PISA, BOTTE E MANCATO DIALOGO: GLI ERRORI DEGLI AGENTI E QUELLI DEL VIMINALE
SONO STATI COMMESSI ALMENO TRE ERRORI E ANCHE UN PUGNO DI REATI DAGLI UOMINI IN DIVISA
Nella piazza di Pisa sono stati commessi tre errori, almeno. E probabilmente anche un pugno di reati, compiuti da uomini in divisa.
Ma per capire davvero cosa è accaduto ieri in Toscana, bisogna guardare a Roma dove, da quando il centrodestra è tornato al governo, sembra che il dissenso sia diventato una questione di ordine pubblico. E dove il confine tra il legittimo esercizio della forza e la violenza appare, troppo spesso, essersi perso.
Quello che è accaduto a Pisa è una rappresentazione plastica di tutto questo. Per come infatti Repubblica ha potuto ricostruire, i problemi cominciano già tra mercoledì e giovedì quando i collettivi decidono di organizzare la manifestazione a favore della Palestina.
Coinvolgono gli studenti delle scuole superiori ma rifiutano il dialogo con la Digos. Non hanno intenzione di stabilire un percorso, niente regole comuni. Tecnicamente, una “manifestazione non organizzata”.
Qui, viene commesso il primo errore.
Nonostante infatti il questore di Pisa, Sebastiano Salvo, sia un poliziotto di grande esperienza, un uomo che ha fatto ordine pubblico per tutta la vita (era a Genova, ma mai è stato invischiato nei fatti del G8. Chi lo conosce, dice: «Non è uno che manda a picchiare i ragazzini »), non si insiste nella trattativa con i manifestanti.
Non si fa alcun lavoro di prevenzione per evitare di fare accadere quello che poi ieri è successo. E cioè che un gruppo di manifestanti si possa trovare di fronte a un cordone di polizia: a Pisa gli agenti erano schierati agli ingressi di piazza dei Cavalieri e piazza dei Miracoli. Ed è proprio davanti a piazza dei Cavalieri che è avvenuta la vergogna: il gruppo di giovani, tra cui decine e decine di minorenni, ha provato a entrare in piazza, stringendosi in un imbuto.
A quel punto il funzionario — commettendo il secondo errore — ha ordinato una carica leggera. Il risultato sono state le manganellate, a cui — e veniamo al terzo punto — sono seguiti alcuni comportamenti ritenuti dalle stesse forze di polizia «inaccettabili ». Alcuni uomini, come è evidente dai video, hanno inseguito e picchiato i ragazzini, che avevano come unico strumento di offesa la propria voce.
Su questo la stessa polizia ha avviato degli approfondimenti, in accordo con la procura: gli agenti verranno identificati e subiranno le conseguenze penali e amministrative del caso. Su questo la polizia, ancora nella serata di ieri, ha assicurato che non ci saranno sconti.
Il punto, però, è: ma davvero tutto questo è spiegabile con degli errori di campo? Sono troppi i casi e troppo delicate le situazioni in cui l’esercizio della forza, non per forza fisica, è stato visibile. E offensivo. Qualche esempio, diverso tra loro ma con un denominatore comune: il loggionista identificato alla Scala quando grida «viva l’Italia antifascista», i milanesi identificati mentre deponevano i fiori in memoria di Navalny, e ancora gli attivisti caricati davanti alla Rai o a Napoli mentre srotolavano uno striscione di solidarietà ai civili di Gaza, sono l’evidente sintomo di una malattia.
«Nessuno può pensare che ci sia un ordine dall’alto di picchiare i dissidenti, non scherziamo», ragiona però una fonte della Polizia. Vero: ma avere un ministro dell’Interno che ritiene normale identificare i partecipanti alla manifestazione per Navalny o uno dell’Istruzione che parla delle occupazioni scolastiche come di un pericolo per l’ordine pubblico contribuisce a creare un certo clima.
«Il punto è che dal 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas a Israele, nel nostro Paese ci sono state 1.023 manifestazioni». Bene: ma se c’è stata questa esplosione di piazze, perché non è stato approntato un piano — dal Viminale a scendere — che miri a gestirle, proteggendo le sedi istituzionali e la sicurezza dei cittadini, ma nello stesso tempo garantendo il diritto di espressione e rendendo quasi impossibili episodi di violenza?
(da La Repubblica)
Leave a Reply