Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
LA SVOLTA DOPO NATALE… DUE APPARIZIONI AL GIORNO, MA SULLO SHARE MONTI LO BATTE
Ogni lasciata è persa: l’applicazione alle trasmissioni televisive di una filosofia di vita è la
carta così poco segreta e così redditizia di Silvio Berlusconi.
Non c’è microfono o telecamera trascurabile, in questa campagna elettorale tambureggiante, non soltanto per le liti di ringhiera e le zuffe di cortile.
Dalla vigilia di Natale a lunedì scorso, 14 gennaio, e cioè in ventuno giorni disseminati di festività , il capo del Pdl ha accettato cinquantaquattro ospitate, in televisione, alla radio, alle dirette in Rete; una media di oltre due al giorno, Natale e Capodanno compresi, e pedalare anche alla Befana: tutto fa brodo.
Una tournèe debordante a occhio nudo, con Servizio Pubblico come tappa scintillante, e tante altre già nella memoria di questa nostra breve stagione: l’inedito bisticcio con Bruno Vespa a Porta a Porta, la cruciale cartellata in testa a Marco Damilano a Omnibus, l’abbordaggio a Ilaria D’Amico malinconicamente toppato a Lo Spoglio.
Se pare un’invasione, figurarsi a guardare col binocolo. al telegiornale di Alto Adige Tv all’approfondimento di Tele Molise fino agli spazi politici di La Nuova Tv, emittente lucana, Berlusconi ha sfidato le latitudini e si è offerto agli ascoltatori (ed elettori) dell’ultima contrada e della valle più remota.
Una performance di straordinaria generosità e di ammirevole tenuta fisica, da cui gli avversari dovrebbero imparare qualcosa, se non è troppo tardi.
Si è sentito il Grande Arzillo promettere la mutilazione delle tasse a Teleradiostereo, opporre un ritrovato orgoglio nazionale a Radio Norba, tratteggiare scenari gloriosi a Canale Italia, infuocarsi per il poliziesco redditometro a Bergamo Tv.
È lui che fa il contesto: vengono buoni i dieci minuti dell’agonista a Studio Sport su Italia 1, il quarto d’ora quasi introvabile a Tvrs, rete marchigiana, i venti minuti d’allegria a TeleEspansione Tv, la mezzora a pacche sulla spalle ad AntennaTre Nordest.
Un bomber come lui si butta affamato nell’etere di Radio Goal e ha l’aria di attraversare le galassie della propaganda e della sopravvivenza per raggiungere Radio Marte.
Non si è ancora fermato nè si fermerà : fuori dal periodo da noi compulsato, si è concesso al direttore di Tv Parma, Giuliano Molossi, e alla fine non s’è trattenuto dallo sfiorare la figura lacrimosa del vecchio zio abbandonato: «Tornate a trovarmi prima delle elezioni, mi raccomando».
E però in questo modo, centesimo dopo centesimo, il suo forziere paperonesco si sta di nuovo riempiendo. «I sondaggi lo galvanizzano, ora non lo ferma più nessuno», dicono dalla sede del partito.
I dati Auditel rielaborati dalla Geca Italia (società di indagine audiovisiva) sono spettacolari: il condottiero del centrodestra – dal 24 dicembre al 13 gennaio (un giorno in meno del periodo analizzato dalla Stampa) – è stato in tv per ventotto ore, cinquantasei minuti e trentadue secondi; fra gli avversari nemmeno Mario Monti, uno che ha capito come gira la giostra e non disprezza il mezzo, sa tenergli il passo: nello stesso periodo si è fermato a venti ore e tredici minuti. Il povero Pierluigi Bersani, forse spiazzato, forse meno cinico, sta addirittura a dodici ore e venti minuti. Sono numeri che dicono molto, ma non tutto, poichè il conteggio considera un terreno vastissimo, con le tre reti Rai, le tre Mediaset, La7, i canali satellitari di Rai e Sky, i siti dei maggiori quotidiani, qualche radio nazionale, ma non tiene conto di Vista Tv e Tv Umbria, pure alle quali Berlusconi ha consegnato i piani di guerra.
Un altro dato esibito da Geca dimostra che, in quelle tre settimane scarse, il Cav. è stato seguito al telegiornale (Rai, Mediaset e La7) da 395 milioni di persone, il che significa che ognuno di noi, neonati e decrepiti compresi, lo ha visto sei o sette volte. Monti segue con un distacco di oltre 120 milioni di spettatori, terzo è Pierferdinando Casini a 184 milioni di totale, solo quarto Bersani, pure lui a 184 e qualche spiccio in meno.
Soltanto sullo share (la percentuale sui telespettatori che guarda la tv in quel momento), Berlusconi non rade al suolo gli avversari.
Anzi, Monti ha prestazioni migliori delle sue: a Unomattina il bocconiano batte il brianzolo 24.26 per cento a 23.09; a Otto e Mezzo lo batte 8.68 a 6.48.
Anche qui si sono perse le tracce di Bersani, che a Otto e mezzo tira insieme un buon 8.06, ma a Porta a Porta resta di sette punti dietro a Berlusconi: 16.23 contro 23.10. Un trionfo, se si pensa che il leader del centrodestra, da premier, abbatteva i telespettatori uno a uno, tutti in fuga precipitosa ogni volta che lui appariva sullo schermo a elencar miracoli.
Ma adesso che è battaglia, che soprattutto è pagliacciata e sarabanda, e cioè è il terreno ideale per questo raider della politica, parecchio è cambiato.
Il 33 per cento cumulato la sera di Servizio Pubblico (magari paragonato al 7.19 di Antonio Ingroia a Piazza Pulita, stessa emittente) ci fa mostra l’inesauribile vecchietto che non ha paura nè vergogna di niente, ed è pronto a ribaltare tutto una volta ancora.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
E PER VERIFICARNE L’OPERATO COSA C’E’ DI MEGLIO DI NOMINARE ALTRI DUE ESTERNI?… DAI RILEVATORI DI NUMERI AGLI ESPERTI DI TRAFFICO
Non bastavano 19mila dipendenti, 6mila funzionari e 280 dirigenti superpagati per mandare avanti il pachiderma amministrativo del Comune di Roma.
Nonostante un esercito tanto nutrito il Campidoglio di Gianni Alemanno ha spalancato le porte alla carica dei consulenti: 1.020 negli ultimi due anni, costati alle tasche dei contribuenti 20,7 milioni di euro.
A dispetto del debito, del bilancio approvato con dieci mesi di ritardo e dei tagli ai servizi sociali, il Comune di Roma non ha avuto problemi a foraggiare la platea dei collaboratori.
Una prassi tanto diffusa in Campidoglio da coinvolgere persino l’ufficio incaricato di verificare la congruità dei compensi assegnati agli esterni.
Proprio l’Organismo indipendente di valutazione, istituito nel 2010 da Alemanno e presieduto dal direttore generale del Comune, Liborio Iudicello, è guidato da due consulenti con una pluriennale esperienza nella pubblica amministrazione, Livio Barnabò e Francesco Verbaro, ai quali il Campidoglio ha riconosciuto un compenso di 40mila euro.
La loro storia è solo una goccia nel mare.
I casi clamorosi non mancano.
Uno di questi è Alexander Marco Andrew Sciarra. Nato a Londra il 21 febbraio 1973, Sciarra ha ottenuto un primo incarico dall’aprile al dicembre 2010 con un compenso di 49.959.
Il suo compito – si legge nella determinazione dirigenziale 293 del 31 marzo 2010 – era “lo studio delle nuove attività istituzionali di cui sarà investita l’Assemblea Capitolina (in virtù dell’attuazione della legge per Roma Capitale)”.
La Giunta Alemanno ha giustificato l’assegnazione diretta adducendo la complessità dell’incarico e le “non comuni competenze” di Sciarra nel settore oggetto della consulenza. In realtà , scorrendo il curriculum allegato alla determinazione, l’uomo “ha conseguito una laurea in scienze della comunicazione all’università Lumsa, un master in geopolitica e sicurezza globale all’università La Sapienza e un diploma di liceo linguistico con buona conoscenza di lingua inglese e spagnola”.
Tante competenze gli hanno comunque assicurato il rinnovo della consulenza prima per tutto il 2011 e poi anche per il 2012.
La determinazione dirigenziale RQ/14336/2012 dell’Ufficio dell’Assemblea capitolina rivela che l’ammontare pagato a Sciarra per il solo mese di dicembre 2012 è pari a 5.596,25 euro.
A diretto supporto delle funzioni attribuite al sindaco è invece Giancarlo Del Sole che dopo un incarico da 20mila euro nel 2010, ne ha firmato un altro da 40mila per l’anno seguente, ed è stato inserito nel Comitato tecnico del piano strategico per la mobilità sostenibile.
L’elenco è lungo, i tariffari oltre le medie di mercato e i giustificativi alle voci di spesa disparati.
Si parte dai membri delle commissioni di vigilanza dei parcheggi pubblici che dal dipartimento Mobilità e Trasporti ricevono in media 3mila euro ciascuno, agli incarichi di rilevazione dei numeri civici nell’ambito delle indagini statistiche sulla toponomastica del Comune di Roma.
Incarichi che possono valere anche 7mila euro l’anno.
Cifre più rotonde girano nell’ufficio del “Commissario delegato all’emergenza traffico e mobilità “, carica che la presidenza del Consiglio assegna al sindaco di Roma.
A supporto della struttura ci sono 7 consulenti che costano 283.680 euro.
Tra loro il magistrato amministrativo Giuseppe Rotondo, che ha ricevuto in qualità di “esperto” 40mila euro nel 2010 e altrettanti nel 2011, e Andrea Benedetto, che ha invece ottenuto dall’amministrazione due contratti annuali da 50mila euro ciascuno.
Tanti soldi li ha spesi anche il Dipartimento Patrimonio che per una consulenza trimestrale “sull’evoluzione del sistema di gestione del database patrimoniale” (dicembre 2010 – marzo 2011) ha riconosciuto a Sandro Incurvati 61.800 euro.
E poi ancora denari per periti, architetti, avvocati, ricercatori, geometri, insegnanti, linguisti, sedicenti esperti di comunicazione e strategie finanziarie.
Tutti con competenze che nessuno dei 25mila dipendenti del Campidoglio possiede. Possibile?
Daniele Autieri
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
NEGATA LA GIURISDIZIONE DELL’AUTORITA’ LOCALE DI KERALA, AVOCATA LA DECISIONE DALL’AUTORITA’ CENTRALE… I DUE MILITARI AVRANNO LIBERTA’ DI MOVIMENTO
Successe tutto in acque internazionali. E quindi non spetta al Tribunale di Kerala
accertare la responsabilità dei due maro’ italiani che provocarono la morte di due pescatori ritenendoli pirati.
La Corte suprema indiana ha negato la giurisdizione del Kerala nel giudizio su Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. La competenza passa adesso a un tribunale speciale che sarà formato a New Delhi.
Una notizia che fa tirare un sospiro di sollievo alla difesa dei due militari, rientrati in India dopo un periodo passato in Italia durante le festività natalizie, e alla diplomazia italiana.
Era stata l’Italia a insistere affinchè la giurisdizione passasse ad altro tribunale.
Il reato per il quale i maro’ vengono giudicati, scrive il Times of India che riporta la notizia in apertura del proprio sito, è di natura federale e solo il governo centrale può avere competenza nel giudizio.
Sarà dunque suo compito mettere in piedi un tribunale speciale in stretta collaborazione con il vertice del sistema giudiziario indiano.
Secondo i giudici supremi i due militari “non godevano di immunità sovrana” nella loro funzione di sicurezza sulla nave Enrica Lexie, che avrebbe comportato automaticamente l’applicazione della giurisdizione italiana.
I fucilieri potranno, se vorranno, lasciare Kerala e sono liberi di muoversi in tutta l’India.
Una volta trasferiti a New Delhi in forza di un’ordinanza della Corte Suprema indiana, i marò avranno quindi libertà di movimento in tutta l’India.
L’avvocato Harish Salve, che guida il collegio di difesa dei marò, ha dichiarato all’Ansa di essere “molto soddisfatto per la sentenza della Corte suprema”.
I giudici, ha aggiunto il legale, “hanno escluso il Kerala dal processo e ora la questione sarà esaminata a New Delhi”.
Alle 14 ora locale (le 9.30 in Italia) la corte emetterà un ordine di trasferimento dei marò da Kochi alla capitale indiana.
Il 15 febbraio scorso al largo delle coste del Kerala Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in servizio di sicurezza anti-pirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie, spararono contro una barca: gli occupanti non erano pirati ma pescatori.
Dopo il loro arresto in febbraio, per Latorre e Girone è cominciata una via crucis, che li ha portati prima ad un soggiorno obbligato in guest house della polizia a Kollam e Kochi, poi per qualche tempo anche nel carcere di Trivandrum, sia pure in un’area separata.
Quindi, dopo il 25 maggio, per qualche tempo nella Borstal School di Kochi, fino ad arrivare alla libertà dietro cauzione e alla residenza a Fort Kochi.
La discussione del ricorso italiano in Corte Suprema aveva impegnato quasi tutto il mese di agosto 2012, e alla fine il giudice Altamas Kabir (nel frattempo diventato presidente della stessa Corte), assistito dal collega J.Chelameswar, aveva dichiarato chiuso il dibattimento il 4 settembre.
Da allora era cominciata una lunga attesa, prima di tutto per Latorre e Girone che, pur avendo ottenuto la libertà dietro cauzione, sono rimasti nella zona di Fort Kochi, in Kerala, potendosi muovere in un raggio di appena dieci chilometri dal commissariato dove ogni mattina dovevano andare per firmare un libro delle presenze.
Ogni 15 giorni circa i due erano chiamati a Kollam, città dove è stato istruito ai loro danni un processo di primo grado per la morte di due pescatori, ma che non è mai cominciato ed è stato sempre rinviato in attesa proprio della sentenza della Corte Suprema sulla giurisdizione.
A causa di questa lunga vicenda, negli ultimi mesi le relazioni fra Italia ed India hanno avuto alti e bassi, con una pressione costante del governo italiano nei confronti delle autorità di New Delhi e con il coinvolgimento nell’azione di sostengo ai marò di Palazzo Chigi e dei ministri degli Esteri e della Difesa, Giulio Terzi e Giampaolo di Paola.
Nelle ultime settimane il clima si è comunque notevolmente disteso, al punto che l’Alta Corte di Kochi ha concesso a Latorre e Girone una licenza di due settimane per poter trascorrere le vacanze natalizie con le famiglie.
Al termine del permesso, smentendo insinuazioni e ipotesi di diserzione, i due sono ritornati nella loro residenza in Kerala.
Questo ha dato soddisfazione anche al governo centrale indiano, che per bocca del ministro degli Esteri Salman Khurshid aveva detto l’8 gennaio: “Ringrazio i due militari e il governo italiano per avere rispettato i patti”.
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
PER I CONTRATTI NON RISPETTATI SPESI 500 MILIONI, PIU’ I SOLDI PER I TERRENI INTERESSATI, I MONITORAGGI, LE CONSULENZE E GLI STIPENDI
Quasi 500 milioni per i contratti non rispettati. Più i soldi per i terreni su cui doveva essere costruito, per i monitoraggi, per gli stipendi e le consulenze.
Ecco l’incredibile conto della grande opera (mancata) sullo Stretto di Messina che aspetta chi le paghi la passeggiata a mare nuova di zecca.
Il neo governatore siciliano Rosario Crocetta che promette l’alta velocità ferroviaria fino a Palermo.
I NoPonte che si scaldano per una manifestazione a metà febbraio.
Gli ambientalisti in ansia per l’ombra proiettata nello stretto sui delfini e per il transito degli uccelli.
Quelli che vedono nell’opera un grande sacco per mafie e cosche.
I 50 e più esperti internazionali – ingegneri, architetti, tecnici di gallerie del vento e di fondazioni , di aerodinamica e di geologia – che hanno lavorato dieci anni al progetto della campata unica da record mondiale, più di tre chilometri di lunghezza.
Si rendono conto, tutti coloro che a vario titolo hanno prosperato o buttato sangue sul progetto Ponte, che tra un po’ saranno disoccupati, che dovranno cambiare obiettivi e agenda delle priorità ?
E gli italiani tutti, mentre inizia una campagna elettorale che vuol essere nuova di zecca ma che tiene la bocca chiusa sulla sorte dell’unica grande opera del Sud, lo sanno che c’è una tassa da un miliardo che il governo che uscirà dalle urne a fine febbraio finirà per farci pagare?
Non la chiamerà forse la tassa del Ponte, ma a tanto ammonta il conto finale per fermare una volta per tutte la macchina che ha portato avanti il progetto, e mandarla a rottamare.
Il primo marzo scade l’out out del governo Monti per trovare una nuova intesa tra il general contractor Eurolink e la Stretto di Messina, società concessionaria dell’opera, alle condizioni imposte dalle legge.
Unica via d’uscita che scongiurerebbe la fermata definitiva.
Ma l’aria che tira non promette niente di buono: anche perchè Eurolink, dove al 42 per cento conta la società Impregilo da poco conquistata dalla famiglia Salini, interessata dunque a un pronto rientro di capitali, ha già portato il governo italiano di fronte alla Corte di giustizia europea e di fronte al Tar per violazione dei vigenti impegni contrattuali.
E si appresta a batter cassa con una salatissima richiesta di penali per 450 milioni.
Che non sono solo una bella cifra, ma soprattutto superano il guadagno che l’impresa avrebbe realizzato facendo il Ponte.
A portata di mano senza piantare neanche un chiodo.
L’impresa di costruzioni non è l’unica a sperare nel colpo grosso chiamando la società Stretto di Messina – e lo Stato di cui è emanazione – di fronte ai tribunali per non avere rispettato i tempi di approvazione del progetto.
Perchè le pretese che scatterebbero all’indomani del requiem del Ponte sono parecchie. Quando hanno visto i conti, e tirato le somme per chiudere la partita, al ministero dell’Economia hanno capito che si trovavano di fronte a un trappolone.
Ci sono da pagare i proprietari dei terreni che sono stati vincolati per dieci anni alla costruzione del Ponte, più o meno mille soggetti che chiederanno i danni per essere stati bloccati inutilmente; ci sono i 300 milioni investiti nel capitale della società Stretto da Anas, Rfi, Regione Siciliana e Calabria, che di fatto diventano carta straccia, senza contare la trentina di milioni spesi per il monitoraggio ambientale dell’area che non serve più. Insomma, un miliardo o giù di lì a carico della collettività .
Metterci il timbro del governo dei tecnici? Bella medaglia al valore.
Usare la spada e prendersi la responsabilità di recidere una volta per tutte il sogno del Ponte? Sai che gazzarra.
Meglio spazzarlo sotto il tappeto, come ha fatto il governo Prodi in passato, tre anni di blocco costati sui 700 milioni quando sono stati riavviati i motori con il successivo governo Berlusconi.
Così, tra Salomone e Don Abbondio, Monti ha scelto i panni del secondo: uno il coraggio non se lo può dare.
E ha congelato tutta la partita d’imperio, contratti, rivalutazioni e indennizzi compresi – con un decreto che alimenterà le parcelle di parecchi studi legali, imponendo un’intesa tra le parti entro il primo marzo.
In caso contrario, riconoscerà al costruttore solo una mancetta di una decina di milioni (salvo avere accantonato per la bisogna una somma di 300 milioni nella legge di stabilità ).
Viceversa, per allettare l’impresa ad accordarsi, le prospetta altri due anni di purgatorio – a prezzi del lavoro invariati – in attesa che qualche privato sia disposto a puntare i suoi soldi sul Ponte.
Prospettiva che per un costruttore sano di mente è un bell’azzardo, visto che finora di privati disposti a integrare il 40 per cento messo dal governo non se ne sono visti, e che adesso persino quel 40 si è dissolto, dopo che proprio Monti a inizio 2012 ha definitivamente cancellato i 2,1 miliardi destinati al Ponte e il suo ministro Corrado Passera ha dichiarato all’Europa (disponibile a finanziare opere importanti) che il collegamento stabile tra Calabria e Sicilia non è una priorità .
Pensare che la ultra decennale storia del Ponte sullo Stretto — così piena di false partenze e pavidità politiche – possa finire con una soluzione win-win, pari e patta, tutti contenti e nessun perdente, è d’altra parte un’illusione.
In tutta la faccenda il governo, ciascun governo a suo turno, si è comportato come un socio di controllo inadempiente, emanando leggi che poi non ha rispettato, promettendo risorse e poi togliendole, e facendo salire a mille sia lo spread sulla credibilità del progetto sia lo spreco di denaro.
Che dire, per esempio, della burocrazia del ministero dell’Ambiente, che in 15 mesi non è riuscita a dare un parere che doveva dare in tre (ogni mese di ritardo costa 15 milioni di euro)?
E anche pensare, come ha fatto il governo Monti, che basti decidere per legge di non fare il ponte perchè questo si traduca in uno scioglimento dei contratti, è altrettanto irrealistico.
Più facile che sia una strada irta di ricorsi nei tribunali, come temono gli uomini dell’Authority di vigilanza sui contratti pubblici, che hanno iniziato un’istruttoria sugli impegni contrattuali presi dalla Stretto di Messina.
Contratti che negli anni hanno portato via via l’investimento sull’opera dai 6,3 miliardi del 2003 agli 8,5 di oggi, anche a seguito delle varianti richieste dagli enti locali e approvate dal governo e del tempo trascorso.
Un esempio: quando Berlusconi ha riavviato nel 2008 il progetto, la Stretto di Messina, guidata da Pietro Ciucci, ha rinnovato il contratto con Eurolink concedendogli condizioni nettamente più vantaggiose, a partire dal metodo di indicizzazione, non più quello del costo della vita, ma quello più accelerato delle costruzioni.
Oggi c’è solo un uomo che spera ancora, Ciucci appunto.
Amministratore delegato della Stretto di Messina e amministratore unico del suo azionista di maggioranza, cioè l’Anas, unisce a questo ruolo di controllore controllato una tenuta da maratoneta nelle articolazioni dello Stato imprenditore, essendo nato e cresciuto nell’Iri.
Si dice sia stato lui a suggerire al governo il dispositivo del decreto (ma lui si schermisce), che ha nell’immediato il pregio di lasciargli il boccino in mano.
Per fare cosa?
«Il decreto ci dà ancora il tempo per cercare i finanziamenti», scandisce Ciucci: «Di fronte a una situazione straordinaria, ferma l’orologio del contratto, ma dice che l’opera il governo la vuole fare. E ora possiamo andare a cercare i denari sul mercato».
E delle penali richieste dal costruttore, non è preoccupato?
«E’ vero che il contratto prevede una penale massima per il general contractor sui 400-500 milioni», precisa, «solo nel caso in cui la stazione appaltante cancelli il contratto senza motivo. La penale può arrivare a zero se si dimostra invece che non ci sono le condizioni finanziarie per la sua realizzazione».
Strano paradosso: per continuare a vivere, la società dello Stretto deve cercare un finanziatore privato; per minimizzare i danni legali, deve dimostrare che quel finanziatore non c’è neanche sulla luna.
Delle due strade, Ciucci dice di voler imboccare la prima. «Il governo ci dà un nuovo strumento per cercare i finanziatori: il project bond», afferma: in pratica, la possibilità per la Stretto di Messina di emettere obbligazioni che sono di fatto parificate ai Bot.
Hanno un prelievo fiscale ridotto, perchè su di loro grava l’aliquota leggera del 12,50 per cento, e godono di garanzia pubblica, che potrebbe essere data dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Questi due requisiti potrebbero rendere i bond appetibili per i grandi fondi infrastrutturali, e quindi ridurrebbero la quota a carico delle casse dello Stato, promette Ciucci.
E magari potrebbero rifarsi vivi quei cinesi che già una volta si sono fatti avanti per il Ponte.
Singolare ottimismo.
Mentre per tutti si avvicina la tassa miliardaria
Paola Pilati
(da “L’Espresso”)
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
DOVE LA ESCORT MACRàŒ INTERCEDEVA CON BERLUSCONI PER “FERMARE” LE INDAGINI
Il contatto con Silvio Berlusconi lo aveva trovato attraverso Nadia Macrì, una
delle ragazze del bunga bunga.
La concretezza alle sue richieste di fermare i magistrati gliel’aveva offerta il presidente della commissione giustizia al Senato, Filippo Berselli, che firmò nove interrogazioni parlamentari sull’operato della Procura, colpevole di indagare solo sul Pdl.
Eccolo il magico mondo di Parma, la città trasformata nell’impero di Pietro Vignali, commercialista dal pettine sempre a portata di mano, affermato come pr delle discoteche, considerato il nuovo che avanzava nel Pdl, ben visto anche da Gianni Letta.
C’è tutto nell’ordinanza che ha portato all’arresto dell’ex sindaco, del capogruppo Pdl alla Regione Emilia Romagna, Luigi Giuseppe Villani, di Andrea Costa, presidente di una delle società satellite del Comune e dell’editore del quotidiano Polis, Angelo Buzzi: ci sono giornali comprati perchè facessero il gioco del sindaco, vacanze offerte a Vignali in hotel cinque stelle.
Ci sono tangenti, e dipendenti del Comune obbligati (alcuni anche pagati) a scrivere sulla bacheca Facebook del sindaco e idolatrarlo.
Ci sono i contatti di Vignali con Letta e Berlusconi, appunto, ma anche con Niccolò Ghedini, Angelino Alfano e l’allora ministro Sandro Bondi che caldeggia, attraverso Berlusconi, l’assunzione di una persona che verrà poi sistemata in una delle partecipate del Comune.
“Dagli raccolti”, scrive il gip nell’ordinanza, “emerge da parte degli indagati una totale spregiudicatezza e convinzione di impunità che hanno portato al tracollo le casse del Comune”. Un provvedimento che Vignali sentiva nell’aria da tempo.
In un’intervista a fine estate, apparve abbastanza dimesso, provato dai medicinali.
“Sono tornato a lavoro per 500 euro al mese — disse — ma devo aggiornarmi sulle nuove leggi, ormai non sono più in grado di svolgere l’attività di commercialista come un tempo”.
Ieri gli hanno sequestrato un patrimonio di un milione e 900 mila euro.
Al momento dell’intervista la richiesta di arresto era praticamente già completata.
Poi ci sono i soldi alla stampa.
Nelle carte degli inquirenti, torna più volte la questione del quotidiano Polis, una “spina nel fianco” per il sindaco Vignali, chiamato dai suoi “il papa”, come risulta dalle intercettazioni ambientali, e che inizia a essere infastidito e finisce per non poterne più degli articoli che lo criticano troppo.
Occorre trovare una soluzione.
E allora ecco l’editore del giornale, Angelo Buzzi, anche lui agli arresti, che entra in azione e promette al primo cittadino “il controllo della linea editoriale (…) anche attraverso la nomina di un direttore allineato [affinchè] supportasse e pubblicizzasse la figura di Vignali (…) e non sottoponesse quest’ultimo a continui attacchi, ma si conformasse alla volontà del sindaco”.
In questo quadro Buzzi ottiene un posto nel consiglio d’amministrazione di una società partecipata e dai fondi pubblici arriva una somma di 98 mila euro usata per pagare gli stipendi dei dipendenti del giornale.
Soldi pubblici, come dice bene il nome dell’inchiesta, Public Money, utilizzati per controllare tutti i settori della città , dal Comune all’imprenditoria locale.
Tra i venti indagati, oltre a ex dirigenti comunali e ditte che gestivano il verde pubblico, c’è anche il nome di Marco Rosi, patron di Parmacotto, che in cambio di un’autorizzazione per i dehors di un locale ha pagato a Vignali un soggiorno in hotel di lusso.
Coinvolto anche il presidente del Parma Calcio, Tommaso Ghirardi, che si dichiara estraneo ai fatti, ma che secondo l’accusa avrebbe contribuito a pagare con soldi della società destinati al Comune una parte del compenso del responsabile dell’ufficio stampa di Vignali, che prima lavorava per il Parma.
Nel mirino anche un altro giornalista, Aldo Torchiaro, portavoce di Oscar Giannino e del suo movimento, pagato per una consulenza fittizia a una società del Comune e negli effetti incaricato di gestire la pagina Facebook del sindaco e il suo ufficio stampa.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL PDL HA BISOGNO DEI VOTI DI COSENTINO IN CAMPANIA E DI SCAJOLA IN LIGURIA, IL PD NON PUà’ FARE A MENO DI CRISAFULLI IN SICILIA
Irrinunciabili in certe regioni del sud.
Come la Campania per i berlusconiani. E la Sicilia per i democratici di Bersani.
Nicola Cosentino è l’icona degli incandidabili del centrodestra. Ha due processi per camorra. Viene da Casal di Principe, in provincia di Caserta.
Qui il Pdl ha percentuali bulgari, anzi casalesi.
Nel triangolo dei clan, il partito del Cavaliere miete il 70 per cento dei consensi. Casale: 71,88; Casapesenna: 73,65; San Cipriano d’Aversa: 69,86.
Il paese di Cosentino, appena 20mila abitanti, esprime ben tre parlamentari: Giovanna Petrenga, deputato, e Gennaro Coronella, senatore, oltre allo stesso Nick ‘o mericano, oggi alla Camera ma in procinto di essere candidato per Palazzo Madama.
Alle regionali del 2010, due anni fa, sempre a Casale, il Pdl ha sfondato l’ottanta per cento.
In tutta la Campania il pacchetto di voti gestito da Cosentino e il suo sodale Luigi Cesaro, alias Giggino ‘a purpetta, al vertice del Pdl da anni, è decisivo per le sorti del Cavaliere.
Nel 2008, per la Camera, la percentuale nazionale del Pdl è stata del 37,38, pari a 13 milioni e 629.464 voti.
In Campania 2, la circoscrizione di Cosentino, i punti in più sono stati quasi tredici: 49,52 per cento e 16 seggi, tra cui anche Marco Milanese, imputato per la P4.
In Campania 1, dov’era in lista Cesaro, il 48,67 e 18 seggi, compresi Giampiero Catone, Amedeo Laboccetta, Alfonso Papa e Maria Elena Stasi (appena condannata per turbativa d’asta).
Al Senato, che si rivelerà decisivo per la vittoria di Bersani, perchè i premi sono regionali, il Pdl prese in Campania nel 2008 un milione e 426.468 voti.
Impressionante, se raffrontato al dato nazionale del partito di 12 milioni e 511.258 voti.
Sempre dieci punti sopra la media: 38,17 complessivo, 48,78 in Campania e 18 seggi.
Una macchina di consensi di cui Berlusconi non può liberarsi facilmente in una campagna elettorale dove al massimo arriverà secondo.
Cosentino e gli altri impresentabili di Napoli e Caserta sono preziosi per la sopravvivenza del Cavaliere.
Così come è utile l’apporto di Claudio Scajola, ras della Liguria e altro big incandidabile del Pdl.
Il peso di Scajola è evidente in una regione considerata storicamente rossa. Lì, sempre nel 2008, una media uguale a quella nazionale, 36,74 per cento (cioè oltre 360mila voti), e un boom a Imperia, la città di Scajola, con il 47,87 per cento nell’intera provincia.
Da Cosentino a “Crisafulli Vladimiro Alberto Benedetto detto Mirello”, questo il nome sulla scheda elettorale dell’ingombrante senatore dalemiano di Enna, diventato il simbolo degli impresentabili del Pd.
Crisafulli ha un rinvio a giudizio per abuso d’ufficio e la magistratura ha documentato le sue frequentazioni con un boss mafioso.
Ai voti di Crisafulli, però, il Pd non vuole rinunciare, laddove, in Sicilia, un tempo Berlusconi vinse per 61 a zero.
Il senatore “Mirello” ha un radicamento antico.
Quando si presentò per l’ultima volta alle regionali, nel 2001, capitalizzò ben 9.642 voti nella sua circoscrizione natìa, distaccando di ben settemila voti il secondo eletto nella lista Ds. Quell’anno, la Margherita presentò altri due campioni delle preferenze, che sono oggi altri due impresentabili del Pd: Francatonio Genovese di Messina, esponente di una famiglia democristiana con numerosi conflitti d’interesse, e Antonino Papania di Trapani, che ha patteggiato due mesi e venti giorni per abuso d’ufficio.
Genovese venne eletto con 13.643 voti, Papania con più di ottomila.
Alle ultime politiche, Crisafulli e Papania sono stati eletti al Senato per il Pd, Genovese alla Camera.
L’exploit fu di Crisafulli, ovviamente. Un dato clamoroso a Enna.
Il Pdl vinse in Italia e in Sicilia tranne nella città di “Mirello”: 36,58 per cento contro il 35,88 dei berlusconiani.
A livello regionale, al Senato, il Pd tenne botta con un discreto 25,52 per cento e 7 seggi: ossia 635mila e 834 voti.
Quando si è votato per il nuovo governatore, nell’autunno del 2012, Enna (Crisafulli), Messina (Genovese) e Trapani (Papania) sono state determinanti per i 14 seggi del Pd.
A Enna, il partito di Bersani ha preso 10mila e 898 voti, pari al 15,58 per cento; a Messina 51mila e 44 voti, il 19 per cento.
A Trapani 20mila voti e il 12 per cento.
Percentuali importanti per il risultato del 13,4 per cento del Pd in tutta la Sicilia, davanti al Pdl (12).
I voti si contano sempre.
A quel punto la puzza è relativa, si sopporta.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL LEADER RADICALE VUOLE L’ACCORDO CON IL CENTRODESTRA, MA LA BONINO SI OPPONE E IL PARTITO SI SPACCA
Marco Pannella “a braccetto” con Storace. 
Il leader storico dei radicali ha convocato il gruppo dirigente a via di Torre Argentina per incassare l’ok all’alleanza con la Destra e il Pdl alle regionali del Lazio, ma non è andato tutto liscio: capitanato da Emma Bonino, si è trovato davanti mezzo partito contrario.
Secondo l’agenzia Dire, Pannella avrebbe insistito molto, racconta una fonte, senza porsi il problema di sostenere una parte politica, antiabortista, alla quale ha fatto opposizione in consiglio per cinque anni.
E la stessa Bonino era candidata per il Pd e tutto il centrosinistra proprio contro il centrodestra di Renata Polverini.
Sta di fatto che l’assemblea si è chiusa con la sospensione del giudizio.
E adesso cosa succede?
“Non sappiamo – spiega la stessa fonte – da noi non si vota… Decide Pannella. Però questa volta non credo che forzerà la mano, poco meno di metà partito è contrario”. Qualche giorno fa Storace si era espresso così: “Se i radicali vogliono un taxi io non ho pregiudiziali”.
Resta il fatto che per il partito di via Torre Argentina questo è un momento cruciale. Anche a livello nazionale, le trattative per ottenere ospitalità in qualche lista vanno avanti, e l’abboccamento con Storace rientrerebbe in una strategia più generale con
Berlusconi e il Pdl.
In Regione, con Nicola Zingaretti, candidato per il centrosinistra, il discorso sembra chiuso dopo l’altolà del pd ai due consiglieri radicali uscenti, Rossodivita e Berardo.
A livello nazionale, invece, c’è da registrare l’offerta di Ingroia di candidare Emma Bonino con Rivoluzione civile al Senato. Ipotesi difficile, vista la componente contraria all’amnistia (Di Pietro) presente nell’alleanza con l’ex pm di Palermo. Pannella, tanto per citarne uno, è contrario.
Comunque, per quanto riguarda il Lazio, una decisione andrà presa entro il 26 gennaio, mentre per le politiche la dead line è il 22 gennaio, con il deposito delle liste dei candidati.
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Gennaio 18th, 2013 Riccardo Fucile
AVEVA INDICATO DUE CANDIDATI DEL MOVIMENTO “AGENDE ROSSE” CHE PERO’ SONO STATI COLLOCATI IN LISTA MOLTO INDIETRO
Si allontanano sempre di più le strade di Salvatore Borsellino e Antonio Ingroia.
Dopo aver chiesto insistentemente e pubblicamente per giorni la smentita della indiscrezione sulla sua candidatura nelle liste di Rivoluzione civile ( poi arrivata domenica pomeriggio) ora Salvatore Borsellino denuncia pubblicamente che i due candidati del movimento delle Agende rosse da lui indicati all’ex procuratore aggiunto di Palermo per l’inserimento nelle liste, Lidia Undiemi e Benny Calasanzio, sono stati relegati agli ultimi posti dietro esponenti di partiti e volti mediaticamente noti della società civile.
E annuncia di non voler più sostenere il movimento di Ingroia.
“I politici sono stati scelti in base alle contrattazioni di vecchio stampo tra i partiti componenti la lista mentre i soggetti della cosiddetta società civile in base alla notorietà ed alla visibilità mediatica che non sempre coincidono con l’impegno civile. A questo punto – dice Borsellino – debbo purtroppo anticipare che difficilmente potrò confermare quell’appoggio che, dopo alcune perplessità iniziali, avevo dto alla lista di Rivoluzione civile”.
Poi l’attacco diretto ad Antonio Ingroia.
“Probabilmente – chiosa Borsellino – qualcuno era interessato unicamente alla mia candidatura e una volta venuta a cadere questa ipotesi e dopo che io ho preteso con forza una smentita che pure è tardata ad arrivare, non ha ritenuto di volere dare fiducia a questi giovani. Giovani che pure hanno sempre profuso il loro impegno civile anche a sostegno di quei magistrati che, continuando ad indossare la toga, vanno in cerca della Verità e della Giustizia”.
“Nutro grande stima, affetto e riconoscenza per l’impegno e la passione profusi in questi anni da Salvatore Borsellino nella lotta per la verita’ sulle stagioni piu’ buie della nostra storia” gli risponde il leader di Rivoluzione civile, “conoscendolo, capisco anche il suo disappunto per il fatto che la lista civica che abbiamo organizzato contiene anche, al suo interno, esponenti di punta di partito, ma Salvatore deve sapere che noi non siamo antipolitica”.
“Crediamo – aggiunge Ingroia – nella possibilita’ di mettere insieme le energie migliori della societa’ civile e della buona politica. Quegli stessi partiti che hanno combattuto dentro e fuori il Parlamento la battaglia per la verita’ sulla trattativa Stato-mafia e sulla stagione delle stragi. Da Di Pietro, che si e’ sempre speso per la difesa dell’indipendenza della Procura di Palermo, al centro di un incredibile attacco per impedire l’accertamento della verita’, a Rifondazione Comunista, che si e’ costituita parte civile nel processo sulla trattativa in corso a Palermo. E ancora, da Oliviero Diliberto, fra i pochissimi politici a difendere me e il pool da me coordinato fino alle battaglie dei Verdi contro l’eco mafia. Chiedo a Salvatore Borsellino di avere pazienza perchè i nomi in lista sono stati selezionati in base a storie lunghe e dolenti di impegno civile, spesso segnate da tragedie come quella di Salvatore. Un solo nome per tutti, Franco La Torre”.
Alessandra Ziniti
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