130 PAESI SENZA UNA DOSE DI VACCINO: LA VERGOGNA SUI TAVOLI DEI POTENTI DELLA TERRA
“NON C’E’ USCITA DALLA PANDEMIA SENZA ACCESSO EQUO E RAPIDO”
“Solo 10 paesi hanno somministrato il 75% di tutti i vaccini Covid. Più di 130 paesi non hanno ricevuto una singola dose. Le persone colpite da conflitti e insicurezza vengono lasciate indietro. Tutti, ovunque, devono essere vaccinati il prima possibile”.
Con queste parole il segretario generale delle Nazioni Unite Antà³nio Guterres ha denunciato gli sviluppi “enormemente diseguali e ingiusti” della campagna vaccinale nel mondo, auspicando la nascita di “un piano vaccinale globale per riunire tutti coloro che possiedono la potenza, le competenze e le capacità di produzione richieste”.
Guterres ha promesso di “mobilitare tutto il sistema delle Nazioni Unite al sostegno di questo sforzo”, che però richiede la volontà politica dei grandi del mondo per poter decollare. Il tema dell’equità nell’accesso al vaccino — definito dal leader Onu come “il più grande test morale sotto gli occhi della comunità globale — arriva così sui tavoli virtuali del G7 e del G20 a presidenza italiana.
Nel suo appello Guterres ha invitato le maggiori potenze economiche mondiali nel Gruppo dei 20 a istituire una task force di emergenza per stabilire un piano e coordinare la sua attuazione e finanziamento. La task force — ha suggerito – dovrebbe avere la capacità di “mobilitare le aziende farmaceutiche e gli attori chiave dell’industria e della logistica”. La videoconferenza di domani tra i sette Paesi più industrializzati del mondo – Stati Uniti, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Francia, Canada e Italia – “può creare lo slancio per mobilitare le risorse finanziarie necessarie”, ha aggiunto.
Il premier italiano Mario Draghi è la grande novità di entrambi i tavoli, e il fatto di avere per la prima volta la presidenza del G20 aumenta la responsabilità dell’Italia nella risposta globale alla pandemia. Lo ha detto lo stesso Draghi nel suo discorso al Senato: “L’Italia avrà la responsabilità di guidare il Gruppo verso l’uscita dalla pandemia, e di rilanciare una crescita verde e sostenibile a beneficio di tutti. Si tratterà di ricostruire e di ricostruire meglio”.
Il punto è che — secondo voci influenti della comunità scientifica — non ci può essere via d’uscita dalla pandemia senza un equo accesso ai vaccini. Lo ha ribadito in una lettera aperta pubblicata sulla rivista medica Lancet un gruppo di esperti in Salute pubblica, secondo cui lo sviluppo di nuovi vaccini Covid-19 non riuscirà a porre fine alla pandemia a meno che tutti i Paesi non ricevano le dosi in modo rapido ed equo. Nel testo, gli autori criticano lo stoccaggio di vaccini nei Paesi più ricchi, mettendo in guardia dai pericoli del “nazionalismo vaccinale” che minando le possibilità di successo di Covax (l’iniziativa Oms per la distribuzione dei vaccini nei Paesi più poveri) rischia di prolungare l’emergenza sanitaria globale.
“La cruda realtà è che il mondo ora ha bisogno di più dosi di vaccini Covid-19 rispetto a qualsiasi altro vaccino nella storia per immunizzare abbastanza persone per ottenere l’immunità vaccinale globale”, ha detto l’autore principale, Olivier Wouters, professore di Politiche sanitarie presso la London School of Economics and Political Science. “A meno che i vaccini non vengano distribuiti in modo più equo, potrebbero passare anni prima che il coronavirus sia portato sotto controllo a livello globale”.
È il chiodo su cui battono da mesi le organizzazioni internazionali, da Emergency a Medici Senza Frontiere, da Oxfam a Save The Children: governi e industria farmaceutica devono aumentare la produzione superando logiche nazionaliste e monopoli. Guterres ha esortato i big del mondo a farsi carico del problema, anche in chiave egoistica: “Se si permette al coronavirus di diffondersi a macchia d’olio nel sud del mondo, muterà ancora. Nuove varianti potrebbero diventare più trasmissibili, più mortali e, potenzialmente, minacciare l’efficacia dei vaccini”.
