TUTTE LE GIRAVOLTE DEGLI EX PCI SULLA LEGGE ELETTORALE
DAL DOPPIO TURNO DI COLLEGIO AL NO PREFERENZE, FINO ALLA BATTAGLIA PER LE PREFERENZE
Tenetevi forte: saliamo sulle montagne russe.
Dicembre 2005, nasce il Porcellum. È in fasce e fa già schifo a tutti, per capirlo basta il nome.
Negli anni sarà definito schifezza, indecenza, vergogna, verrà dichiarato incostituzionale, si invocheranno governi di scopo per cancellarlo.
Ma dura tre elezioni: una vinta a destra, l’altra a sinistra, la terza finita in pareggio.
Ma quando a fine 2011 era arrivato Mario Monti, i partiti non avevano altra incombenza che rifare la legge elettorale.
Un un terzetto di prescelti – Maurizio Migliavacca per il Pd, Denis Verdini per il Pdl, Nando Adornato per i centristi – si incontra e tratta. Il Pd vuole il sistema francese con doppio turno di collegio, il Pdl risponde ok, perfetto, allora dateci il semipresidenzialismo. Il semipresidenzialismo? Mai! Provocazione! Scandalo!
Insomma, salta tutto (se non riuscite a stare dietro a doppi turni, collegi eccetera non importa, la trama non ne risentirà ).
Allora il Pdl dice: teniamo il Porcellum e aggiungiamo le preferenze, così l’elettore si sceglie il parlamentare. Le preferenze? Mai! Provocazione! Scandalo!
Anna Finocchiaro: «Siamo contrari alle preferenze». Pierluigi Bersani: «Collegi, non preferenze, non possiamo metterci fra Tangentopoli e la Grecia». Vannino Chiti: «Niente ritorno alle preferenze».
Salta tutto. Si torna al voto col Porcellum, febbraio 2013.
Bersani non riesce a fare il governo. Lo fa Enrico Letta col centrodestra.
Si comincia a lavorare alla nuova legge elettorale. Si istituisce un apposito comitato di saggi.
Nel frattempo, nel Pd, Roberto Giachetti, che è in sciopero della fame per sollecitare la cancellazione del Porcellum, propone – per sicurezza, casomai i saggi fallissero, o si dovesse tornare alle urne – di ripristinare il Mattarellum, la legge degli anni Novanta. Bastano quindici giorni, dice.
Il Mattarellum, capito? Cioè: niente preferenze, ma collegi. Eppure nel Pd firmano soltanto in una cinquantina.
Ma a poco a poco arrivano altri, da Scelta civica, dal Pdl (Antonio Martino), da Sel, e quando si tratta di votare una mozione di indirizzo, una semplice dichiarazione d’intenti, il Pd con segretario Guglielmo Epifani riunisce il gruppo parlamentare e le firme vengono ritirate. Tutte.
Di colpo, niente collegi. Fate attenzione: quando il Pdl voleva le preferenze, il Pd voleva i collegi. Quando Giachetti voleva i collegi, il Pd non li voleva più: stava passando alle preferenze.
La mozione viene votata dai grillini: se il Pd ci fosse stato, oggi ci sarebbe il Mattarellum. Se ne va Letta, tocca a Matteo Renzi e si incardina l’Italicum, che non prevede preferenze, ma brevi liste bloccate.
E – magia! – la minoranza del Pd, che era maggioranza fino all’arrivo di Renzi, si invaghisce delle preferenze.
Bersani: «I cittadini debbono poter scegliere i loro deputati. Su questo non intendo desistere: va bene la ditta e la fedeltà ma quando si arriva a temi di democrazia…».
Gianni Cuperlo sarebbe ancora per i collegi ma «vanno bene anche le preferenze».
Miguel Gotor raccoglie le firme attorno a una proposta: 25 per cento di nominati, 75 per cento con le preferenze.
Si rifà l’Italicum. Come chiede la minoranza Pd, si cambiano le soglie per entrare in Parlamento e per ottenere il premio di maggioranza, soprattutto si inseriscono le preferenze nelle percentuale del settantacinque.
Tutto a posto? No.
Adesso la minoranza Pd ci ha pensato bene, vuole il Mattarellum che non voleva quando a volerlo era Giachetti.
La minoranza Pd riraccoglie le firme per «riequilibrare governabilità e rappresentanza e dare diritto di tribuna ai partiti più piccoli». Cuperlo: «Si riparte insieme dal Mattarellum!».
Ripartiamo: che verbo preciso.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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