolgere due parole al piccione che si posa sul davanzale al di fuori delle sbarre, allo sgabello o all’armadietto. Tutte le mattine vedo uno spettacolo straordinario che purtroppo non vedrò mai più dalle celle successive. Vedo l’alba. A quell’ora – che non so esattamente che ora sia – normalmente mi sto già allenando. Lo sport è il mio unico passatempo perché purtroppo non ho neanche un libro.
L’ora d’aria è anche l’unico momento durante la giornata in cui vedo altre detenute. Con alcune riesco a comunicare in qualche idioma più o meno noto. Le altre mi scrutano a distanza come se fossi una creatura strana. Forse per gli stivali bizzarri che indosso, forse perché i media locali mi hanno trasformato in un mostro sbattuto in prima pagina e mi precede una sinistra fama di “flagello dei nazisti”, o forse semplicemente perché sono straniera aspetto con impazienza i tanto desiderati contatti con le persone care in Italia e scrivo lunghe lettere, immaginando che un giorno non lontano potrò spedirle. Non vedo l’ora! Appena potrò comunicare sarà tutto più facile…
Per combattere la noia ogni tanto gioco con la fantasia, come fanno i bambini. La mia fervida immaginazione talvolta inventa epiloghi rocambolesche per quella che al momento considero alla stregua di una strana disavventura. Purtroppo nel tempo la realtà assumerà una forma ben più drammatica e crudele rispetto ai bozzetti tracciati dall’immaginazione. Un anno dopo sarà ancora sepolta nel profondo di questo Tartaro e quelle lettere, che per lunghi mesi non avrò la possibilità di spedire, diventeranno il canovaccio per questo diario.
7 marzo 2023
La porta si apre e dicono “Police”. Faccio per uscire dalla cella, ma mi fanno cenno che devo indossare qualcosa di più pesante. Non capisco cosa succede, devo uscire dal carcere? Dove mi portano? E soprattutto perché? Mi dicono che tra qualche ora sarò di ritorno in prigione. Sono di nuovo nelle mani della polizia di Questura; Oltrepassiamo il fiume e così scopro che la prigione si trova a Buda, mentre la questura si trova a Pest.
Sono chiusa a Gyorskocsi da 21 giorni esatti e la libertà, la vita normale, il mondo esterno sono realtà ancora vicine e vive. Qualche ora dopo, riportata in prigione e chiusa di nuovo nella cella, mi assale un turbine di vitalità confusa. In preda a umori altalenanti, sono dilaniata dal profumo di libertà che mi ha accarezzato poche ore prima, mentre il mio corpo è costretto in quel Tartaro. E’ molto dura: il corpo deve abituarsi a una condizione nuova e per nulla naturale e il cervello deve fare pace con se stesso e accettare il fatto di essere in prigione.
9 marzo 2023
Ventiseiesimo giorno di prigionia. Evviva! E.T. TELEFONO CASA (sì, proprio il piccolo extraterrestre, perché, quando ci hanno tirati giù da quel taxi, è stato come essere rapiti dagli abitanti di un altro pianeta). Finalmente ricevo il magico telefono verde! Faccio due chiamate brevi perché purtroppo ho pochi soldi e perché “tanto adesso ci sentiamo quando vogliamo”. Parlare nella mia lingua, ascoltare voci affettuose e percepire la vicinanza delle persone scatena in me emozioni devastanti. Qualcosa esplode il mio petto e per la prima volta le mie guance sono rigate da calde lacrime.
10 marzo 2023
In mattinata mi consegnano quasi un migliaio di pagine di documenti di indagine scritti in quella lingua aliena, che è per me l’ungherese. Dicono che il mio arresto sarà rinnovato. Io davvero all’inizio non avevo capito. Quando il giudice aveva detto che ci metteva in prigione per un mese, io avevo capito che era un mese e basta, non che si poteva rinnovare. Ricevo anche la notizia che tutti i miei contatti sono vietati, bloccati per ordine della Procura Generale di Budapest capitale. TUTTI. In pratica non posso parlare neanche con mia madre. Non posso e non voglio credere che questa pazzia sia reale.
Non è possibile, li ho sentiti ieri per la prima volta dopo settimane! Non oso immaginare come saranno preoccupati ed affranti i miei. Ed io sono qui in prigione in un paese che non conosco, senza contatti e non capisco quasi nulla di ciò che accade intorno a me. Mi sento tumulata viva, segregata in un mondo alieno, in un baratro oscuro “dove ‘l sol tace”.
(da La Repubblica)
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