“SE GRATTI SALVINI TROVI FONTANA”: IL DEFAULT LOMBARDO METTE IN CRISI LA LEADERSHIP DI SALVINI
LA GESTIONE DISASTROSA DELL’EMERGENZA DA PARTE DI FONTANA RENDE SALVINI SEMPRE PIU’ UN PUGILE SUONATO ANCHE ALL’INTERNO DELLA LEGA, DOVE SALE ZAIA
Il malumore è più che una sensazione. Perchè il default Lombardia sembra preconizzare l’inizio della crisi della leadership di Matteo Salvini.
Così all’interno della Lega, quella che è una sensazione, finisce per diventare un sentimento fra i pesi massimi di via Bellerio e dintorni.
Serpeggia infatti un malessere diffuso che da Roma giunge fino all’ultimo paese della provincia di Bergamo, epicentro dei focolaio del Coronavirus.
Le chat dei dirigenti non solo ribollono ma al suo interno rimbalzano alcune riflessioni il cui senso è di questo tenore: “Zaia ha avuto poco dal governo, e ha saputo fare da sè, mentre Fontana, dispiace dirlo, non ne ha azzeccata una”.
Il ragionamento fila, e se queste è solo premessa, poi c’è lo svolgimento.
“Fontana – mormorano ancora – cerca sempre di dare le colpe al governo, o al più ai sindaci. Ma qui l’unico dato vero è che la Lombardia ne esce ridimensionata dall’emergenza”. E se ne esce ridimensionato il vertice del Pirellone ne uscirà ridimensionato il segretario della Lega.
Perchè, ironizzano da più parti, “se gratti Salvini trovi Fontana, e viceversa. I due sono la stessa cosa”.
Ecco perchè nell’apparente consenso del Capitano il vero tallone d’Achille che rischia di annientarlo è proprio la Lombardia. La regione che fu modello di governo, modello sanitario, che è stata ed è il motore di una certa narrazione leghista, e ora non sembra esserlo più.
Anche perchè si scontra con una realtà impietosa ai tempi del Coronovirus. Tra perquisizioni alla residenza per anziani Pio Albergo Trivulzio, inchieste che prendono di mira i rapporti tra Rsa e Regione — con tanto di indagine per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo per il direttore del Pat Giuseppe Calicchio – fughe in avanti del presidente Attilio Fontana sulla riapertura in barba alle disposizioni nazionali, per non parlare degli scontri con l’esecutivo di Giuseppe Conte e dei duelli con il sindaco di Milano Giuseppe Sala, il Capitano leghista sembra essere entrato nel pallone.
Salvini e Fontana. Fontana e Salvini, due facce della stessa medaglia. Con il presidentissimo del Pirellone che per coprire una sfilza di responsabilità duella continuamente con l’esecutivo giallorosso e si dimentica di essere il pezzo di Paese più devastato dal virus.
E con l’ex ministro dell’Interno che tra un attacco all’odiata Europa e una diretta facebook incoraggia le scelte del suo governatore preferito.
Ecco la cronistoria di un capolavoro di errori.
Il 24 febbraio Fontana derubrica il virus “a poco più di un’influenza”. Tre giorno dopo si fa immortalare con la mascherina, una foto che ha fatto il giro del mondo, e annuncia l’isolamento. All’inizio di marzo nel pieno caos lombardo il numero uno della Regione non inserisce all’interno zona rossa i due comuni della provincia di Bergamo, Alzano Lombardo e Nembro.
Entrambi feudo di un leghismo d’antan, rappresentano la fotografia plastica degli infortuni commessi. Pochi giorni dopo, è l’8 marzo, in occasione della festa della donna sempre Fontana verga una delibera che sancisce il trasferimento dei pazienti Covid a bassa intensità dagli ospedali alle Rsa, trasformando le case di riposo in veri e propri focolai.
Cui poi seguono le delibere del 23 marzo e del 30 marzo, dove in quest’ultima la Regione dà indicazioni alle Rsa su come gestire i pazienti Covid. E’ la cronaca di una strage: nelle tre sedi del Trivulzio decedono 191 pazienti tra marzo e aprile. E il Pat diventa così l’oggetto di una inchiesta giudiziaria della Procura di Milano che parte dal Pio Trivulzio e arriva ai rapporti tra il Pirellone e il sistema privato della Sanità .
Il che non esclude che la magistratura non coinvolga il livello politico.
Sia come sia in questo contesto Salvini asseconda ogni uscita di Fontana e se ne serve per innescare un attacco al governo. “Regione e Salvini stanno facendo questo gioco”, osserva l’europarlamentare del Pd, nonchè milanese doc, Pierfrancesco Majorino, “che è un gioco legato al livello di consenso. Per la prima volta sono in difficoltà non solo a Milano città ma anche in provincia. Non vogliono che si parli del Pat, delle Rsa, e allora alzano il livello dello scontro con il governo”.
Ed è un gioco che appunto passa da uno zigazagare continuo da parte di Salvini. Il quale segue pedissequamente il verbo di Fontana. Il 21 febbraio c’è il primo caso a Codogno, e Salvini lancia l’allarme su Facebook: “Chiudere! Blindare! Proteggere! Controllare! Bloccare!”. Il 27 febbraio il Capitano cambia versione dei fatti. Ma quale chiusura, ma quale blindatura. C’è in campo un nuovo Salvini: “Riaprire, riaprire tutto quello che si può riaprire. Riaprire per rilanciare fabbriche, negozi, musei, palestre, gallerie, ristoranti, centri commerciali!”. Altro giorno, altra giravolta. Siamo al 3 marzo i contagiati sono più di due mila e il leader di via Bellerio dichiara: “Tutta Italia diventa rossa”. E ancora il 10 marzo: “Fermare tutto”. Il 26 marzo, intervistato da Corrado Formigli a Piazza Pulita, ammette di aver sottovaluto: “Riaprire tutto? Era evidentemente una valutazione scientificamente sbagliata”. Infine, il capolavoro.
