Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
LA FISSA DEI RECORD E DI “LAVORARE PER LA STORIA”
«Meno rughe per tutti!», strillava uno dei manifesti finti che ridevano delle promesse del Cavaliere. E poi «Più dentiere per tutti», «Meno tosse per tutti», «Più Totti per tutti»…
Un diluvio. Figuratevi quindi cosa sarebbe successo se fosse andato lui, in tv, a promettere come ha fatto Renzi, «Una casa per tutti». Apriti cielo!
Quello slogan, per gli amici ma più ancora i nemici, è la prova: Matteo si muove nel solco di Silvio.
Sull’età , a dire il vero, tra il giovane Silvio degli esordi e il giovane Matteo di oggi non c’è gara. Ricordate cosa scrisse anni fa, allegramente perfido, Mattia Feltri sul «Foglio» di Giuliano Ferrara?
«Che bello il Cav. con il lifting. Non gli si darebbe più di quarant’anni. Con le attenuanti generiche, anche trentacinque».
Ecco, Renzi non ha bisogno, come rise Le Monde, «di mantenere un aspetto giovanile, a volte con uno zelo quasi comico».
A Palazzo Chigi lui c’è arrivato prima di spegnere 40 candeline e con una ventina di anni di anticipo rispetto al Cavaliere che al momento della discesa in campo andava per la sessantina.
È vero però che i punti di contatto fra i due, esaltati dalle stralunate imitazioni di Maurizio Crozza, sono diversi.
Per cominciare, hanno un’ottima opinione di se stessi. Silvio, chiamato a descriversi, rispose: «Il mio ruolo? Attaccante, centrocampista, difensore e anche regista in panchina. Sono fruibile per qualsiasi ruolo…Sapete, sono un po’ montato».
Matteo, quando strappò a Lapo Pistelli la candidatura a sindaco di Firenze, il trampolino di lancio della sua ascesa, mandò un amico (o almeno così dicono i suoi avversari) ad appiccicare fuori dalla porta del comitato elettorale dello sconfitto un cartello irridente: «Chiuso per manifesta superiorità ».
Certo, entrambi sorridono del vizietto sdrammatizzando con l’autoironia.
A tutti e due, in tempi diversi, l’Italia chiede miracoli?
Il primo ne rise così: «All’Ospedale San Raffale una madre mi pregò di convincere il figlio bloccato provvisoriamente su una sedia a rotelle a riprendere a camminare. Mi presentai dal ragazzo e gli dissi: “Giacomo, fatti forza. Alzati e cammina…” Lui, dopo alcuni giorni, si alzò».
Il secondo, ogni tanto ammicca: «Un amico mi ha detto: Dio esiste ma non sei tu».
Stessa tecnica: meglio prendersi in giro, sul tema della vanità , prima che lo facciano gli altri…
C’è da capirli: mica facile tenere la testa sul collo tra i cori di certi laudatores dediti al turibolo e all’incenso.
Tra gli adoranti del Cavaliere c’è chi si spinse, come Claudio Scajola, a dire: «Berlusconi è il sole al cui calore tutti si vogliono scaldare. Ha capacità di attrazione molto forti. È geniale. Di persone come lui ne nascono due in un secolo».
«Chi è il secondo?», gli chiese mariuolo Claudio Sabelli Fioretti. E lui: «John Kennedy».
Per Renzi, Carlo Rossella si è avventurato più in là : «Un magnifico incrocio tra Pico della Mirandola e Niccolò Machiavelli».
Non lavorano forse entrambi per la storia? «Conto di rivedere tutti i codici giuridici e, in primo luogo, quello delle imposte. Nel mio piccolo sarò Giustiniano o Napoleone», dichiarava il Cavaliere.
«Io non voglio cambiare governo, voglio cambiare l’Italia», ha giurato il sindaco di Firenze.
Va da sè che, con tanti violini, trombe e grancasse intorno, capita perfino a loro due, nonostante le proverbiali sobrietà , modestia e riservatezza, di avere qualche brividino di importanzite.
Come la volta che Matteo lanciò nell’aere un tweet in cui parlava di sè in terza persona come faceva Diego Armando Maradona: «Dicono Renzi non è di sinistra perchè legati all’idea che è di sinistra solo quello che perde».
Niente in confronto, tuttavia, con l’ego a soufflè dell’allora giovine (politicamente) Berlusconi: «Non voglio parlare di me in terza persona ma molto spesso mi viene comodo. Questo però non significa nessuna aumentata considerazione di me stesso. Anche perchè più alta di così non potrebbe essere».
Niente, però, li accomuna, quanto la fissa del record.
