SOLITO SCONTRO GOVERNO-REGIONI SU CHI DEVE PIAZZARE I PROPRI DIRIGENTI
LA CONSULTA BOCCIA UNA PARTE DELLA RIFORMA MADIA: SI LITIGA SU CHI DEVE SEDERSI SULLE POLTRONE
La riforma Madia sulla pubblica amministrazione è “parzialmente illegittima”. Secondo la Consulta, il testo viola principi di quella Costituzione che Matteo Renzi vuole modificare con il referendum del 4 dicembre prossimo.
Per questo, incassato il colpo, il premier volge a proprio favore la sentenza: “E poi mi dicono che non devo cambiare le regole del Titolo V”.
Ma resta uno stop a una delle riforme cardine dell’amministrazione Renzi. Una sentenza che dà forza alla posizione delle Regioni, che vedono proprio nel Titolo V della Costituzione uno dei maggiori riconoscimenti di potere.
La bocciatura della Corte Costituzionale alla riforma della P.A. che porta il nome del ministro Marianna Madia riguarda i meccanismi di attuazione della riforma, attraverso i decreti legislativi: in particolare, a seguito di un ricorso della Regione Veneto a guida leghista, stabilisce che non è sufficiente il semplice parere della Conferenza Stato-Regioni o Unificata, ma serve un’intesa preventiva fra le parti.
I paletti alzati riguardano la legge ‘madre’, la delega, e non i provvedimenti ‘figli’, ma arginare gli effetti è impresa ardua, vista anche la tempistica.
Nel mirino ci sono le novità in fatto di dirigenza e di servizi pubblici locali, fresche di via libera in Consiglio dei ministri.
E poi ci sono tre decreti che sono già legge: su partecipate, dirigenti medici e licenziamenti lampo per i furbetti del cartellino.
La pronuncia della Consulta arriva a un anno e qualche mese dall’entrata in vigore della legge Madia, il ricorso della Regione Veneto era stato presentato nell’ottobre dello scorso anno.
Per i decreti che sono già in circolazione si potrebbe intervenire con dei correttivi, che recepirebbero gli accordi da raggiungere con le Regioni.
Lavoro che potrebbe risultare poi non così complesso, visto che i decreti in questione hanno in buona parte assorbito le osservazioni della Conferenza unificata.
Per quelli che devono venire, e stiamo parlando del Testo Unico sul pubblico impiego, invece i tempi per adeguarsi alla sentenza ci sono (fino a febbraio). Tuttavia il rischio caos non manca.
Per fare un esempio concreto, la riforma Madia aveva sottratto alle Regioni il potere di scelta dei direttori generali delle aziende ospedaliere, affidandolo di fatto a una commissione di nomina governativa.
Anche per questo il ricorrente, il governatore del Veneto Luca Zaia, esulta per il dietrofront e parla di “sentenza storica” che dà un “colpo al centralismo sanitario governativo”.
La reazione di Renzi alla notizia è evidentemente di fastidio. Non sono le sue parole a provare a nasconderlo. “Questo Paese è bloccato” afferma il premier. “Noi avevamo fatto un decreto per rendere licenziabile il dirigente che non si comporta bene e la Consulta ha detto che siccome non c’è intesa con le Regioni la norma è illegittima. E poi mi dicono che non devo cambiare le regole del Titolo V. Questo Paese è bloccato”.
La sentenza della Consulta diventa così -anche se con difficoltà – arma di campagna elettorale per spingere sull’acceleratore del cambiamento.
Il Comitato Basta un Sì fa immediatamente notare che la riforma costituzionale su cui si pronunceranno gli italiani “permetterebbe di superare” il conflitto Stato-Regioni, “riportando la gestione della pubblica amministrazione, com’è giusto che sia, alla competenza dello Stato, evitando dannosi conflitti con le Regioni. Un motivo in più, insomma, per votare Sì al referendum del 4 dicembre” dicono
(da “Huffingtonpost“)
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