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“TANGENTI INCASSATE E GIRATE ALLA LEGA: UNA PARTE DEI SOLDI PERCEPITI DAL LEGHISTA BONI FINIVANO AL PARTITO”

Marzo 6th, 2012 Riccardo Fucile

L’ATTO DI ACCUSA DEI PM AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA COINVOLGE LA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA.. INDAGATO ANCHE MARCO PAOLETTI, CONS. PROV. DELLA LEGA

I pm Robledo e Filippini contestano mazzette per centinaia di migliaia di euro e ipotizzano che siano finite nelle casse del Carroccio.
Il presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, Davide Boni, della Lega Nord, è indagato dalla procura di Milano per corruzione.
Ma i soldi, per un totale di circa un milione di euro, potrebbero essere finiti nelle casse del partito di Umberto Bossi.
L’indagine per presunte tangenti in campo urbanistico è condotta dai pm Alfredo Robledo e Paolo Filippini che hanno fatto notificare all’esponente del Carroccio un avviso di garanzia.
Inquisiti anche un suo stretto collaboratore, Dario Ghezzi, per concorso in corruzione, e l’immobiliarista Luigi Zunino.
A quanto emerge, l’inchiesta riguarda una serie di irregolarità  nelle concessioni per aree edificabili, aree commerciali e immobili.
“Boni e Ghezzi utilizzavano gli uffici pubblici della Regione come luogo di incontro per concludere accordi nonchè per la consegna dei soldi”, scrivono i pm Robledo e Filippini nel decreto di perquisizione.
E stimano un giro di tangenti per circa un milione di euro, tra date e promesse, “girate” tra il 2008 e il 2010, anche se si sarebbero verificati episodi più recenti.
Una parte delle mazzette, secondo gli inquirenti, sarebbe andata a   finanziare la Lega.
I pm prefigurano una sorta di sistema finalizzato non solo all’arricchimento personale di chi intascava le tangenti, ma anche a foraggiare il partito.
Il grosso del denaro sarebbe stato utilizzato per “esigenze del partito”, mentre alcune mazzette di importo minore, secondo l’accusa, sarebbero state dirottate da Boni e Ghezzi ad altri esponenti della Lega per essere utilizzate nell’attivita’ politica.
Gli indagati sono sei: Davide Boni, Dario Ghezzi, l’architetto Michele Ugliola, il cognato di quest’ultimo Gilberto Leuci, l’ex assessore al Comune di Cassano d’Adda e attuale consigliere provinciale della Lega Marco Paoletti e l’ex sindaco di Cassano d’Adda Edoardo Sala.
Il coinvolgimento di Boni, infatti, deriva da una precedente   inchiesta su presunte tangenti che ha toccato i vecchi amministratori del Comune di Cassano D’Adda, in provincia di Milano. Inchiesta che aveva portato all’arresto dell’allora sindaco Sala.
A dare impulso al nuovo filone investigativo sarebbero state una serie di dichiarazioni rese agli inquirenti dall’architetto Ugliola, coinvolto anche nel caso Montecity-Santa Giulia.
Le accuse al presidente del Consiglio regionale lombardo fanno riferimento al periodo in cui rivestiva l’incarico di assessore all’Urbanistica e Territorio della Regione Lombardia, tra il 2005 e il 2010.
”Sono aperte tutte le possibilità , ma al momento non c’è alcuna richiesta formale”, afferma il vicepresidente leghista della Regione Lombardia, Andrea Gibelli, a proposito de un’eventuale richiesta di “passo indietro” a Davide Boni.
“Spero — ha spiegato Gibelli — che Boni darà  informazioni coerenti con quello che ci attendiamo: dopo, come partito, faremo tutte le valutazioni del caso”.

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TAV, DA NAPOLI ALLA VAL DI SUSA: LE MANI DELLA MAFIA SUI CANTIERI

Marzo 6th, 2012 Riccardo Fucile

ROBERTO SAVIANO: “I CLAN SI PRESENTANO CON IMPRESE CHE VINCONO PERCHE’ FANNO OFFERTE PIU’ VANTAGGIOSE… IL TRACCIATO DELLA TORINO-LIONE SI SOVRAPPONE ALLA MAPPA DELLE FAMIGLIE MAFIOSE E DEI LORO AFFARI”