Una parte del problema è certamente rappresentata dai brevetti dei colossi farmaceutici che hanno sviluppato — o stanno sviluppando — i sieri più promettenti. Si tratta però di una questione complessa, in cui rientra anche il ruolo degli ingenti investimenti pubblici nello sviluppo e nell’implementazione, come spiega Tancredi Buscemi, dottorando in Economics all’università di Perugia, in un articolo pubblicato sul sito del Sole24Ore dal titolo “Vaccini e brevetti: quello che le holding e i governi non dicono”. “La liberalizzazione dei brevetti e il loro utilizzo come bene pubblico comporterebbe una produzione su larga scala in tempi molto più rapidi mettendo i paesi in sicurezza e garantendo l’accesso anche ai paesi in via di sviluppo. Il vicolo in cui il mondo si trova è abbastanza stretto e indugiare su questo tema potrebbe anche essere fatale, visto il sorgere di nuove varianti”
Al momento sul mercato sono presenti pochi marchi che di fatto agiscono in un regime di cartello: Pfizer, Moderna e Astrazeneca, cui prossimamente dovrebbe aggiungersi Johnson & Johnson. “Moderna è l’unico dei tre marchi ad avere autorizzato l’utilizzo del suo brevetto, una comunicazione che è tuttavia una sorta di campo minato”, osserva Buscemi: “l’azienda americana, infatti, si è riservata soltanto di non citare in giudizio le aziende che svilupperanno vaccini simili fino alla fine della pandemia”.
Ciò che è mancato finora, però, è soprattutto la volontà politica dei governi di farsi carico di un problema di dimensioni globali, viste le sfide di una campagna vaccinale che si sta rivelando difficile per tutti.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha assicurato che l’amministrazione Biden “lavorerà con i nostri partner in tutto il mondo per espandere la capacità di produzione e distribuzione e per aumentare l’accesso, anche alle popolazioni emarginate”. La posta in gioco non è ‘solo’ sanitaria, ma anche geopolitica, come dimostra l’attivismo cinese e russo nell’esportazione dei propri vaccini. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha criticato la crescente “divisione dell’immunità ” e ha invitato il mondo a “unirsi per rifiutare il” nazionalismo dei vaccini”, promuovere una distribuzione giusta ed equa dei vaccini e renderne accessibile lo sviluppo. Su richiesta dell’Oms, ha detto, la Cina contribuirà “preliminarmente” a Covax con 10 milioni di dosi di vaccini.
G7 e G20 saranno chiamati a dare una risposta chiara e coerente, tenendo conto di quell’aggettivo – “endemico”- che sempre più spesso compare nei testi scientifici al fianco della parola “coronavirus”.
È l’Economist a esortare i governi a pensare al futuro: “Mentre il mondo comincia a vaccinarsi, è diventato chiaro che sperare che i vaccini cancellino Covid-19 è un errore. La malattia circolerà per anni, e sembra probabile che diventerà endemica. Quando Covid-19 ha cominciato a colpire, i governi sono stati presi alla sprovvista. Adesso devono pensare al futuro […]. L’adattamento alla convivenza con il virus comincia con la scienza medica. È già in corso il lavoro di messa a punto dei vaccini per conferire protezione contro le nuove varianti. Questo dovrebbe andare di pari passo con una maggiore sorveglianza delle mutazioni che si stanno diffondendo e un’approvazione normativa accelerata per i richiami. Nel frattempo saranno necessarie cure mediche per salvare dalla morte o dalla malattia grave un numero maggiore di persone che contraggono la malattia. Il risultato migliore sarebbe una combinazione di immunità acquisita, richiami regolari di vaccini modificati e un misto di terapie per garantire che Covid-19 sia raramente una minaccia per la vita. Ma questo risultato non è garantito”.
Ciò che è sicuro è che il mondo non può permettersi di continuare a trattare i vaccini anti-Covid come se fossero un bene di lusso, inaccessibile in 130 Paesi del mondo anche al personale sanitario, ai malati cronici, ai più fragili tra i fragili.
(da agenzie)
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