NELLE IMPRESE DEL CANTON TICINO RISPUNTA IL BOLLINO ANTI-ITALIANI: QUANDO GLI EMIGRANTI SONO I PADANI
UN ADESIVO SEGNALA CHI IMPIEGA SOPRATTUTTO LAVORATORI RESIDENTI IN SVIZZERA
Ci risiamo con il bollino anti-italiani. Stavolta è il Comune di Monteceneri, distretto di Lugano, Canton Ticino, Svizzera, che certificherà con un adesivo ad hoc le imprese locali che impiegano in maggioranza residenti.
E così riparte tutto un contenzioso italo-svizzero che era già esploso nel 2015 quando la stessa idea venne al sindaco di Claro.
All’epoca, sul bollino comunale si poteva indicare anche la percentuale dei residenti, dal 20 al 100%. L’affare fece molto rumore. Dall’altra parte della frontiera, insomma dalla nostra, le proteste salirono al cielo.
Furono rinvangate remote angherie verso gli emigrati italiani, tipo Nino Manfredi in «Pane e cioccolata» e il tutto culminò con un editoriale a «Uno mattina» dove Franco Di Mare paragonò il bollino ai cartelli con la scritta «Questo negozio è ariano» che apparvero su troppe vetrine italiane dopo le leggi razziali del ’38.
Gli svizzeri controprotestarono e l’affare finì poi nel nulla per esaurimento di uno dei contendenti. Due anni dopo, infatti, il Comune di Claro fu assorbito da quello di Bellinzona e il bollino sparì con lui.
Adesso, informa «La Provincia di Como», i ticinesi ci riprovano.
Per la precisione, il Comune di Monteceneri e, per essere ancora più precisi, il «municipale» (alias assessore) Andea Daldini, del Ppd, i democristiani, giovane avvocato ed ex candidato a Mister Svizzera.
Daldini ha fatto votare al Consiglio comunale della ridente località una mozione che istituisce la poco ridente misura. Ovviamente, ha spiegato Daldini sia sul web a Ticinews sia in tivù a Teleticino, nel progetto c’è nulla di anti-italiano, tantomeno di razzista.
Lo scopo «è quello di cercare di ristabilire un equilibrio sociale fra forze di lavoro, in modo da favorire il buon sviluppo dell’economia locale e permettere soprattutto ai giovani residenti in Ticino di trovare lavoro».
Daldini ce l’ha con il «dumping salariale»: i non residenti (leggi: gli italiani) accettano infatti stipendi più bassi di quelli degli autoctoni, alle prese con un costo della vita molto più alto.
E così a Monteceneri i frontalieri sono più di 400 su una popolazione di 4.800 persone: troppi, par di capire.
L’adesivo darebbe ai consumatori, parola sempre di Daldini, «la possibilità di scegliere se rivolgersi a una ditta piuttosto che a un’altra, basandosi anche sulla volontà di un’azienda di favorire e sostenere il promovimento (sic) dell’economia locale».
Insomma, comprando dal Pinco con dipendenti autarchici invece che da Pallino con dipendenti d’importazione si aiuterebbe l’economia ticinese.
Naturalmente, da parte italiana le prime reazioni sono, per usare un eufemismo, negative.
Eros Sebastiani, dell’Associazione frontalieri, preferisce riderci su: «Ma cosa siamo, la banana Ciquita? L’iniziativa non è solo sgradevole: è ridicola. Almeno un terzo della forza lavoro del Cantone è costituita da frontalieri. Qui se si chiude la frontiera non si blocca solo il Ticino, si blocca mezza Svizzera. E dire che appena due giorni fa la presidente della Confederazione, Doris Leuthard, è venuta a inaugurare la nuova ferrovia transfrontaliera Arcisate-Stabio e ha fatto l’elogio della collaborazione fra i due Paesi, spiegando che le economie di Ticino e Lombardia sono interdipendenti. Ma non è la prima volta che i politici federali dicono una cosa e quelli cantonali un’altra. Sono solo piccoli giochi politici locali».
Sarà . Ma intanto nei prossimi mesi a Monteceneri si inizierà a certificare la purezza residenziale delle imprese.
E, visto che per un primo bilancio dell’iniziativa bisognerà aspettare, secondo Daldini, «almeno un anno», non mancherà il tempo per litigare ancora.
(da “La Stampa”)
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