Tutti parlano di Tav, ma prima di ogni cosa bisognerebbe partire da un dato di fatto: negli ultimi trent’anni l’Alta velocità  è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità  organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai tempi dalla costruzione dell’Autostrada del Sole e della ricostruzione post-terremoto in Irpinia.
Questa è una certezza giudiziaria e storica più solida delle valutazioni ambientali e politiche (a favore o contro), più solida di ogni altra analisi sulla necessità  o sull’inutilità  di quest’opera. In questo momento ci si divide tra chi considera la Tav in Val di Susa come un balzo in avanti per l’economia, come un ponte per l’Europa, e chi invece un’aberrazione dello spreco e una violenza sulla natura.
Su un punto però ci si deve trovare uniti: bisogna avere il coraggio di comprendere che l’Italia al momento non è in grado di garantire che questo cantiere non diventi la più grande miniera per le mafie.
Il governo Monti deve comprendere che nascondere il problema è pericoloso.
Prima dei veleni, delle polveri, della fine del turismo, della spesa esorbitante, prima di tutte le analisi che in questi giorni vengono discusse bisognerebbe porsi un problema di sicurezza del sistema economico.
Che è un problema di democrazia.
Ci si può difendere dall’infiltrazione mafiosa solo fiaccando le imprese prima che entrino nel mercato, quando cioè è ancora possibile farlo.
Ma ormai l’economia mafiosa è assai aggressiva e l’Italia, invece, è disarmata.
Il Paese non può permettersi di tenere in vita con i fiumi di danaro della Tav le imprese illegali.
Se non vuole arrendersi alle cosche, e bloccare ogni grande opera, deve dotarsi di armi nuove, efficaci e appropriate.
La priorità  non può che essere la “messa in sicurezza dell’economia”, per sottrarla all’infiltrazione e al dominio mafioso, dotandola di anticorpi che individuino e premino la liceità  degli attori coinvolti e creino le condizioni per una concorrenzialità , vera, non inquinata dai fondi neri.
Oggi questa messa in sicurezza non è ancora stata fatta e il Paese, per ora, non ha gli strumenti preventivi per sorvegliare l’enorme giro degli appalti e subappalti, i cantieri, la manodopera, le materie prime, i trasporti, e lo smaltimento dei rifiuti, settori tradizionali in cui le mafie lavorano (inutile negarlo o usare toni prudenti) in regime di quasi monopolio.
Quando i cantieri sono giganti con fabbriche di movimenti umani e di pale non ci sono controlli che tengano.
Le mafie si presentano con imprese che vincono perchè fanno prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al nord e curricula puliti, e il flusso di denaro destinato alla Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento, aumentandone la capacità  di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico.
Non vincono puntando il fucile. Vincono perchè grazie ai soldi illeciti il loro agire lecito è più economico, migliore e veloce.
Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d’appalto in virtù della presunta urgenza dell’opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d’opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi.
La storia dell’alta velocità  in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell’edilizia e del cemento.
Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento.
Sono tutte pronte e già  si sono organizzate in questi anni.
Esagerazioni?
La Direzione nazionale Antimafia nella sua relazione annuale (2011) ha dato al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità  organizzata calabrese: “In Piemonte la ‘ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia”. Così come dimostra la sentenza n. 362 del 2009 della Corte di Cassazione che ha riconosciuto definitivamente “un’emanazione della ‘ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia”. L’infiltrazione a Bardonecchia (che arrivò a portare lo scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa nel 1995 primo caso nel Nord-Italia) è avvenuta nel periodo in cui si stava costruendo una nuova autostrada e il traforo del Frejus verso la Francia. Gli appalti del traforo portarono le imprese mafiose a vincere per la prima volta in Piemonte.
Credere che basti mettere sotto osservazione le imprese edili del sud per evitare l’infiltrazione è una ingenuità  colpevole.
Le aziende criminali non vengono dalle terre di mafie.
Nascono, crescono e vivono al Nord, si presentano in regola e tutte con perfetto certificato antimafia (di cui è imperativa una modifica dei parametri). È sempre dopo anni dall’appalto che le indagini si accorgono che il loro Dna era mafioso.
Qualche esempio.
La Guardia di Finanza individuò sui cantieri della Torino-Milano la Edilcostruzioni di Milano che era legata a Santo Maviglia narcotrafficante di Africo.
La sua ditta lavorava in subappalto alla Tav.
La Ls Strade, azienda milanese leader assoluta nel movimento terre era di Maurizio Luraghi imprenditore lombardo.
Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Luraghi era il prestanome dei Barbaro e dei Papalia, famiglie ‘ndranghetiste.
Nel marzo 2009 l’indagine, denominata “Isola”, dimostrò la presenza a Cologno Monzese delle famiglie Nicoscia e Arena della ‘ndrangheta calabrese che riciclavano capitali e aggiravano la normativa antimafia usando il sistema della chiamata diretta per entrare nei cantieri Tav di Cassano d’Adda.
Partivano dagli appalti poi arrivavano ai subappalti e successivamente – e in netta violazione delle leggi – ad ulteriori subappalti gestendo tutto in nero.
Dagli appalti si approdava prima ai subappalti e successivamente – e in contrasto con le norme antimafia – ad ulteriori subappalti con affidamento dei lavori del tutto in nero. Nell’ottobre 2009 l’Operazione Pioneer arrestò 14 affiliati del clan di Antonio Spagnolo di Ciminà  (Reggio Calabria), proprietario della Ediltava sas di Rivoli, con la quale si aggiudicò subappalti sulla linea Tav.
Dalla Lombardia al Piemonte il meccanismo è sempre lo stesso: “Le proiezioni della criminalità  calabrese, attraverso prestanome, – scrive l’Antimafia – hanno orientato i propri interessi nel settore edile e del movimento terra, finanziando, con i proventi del traffico di droga e dell’usura, iniziative anche di rilevante entità . In tale settore le imprese mafiose sono clamorosamente favorite dal non dover rispettare alcuna regola, ed anzi dal poter fare dell’assenza delle regole il punto di forza per accaparrarsi commesse”.
A Reggio Emilia l’alta velocità  è stata il volano per far arrivare una sessantina di cosche che hanno iniziato a egemonizzare i subappalti nell’edilizia in Emilia Romagna.
Sulla Tav Torino-Milano si creò un business mafioso inusuale che generò molti profitti e che fu scoperto nel 2008.
Fu scoperta una montagna di rifiuti sotterrati illegalmente nei cantieri dell’Alta Velocità : centinaia di tonnellate di materiale non bonificato, cemento armato, plastica, mattoni, asfalto, gomme, ferro, intombato nel cuore del Parco lombardo del Ticino.
La Tav diventa ricchezza non solo per gli appalti ma anche perchè puoi nascondere sottoterra quel che vuoi.
Una buca di trenta metri di larghezza e dieci di profondità  è in grado accogliere 20mila metri cubi dì materiale.
Ci si arricchisce scavando e si arricchisce riempiendo: il business è doppio.
I cantieri Tav sulla Napoli-Roma, raccontano bene quello che potrebbe essere il futuro della Tav in Val di Susa.
Il clan dei Casalesi partecipa ai lavori con ditte proprie in subappalto e soltanto fino al 1995 la camorra intasca secondo la Criminalpol 10mila miliardi di lire.
Fin dall’inizio gli esponenti del clan dei Casalesi esercitarono una costante pressione per conseguire e conservare il controllo camorristico sulla Tav in due modi: o infiltrando le proprie imprese o imponendo tangenti alle ditte che concorrevano nella realizzazione della linea ferroviaria.
I cantieri aperti dal 1994 per oltre dieci anni, avevano un costo iniziale previsto di 26.000 miliardi, arrivato nel 2011 a 150.000 miliardi di lire per 204 chilometri di tratta; il costo per chilometro è stato di circa 44 milioni di euro, con punte che superano i 60 milioni.
Le indagini della Dda spiegarono alcuni di questi meccanismi scoprendo che molte delle società  appaltatrici erano legate a boss-imprenditori come Pasquale Zagaria, coinvolto nel processo Spartacus a carico del clan dei Casalesi (e fratello del boss Michele, il quale, ancora latitante, riceveva nella sua villa imprenditori edili dell’alta velocità ).
Il clan dei Casalesi partecipò ai lavori con ditte proprie, accaparrandosi inizialmente il monopolio del movimento terra attraverso la Edil Moter.
Nel novembre del 2008 le indagini della procura di Caltanissetta ruotarono intorno alla Calcestruzzi spa, società  bergamasca del Gruppo Italcementi (quinto produttore a livello mondiale), che forniva il cemento per realizzare importanti opere pubbliche tra cui alcune linee della Tav Milano-Bologna e Roma-Napoli (terzo e quarto lotto), metrobus di Brescia, metropolitana di Genova e A4-Passante autostradale di Mestre.
Le indagini (che aveva iniziato Paolo Borsellino) mostrarono: “Significativi scostamenti tra i dosaggi contrattuali di cemento con quelli effettivamente impiegati nella produzione dei conglomerati forniti all’impresa appaltante”.
L’indagine voleva accertare se la Calcestruzzi avesse proceduto “a una illecita creazione di fondi neri da destinare in parte ai clan mafiosi dell’isola, nonchè l’eventuale esistenza di una strategia aziendale volta a tali fini”.
Ecco: questa è l’Italia che si appresta ad aprire i cantieri in Val di Susa.
Che la mafia non riguardi solo il sud ormai è accertato.
Di più: le organizzazioni criminali non solo in Italia, ma anche in Usa e in tutto il mondo, stanno approfittando enormemente della crisi, che è diventata per loro un’enorme occasione da sfruttare.
Bisogna mettere in sicurezza l’economia del paese e siamo, su questo terreno, in grande ritardo.
La giurisprudenza antimafia è declinata sulla caccia ai boss mafiosi. Giusto, ma non basta: serve un balzo in avanti, serve una giurisprudenza che dia la caccia agli enormi capitali, alle casseforti criminali che agiscono indisturbate nel mondo della finanza internazionale.
O ci si muove in questa direzione o l’alternativa è che ogni forma di ripresa economica sarà  a capitale di maggioranza mafioso.

