PDL, FALLISCE L’ULTIMA MEDIAZIONE
RESPINTE LE RICHIESTE DELL’ALA VICINA AD ALFANO CHE ORA E’ PRONTA A DISERTARE IL CONSIGLIO NAZIONALE
Restano poche ore al Cavaliere per decidere la propria sorte.
O si scrolla di dosso i «falchi», i «falchetti», i «lealisti» e tutti gli ultrà che vietano qualunque concessione, sia pure minuscola, ad Alfano; oppure domani, anzichè il battesimo di Forza Italia, Berlusconi celebrerà un funerale politico: la triste, rancorosa e un po’ squallida scissione del suo movimento.
Senza precise garanzie, i «governativi» facenti capo al vice-premier non intendono metter piede all’Eur, dove è convocato il Consiglio nazionale del Pdl.
Ma in pochi credono ormai ai colpi di scena, dopo che pure l’ultima mediazione è andata in fumo nella giornata di ieri, incominciata tra voci di patti praticamente sottoscritti e precipitata poi nella solita convulsa rissa tra le fazioni.
In sintesi, ecco la cronaca degli ultimi accadimenti: l’altra notte, a Palazzo Grazioli, Silvio e Angelino s’erano lasciati con una stretta di mano.
«Allora siamo d’accordo…», «si sì procediamo in questo modo».
Cioè, in pratica, come avrebbe voluto Alfano: convocazione immediata dell’ufficio di presidenza, correzione del documento che venne approvato due settimane fa con un blitz, impegno a mandare avanti il governo Letta, ma soprattutto nomina di due coordinatori nazionali, uno per conto dei ribelli-ministeriali e l’altro dei falchi-lealisti, in modo da non potersi combinare scherzetti a vicenda.
Alfano ne ha dato notizia ai suoi e si è messo pazientemente in attesa.
Ma passa un’ora, passa l’altra, la convocazione dell’ufficio di Presidenza non è mai arrivata.
Anzi, verso sera si è saputo che Berlusconi aveva ricominciato con le telefonate «strappacore» ai senatori dissidenti per supplicarli di tornare all’ovile: segno inequivocabile che la mediazione è fallita e si torna alla casella del via (con tanti auguri).
Come mai il voltafaccia? Perchè come furie si sono precipitati dal Capo prima Verdini, poi Ghedini, a sera Fitto.
Gli hanno gridato che giammai si poteva cedere al ricatto di Alfano, che Angelino è solo chiacchiere e distintivo, che solo loro gli vogliono bene.
Berlusconi, spalleggiato da Gianni Letta, ha tentato sulle prime di resistere. Lui spera (a questo punto, meglio, sperava) di scansare l’onta della scissione e, soprattutto, dell’espulsione dal Parlamento, già fissata per il 27 novembre.
Contava in un rinvio del voto sulla decadenza al Senato perchè attende in ansia l’arrivo di non meglio precisate carte dagli Usa, un dossier che (stando alle sue privatissime confidenze) gli permetterebbe di chiedere la revisione del processo Mediaset e magari addirittura di rimettere in forse la condanna…
Per rinviare la decadenza, o perlomeno tentare ancora, un partito unito gli avrebbe fatto comodo assai. Ma poi è giunta notizia da Palazzo Madama che il rinvio della decadenza è un miraggio, a spostare la data il Pd non ci pensa neppure lontanamente. Eventuali ritardi della legge di stabilità non avranno alcun effetto sul calendario dell’«esecuzione».
Strattonato dai suoi scudieri, quasi costretto a indossare l’armatura per guidarli nell’ultima battaglia, il Cavaliere viene descritto da persone estranee all’una e all’altra parrocchia come un uomo turbato, quasi sconvolto, per la prima volta in preda allo sgomento.
Riunione serale a Largo Chigi dei governativi, rassegnati all’addio. Quagliariello, padrone di casa: «Non si entra in Forza Italia per guastare la festa», tanto vale tenersi alla larga dall’Eur.
Clima da caccia alle streghe tra i «lealisti», al punto che perfino una strettissima collaboratrice del Cav, la senatrice Rossi, è finita nel vortice delle maldicenze, per aver osato pronunciare pubblicamente la parola più vietata: «Unità ».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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