SGRAVI E JOBS ACT, 12 MILIARDI BUTTATI PER FARE PEGGIO DI PRIMA
NEL 2015 CREATI MENO POSTI DI LAVORO DEL 2014, ANNO DI RECESSIONE.. I POCHI CONTRATTI STABILI CRESCONO MENO DEI PRECARI
I conti si fanno alla fine. Quindi partiamo dall’inizio: “Ci sono 1,9 miliardi di sgravi nel 2015 e questo potrebbe portare fino a un milione di posti di lavoro”, che è un “numerone” ma “i primi sintomi ci sono”.
Si era di marzo — il contratto a tutele crescenti del Jobs act (cioè senza l’articolo 18) era appena partito — e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti preannunciava le magnifiche sorti, e progressive, degli sgravi miliardari triennali (partiti a gennaio) per chi assumeva nel 2015 con contratti a tempo indeterminato.
Siamo a febbraio 2016. Risultato?
La montagna di 11,7 miliardi che saranno trasferiti dalla fiscalità generale alle imprese dal 2015 al 2018 — e l’archiviazione dello Statuto dei Lavoratori — ha partorito un topolino: 135 mila posti di lavoro “stabili”.
Numero che sa di rumore statistico, reso ora assordante dalla gran cassa mediatica del pallottoliere renziano che ha accompagnato 12 mesi di spot, imprecisioni, tweet a base di #Italiacolsegnopiù, licenziando con un #ciaogufi qualunque analisi sui dati.
“Non sono semplici numeri. Ma persone, storie, famiglie”, ha spiegato il premier.
E quindi vanno analizzati attentamente (e trattati con rispetto).
Ieri l’Istat ha diffuso i dati sul mercato del lavoro a dicembre: è ora possibile tracciare un primo, provvisorio, bilancio.
Partiamo dalla fine. A dicembre, gli occupati calano dello 0,1% (-21 mila) per il crollo degli autonomi (-54 mila) solo in parte compensato dall’aumento dei dipendenti, soprattutto a tempo indeterminato (+31 mila).
Il tasso di disoccupazione, dopo mesi di calo, risale dello 0,1 all’11,4%. Tradotto: calma piatta.
Sgravi a vuoto.
È allargando lo sguardo che si coglie la distanza tra la realtà e i “sintomi” di Poletti: nel 2015 — con una crescita del Pil dello 0,8% — si sono creati 109 mila occupati in più rispetto al 2014, quando però se ne erano creati 168 mila più dell’anno prima, nonostante un Pil a -0,4%.
“Il Jobs act di Renzi non sta portando l’Italia a lavoro”, ha sentenziato Reuters.
Il saldo fa 59 mila posti in meno rispetto a un anno di recessione, senza gli sgravi e senza il Jobs act, ma col decreto Poletti, che ha liberalizzato ulteriormente il ricorso ai contratti precari.
Il punto è questo. I posti di lavoro “stabili” — cioè quelli che sgravi e riforma dovevano incentivare — sono aumentati in un anno di 135 mila unità , quelli precari di 112 mila. Questi ultimi, però, sono cresciuti a un ritmo 5 volte superiore rispetto ai primi.
Per arrivare a questo risultato sono stati impegnati 12 miliardi in tre anni.
Lo strano trend.
I contratti a tempo indeterminato sono saliti a gennaio-febbraio, ad aprile e poi da ottobre a dicembre. Le assunzioni (o le stabilizzazioni di contratti precari) a inizio anno sono quelle maggiormente “pianificate” dalle imprese: in parte sarebbero quindi avvenute lo stesso.
Da ottobre, la crescita potrebbe essere stata innescata dall’annuncio del governo che gli sgravi sarebbero stati più che dimezzati dal 2016. Come si spiega il calo a metà anno? C’è un dubbio, segnalato già dal centro studi Adapt o dalla ricercatrice Marta Fana: gli sgravi possono essere usati solo se il lavoratore non ha avuto un contratto a tempo indeterminato negli ultimi sei mesi il sospetto che alcune imprese abbiano provveduto a una doppia trasformazione (a inizio anno e alla fine) per riassumere con gli sgravi esiste.
Il boom degli over 50.
Rispetto al 2014, l’unica fascia d’età che vede una crescita sostanziosa degli occupati è la over 50 (189 mila unità ). Le più indicative dello stato di salute del lavoro — la 25-34 anni e la 35-49 anni — perdono occupati (41 mila la prima, 89 mila la seconda).
L’Istat lo ha scritto più volte: è la riforma Fornero, che ha allungato l’età pensionabile a creare nuova occupazione.
Che è soprattutto “statistica”: non uscendo dal mercato del lavoro, i più anziani gonfiano le indagini campionarie Istat.
Nella fascia 25-34 anni gli “inattivi” — coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano — aumentano di 89 mila unità . La disoccupazione giovanile, pur in calo è al 37,9%.
I fantasmi.
Oltre ai miliardi spesi a vuoto, c’è un aspetto che dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. Al calo dei disoccupati e del tasso di disoccupazione non corrisponde un pari aumento degli occupati.
Premessa: il tasso di disoccupazione è il rapporto tra i disoccupati (coloro che cercano un lavoro) e le forze di lavoro (disoccupati più occupati). Chi non ha un impiego e non lo cerca finisce tra gli inattivi.
Tradotto: se la disoccupazione scende o aumentano gli occupati o aumentano gli inattivi.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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