ORA E’ THRILLING: CORBIN A SOLI TRE PUNTI DALLA MAY
I LABURISTI ORA POSSONO SOGNARE IL SORPASSO, ULTIMA SETTIMANA ELETTORALE CON UNA MAY DISASTROSA CHE SFUGGE AL CONFRONTO IN TV
La sua assenza non è passata inosservata. Al dibattito elettorale di ieri sera in tivù fra i leader dei sette maggiori partiti ne mancava soltanto uno: Theresa May, che continua a rifiutarsi di apparire in qualunque formato accanto a Jeremy Corbyn.
Ufficialmente, secondo la premier conservatrice, perchè ha già duellato con lui una volta alla settimana per un anno nel tradizionale botta e risposta del mercoledì alla Camera dei Comuni fra capo del governo e capo dell’opposizione, quindi sarebbe inutile fare altri confronti.
Ma commentatori e ormai anche opinione pubblica sospettano che la ragione sia un’altra: il timore di uscire male dalla sfida sul video.
Dove Corbyn, spontaneo e rilassato, funziona benissimo, mentre May dà l’impressione, anche nelle interviste, di avere imparato una lezioncina a memoria.
E’ una delle ragioni per cui una campagna elettorale iniziata due mesi fa con il primo ministro in testa di oltre 20 punti nei sondaggi, vede il distacco ridotto a soli 3 punti a una settimana dal voto: una parità di fatto, considerato il margine di errore dei rilevamenti statistici.
Corbyn ha guadagnato terreno di giorno in giorno: era a 16 punti un mese, a 9 quindici giorni or sono, a 6 domenica scorsa e ora intravede la possibilità di un sorpasso in vista del traguardo, cioè dell’8 giugno, fra una settimana esatta, giorno delle elezioni. Anche il pareggio, o una sconfitta di stretta misura, potrebbe del resto diventare una vittoria per il leader laburista, vittoria morale perchè tutti lo davano per spacciato all’inizio e di fatto se le proiezioni dell’istituto YouGov sono esatte: i Tories in tal caso conquisterebbero la maggioranza relativa ma non quella assoluta necessaria a governare da soli e in teoria il Labour avrebbe l’opportunità , in una coalizione sostenuta da lib-dem, verdi, nazionalisti scozzesi e nord-irlandesi, di raggiungere il quorum che serve per formare un governo.
Primo: ha voluto lei le elezioni anticipate, dopo avere sempre dichiarato, dal giorno in cui ha preso il posto di David Cameron dopo le dimissioni di quest’ultimo per la sconfitta nel referendum sulla Brexit.
Sosteneva che erano necessarie per ottenere una più larga maggioranza e così impedire ai partiti di opposizione di mettere i bastoni fra le ruote al negoziato sull’uscita dall’Unione Europea.
Se non riuscirà ad aumentare la maggioranza (attualmente di 15 deputati), dovrà ammettere di avere sbagliato tattica. Qualcuno ipotizza addirittura che sarebbe costretta a dimettersi.
Secondo: si è rivelata un disastro in campagna elettorale. Appare fredda, legnosa, ripetitiva.
Il suo slogan, “io vi darò una leadership forte e stabile”, non vuol dire niente. La maggioranza dei comizi sembrano una messa in scena, con pubblico selezionato fra militanti locali dei Tories e domande dei giornalisti selezionate preventivamente.
Più a lungo Theresa May viene esposta al microscopio dell’opinione pubblica, meno sembra convincente come leader nazionale. E a questo punto i suoi avversari ricordano che è entrata a Downing Street in virtù di una serie di circostanze fortunate: la vittoria a sorpresa della Brexit nel referendum, le impreviste dimissioni di Cameron nei giorni seguenti, il ritiro della candidatura di Boris Johnson, l’ex-sindaco di Londra, artefice della campagna per la Brexit (e ora ministro degli Esteri) a causa delle critiche del suo alleato Michael Gove.
Terzo: il “manifesto” conservatore, ovvero il programma elettorale, è incappato in un paio di infortuni giganteschi, proponendo un taglio ai benefici assistenziali agli anziani (soprannominato dai giornali “dementia tax” — la tassa sulla demenza senile) e un altro taglio al piano di pasti gratis nelle scuole che hanno sollevato un’ondata tale di proteste, perfino all’interno dei Tories, da essere ritirate in fretta e furia con una serie di contraddittorie affermazioni.
Quarto: la paura del confronto televisivo con Corbyn. Il quale ironizza: “Se Theresa May è una leader tanto forte e stabile, perchè non ha il coraggio di fare un faccia a faccia con me in tivù?”
Sessant’anni, figlia di un pastore anglicano, sposata da lungo tempo ma senza prole (non per scelta: “è stato un grande dolore”, ha ammesso in un’intervista), laureata in geografia, ministro degli Interni nel governo di Cameron, schierata tiepidamente contro la Brexit nel referendum per poi diventare una paladina della “hard Brexit”, del divorzio duro e totale dalla Ue, quando è entrata a Downing Street, Theresa May deve ringraziare che la campagna elettorale sta per concludersi. Per lei è stata una via crucis. E la donna che aspirava a diventare una “nuova Thatcher” rischia di uscirne come una lady distrutta.
(da “La Repubblica”)
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