Roberto Saviano
(da “La Repubblica“)

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INDAGATO PER CORRUZIONE IL LEGHISTA BONI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

Marzo 6th, 2012 Riccardo Fucile

L’ACCUSA PARTE DALL’INCHIESTA PER TANGENTI AL COMUNE DI CASSANO D’ADDA….AVVISO DI GARANZIA ANCHE AL PORTAVOCE DARIO GHEZZI, INQUISITO L’IMMOBILIARISTA LUIGI ZUNINO… ALTRE PERQUISIZIONI IN CORSO

Il presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, Davide Boni, della Lega Nord, è indagato dalla procura di Milano con l’accusa di corruzione.
L’indagine per presunte tangenti è condotta dal pm Alfredo Robledo che ha fatto notificare all’esponente del Carroccio un avviso di garanzia.
Il politico ha confermato di aver ricevuto l’avviso e ha immediatamente dichiarato la sua “totale estraneità ” ai fatti contestati.
Davide Boni, mantovano, leghista della prima ora, risulta indagato insieme al suo portavoce e capo della segreteria   Dario Ghezzi, accusato di concorso in corruzione, nell’ambito di un’ inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, nata da un’indagine su un giro di tangenti che riguardano i vecchi amministratori del Comune di Cassano D’Adda (Milano).
Inchiesta che aveva portato all’arresto dell’allora sindaco.
Da quanto si è appreso, Davide Boni è stato indagato perchè chiamato in causa dall’architetto Michele Ugliola, inquisito per le tangenti al Comune di Cassano D’Adda.
Quello di Ugliola è un nome ricorrente nelle inchieste per corruzione fin dai tempi di Mani Pulite.
Ugliola aveva parlato di Boni e di un suo collaboratore l’estate scorsa e il verbale era stato secretato dai pm per compiere accertamenti al fine di riscontrare le accuse.
Voci e indiscrezioni su Boni indagato circolavano da tempo nei palazzi del potere a Milano.
A metà  novembre il difensore Federico Cecconi chiedeva formalmente alla procura se il suo assistito fosse indagato.
Non riceveva risposta perchè nei primi 90 giorni la notizia può essere tenuta riservata.
Oltre a Ugliola, a parlare del politico della Lega ci sarebbe anche una seconda persona, probabilmente interna allo stesso partito.
Sia il presidente del Consiglio regionale lombardo che il suo portavoce sono stati perquisiti dai militari della Guardia di Finanza.
Indagato anche l’immobiliarista Luigi Zunino, che sarebbe stato beneficiario di alcuni interventi sul piano regolatore di Cassano d’Adda.
Ancora una volta un’indagine per corruzione colpisce la Regione governata da Roberto Formigoni.
Nei mesi scorsi sono finiti in carcere i pidiellini Massimo Ponzoni, consigliere regionale ed ex assessore, e Franco Nicoli Cristiani, quest’ultimo vicepresidente del consiglio.
E vicepresidente del consiglio era anche Filippo Penati, dirigente del Pd anche lui accusato di corruzione dalla Procura di Monza.
Ora tocca a un esponente di primo piano della Lega.
Davide Boni, 49 anni, ha alle spalle una lunga militanza nella Lega.
E’ stato capogruppo del Carroccio nel Consiglio provinciale di Mantova, consigliere comunale a Borgoforte e quindi presidente della Provincia di Mantova, dal 1993 al 1997.
Eletto nell’aprile 2000 Consigliere regionale per la circoscrizione di Milano, è stato presidente del gruppo consiliare «Lega Lombarda – Lega Nord — Padania» e componente delle Commissioni consiliari Affari istituzionali e Programmazione e bilancio.
Rieletto nell’assemblea regionale nel 2005, ha rivestito l’incarico di Assessore al Territorio e Urbanistica per l’intera legislatura.
Riconfermato consigliere per la terza volta nel 2010, dall’11 maggio dello stesso anno è il Presidente del Consiglio regionale della Lombardia.