A pochi giorni dalla Pasqua si lancia in una proposta per strizzare l’occhio al mondo cattolico: “Aprire le chiese ai fedeli, magari con ingressi contingentati. Il mio è un appello a poter permettere a chi crede di andare a messa. Si può andare dal tabaccaio, allora perchè non si può curare l’anima. Si può entrare contingentati al supermercato e allora perchè no in chiesa?”.
Salvini, insomma, si ritrova nella parte di un pugile suonato e confuso conscio che la sua leadership è strettamente connessa alla stato di salute della gran malata del Nord. Dove ad oggi, dati delle protezione civile alla mano, si registra il numero più alto di deceduti ogni mille abitanti (1,107).
Un numero che è circa due volte quello dell’Emilia Romagna, tre volte il Piemonte e oltre cinque volte la media nazionale. Ecco, non è dato sapere se come mormorano qualcuno sarà “simul stabunt, simul cadunt”.
Insomma, se il default della Lombardia faccia implodere la macchina di consenso del leader dell’opposizione. Vero è, per dirla sempre con Majorino, “che se nelle prime settimane del Covid si aveva l’impressione di un grande consenso nei loro confronti, oggi c’è un sacco di gente infuriata per la cattiva gestione e per gli errori commessi”.
Eppoi c’è un contesto che non gli è congeniale: non è all’ordine del giorno la campagna elettorale delle regionali e chissà quando lo sarà , il dibattito sul Mes ha innescato come primo effetto la spaccatura del centrodestra. Ecco perchè l’unica arma di Salvini resta la Lombardia. Che il Capitano utilizza per fare il controcanto al governo, e non a caso in questi giorni allo si è visto spesso proprio al Palazzo della regione.
E se solo qualche giorno fa Fontana si diceva contrario alla riapertura delle librerie e delle cartolerie e anche l’assessore al Welfare Gallera definiva la situazione lombarda “problematica”, da ieri il vertice lombardo non solo ha cambiato paradigma ed è ripartito all’attacco evocando la riapertura della Regione: “Fateci aprire il 4 maggio”.
Una mossa utile non solo a coprire le note vicende giudiziarie sulle Rsa, ma congeniale al leader del fu Carroccio a pungolare Palazzo Chigi. Non a caso Salvini cavalca la proposta Fontana e un attimo dopo gli fa eco in questi termini: “Noi siamo stati i primi a chiudere e abbiamo fatto bene e qui ricordo chi scherzava Fontana e Zaia. Non vorrei fossimo gli ultimi a riaprire, sarebbe un disastro senza precedenti Se la scuola riaprisse l’11 maggio, io i miei figli li manderei purchè siano garantiti sanificazione, distanze e dispositivi di protezione”.
Non è forse un caso che, messe da parte tra le polemiche le conferenze Facebook allarmistiche del forzista Gallera, la nuova musica cantata dal “suo” Fontana era tutta un “ripartiamo”. Con una nuova centralità comunicativa affidata agli assessori leghisti: secondo qualche osservatore ben informato, al di là dei sorrisi di apparenza, tra Forza Italia e la Lega si sta già consumando il derby per chi deciderà il prossimo candidato sindaco per il centrodestra di Milano. Bruciato(si) Gallera, difficilmente Salvini cederà il diritto di prelazione.
E così arriviamo a oggi, quando l’ex inquilino del Viminale si presenta al Senato per una conferenza stampa su agricoltura e turismo. Un Salvini indossa per la prima volta gli occhiali e apre i lavori ringraziando la Lombardia: “Ringrazio Regione Lombardia che ha dato a tutti i cittadini italiani segnale di speranza, di ripartenza, visione e pianificazione del futuro”. Ma non finisce qui.
Perchè al minuto successivo sempre Salvini ri-ringrazia Fontana e company. Ed è un ringraziamento, questa volta, che sa di stoccata al governo nazionale: “A proposito, ancora grazie alla Regione Lombardia perchè anticiperà la cassa integrazione che qualcuno aveva promesso per il 15 aprile. Ma ad oggi dallo Stato zero euro”.
E invece di lodare il Veneto di Luca Zaia, che forse teme come avversario interno, e che non a caso diverse voci del Pd tendono a elogiare per la buona gestione della crisi, Salvini parla sempre e solo della sua Regione.
“Il governo e i ministri del Pd e dei cinquestelle — si sgola in queste ore – dovrebbero fornire tutte le mascherine che servono e medici, lavoratori e cittadini lombardi, che ne hanno diritto e aspettano invano da settimane”. Ed è un attacco che sa di difesa.
Anche perchè la regione leghista per antonomasia è il nervo scoperto di un leader che ha iniziato una lunga traversata nel deserto. E allora si ritorna al punto di partenza, a quei malumori che risuonano alle orecchie del segretario di via Bellerio: “Zaia ha avuto poco dal governo, e ha saputo fare da sè, mentre Fontana, dispiace dirlo, non ne ha azzeccata una”.
Fontana e Salvini. Salvini e Fontana. Simul stabunt, simul cadent.
(da “Huffingtonpost”)
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