RE TRAVICELLO SENZA BASTONE DI GOVERNO
SI PERDE GLI APPUNTI, GAFFE SU MATTARELLA, SESSANTA MINUTI DI VAGHEZZA
Al secondo giorno appena, cade la maschera da premier indossata dal professor Giuseppe Conte.
E l’Aula si trasforma nello stagno della celebre favola di Fedro, dove Zeus lancia un pezzo di legno, un “travicello”, indicandolo come monarca per le rane che, dopo una titubanza iniziale, scoprono che il loro sovrano non fa nulla se non galleggiare.
E iniziano dunque a saltellare come vogliono, un po’ come Salvini, vero azionista della maggioranza, che dopo venti minuti di discorso si alza e se ne va, direzione Barletta, per un comizio.
È più importante, evidentemente, rispetto all’ascolto della noiosa difesa d’ufficio di un contratto che premier e Parlamento devono, semplicemente, ratificare.
Eccolo, il “re Travicello”, alias Giuseppe Conte. Che prova a indossare i panni istituzionali di chi rispetta il capo dello Stato, ma dimentica il nome del suo “congiunto” – proprio “congiunto” – ucciso dalla mafia, ovvero il fratello Piersanti.
E termina con una frase per tutte le stagioni, che certo non resterà negli annali: “Terremo ciò che funziona, cambieremo ciò che non funziona”.
Discorso pasticciato, impacciato con il premier che perde gli appunti e si perde, prima che Di Maio glieli sistemi, quasi soporifero, lunghissima celebrazione del potere che non dice nulla in una sequenza di standing ovation alla meccanica ripetizione di ogni titolo del “contratto”, legge fondamentale del nuovo ordine populista che si sente “Stato”.
In un clima in cui ogni avversario è un peccatore da redimere e il lapsus sulla “presunzione di colpevolezza”, e non di “innocenza”, rivela l’essenza dell’avvocato del popolo con l’animus dell’inquisitore collettivo.
*Ecco che, al primo brusio del Pd, il dissenso diventa macchia morale del reprobo: “I vostri interventi — dice rivolto ai banchi della sinistra – volti a interrompermi dimostrano che ciascuno ha il suo conflitto o pensa di avere di avere il proprio conflitto”.
È il momento più caldo e al tempo stesso il trailer della legislatura che verrà , col boato della maggioranza rivelatore di una retorica della punizione, intesa come trionfo del nuovo spirito popolare nel nuovo anno zero della Repubblica dei cosiddetti cittadini. Parole goffamente corrette per sedare il trambusto: “Sono stato frainteso, non sto accusando nessuno ma dico che è negli interstizi della società a qualsiasi livello”.
“Cittadini”, “cambiamento”, un’elencazione di intenti generici senza mai dire il “come”, il “quando”, le “coperture”, le aliquote, i cardini di una politica economica che, sul contratto, prevede cento miliardi di spesa.
L’unica cosa che si capisce (e stupisce) è il ridimensionamento dei poteri dell’Anac che “non ha prodotto i risultati che ci aspettavamo”.
Sessanta minuti di lento galleggiamento di un premier che non è cuore pulsante dell’azione di governo. Ma che, almeno, sfoggia l’inglese promettendo la “green economy” o l’attenzione alla “blu society”, perchè come negli altri paesi anche l’Italia deve avere la “corporate responsability” e tanti “report sulle performance”.
Altrimenti, cosa dici agli stakeholder? È il punto politico questa intangibilità del premier, facile bersaglio di chi l’ha ribattezzato come un “pupazzo”, spedito a palazzo Chigi con una lista di ministri e un contratto scritto da altri.
Perchè governare non è solo eseguire o obbedire, ma gestire imprevisti, confrontarsi con partner stranieri, gestire l’opinione pubblica interpretando l’interesse nazionale.
Al secondo giorno il neo-premier sembra già unfit to lead, mentre la Camera si trasforma in una bolgia quando il leghista Molteni inneggia al Far west perchè “la difesa è sempre legittima e chi si difende non può subire la gogna e l’agonia di un processo” o alimenta la retorica xenofoba di un “paese che cresce facendo figli e non importando immigrati”.
L’avvocato difensore degli italiani, portavoce ufficiale del nuovo blocco gialloverde ha la spensierata e spericolata sicurezza di chi sa che deve convivere con i due potenti e ingombranti sub-premier, perchè fa parte del contratto sostanziale la sua capacità e attitudine di stare un passo indietro, in attesa che le decisioni vengano comunicate.
In tal senso il discorso è perfetto, perchè gli slogan, semplificati ai limiti della banalità , fanno breccia “fuori”, in un’opinione pubblica che si nutre della campagna elettorale permanente, ma consentono di attendere che le scelte — il “come”, “quando”, “con quali soldi” — siano stabilite nel patto tra i partiti, o meglio tra i leader veri.
Per ora, la nave va, forte delle vento che soffia nel paese, perchè i governi non si giudicano dalle parole del primo giorno nè esistono opposizioni che abbiano la minima parvenza di “alternative politiche”.
Però c’è la realtà , che prima o poi pretenderà i numeri sotto le elencazioni di principio e misurerà aspettative disattese e promesse tradite.
A proposito, lo spread incassata la fiducia è risalito a quota 250.
Non sarà un “vessillo” come dice Conte, ma sarà difficile non tenerne conto.
(da “Huffingtonpost”)
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