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BOSSI, SALTO DI QUALITA’ DEL DELIRIO: “IL NORD FARA’ FUORI MONTI”

Marzo 6th, 2012 Riccardo Fucile

E’ GIUNTO IL MOMENTO DI FERMARLO: NON C’E’ BISOGNO DEL CARCERE, BASTA UN RICOVERO COATTIVO

Sono molti anni che a Bossi e ai suoi discepoli viene concessa un’ampia licenza verbale e non solo verbale.
Pernacchie, dito medio, gesto dell’ombrello; annunci di pallottole contro i Bingo Bongo, di valligiani pronti a imbracciare il mitra, di autobus separati per gli immigrati e di carta igienica tricolore.
Ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori, al punto che al cospetto dell’oratoria padana anche gli scontri tra berlusconiani e antiberlusconiani sembravano pagine di bon ton. S’è sempre lasciato fare, e c’era perfino chi sorrideva.
Tanta tolleranza per due motivi.
Il primo è perchè – va riconosciuto – i militanti leghisti hanno dato sempre l’impressione di essere personaggi folcloristici, ma mai pericolosi; finora, insomma, nessuna camicia verde ha mai provato a tradurre in opere il verbo del capo.
Il secondo motivo è che, specie negli ultimi tempi, Bossi ha goduto di una certa umana pietà  per le sue condizioni di salute.
In ogni caso, comunque, siamo abituati a reagire dicendo che con quella bocca può ruttare ciò che vuole.
C’è però da chiedersi, ora, se si possa continuare a lasciar perdere.
Dire che Monti deve stare attento perchè il Nord lo farà  fuori (chissà  di quale Nord parla Bossi) è, diciamo così, un discreto «salto di qualità » anche nell’ambito del delirio.
È vero che l’Italia ha corso pericoli ben più gravi di quanti ne passi adesso (pensate a quando chi pronuncia simili bestialità  era addirittura ministro), ma stiamo comunque vivendo un tempo difficile, pieno di tensioni, di insoddisfazioni e di rabbia crescente; di proteste di piazza, di violenze.
Profetizzando, con evidente compiacimento, l’assassinio del presidente del Consiglio, Bossi ha passato ogni limite.
E quindi è forse il momento di sospendere quella licenza di cui quest’uomo ha sempre goduto, e fermarlo.
Non dovrebbe esserci neanche bisogno del carcere: basta un ricovero.

Michele Brambilla
(da “La Stampa”)

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DAL MULTICULTURALISMO ALL’INTERCULTURALISMO: VIAGGIO TRA CULTI, PREGIUDIZI E CONFRONTO NELLA GENOVA CHE CAMBIA

Marzo 6th, 2012 Riccardo Fucile

NELLA CITTA’ DEI BLOCCHI CONTRAPPOSTI, “LIGURIA FUTURISTA” ROMPE PER LA PRIMA VOLTA GLI STECCATI DELLA PSEUDO-DESTRA GENOVESE INTENTA PIU’ A SEMINARE PALETTI E A RIFIUTARE IL DIALOGO CHE AD APRIRSI AL CONFRONTO DELLE IDEE… ECCO IL DOCUMENTO DI ANALISI ARRICCHITO DALLE INTERVISTE ESCLUSIVE ALL’IMMAN HUSSEIN E AD UN ESPONENTE DEL MONDO CATTOLICO

INTRODUZIONE AL DIBATTITO

Il tema dell’interculturalità  ingloba   aspetti diversi legati alle complessità  sociali e culturali   in atto   tutti i livelli della cittadinanza.
Le scelte da prendere e le responsabilità  da assumersi nel panorama   multietnico crescono in   maniera esponenziale e diventano molte volte nodi cruciali, anche strumentalizzati, di campagne politiche e proteste cittadine. Tuttavia rimanendo fedeli alle proprie responsabilità  etiche e civili ci si rende conto   che   nelle relazioni interculturali ed   interetniche   sono necessari sforzi che vadano al di là  del battibecco e che impegnino i cittadini ad una conoscenza maggiore del “diverso”, del “nuovo” e più in generale dell’”altro”.
Di fronte a queste sfide negli ultimi anni si fa molta attenzione all’utilizzo di due termini: multiculturalismo che denota   una società  dove più culture, anche molto differenti l’una dall’altra, convivono rispettandosi reciprocamente. Pur avendo interscambi, conservano ognuna le peculiarità  del proprio gruppo senza omologarsi o fondersi ad una cultura predominante.
L’interculturalismo invece     è la filosofia o l’atteggiamento   dello scambio tra gruppi culturali differenti all’interno di una società  o di un gruppo.

In questa sfumatura dei due significati è basato il fine   di questo documento : qual è l’atteggiamento che la nostra città  sta tenendo negli ultimi anni, a fronte del continuo afflusso di immigrati e della loro stabilizzazione sociale, economica e lavorativa? Multiculturale o interculturale?

Per arrivare ad alcune risposte Liguria Futurista ha voluto affrontare il tema a tavolino con due rappresentanti di comunità  sensibili all’argomento. Lo ha fatto con due interviste esclusive all’iman Hussein e a un esponente di rilievo del mondo cattolico genovese.

