RIDER, PAGHE PIU’ BASSE DOPO IL COVID E ALGORITMI SPIETATI: IN ITALIA SONO PIU’ DI 30.000 MA LA STRADA DEI DIRITTI RESTA IN SALITA
LE SOCIETA’ TRATTENGONO IL 30% SULLA MERCE CONSEGNATA, LA COMPETIZIONE IN STRADA AUMENTA E TUTTI INCASSANO MENO
Il percorso verso più diritti è ancora complicato, pieno di ostacoli. Nonostante una sensibilizzazione generale verso la necessità di nuove tutele, dopo il periodo di grande richiesta (e sfruttamento) del Covid nel 2020-2021, i rider che consegnano cheeseburger e pizze nelle città vivono ancora una situazione complessa, da lavoratori autonomi senza troppe garanzie. L’unica piattaforma che ha aperto alla contrattazione nazionale, riconoscendo i rider come «subordinati», è Just Eat, ma proprio una settimana fa è andata in scena la protesta dei lavoratori legati a quel servizio, a Firenze: «In base all’algoritmo dobbiamo correre più di Pogacar…». L’algoritmo punisce se la consegna non arriva, o se arriva in ritardo.
La paga
Ma quanto può guadaganre un rider? Ancora poco, anche se le valutazioni sono soggettive. E relative. Il contratto nazionale di Just Eat prevede un pagamento orario, di 8,75 euro lordi, più incentivi per il numero di consegne effettuate. E rispetto a prima questo contratto (tra l’altro scaduto a marzo, che deve essere rinnovato) «può sembrare un passo avanti sicuramente» commenta Angelo Avelli, attivista di Deliverance, il sindacato informale nato a Milano.
«In realtà – aggiunge – con le altre società, principalmente Glovo e Deliveroo, la situazione è peggiorata in termini di pagamento: se nel 2020 si potevano prendere 5 euro lordi a consegna, oggi è difficile andare oltre i 3,75. L’accesso alla piattaforma, soprattutto per Deliveroo, è libero e fa crescere la concorrenza tra i rider e quindi fa scendere il costo delle consegne per le società stesse»
L’accesso ai diritti
Oltre le paghe, c’è prima di tutto una questione di accesso ai diritti: «È capitato di rider che sono caduti a terra, che hanno avuto un incidente e il cui account è stato bloccato perché non sono arrivati in tempo – commenta Avelli -. Spesso è da queste situazioni, tra l’altro, che nasce la sindacalizzazione. Si rivolgono a noi soprattutto quando vogliono chiedere alle piattaforme la riattivazione dell’account, quando ritengono di aver subito un torto. Non ci sono dinamiche sindacali classiche, nella maggior parte dei casi i rider sono ragazzi stranieri, restano lavoratori autonomi sfruttati»
I numeri
Sulle strade delle città italiane ci sono almeno 30mila rider. Da Roma in giù si tratta di una platea mista: molti studenti, qualcuno che arrotonda lo stipendio con un secondo lavoro, tanti migranti. Al centro-nord, invece, i lavoratori del food delivery stranieri sono l’80%, con una prevalenza di pakistani e africani. «Nel complesso le stime parlano di un 30-40% di persone che fa questo lavoro in modo stabile» ancora Avelli. Oltre il 50% è caratterizzato da una certa rotazione.
I nodi economici e sindacali
I giganti erano 4: Deliveroo, Glovo, Just Eat e Uber Eats. Proprio un anno fa l’ultimo ha lasciato l’Italia. «Just Eat fa contratti part time, Glovo permette ai rider di prenotare degli slot di tempo e consegna perchè usa un punteggio prestazionale, Deliveroo invece utilizza il free login: si può lavorare quando e dove si vuole, senza ranking reputazionale», spiega Roberta Turi, segretaria nazionale della Nidil Cgil, il settore del sindacato che si occupa proprio delle ultime forme di lavoro.
La sindacalista tenta il dialogo con Glovo e Deliveroo, rappresentati da AssoDelivery. In queste settimane prova a ristudiare il fenomeno, con interviste e approfondimenti, per cercare di capire come cambiare le regole. Una legge specifica che normi questo settore, infatti, ancora non esiste. «C’è un trend di aumento dei rider, perché la competizione tra chi è in strada è un elemento strategico per le piattaforme: alcune offrono la consegna a chi è disponibile in zona, dunque più rider ci sono e più c’è la garanzia che il prezzo da pagare la consegna rimarrà basso». Un dato da tenere particolarmente d’occhio in un sistema in cui le aziende hanno una marginalità davvero bassa se si pensa che il prodotto più trasportato è il classico hamburger. Le piattaforme si prendono circa il 30% del valore della merce consegnata.
Il caporalato
Un ambiente in cui, come se non bastasse, si sta facendo strada l’illegalità organizzata. «La maggior parte dei rider intervistati – racconta la sindacalista – dice che questo è l’unico lavoro che hanno trovato, l’unico che garantisce di essere pagati con certezza. Si tratta perlopiù di migranti, molti non parlano la lingua. Questo però favorisce sacche in cui si forma il caporalato digitale: ci sono inchieste di diverse procure che hanno messo gli occhi su gruppi di migranti a cui i mezzi per spostarsi vengono affittati. Ci sono inoltre spostamenti di gruppi di persone improvvisi da città a città, com’è stato appurato a Cagliari, dove dal giorno alla notte sono comparsi nuovi rider». Si tratterebbe di un vero e proprio racket, con il quale le società di delivery non c’entrano nulla e di fronte a cui possono poco, per come è pensato il sistema. Accanto a questo, è oramai palese il fenomeno degli account fantasma, ovvero identità lavorative digitali che vengono utilizzate sulla piattaforma in subappalto. Anche su questo le forze dell’ordine stanno cercando di fare chiarezza.
(da Il Corriere della Sera)
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