NEL CENTRODESTRA ANCHE LA FINZIONE E’ SALTATA: PIAZZE SEPARATE, PROGRAMMA INESISTENTE E SFOTTO’ SULLA SQUADRA
NELLA COALIZIONE BUGIARDA NON SI CERCA NEANCHE PIU’ LA PHOTO OPPORTUNITY, E’ LOTTA FRATRICIDA PER UN VOTO
Ormai anche la finzione è saltata, in questa coalizione “bugiarda”, approntata solo per accaparrarsi il bottino elettorale.
Neanche l’apparenza è più salvata, dopo i sorrisi ostentati a forza nello scatto davanti all’albero di Natale di Arcore.
La foto delle piazze dice tutto.
Giorgia Meloni sarà in piazza da sola, il 18 febbraio a Roma, alla sua manifestazione “anti-inciucio”, perchè gli alleati, senza neanche tanto garbo, si sono sfilati adducendo motivi di agenda o di opportunità politica.
Alimentando, in tal modo, il retropensiero di voler tenere le mani libere, nel grande gioco delle alleanze che si aprirà dopo il voto, chi con i Cinque stelle, chi col Pd. Salvini, il 24 febbraio, ha convocato il suo popolo — l’obiettivo è 70 mila persone — a piazza Duomo, facendolo sapere agli alleati, come consuetudine, a mezzo stampa.
E al momento sembra complicato anche che i tre riescano a scattare una foto prima del voto, in una qualche occasione di cui parlarono senza però dare un seguito concreto.
Poco scandalo, dicono i più realisti, in questo pasticcio in cui le coalizioni sono artifizi solo elettorali, nell’ambito di un sistema schiettamente proporzionale.
Ma fino a un certo punto. Perchè c’è una domanda che, nei Palazzi che contano qualcuno inizia a porsi. E che si porranno, ad esempio, al Quirinale nel caso la coalizione arrivi prima: “Ma il candidato a palazzo Chigi, colui che unisce questo magma scomposto, chi è?”.
La verità , semplicemente, ed è un dato piuttosto preoccupante, è che non c’è.
In questa propagandistica leggerezza dell’essere, anche il tema — serio, serissimo — del governo e della sua composizione è vissuto quasi come uno sfregio reciproco, ridotto al livello di uno sfottò che non nasconde una reciproca insofferenza.
L’ultima è la dichiarazione della Meloni che, ospite di Coffee break, ha dichiarato che vedrebbe bene Berlusconi come “ministro dello Sviluppo economico”.
Solo pochi giorni fa, Matteo Salvini lo vedeva bene come “ministro degli Esteri”.
E prima ancora, il Cavaliere, incapace di concepire se stesso se non come il padre padrone del centrodestra, nel “suo” governo aveva collocato Matteo agli Interni e Giorgia alla Difesa.
Il punto lo coglie Giorgia Meloni: “Salvini e Berlusconi trovano tutti i giorni un pretesto per litigare. Penso bisogni fare proposte serie altrimenti è la campagna di Cetto la qualunque”.
In questo remake di Qualunquemente, la chiave è la competizione interna, a maggior ragione dopo che le larghe intese sembrano declinare su Macerata.
I parlamentari, impegnati sul territorio, raccontano che la campagna elettorale è solo sull’immigrazione, come nel 2013 era tutta sulle tasse. Allora la mitica “gente” ce l’aveva con l’Europa, Monti, e chi aveva “massacrato” il paese di tasse, oggi ce l’ha con gli immigrati.
Il paradosso, ma neanche troppo, nella destra degli impresari della paura è che il berlusconismo televisivo, nei suoi tg ansiogeni e nei suoi programmi di ascolto, è la propagazione catodica dell’agenda del leader leghista, come se l’Italia fosse un gigantesco caso di cronaca nera, per colpa degli immigrati.
In questo contesto, per il leader della Lega, gli alleati non sono potenziali partner di governo, ma bacini di conquista elettorale. A partire dalla Meloni: basta vedere quanto ceto politico post-missino ha imbarcato la Lega nel sud, o gli slogan presi dal repertorio della leader di Fratelli d’Italia, come “Prima gli italiani”.
È una competizione feroce, e talvolta sottotraccia, “voto su voto”, “portatore di voto su portatore di voto”, soprattutto a sud.
E diventa una notizia, indicativa del clima da quelle parti, che tal Ronghi, segretario di un movimento sudista, abbandoni Salvini perchè “ha imposto troppi paracadutati” per aderire a Fratelli d’Italia, con grande soddisfazione dei nuovi compagni di viaggio. Ecco: neanche più la parvenza di una coalizione.
(da “Huffingtonpost”)
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