Per iniziare il dialogo, siamo partiti da una dichiarazione che, ad una lettura superficiale può fare impressione: “il multiculturalismo è fallito”: con queste parole il   Premier britannico Cameron   circa un anno fa intervenne in un dibattito sul tema. Continuando, diede anche una spiegazione   molto esaustiva   alle sue stesse parole: “la tolleranza passiva incoraggia la separazione. Lo stato liberale impone i suoi principi”.

Abbiamo altresì considerato il quadro locale in cui ci muoviamo ovvero i numeri della popolazione immigrata a Genova: l’incremento più consistente di cittadini stranieri residenti   riguarda le comunità  sud-americane, in particolare gli ecuadoriani che, tra il 2000 e il 2008, sono passati da 3.048 a 14.788 residenti e che da soli rappresentano oltre un terzo del totale degli immigrati. Tra le altre comunità  si segnala il forte aumento degli albanesi, passati da 1.099 a 4.531 residenti e dei rumeni (da 220 a 2.723 residenti).
Nel 2008, oltre agli ecuadoriani, agli albanesi e ai rumeni, altre quattro nazionalità  superano il migliaio: i marocchini (3.324), i peruviani (2.344), i cinesi (1.298) e i senegalesi (1.121).
Al settimo posto, si trovano gli ucraini con 1.044 residenti. [ fonte http://urbancenter.comune.genova.it/]
Complessivamente, in sette anni gli stranieri iscritti all’anagrafe genovese sono così passati da 16.857 a 42.744 unità .

Genova, a nostro parere ha la responsabilità  di fare intraprendere un percorso di conoscenza e scambio reciproco ai suoi cittadini per approdare ad una realtà  di integrazione attiva e abbandonare la tolleranza passiva da cui il monito di Cameron prende le distanze, e riacquistare nuove sicurezze nel   vivere in una   comunità  variegata   senza timori per la sua eterogeneità .
Un tema caldo e di stringente attualità  su cui la città  sta misurando la propria sfida interculturale è quello della Moschea.
Su questo infatti abbiamo concentrato una parte della nostra indagine.
Presentate le premesse lasciamo ad ogni singolo lettore lo spazio per le sue deduzioni e i suoi approfondimenti.

La lunga questione della Moschea genovese

Il dibattito che sta dividendo la città  merita di essere analizzato e spiegato ai cittadini per gettare le basi di una maggiore sensibilizzazione sul tema.
Questo dossier ha la piccola ambizione di costruire una minima letteratura della questione, seguendo l’ordine cronologico degli eventi   e tentando   di dare informazioni non tendenziose ai cittadini che, da tutti i quartieri della città , dovrebbero essere coinvolti in maniera trasparente e   attiva.
Nel dedalo della questione si muovono molti protagonisti, luoghi e date che è utile riordinare per capire come si sta sviluppando la lotta del mondo islamico che da anni rivendica il suo luogo di culto nel capoluogo ligure.

Archeologia ed attualit�

Storicamente, Genova aveva una vera e propria moschea nella zona della darsena, in funzione dall’inizio del Seicento alla fine del Settecento.
Serviva in primo luogo alle necessità  religiose degli schiavi musulmani presenti nella città  e utilizzati sulle galere, e la presenza di luoghi di culto per i musulmani era comune in tutti i porti commerciali della penisola: Livorno, per esempio, ne aveva quattro.
I resti della moschea genovese, che sorgeva dove ora si trova la biblioteca della facoltà  di Economia, furono ritrovati nel febbraio del 2007, e suscitarono una prima discussione sulla necessità  di un luogo di culto per la comunità  musulmana di Genova.
La questione della moschee a Genova nasce quando il Comune aveva avviato un dialogo con la comunità  musulmana già  nel luglio 2008, quando il sindaco di Genova Vincenzi firmò un primo documento di intesa con i rappresentanti della comunità  musulmana genovese.
Dal momento dell’accordo con il comune, il luogo ipotizzato per la costruzione della moschea ha subito diversi spostamenti.
Inizialmente venne proposta dalla comunità  musulmana l’area della vecchia darsena del porto di Genova, molto centrale.
Successivamente, la comunità  musulmana ha acquistato uno stabile a Coronata, una zona a nord di Sampierdarena, con l’idea di farne una moschea.
Il dialogo con il Comune ha poi portato a individuare un’altra zona, a fine 2010, nel quartiere del Lagaccio.
Il sito previsto per la costruzione della moschea è in via Bartolomeo Bianco e si trova in una zona estremamente periferica, a nordovest del Porto Antico, nel quartiere del Lagaccio, a circa un chilometro in linea d’aria dalla stazione ferroviaria di Porta Principe.

LA PROPOSTA DI   COSTRUZIONE DELLA MOSCHEA E LA   POLITICA

Per la costruzione della moschea il comune aveva chiesto alla comunità  musulmana due condizioni principali, entrambe rispettate: la costituzione di una fondazione autonoma rispetto all’UCOII (Unione delle Comunità  e Organizzazioni Islamiche in Italia, la più ampia organizzazione islamica italiana, che gestisce già  decine di luoghi di culto) e a qualsiasi associazione confessionale religiosa, e lo “scambio” tra l’area del Lagaccio e quella precedentemente acquistata a Coronata.
Ad un   anno dall’individuazione della zona il 29 dicembre 2011 la giunta comunale di Genova ha approvato una delibera che contiene le disposizioni amministrative per la costruzione di una moschea nella città .
La delibera contiene quelle che tecnicamente si chiamano “linee di indirizzo”, che indicano il percorso amministrativo per la costruzione della struttura.
La questione dovrà  essere esaminata ora dalla commissione Bilancio del comune ed essere poi approvata dal consiglio comunale.
Prima dell’effettiva costruzione dovrà  però esserci la firma di un nuovo accordo tra il Comune e la fondazione che gestirà  la moschea.
Il progetto è sostenuto da anni dal sindaco Marta Vincenzi ha una lunga storia e ha portato a diverse contrapposizioni politiche, anche all’interno della maggioranza di centrosinistra.
La presentazione della delibera il 29 dicembre 2011 ha suscitato polemiche molto accese da parte di varie fazioni.
L’opposizione al progetto non viene solo dalla Lega Nord, ma anche dall’Italia dei Valori, alleata del PD in consiglio comunale, che si sarebbe espressa contro il progetto anche dopo l’ultimo voto della giunta.
L’IdV non opporrebbe obiezioni di principio alla costruzione di una moschea, ma alla sua collocazione. Stesso discorso da parte di altre forze moderate del centrodestra.

