TROPPO POCO E TROPPO TARDI
TRE LACERAZIONI: POLITICA, CHE CERTIFICA LA DISUNITA’ NAZIONALE; SOCIALE, CON LO SCIOPERO A SERRATA IN CORSO; TERRITORIALE, CON LE REGIONI A RUOTA LIBERA… LA CENTRALITA’ SI E’ SPOSTATA TRA PROTEZIONE CIVILE ED EUROPA
Troppo poco, troppo tardi. Alla fine si sono visti, governo e opposizione, a palazzo Chigi, ma se non si fossero visti, in fondo sarebbe cambiato poco, perchè, diciamo la verità , lo spirito di unità nazionale non è scattato sin dall’inizio di questa drammatica emergenza. Da ambo le parti.
Se Conte avesse voluto impostare una vera politica di confronto, ritenendola necessaria per tenere unito il paese sia pur nella distinzione dei ruoli, lo avrebbe dovuto fare il minuto prima, non il minuto dopo l’annuncio delle decisioni più impegnative.
Se Salvini, a sua volta, avesse voluto costruire una “unità nazionale”, right or wrong my country, l’avrebbe gestita in maniera meno goffa, meno revanchista, con atteggiamento meno altalenante tra anelito alla spallata e proposte di collaborazione.
Invece il tavolo di palazzo Chigi rappresenta la fotografia di un paradosso: il paradosso di una discussione, confusa e tardiva, dopo che è stato già varato il provvedimento.
E quel provvedimento è conseguenza del pressing delle regioni.
Un teatro dell’assurdo che, come evidente, non è l’esito di una discussione tra due limpide e coerenti visioni di lockdown, di una linea di “maggiore apertura” e una di “maggiore chiusura”, ma semplicemente di un’incertezza di fondo.
È questa “diacronia” il leitmotiv della crisi, la sfasatura delle decisioni rispetto ai tempi, in un costante inseguimento degli eventi.
Non c’è un solo episodio su cui il governo abbia impresso una linea con chiarezza e determinazione, ogni volta c’è un atto esterno che determina l’azione.
L’invito a palazzo Chigi delle opposizioni appare quasi come una “giustificazione tardiva”
Troppo poco e troppo tardi, dicevamo, per ripristinare una sana collaborazione istituzionale, così come tardiva è l’informativa al Parlamento, dopo che sono stati già messi i lucchetti al paese.
La sensazione, in tutto questo, compreso l’inutilità di un incontro che nulla sposta delle dinamiche in atto, è che questa crisi ha già cambiato, in modo radicale, la politica: il suo centro di gravità , il suo immaginario, i suoi protagonisti.
Per cui il vero cuore della giornata, il vero momento di “connessione” anche sentimentale col paese non è nè il facebook di Salvini nè quello di Conte, nè alcun tavolo governativo, ma la conferenza stampa delle sei, col bancone della Protezione Civile diventato a ragione il nuovo altare della patria, nell’epoca in cui le istituzioni hanno perso la propria laica sacralità .
Parliamoci chiaro, se vai all’alimentari o in farmacia senti parlare più dell’ultima spiegazione di Borrelli sullo stato dell’arte o di Arcuri sulle mascherine o di Brusaferro sul contagio, che restano scolpite più di qualunque dichiarazione di qualunque ministro, i cui volti, non a caso, sono anche meno presenti in tv caso.
Il “centro” della politica è questo, come lo sono le Regioni, intese come diramazione dello Stato sul fronte più esposto, e l’Europa intesa come “soldi che arriveranno” in una situazione in cui, complessivamente, si ha la sensazione, detta in modo gergale, che “ognuno fa un po’ come gli pare”.
Più che un baricentro, il governo appare come un notaio che certifica, inseguendo, questo o quell’aspetto della confusione. E, proprio per questo, la confusione è diventata lacerazione, anzi tripla lacerazione, nel momento delicato in cui è stata assunta una misura estrema.
La lacerazione politica, di un rapporto non ricomposto tra le principali forze del paese. Lacerazione sociale, con lo sciopero annunciato dai metalmeccanici, davvero senza precedenti a serrata in corso e una spinta di segno opposto di Confidustria: anche in questo caso il governo proverà a mettere una toppa nell’incontro di martedì con le parti sociali.
Lacerazione territoriale, con la Calabria che chiede un check point nel Nord della regione, la Sicilia che lo chiede sullo stretto a Sud della Calabria, Fontana che vuole sapere se vale la sua ordinanza o quella del governo.
Insomma, una sorta di destrutturazione dell’idea nazionale di ordine pubblico in cui ogni governatore si trasforma in una autorità regionale, a prescindere dal colore politico dei governatori.
Tutto qui, e questo non poco.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply