QUANTO COSTA NAZIONALIZZARE LE AUTOSTRADE
6870 CHILOMETRI, 1000 IN GESTIONE ALL’ANAS, IL RESTO SPEZZETTATO IN 26 CONCESSIONI… NON SI PUO’ ESPROPRIARE CIO’ DI CUI SI E’ PROPRIETARI
Quanto costa nazionalizzare le Autostrade?
Camilla Conte sul Giornale oggi fa i conti in tasca al progetto annunciato al volo dal governo dopo il disastro di Genova: riportare sotto l’ombrello statale la rete autostradale italiana, che oggi si compone di 6870 chilometri di cui 1000 in gestione all’ANAS e il resto spezzettato in 26 concessioni date ai privati: circa 3000 li gestisce Atlantia tramite sei concessioni in scadenza nel 2038, 1200 li mantiene il gruppo Gavio e il resto è in capo a enti pubblici e concessionarie minori.
L’incremento annuo dei pedaggi è del 2,75% mentre le spese per investimenti e manutenzioni tra il 2015 e il 2016 erano in calo.
Ma c’è un punto ancora più importante: non si può espropriare ciò di cui si è proprietari.
Le autostrade infatti non possono essere nazionalizzate perchè sono già destinate a tornare sotto il cappello pubblico.
Lo spiegava bene il professore dell’Università di Bergamo, Giorgio Ragazzi, già economista al Fondo Monetario Internazionale e consulente nel settore privato, sul sito La Voce.info il 27 giugno del 2014.
«La concessione di ogni autostrada prevede che, alla scadenza, l’infrastruttura venga devoluta gratuitamente al concedente, cioè allo Stato». Una norma semplice e mai applicata. Perchè i concessionari, secondo Ragazzi, cercano in ogni modo di ottenere rinnovi senza gara o almeno lunghe proroghe.
«È vero che l’Unione Europea impone che i rinnovi di concessione vengano assegnati per gara, ma certo non potrebbe obiettare se lo Stato, magari tramite l’Anas, si appropriasse dell’autostrada senza bandire alcuna gara. L’ostacolo maggiore è rappresentato dall’indennizzo che lo Stato dovrebbe pagare al “vecchio” concessionario per gli investimenti realizzati e non ancora ammortizzati»,scrive sempre Ragazzi.
Ecco quindi il ragionamento: l’esborso per l’indennizzo potrebbe essere finanziato a debito dall’ANAS (o da un altro ente pubblico che subentri nella proprietà dell’autostrada).
Non si tratterebbe però di una «nazionalizzazione» come la intendono i fan delle nuove Iri. E costerebbe bei soldini: Ricorda oggi Tommaso Rodano sul Fatto che i rapporti generali tra “concedente” (lo Stato, tramite Anas) e “concessionario”(Autostrade per l’Italia) sono regolati dalla convenzione firmata nel 2007, ai tempi del governo Prodi.
Lo Stato può avviare il procedimento di decadenza della concessione in caso di “grave inadempienza”da parte del concessionario. Tra gli obblighi assunti da Autostrade c’è anche il “mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse”(art. 3, comma 1, lettera b della convenzione). Ipotizzata la “grave inadempienza”, lo Stato potrebbe quindi avviare la procedura per la revoca secondo l’articolo 9
La procedura deve iniziare con una contestazione formale, dopo la quale al concessionario (Autostrade) è concesso un primo “congruo termine” non inferiore a 90 giorni, e un “ulteriore termine non inferiore a 60 giorni per adempiere a quanto intima to ”. Traduciamo: iniziata la procedura, Autostrade avrebbe 5 mesi per mettersi in regola.
E questo spiega perchè Autostrade si è detta pronta a ricostruire il viadotto in cinque mesi (e non sei o quattro). Ma, come spiegavamo ieri, la revoca della concessione è blindata dall’articolo 9 bis: “Il Concessionario avrà diritto (…) ad un indennizzo/risarcimento a carico del Concedente in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione anche per inadempimento del Concedente”. In sostanza, lo Stato sarebbe costretto a risarcire la società di Benetton anche in caso di inadempienza accertata. Di quanto?
Una ventina di miliardi di euro, visto che gli utili della società sfiorano il miliardo e mancano vent’anni alla fine della concessione. Un salasso di proporzioni mondiali, pari a più di un punto di PIL.
(da “NextQuotidiano”)
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