LE OPPOSTE VALUTAZIONI DEI CITTADINI: LE RAGIONI DI ENTRAMBI

Oltre a quello che pensano i politici, è di estrema importanza sentire, o meglio leggere, quello che pensa la gente comune.
Navigando su internet abbiamo trovato diversi commenti a favore,   e contrari

Riguardo la reciprocità : … ci sono tre cattedrali in Marocco, tre cattedrali e due basiliche in Algeria, una cattedrale in Mali, due cattedrali in Nigeria, cinque cattedrali in Congo, dieci cattedrali in Tanzania, una cattedrale in Tunisia, sette cattedrali in Senegal, sei cattedrali in Etiopia, cinque cattedrali in Sudan, una cattedrale in Guinea, tre cattedrali in Sierra Leone, una cattedrale in Liberia, cinque cattedrali in Egitto, quattro cattedrali e due basiliche in Turchia, quattro cattedrali in Bosnia, una cattedrale negli Emirati Arabi Uniti, due cattedrali in Iraq, una cattedrale in Kuwait, quattro cattedrali in Siria, sette cattedrali in Pakistan, sei cattedrali in Bangladesh, trentadue cattedrali in Indonesia, una cattedrale nel Brunei…

Al momento il diritto di culto è nella costituzione. Inoltre non mi sembra che ci sia una gara a costruire edifici uno più imponenti dell’altro. Infine tenga conto che le moschee ci sono anche in città  (vedi Milano) rette da giunte di destra.

Volevo solo ricordare che Genova ha già  avuto una moschea e che anzi, è stata una delle prime costruite in occidente.
Infatti, dal medioevo, nella darsena c’era un luogo destinato alla agli schiavi barbareschi caduti nelle mani dei genovesi e destinati ai pesanti lavori che venivano effettuati in tale area. Nonostante tutto comunque per un certo periodo questi schiavi non erano in catene, anzi erano liberi di girare per i vicoli della città  per trovare eventualmente un ulteriore lavoro per arrotondare…   Ebbene, i genovesi si preoccuparono di procurare un sacerdote per questi schiavi, affinchè essi fossero liberi di praticare la loro religione. Proprio uno di questi sacerdoti nel 1600 fu l’artefice della proposta, poi accettata dalla Repubblica, di costruire una piccola moschea proprio all’interno della darsena ; questa moschea rimase almeno fino agli inizi del 1800.

Che cosa c’entrano la democrazia e la tolleranza?
Possibile che nessuno si rende conto che la faccenda della costruzione di una grande moschea, al Lagaccio o altrove, per i musulmani è soltanto questione di “mettere il cappello” anche su Genova?
Non sarebbe meglio trovare in tutta la città  e dintorni dei siti dove i fedeli musulmani possano allestire o costruire luoghi di culto (moschee) commisurati alle esigenze di ciascuna comunità  onde poter pregare nei pressi dei luoghi di residenza?
Proprio come hanno fatto e fanno i cristiani.
Ce li vedete tutti i cattolici praticanti la domenica in San Lorenzo?

Personalmente sono assolutamente contraria alla costruzione della moschea, poichè ‘la nostra cultura e quella islamica non sono compatibili. Concedere la costruzione di una moschea è il primo passo di quel processo che ci porterà  a convivere con la cultura islamica e con tutti i suoi aspetti,che reprimeranno i nostri usi e le nostre tradizioni.
Ma io mi chiedo perchè quella gente non possa integrarsi con i costumi del paese che la ospita,ma debba essere il paese che ospita a doversi integrare.
Propongo la costruzione di una sinagoga piuttosto. Perchè   proprio la moschea? Non ce ne sono gia’ troppe in Italia?
Secondo me sì: la liberta’ di culto e’ garantita costituzionalmente, ma la costruzione della moschea no.

LE RAGIONI DEL SI’ ALLA MOSCHEA

Intervista esclusiva con l’Imam Hussein

Circa 10 000 cittadini di origine islamica (prevalentemente nordafricana) vivono   a Genova, 1000 sono di fede islamica, ma non tutti praticanti.

Sig. Hussein, che cosa ne pensa dell’affermazione che il   premier britannico fece lo scorso anno: «Il multiculturalismo è un fallimento, basta   con la tolleranza passiva».
Il multiculturalismo chiuso a sè stesso alimenta le diffidenze, le paure e i muri. Crea una realtà  in cui chiunque può scaricare le difficoltà  sul prossimo. Se invece c’è un multiculturalismo con azioni interculturali e un dibattito vivo e   costante il valore culturale della città  cresce così come la cultura dei suoi abitanti, le loro conoscenze e le loro capacità  a relazionarsi con chi è speso considerato diverso.
Non c’è dubbio che l’apertura di diverse idee culturali tra di loro favoriscono la conoscenza reciproca e creano pari opportunità    a chi è sempre messo da parte.
Quando parla di paura che cosa intende?
Non voglio dire per forza avere paura del vicino di casa, ho esperienza a Genova da circa 30 anni e ho diverse amicizie. Le persone piano piano si sono aperte senza troppe difficoltà .
Quando parlo di paura faccio riferimento ad un sentimento molto forte che genera chiusura.
Secondo lei   che cosa potrebbe   alimentare la chiusura a Genova?
A Genova c’è un carattere di chiusura iniziale che non agevola, Il mugugno del resto è una caratteristica ligure…ma al di là  del primo passo i problemi si risolvono, c’è però   il problema di chi fa il primo passo.
Crede che Genova sia una città  solo multiculturale o   crede che si stia già  aprendo all’interculturalismo?
Si sta aprendo senz’altro ad una società  interculturale, le basi ci sono e sono valide, non asettiche, ma molto dinamiche.
E che cosa ci può dire del mugugno contro la Moschea?
La questione è sorta in un momento storico difficile. Un residuo conflittuale con il mondo islamico fa sì che cresca   uno stereotipo molto diffuso nei confronti della cultura non occidentale.
Dopo l’11 settembre   e   dopo la guerra in Iraq questi pregiudizi e paure si sono acutizzate.
Inoltre la diffusione dell’informazione di massa è rivolta spesso verso la   notizia ad effetto, può essere un episodio su cui tutti i giornalisti e i media puntano i riflettori, del resto   “Fa più rumore una foglia che cade che una foresta che cresce”.
Gli estremisti fanno male all’Islam più di ogni altra persona, rappresentano la nostra religione nella maniera in cui non è e noi abbiamo sempre manifestato la nostra contrarietà  contro la loro rigidità .
Noi vogliamo una società  laica, libera e spontanea dal punto di vista religioso e non dominato dal timore.
Può descrivere l’Islam   in poche parole?
L’Islam è l’abbandonarsi alla volontà  divina. Chi è musulmano è pacifista ed è in pace con sè e con gli altri.
Il tema più sentito dalla vostra comunità    negli ultimi anni è quello della costruzione della Moschea. Può dare un suo giudizio sulla questione in generale?
Innanzitutto è fondamentale conoscere i retroscena e un po’ di cronologia sulla vicenda.
Alla fine degli anni ’70 un gruppo di studenti musulmani avevano creato una sede in Via Venezia, negli anni ’80 si è ritenuto opportuno avere una sede più degna.   Con questo fina abbiamo aperto un conto corrente dedicato. Nel frattempo il locale di Via Venezia ha subito lo sfratto e in quell’occasione, nel 2000 abbiamo acquistato 1 capannone in Via Coronata, e presentato il progetto per trasformarla in Moschea. All’epoca il Sindaco Pericu era d’accordo.
È curioso riflettere su come tutta la vicenda della moschea abbia iniziato a fare rumore da   una battuta ingenua di Garrone che aveva dichiarato a qualche giornale: “Ci vorrebbe una moschea!”
In nemmeno una settimana il Consigliere Plinio aveva già  organizzato un banchetto per la raccolta firme contro la Moschea.
Nel 1999 due studenti italiani di Architettura volevano presentare un progetto di tesi di Laurea sulla pianificazione della Moschea in P.zza Sopranis, era stato anche organizzato un incontro con il pubblico, con lam partecipazione di giornalisti. Il dibattito nera stato interessante ed aperto, ma quella come altre era un’occasione fittizia.
È stato solo nel 2002 che come comunità  islamica abbiamo presentato ufficialmente   il progetto che nel novembre 2005 è stato approvato dalla Commissione edilizia privata. Nello stesso tempo,   è sorta una contestazione per l’ubicazione in via Coronata ritenuta troppo stretta e inadatta.
Anche se il progetto era già  stato approvato ,noi come comunità  abbiamo capito la questione e non abbiamo voluto creare disagio.
Nel frattempo durante una campagna elettorale un assessore ha fatto 2 proposte.
La Sindaco Vincenzi ha iniziato ad affrontare la questione dal punto di vista politico creando le condizioni che hanno portato al   patto d’intesa tra comunità  islamica e il Comune nel luglio 2008.
Questo importante passaggio ha segnato l’inizio di un percorso di integrazione e dialogo per la   costruzione della Moschea.
Abbiamo tuttora il Capannone di Via Coronata inutilizzato da 11 anni e paghiamo l’affitto di altre sale di preghiera , questo crea molte difficoltà  e malumori all’interno della Comunità .
Non abbiamo però voluto forzare la mano, ed   abbiamo accettato l’alternativa del Lagaccio, quando si è presentata nel gennaio 2009. Inizialmente abbiamo avuto   delle perplessità : il luogo     non è facilmente raggiungibile, ma   non crea disagi al traffico delle vie abitate ed è   distante dalle case così non diamo fastidio a nessuno.   Inoltre è un luogo che si può riqualificare.   A noi ci interessa vivere in armonia, il fastidio poteva essere strumentalizzato.
I fedeli presenti e praticanti a Genova non sono più di 3000, e non si recano mai tutti insieme in Moschea. Il più grande afflusso c’è durante la preghiera settimanale del venerdì con al massimo 300 persone.
In due date fisse c’è invece un afflusso notevole: alla fine del Ramadan   e per la ricorrenza   del   pellegrinaggio rituale.
A Coronata in effetti questo avrebbe creato difficoltà .
Solo nel dicembre 2009 è iniziato l’iter burocratico fissato in alcuni incontri con il Comune per la delibera sullo spazio concesso.
Il comune nel gennaio 2011 ha chiesto , senza imposizioni, di creare una fondazione per avere un ente di riferimento. Lo abbiamo creato, con il nome di MASGID (Moschea).
Gli accordi   prevedevano che per poter ottenere l’area del Lagaccio una parte del Capannone di Coronota sarebbe andata   al Comune   che l’avrebbe utilizzata per interesse pubblico.
La situazione era anche complicata dall’opposizione dell’Ente Nazionale per la Tutela dei Beni Immobiliari Patrimoniali Musulmani che non voleva cedere il capannone a loro intestato, il Comitato dell’Ente infatti non si fidava del buon esito della vicenda politica, soprattutto dopo i casi negativi di Bologna e Milano.
Il dibattito da portare avanti perciò era su ben 3 fronti: con la comunità  islamica genovase, con la Comunità  islamica Nazionale (ente) e con i politici ed i cittadini di Genova.
Adesso la questione non è ancora risolta, è stata emessa la delibera nel dicembre 2011 contesta dalla Lega con mozione il 10 gennaio.
Anche l’IDV si è opposto contestando l’inadeguatezza della scelta del Lagaccio,   ma a noi ora serve una soluzione rapida   e non ulteriori motivi che potrebbero chiudere la porta al dialogo.
Dietro alcune contestazioni per la costruzione della Moschea crede che ci siano dei motivi religiosi?
No, sono sicuro di no perchè le   religioni sono pienamente aperte agli altri. Pensiamo infatti al Cristianesimo che,   se accetta il nemico figuriamoci l’amico…
In ogni caso lo scontro non è fra diverse religioni , ma è una quetione a sfondo politico in cui le incertezze delle persone sono strumentalizzate contro il “nemico” solo per avere dei voti. E spesso questi politici non si rendono conto che fanno male alla città  stessa.
Buona parte della città  vuole una Moschea, al Lagaccio per esempio esiste il Comitato a favore “Arcipelago Lagaccio per la Moschea”
Il problema è che se sei d’accordo sei anche più pacato e non fai rumore.
Ci può descrivere la sua Moschea ideale?
Il mio modello è quello di Parigi, diversa da quelle tradizionali che si trovano in Arabia Saudita o a Il Cairo. Il modello parigino ha un’impronta di apertura a qualsiasi cittadino: oltre al luogo di culto, c’è un piazzale, uno spazio adibito a piccoli eventi culturali e dibattiti   e c’è anche un bar per sorseggiare un caffè.
Penso che sarebbe davvero bello se un giorno anche i genovesi, musulmani e non, avessero l’opportunità  di dire: “Ci siamo conosciuti nel piazzale della Moschea”

(intervista a cura di Paola Del Giudice)

ATTRAVERSO IL DIALOGO E LA MEDIAZIONE LE PERSONE VIVONO, CONVIVONO E TRASMETTONO IL CAMBIAMENTO: OGNI CULTURA HA LA SUA RICCHEZZA

Intervista esclusiva a un esponente di rilievo del mondo cattolico genovese

Che cosa pensate dell’affermazione che il Premier Britannico Cameron fece lo scorso anno:” Il multiculturalismo   è un fallimento, basta con la tolleranza passiva”.
L’attenzione va spostata sulla ricchezza antropologica di ogni cultura. Le molteplici culture non sono da tollerare, vanno maggiormente conosciute, tenendo aperto un ascolto che concerne di frequente una convivenza da far maturare anche in termini di oggettiva legalità .
Credete che Genova sia una città  solo multiculturale o credete che si stia già  aprendo all’interculturalismo?
Genova si sta gradualmente aprendo all’interculturalismo.
Un primo segno è strutturale (e oggi più evidente), nel senso che il suo essere città  di mare la rende aperta a permanenti sviluppi, tra cui i cambiamenti umani, sociale ed economici.
Un secondo segno riguarda un costante processo di integrazione, sperimentabile in tanti ambiti: lavoro, scuola, contesti ecclesiali e associativi. Le persone vivono, condividono e trasmettono il cambiamento.
Altri segni stanno piano piano evolvendo e toccheranno sempre più l’interazione, cioè un coinvolgimento interpersonale che avvicinerà  significativamente gli uomini l’uno all’altro.
Il nostro Paese e in particolare a Genova, ha subito negli ultimi anni una radicale trasformazione culturale a seguito della convivenza di diverse religioni e culture; quali secondo voi possono essere le riforme vere e necessarie tali da creare una vera integrazione tra differenti culture e quali sono oggi le vere problematiche che non permettono la formazione di una società  interculturale?
Le riforme a favore di una reale e stabile integrazione, sono tante e collocabili su diversi livelli. Un livello importante è quello delle relazioni tra i popoli; allo stato attuale è un livello da promuovere, non può attendere, proprio perchè è necessario.
Restando su questo livello sono da focalizzare due riforme: il dialogo e la mediazione.
sono due riforme difficili da progettare e programmare, ma sono vitali in quanto creano le condizioni a beneficio di radicali trasformazioni e mutamenti impensabili.
Il dialogo è il luogo di mezzo, che si forma facendo un passo indietro e permettendo così all’altro di esprimere nella verità  il suo punto di vista.
La mediazione è l’esperienza umana e concreta, che prende consistenza nel momento in cui offro all’altro nuove prospettive tenendo conto della sua storia.
Sempre rimanendo sul livello delle relazioni tra i popoli, la società  interculturale è frenata dalla paura che l’altro possa condizionarmi o limitarmi. Aumentano in questo maniera le difese che allontanano, senza favorire invece quella giusta distanza che fa emergere la specificità  di ognuno.
Inoltre è problematico il fatto di non riuscire a confrontarsi, perchè in fondo penso che il mio modo di vedere sia quello efficace. Confrontarsi è compiere la sintesi di più punti di vista, non per giustapporli, piuttosto per coglierne coglierne l’effettiva praticabilità .
In questi ultimi anni, ed in particolare le ultime vicende politiche hanno “riaperto” il dibattito sulla realizzazione della Moschea a Genova.
Potreste dare un vostro giudizio sulla questione in generale?

La questione è generale e quindi molto dinamica, in continuo divenire. Di fronte a questioni generali è utile esprimere pareri, nell’ottica di aiutare un dibattito ad essere propositivo e fecondo.
Il suddetto dibattito tiene innanzi tutto viva l’importanza di salvaguardare la libertà  di culto; ciò è molto buono perchè custodisce la sensibilità  spirituale dell’essere umano, orientandolo verso una fedeltà  creativa che è sempre foriera di bene e rispetto.
La realizzazione di una Moschea, esula dalle questioni generali è più un fatto logistico, organizzativo e operativo da valutare nelle sedi opportune e presuppone una reciprocità  già  tematizzata, espressa e assunta.

P.S. Solo per motivi di riservatezza, richiestaci dall’intervistato, abbiamo aderito alla Sua richiesta di non pubblicarne il nome.

(intervista a cura di Mirko Masini)
Impostazione grafica a cura di Jader Jacovelli

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