Ricordate Sua Emittenza? Primo in tutto.
Nel calcio: «Sono il presidente più vincente di tutti e la storia del football si ricorderà di me». Nell’imprenditoria: «Io ho una caratura non paragonabile a nessun europeo. Solo Bill Gates, in America, mi fa ombra…».
In politica: «Sono il recordman come presidente del Consiglio, visto che ho superato il grande politico Alcide De Gasperi che ha governato 2.497 giorni mentre io credo di aver toccato i 2.500 giorni». Matteo Renzi non è da meno: il presidente di provincia più giovane d’Italia, il sindaco di Firenze più giovane di sempre, il premier più giovane di tutti i tempi, l’inventore del governo con più donne che mai si sia visto…
E via con le riforme a raffica: o la va o la spacca.
«Nel caso che al termine di questi cinque anni di governo almeno quattro su cinque di questi traguardi non fossero stati raggiunti», diceva il contratto firmato dal Cavaliere sotto gli occhi benedicenti di Bruno Vespa, cerimonioso ospite oggi di Renzi, «Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche».
Parole non dissimili da quelle pronunciate dal neopremier: «Se non riusciremo ad arrivare al superamento del bicameralismo perfetto, non dico che terminerà questa esperienza di governo: dico che io lascerò la politica».
Spiegò una volta Silvio Magnago che «il segreto di una politica di successo consiste in tre cose. Primo: avere buone idee. Secondo: crederci fermamente. Terzo: metterci un pizzico di demagogia perchè anche la merce buona bisogna poi saperla vendere».
E su questo lo stesso Renzi, che pure ha mostrato di soffrire un po’ i paragoni, deve convenire: nel saper «vendere la merce» (buona o cattiva che sia) è difficile non vedere un parallelo.
L’uno e l’altro, che siano intervistati da un giornale, ospiti in tv o chiamati a intervenire in Aula, non parlano ai giornalisti o ai colleghi: parlano direttamente ai loro elettori. Al popolo.
Antonio Ricci, che conosce bene entrambi, l’ha detto: «Matteo è un venditore straordinario, al livello di Silvio giovane».
I parallelismi gli danno fastidio? Si consoli: il titolone «Renzi si sgonfia subito» fu preceduto nel 1994 dal giudizio di Roberto Maroni dopo l’esordio del Cavaliere: «Ho capito di che pasta è fatto. Fin che si parla si parla, ma poi… Magari arriverà pure alla presidenza del Consiglio ma poi quanto ci resta? Alla prima rogna si sgonfia e torna ad Arcore con la coda fra le gambe».
È rimasto vent’anni.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
LO STILE È TROPPO DIRETTO, IL RISCHIO BLUFF È ALTO, EPPURE LA “POLITICA” È DIVENTATA COMPRENSIBILE
È ormai consuetudine ritenere Matteo Renzi un fenomeno della comunicazione.
Lo è, ma solo se lo si paragona a chi lo ha preceduto nel Pd, da Pierluigi Bersani a Enrico Letta. Renzi è più che altro uno scaltro imbonitore, un abile venditore.
Lo ha dimostrato anche due giorni fa, quando ha trasformato una conferenza stampa in una televendita degna di Roberto da Crema.
A fine piazzata, è venuta a molti la tentazione di acquistare da Renzi un set di pentole a pressione o anche solo un tappeto persiano.
A conferma che il talento narrativo di Renzi sia discreto ma non eccelso, sono arrivate le critiche degli esperti di comunicazione come Giovanna Cosenza, che ieri ha dichiarato al Fatto : “Sembrava uno spot di Lidl. Era tutto molto ostentato, esagerato. Sembrava un discorso da meeting aziendale, ma non recente, degli anni ’80”.
Ovvero gli anni in cui Renzi è cresciuto. Anni di paninari e di effimero, di Moncler e di Righeira, figure retoriche — non a caso — inamovibili nel suo Pantheon.
Il Premier, tra un hashtag e una slide, ha sciorinato il repertorio d’ordinanza : decisionismo, ambizione, arroganza, battutine, promesse e fanfaronate.
La rete lo ha paragonato a Wanna Marchi e Giorgio Mastrota.
Conscio del rischio di apparire come un venditore di pentole, Renzi ha sbandierato autoironia (“Venghino signori venghino”) e inseguito la risata facile come un segugio: il “pesce rosso”, “l’auto blu di La Russa”, “non je la famo”, “à§a suffit”.
E le risposte secche alle domande critiche (“Crede che questo basterà per la ripresa?”, “Sì”), a voler rimarcare che lui è l’uomo della svolta (buona) e gli altri nient’altro che pessimisti che sanno solo odiare.
Se la forma è sostanza, Renzi era e resta un venditore di fumo, e neanche fumo di gran qualità . Tutto male, dunque? Così sembra per molti, compreso chi fino a mercoledì pareva venerarlo.
È vero che la conferenza stampa metteva imbarazzo, satura com’era di esagerazioni e smargiassate. Il Premier era però così anche prima.
È il primo a non ignorare quanto spesso le spari grosse: la differenza tra lui e gli apostoli è che Renzi sa mascherare i bluff mentre le Boschi (disastrosa due giorni fa da Daria Bignardi) non convincono nessuno.
Sono anni che Renzi comunica così, alla Leopolda come nei tour elettorali che erano in realtà format curatissimi.
Saranno i prossimi mesi a dire se Renzi è un bombarolo: uno spacciatore di promesse, al cui confronto il suo maestro Berlusconi sembra quasi un pusher sfigato di bugie.
La novità comunicativa è però innegabile. Renzi non è un campione del messaggio, parla cantilenando e anche la gestualità è sempre più appesantita (come il fisico), ma la cesura stilistica con il passato c’è.
I retroscenisti gridano al sacrilegio, i notisti lamentano la rottura del protocollo. Sono gli stessi che, dopo il discorso al Senato, contestarono non il contenuto ma il fatto che il Premier fosse andato a braccio .
Renzi comincia a rimanere antipatico a chi crede ancora nella sacralità polverosa del Parlamento, e questo — per lui — è un buon segnale
Negli ultimi la politica italiana è stata sottoposta a un effetto-trasparenza brutale.
Una trasparenza probabilmente di facciata, perchè gli accordi si continuano a fare nelle stanze segrete (basta pensare all’Italicum), ma almeno la comunicazione non è più soporifera come prima. più comprensibile e meno per iniziati.
Letta avrebbe mellifluamente addormentato la platea, Renzi l’ha fatta ridere (forse più di quanto lui stesso voleva).
E’ meglio? E’ peggio? E’ un cambiamento. Una mutazione radicale nella ritualistica comunicativa.
Anche in questo Renzi prova a essere più grillino dei grillini: lo fa liberandosi delle auto blu, ma lo fa anche demitizzando la liturgia come cerca di fare il Movimento 5 Stelle (per esempio con gli streaming).
Il punto, ora, non è rimpiangere i brodini lettiani perchè scandalizzati dai fuochi d’artificio renziani, ma appurare se ai botti seguiranno i fatti.
Se dopo le slide arriverà la ripresa.
Se il futuro sarà più Blair o Mastrota.
Andrea Scanzi)
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
IL MARITO DELLA MUSSOLINI: «SI, INCONTRAI QUELLA RAGAZZA» …. TRA I CLIENTI ANCHE FUNZIONARI FAO E IL VICECAPO DEL DIPARTIMENTO INFORMATICA DI BANKITALIA
Il suo nome è inserito in una lista di clienti delle ragazzine dei Parioli. Non è bastata per Mauro Floriani, marito dell’onorevole Alessandra Mussolini, la dichiarazione fatta ai magistrati: «È vero, sono stato con lei un paio di volte, ma certamente non immaginavo che avesse 15 anni».
«È vero, sono stato con lei un paio di volte, ma certamente non immaginavo che avesse 15 anni». Così, di fronte ai magistrati di Roma, Mauro Floriani ha cercato di scrollare da sè l’accusa grave di aver sfruttato una minorenne. Non è bastato.
La contestazione è stata formalizzata, le indagini sul suo conto sono ormai alle battute finali.
Il marito dell’onorevole Alessandra Mussolini è inserito in una lista di clienti delle ragazzine dei Parioli – Aurora e Azzurra si facevano chiamare – nei confronti dei quali sono già stati effettuati numerosi riscontri.
Tra loro c’è anche il figlio di un parlamentare del centrodestra che dovrebbe essere interrogato nei prossimi giorni.
E poi il vicecapo del Dipartimento Informatica di Bankitalia Andrea Cividini, alcuni funzionari della Fao, almeno un manager della società di revisione «Ernst & Young».
I carabinieri del nucleo operativo della capitale coordinati dal colonnello Lorenzo Sabatino hanno raccolto le informazioni sul loro conto incrociando i tabulati telefonici delle due giovani prostitute, intercettando le conversazioni, effettuando pedinamenti.
Poi hanno trasmesso tutti i dati al procuratore aggiunto Maria Monteleone e al sostituto Cristina Macchiusi.
Floriani e l’appartamento
Floriani si è presentato in Procura per essere interrogato sperando probabilmente di evitare che il suo nome potesse trapelare. Già dallo scorso ottobre, dopo aver messo sotto i controlli i telefoni delle ragazzine, i carabinieri avevano captato la sua voce e annotato gli appuntamenti presi con la quindicenne.
Tutti gli incontri sono avvenuti nell’appartamento di viale Parioli. «Arrivo a quest’ora, va bene?», chiedeva prima di presentarsi.
Il suo contatto era diretto, cioè non mediato dagli sfruttatori. Lo ha confermato lui stesso ai magistrati: «Sono arrivato alla ragazza attraverso l’annuncio che aveva messo sul sito “Bakecaincontri”. Lì specificava di avere 19 anni e io credevo fosse la verità ».
Era accompagnato da un legale e ha mostrato un atteggiamento collaborativo, sia pur negando la propria consapevolezza riguardo all’età e in particolare al «giro» che si celava dietro quel «post» inserito su Internet già dalla primavera scorsa.
La sua versione non ha però convinto i magistrati, anche perchè i tabulati telefonici dimostrano che i contatti sono stati diversi. La frequentazione della casa da parte di Floriani era cominciata alcuni mesi prima, almeno da luglio.
E soprattutto, evidenziano gli inquirenti «diversi uomini sono andati via dopo aver visto le ragazzine e compreso che si trattava di giovanissime. Difficile credere che invece lui non se ne fosse accorto».
È questa circostanza ad aver fatto scattare la contestazione. E tra qualche settimana potrebbe già arrivare il provvedimento di chiusura delle indagini che precede la richiesta di rinvio a giudizio.
Il figlio dell’onorevole
I clienti della baby squillo sono decine e decine, soltanto ventidue quelli già indagati. Tra loro c’è anche il figlio di un parlamentare che nelle prossime ore riceverà un avviso a comparire.
Anche lui è stato intercettato mentre prendeva appuntamento con le giovani e agli atti c’è la prova degli incontri avvenuti, anche dei soldi versati per le prestazioni sessuali.
Elementi «certi» secondo gli inquirenti sono stati raccolti pure nei confronti di imprenditori, professionisti, gli impiegati che più volte incontravano le ragazze, talvolta organizzando gli appuntamenti nelle proprie abitazioni oppure in alcuni hotel.
A far scattare i controlli è stata la denuncia presentata dalla madre della quindicenne lo scorso agosto.
Subito dopo i pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto l’intercettazione dei cellulari delle due ragazze e grazie a questo tipo di verifiche sono riusciti a «incastrare» svariati clienti.
Altri sono stati rintracciati attraverso l’analisi dei semplici tabulati e in questi casi si sono resi necessari maggiori controlli, anche perchè non sempre l’intestatario dell’utenza era il reale utilizzatore: alcuni numeri sono intestati a donne risultate totalmente estranee all’inchiesta, probabilmente parenti di chi invece era un cliente più o meno abituale.
Video, foto e ricatti
Nel fascicolo processuale ci sono numerosi video girati dai carabinieri. Documentano il pedinamento delle ragazze e dei loro sfruttatori mentre si incontrano in vial Parioli e poi si muovono per andare dai clienti.
Ma mostrano anche numerosi uomini mentre varcano il portone dopo aver ottenuto l’appuntamento. E sono proprio questi filmati una delle prove «incontrovertibili» delle quali ha parlato il procuratore Monteleone.
Ben diversi sono invece i video girati con il telefonino da uno degli sfruttatori che, questo è il sospetto degli inquirenti, potrebbero essere stati utilizzati per ricattare i clienti.
Riprese effettuate di nascosto, talvolta con la complicità delle ragazze che però hanno poi negato di essere consapevoli. Anzi. «Lo abbiamo saputo soltanto dopo», hanno raccontato ai magistrati. Senza però essere credute.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
RIVOLUZIONI, GRANDI RIFORME, INTERVENTI CHOC, LA GARA TRA PREMIER, MINISTRI E GIORNALI AL SEGUITO PER ENFATIZZARE IL BLA-BLA-BLA ELETTORALE
Miliardi di qua, miliardi di là .
Per un mese, da quando TurboRenzi ha preso il posto di Letta Nipote, lui e i suoi ministri e i giornali al seguito hanno fatto a gara a chi annunciava più miliardi e prometteva più riforme (naturalmente “grandi”, anzi “choc”) e patti e assi e rivoluzioni e accelerate e spinte e scosse e lanci e rilanci e sblocchi e soluzioni e coperture e svolte e sprint e cunei in tutti i campi dello scibile umano: dalle tasse alle scuole, dalla legge elettorale alle riforme costituzionali, della casta alle auto blu, dalle regioni al Senato, dal lavoro (anzi job) all’occupazione, dalla casa alla ricerca, dal Mezzogiorno al Nord, dalla spending review alla giustizia, dal debito pubblico all’Europa.
Così, quando è arrivato il mercoledì decisivo (ovviamente “super”, anzi un “mercoledì da leoni”), quello della conferenza stampa-televendita, un filo di delusione è seguito alle Grande Illusione.
E dire che l’annuncio di 80 euro al mese in busta paga per i redditi più bassi è comunque un bel risultato, o meglio lo sarebbe se esistesse anche uno straccio di legge che lo prevede, al di là delle slide, degli effetti speciali e dei pesciolini rossi del premier imbonitore.
Checchè se ne dica, forse non è stata una grande idea da “grande comunicatore” quella di promettere tutto a tutti, creando aspettative talmente enormi da sminuire anche le eventuali cose buone (inevitabilmente poche) che seguiranno.
17 FEBBRAIO
Renzi riceve l’incarico al Quirinale. “Faremo una riforma al mese. Febbraio, riforme costituzionali ed elettorali: Italicum e abolizione del Senato. Marzo, riforma del lavoro. Aprile, riforma della Pubblica amministrazione. Maggio, riforma del fisco. Giugno, riforma della giustizia”. Ora, febbraio è finito da un pezzo e le riforme sono in alto mare.
Marzo è già a metà e il Jobs Act è ancora un libro dei sogni: diventerà un disegno di legge delega al governo, che coi tempi parlamentari non sarà in vigore prima di un anno.
E gli altri mesi sono già tutti impegnati da PA, fisco e giustizia. È anche vero, però, che Renzi ha detto febbraio, marzo, aprile ecc., ma non ha precisato di quale anno.
22 FEBBRAIO
Il governo è pronto e Renzi, sciogliendo la riserva, dà la linea: “Tanti fatti e pochi annunci. Basta spot: concretezza da sindaci”.
Poi, nel primo Consiglio dei ministri, ordina ai medesimi: “Lavorare e tacere”.
Ecco dunque i primi annunci. “Prima scossa: subito giù Irpef e Irap. Taglio Irap del 10% e riduzione Irpef sotto i 15 mila euro” (La Stampa, 23-2). “Studierò come una secchiona, pochi 53 miliardi per la scuola” (Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, Repubblica, 23-2)
23 FEBBRAIO
È domenica, ma il sottosegretario Graziano Delrio annuncia lo stesso: aumenteranno le tasse sui Bot. Palazzo Chigi rettifica: “Solo una rimodulazione”. “Un miliardo di gettito in più dai titoli preferiti dalle famiglie” (La Stampa, 24-2). Inizia il balletto sulla spending review del povero Carlo Cottarelli. Quanti miliardi? “Vertice notturno Renzi-Padoan sulla spending review. Tagli subito fino a 5 miliardi” (Messaggero , 24-2). “Subito 4 miliardi di tagli alla spesa” (Corriere della Sera, 24-2). “Pronto il piano Cottarelli. Subito 6 miliardi di tagli. Nel mirino acquisti e sussidi. Già quest’anno possibili risparmi da dirigenti, auto blu, formazione” (La Stampa, 24-2). E non basta: “3 miliardi sono attesi dal rientro dei capitali all’estero, altri 3 dal taglio degli interessi sul debito” (Corriere , 24-2).
24 FEBBRAIO
Renzi ottiene la fiducia al Senato: “Voglio uscire dal Truman Show, siamo qui per parlare il linguaggio della franchezza, al limite della brutalità ”. Francamente e brutalmente annuncia: “Subito riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale”. Si pensa alla doppia cifra in percentuale, ma lui rettifica: “È riferita ai miliardi, almeno 10, non alle percentuali”.
E attenzione: “Sblocco to-ta-le e non parziale dei debiti delle Pubbliche amministrazioni per dare uno choc”: ma qui 22,5 miliardi il Tesoro li ha già pagati e altri 25 li ha già stanziati e coperti Letta.
Gli altri 47 sono fuori bilancio, mai certificati: impossibile sapere quanto deve lo Stato e a chi. Infatti il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan risponde alle domande con un “no comment” e dice che il miracolo renziano sui debiti delle PA “è ancora da precisare”. Intanto Renzi mette la freccia e promette “l’aumento del Fondo di garanzia per le Pmi” (già aumentato da Letta a 95 miliardi) e il rilancio dell’edilizia scolastica (1,8 miliardi già stanziati da Letta). “Terapia shock: subito 60 miliardi” (l’Unità , 25-2).
25 FEBBRAIO
Renzi incassa la fiducia anche alla Camera, poi vola a Ballarò: “Entro 15 giorni il decreto per sbloccare 60 miliardi alle imprese” (ieri s’è saputo che non c’è nessun decreto, ma solo un ddl: campa cavallo). “Entro un mese taglio il cuneo fiscale con le coperture” (ieri ha detto che le coperture le annuncia fra dieci giorni e il taglio scatta dal 1° maggio). I giornali, non bastando i suoi, si scatenano con altri annunci. “Scuola, 2 miliardi per ristrutturare le aule” (Repubblica , 26-2). “Il calo delle tasse, si parte dall’Irap. Subito una riduzione del 10%” (Corriere , 26-2). Dunque si punta sull’Irap, non sull’Irpef: ma non era una doppia cifra in miliardi? “Patto con le imprese: meno Irap, sconti più leggeri. Sgravi Irpef, 50 euro al mese. Cuneo, detassati 10 miliardi: 8 alle famiglie sotto i 2.000 euro, 2 alle aziende” (Repubblica , 26-2). Dunque siamo intesi: tagli misti, un po’ all’Irpef e un po’ all’Irap.
26 FEBBRAIO
Renzi incontenibile: “Entro il 10 marzo censimento per una verifica puntuale sul patto di stabilità per capire quanto possono sforare i Comuni” (oggi è il 14 marzo e non è successo niente). “Il 17 marzo, all’incontro con la Merkel, avrò pronto il piano sul lavoro” (mancano tre giorni e ieri s’è saputo che il Jobs Act sarà un ddl delega, se va bene in vigore fra un anno, ma senza i decreti delegati: hai voglia). Frizioni fra Palazzo Chigi, tutto renziano, e il Tesoro, tutto lettian-dalemiano. “Renzi-Padoan, prima grana sui debiti. Il premier: subito 60 miliardi per pagare le imprese. Ma il ministro non è convinto” (La Stampa, 27-2). “Ricetta spagnola per sbloccare i debiti dello Stato. Così il governo restituirà grazie a Cassa Depositi e Prestiti 60 miliardi alle aziende creditrici” (Repubblica , 27-2). “Renzi: possibile tagliare l’Irap del 30%” (ibidem). “Renzi pronto a soccorrere le imprese. Allo studio un taglio del 30% dell’Irap” (Corriere , 27-2). Intanto il governo dà il via libera ai Comuni per aumentare la Tasi a tutti. Fuorchè alla Chiesa, ci mancherebbe.
28 FEBBRAIO
Arriva l’orda dei 45 viceministri e sottosegretari. Palazzo Chigi annuncia un piano-turbo per il lavoro. La disoccupazione, dice Renzi, è “allucinante”. “Ora un Jobs Act da 100 miliardi. Il piano Renzi per invertire la rotta” (l’Unità , 1-3). “Renzi: ‘Uno choc all’economia. Rispondiamo a chi non ha impiego’” (La Stampa, 1-3). “Ecco il Jobs Act targato Renzi: sussidio di disoccupazione anche per i lavoratori precari. Con il Naspi circa 1.000 euro al mese per chi perde il posto. Il piano costerà 8,8 miliardi in tutto” (Repubblica, 1-3). Ma ‘sto Jobs Act è da 100 o da 8,8 miliardi? Mistero.
1° MARZO
Renzi, irrefrenabile, annuncia il Piano Casa. “Piano casa da 1 miliardo e mezzo. Arrivano i bonus per le ristrutturazioni, mutui agevolati e taglio del 10% della cedolare secca sugli affitti” (La Stampa, 2-3).
4 MARZO
Renzi riannuncia il pagamento dei debiti della PA. “Renzi si accorda con le banche per dare 60 miliardi alle imprese. Il piano è già pronto” (Libero, 5-3).
5 MARZO
Renzi visita una scuola a Siracusa, accolto dal coretto dei piccoli balilla. Intanto l’Europa denuncia che l’Italia ha i conti pubblici più squilibrati dell’Unione, insieme a Slovenia e Croazia. Ma per il premier è tutta colpa di Letta: “Sapevamo che i numeri non erano quelli che raccontava Enrico”. Saccomanni s’incazza e lo costringe a rimangiarsi tutto. Intanto il taglio del cuneo pare restringersi un pochino: “Nella cura Padoan tagli al cuneo fiscale per 7,5 miliardi” (Corriere , 6-3). Doppia cifra, ma con la virgola in mezzo. Eppure ci sarebbe di che scialare: “Dallo spread controcorrente 15 miliardi di ossigeno” (Corriere , 6-3).
6 MARZO
Il decreto sui capitali all’estero segna il passo in Parlamento: il governo lo ritirerà presto per rifarlo ex novo. “Ora è a rischio il decreto per il rientro dei capitali. Lo Stato avrebbe dovuto incassare 3 miliardi nel 2014” (Corriere , 7-3). Finalmente è deciso dove tagliare il cuneo fiscale. Lo svela il viceministro dell’Economia, Enrico Morando: “Non disperdiamo le risorse. Serve un taglio forte dell’Irap per rilanciare le imprese. In un secondo tempo sgravi sull’Irpef” (La Stampa, 7-3). Dunque solo tagli all’Irap, per l’Irpef si vedrà . La Camusso s’incazza.
7 MARZO
Il Tesoro conferma: tagli al cuneo solo sull’Irap, cioè solo alle imprese, e non sull’Irpef, cioè non ai lavoratori. La Cgil minaccia “lotta dura”. “Matteo cerca 20 miliardi per rilanciare la crescita: 10 dovrebbero arrivare dall’eliminazione delle detrazioni fiscali alle imprese, 5 dalla spending review di Cottarelli, 5 dalla tassazione sul rientro dei capitali all’estero” (il Giornale, 8-3). E la scuola? “No a grandi riforme. Interventi per la sicurezza da un miliardo di euro” (Stefania Giannini, ministro Istruzione, Corriere , 8-3). Ma non erano 2? “Assunzioni mirate con 2,5 miliardi. Incentivi europei ai giovani e lavori hi-tech: le ipotesi per l’occupazione. Il possibile uso delle risorse comunitarie” (Corriere , 8-3). Poi arriva la gelata dell’Europa: impossibile usare i fondi strutturali per ridurre le tasse sul lavoro. “Renzi taglia 10 miliardi di Irpef: quasi 80 euro in più in busta paga per chi guadagna fino a 25 mila” (Repubblica , 8-3). Quindi il taglio è sull’Irpef. Ma non era solo all’Irap?
8 MARZO
Casino totale. Taglio misto, un po’ Irpef e un po’ Irap. “Irpef o Irap, il governo si spacca. Il premier: ‘No a uno sterile derby, in ballo c’è il rilancio del Paese. I numeri: 10 miliardi di taglio Irpef, 2,6 miliardi di sconti fiscali alle imprese” (Repubblica , 9-3). “Taglio dell’Irpef e dell’Irap Il governo cerca 10 miliardi” (Corriere , 9-3). “Irpef e Irap, tagli a metà . Padoan vorrebbe agevolare le imprese, ma Renzi cerca il compromesso. Spunta l’ipotesi dell’intervento bilanciato” (La Stampa, 9-3). “Riduzione contestuale del 10% dell’Irap e di 5,5 miliardi di Irpef” (Filippo Taddei, guru economico di Renzi, 9-3). “Padoan: ‘Concentrare l’intervento in una sola direzione, o tutto sulle imprese, quindi Irap e oneri sociali, o tutti sui lavoratori, attraverso l’Irpef” (Sole 24 Ore, 9-3). “Serve un’azione duplice, riduzione Irap per le imprese e Irpef per i lavoratori” (Angelino Alfano, Ncd, ministro Interno, 9-3).
9 MARZO
Renzi da Fabio Fazio non svela chi vince il derby Irpef-Irap, ma smentisce il fifty fifty: “Mercoledì tagliamo le tasse di 10 miliardi pensando alle famiglie, ma nessuno mi crede”. Corrado Guzzanti su Facebook: “Mercoledì Renzi abbasserà le tasse. Il fenomeno sarà visibile per alcuni minuti anche in Italia, verso mezzanotte”.
10 MARZO
Il taglio del cuneo sarà tutto sull’Irpef. “Dieci miliardi per le famiglie. Renzi: il tesoretto andrà tutto nelle buste paga. Accantonata l’idea di tagliare anche l’Irap. Difficile trovare i soldi per ridurre il cuneo dopo il no dell’Europa sull’uso dei fondi comunitari. E il risparmio sugli interessi del debito è solo sulla carta perchè non è sicuro che lo spread continui a scendere” (La Stampa, 11-3). “Irap e Irpef, l’ipotesi di un taglio a rate. Taglio bilanciato a tappe. Spunta la stretta sulle pensioni di reversibilità . Per la coperture possibili risparmi sulle commesse per i caccia F-35” (Corriere , 11-3). “Il governo scopre che non ha i soldi per tagliare le tasse: sia i miliardi della spending review sia quelli per le imprese non ci sono” (Libero, 11-3). In compenso però “Trovati 2,5 miliardi per gli interventi sull’edilizia scolastica fino al 2016” (La Stampa, 11-3).
11 MARZO
Contrordine, ragazzi: “Renzi: meno tasse da aprile. ‘Le coperture ci sono, indiscutibili e oggettive’” (La Stampa, 12-3). E pure troppe. “Copertura doppia: il bacino a cui attingere sarebbe addirittura di 20 miliardi” (Corriere , 12-3). “Ci sono fino a 20 miliardi, il doppio del necessario. La grossa parte, circa 7 miliardi, verrebbe dalla spending review, con altri interventi selettivi e stabili. Altri 6,4 miliardi arriverebbero dall’ampliamento del deficit dall’attuale 2,6% fino ad arrivare a ridosso del 3%. Il rientro dei capitali dalla Svizzera fornirà circa 2 miliardi. Circa 1,6 miliardi verrebbero dall’Iva incassata dallo Stato in occasione dei nuovi pagamenti dei debiti della PA. Il risparmio per i tassi d’interesse più bassi sarebbe di 3 miliardi sul debito” (Repubblica , 12-3). Insomma, di miliardi ce n’è pure per dare le mance. Ma allora perchè, invece di fare una conferenza stampa con l’ennesimo annuncio del taglio delle tasse da 10 miliardi, non ha presentato un decreto o un disegno di legge? Per svariati miliardi di motivi.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
FEDERICA GAGLIARDI NEL GIUGNO 2010 ERA STATA INDICATA COME “RESPONSABILE DELLA SEGRETERIA DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA REGIONE LAZIO”
Ormai sono anni che non passa mese, o settimana, senza che s’ingrossino le fila dei cosiddetti «traditori di Berlusconi»: persone che, dopo essere state alleate del Cavaliere, o più semplicemente dopo averlo sostenuto, l’hanno poi abbandonato.
Si cominciò con Casini, poi con Fini, quindi perfino con gli ex fedelissimi Alfano Schifani Lupi eccetera.
Questo solo per stare fra i politici, dunque senza contare imprenditori, intellettuali, giornalisti e soprattutto elettori da tempo approdati ad altri lidi, o a quel nessun lido che è l’astensione.
Tutti costoro sono stati via via scomunicati — da un mondo berlusconiano sempre più chiuso in una sorta di ridotta dove si sta a cercar la bella morte — come disertori, opportunisti, venduti alla sinistra.
Mai s’è voluto, da parte dell’attuale rinata Forza Italia, riconoscere che una simile emorragia di consensi coincideva temporalmente con una quasi inspiegabile deriva umana del Capo.
L’arresto per detenzione di ventiquattro chili di cocaina della sua ex “dama bianca”, che fu ufficialmente portata al G8, non farebbe tanto scalpore se non venisse naturale accostare questo fatto ad altri fatti e ad altri personaggi.
Pusher ed escort pugliesi, ricattatori, mezze spie, prostitute professioniste che hanno il cellulare personale di Berlusconi presidente del Consiglio e lo chiamano nottetempo a Parigi per chiedergli di intervenire in favore di una minorenne arrestata per furto…
È questa lunga serie di episodi che ha fatto nascere, in tanti esponenti o simpatizzanti del centrodestra, la seguente inquietante domanda: ma chi s’è messo a frequentare Berlusconi?
Perchè è passato da Colletti, Melograni, Vertone, Pera, Ferrara eccetera a Lele Mora, Tarantini e Ruby?
In Italia c’è stato senz’altro, contro il fondatore di Forza Italia, un accanimento che ha perfino danneggiato la controparte, cioè la sinistra, per vent’anni ostaggio della propria ossessione antiberlusconiana.
Ma non riconoscere che il Cavaliere, per avviarsi al tramonto, ci ha messo del suo, è pura cecità .
Il 25 aprile 2009 Berlusconi pareva avere l’Italia in tasca: era al governo con una maggioranza devastante, aveva giocato benissimo la partita dell’emergenza post terremoto dell’Aquila e, parlando ad Onna per la festa della Liberazione, aveva perfino spiazzato gran parte della sinistra.
Il giorno dopo finì chissà come a Casoria per la festa di una diciottenne che lo chiamava «Papi».
La sua parabola discendente cominciò in quel preciso momento.
Ecco perchè la notizia dell’arresto della sua ex dama bianca per cocaina, al di là delle ovvie cautele del caso (tutto è naturalmente da provare), non stupisce più di tanto. Qualcosa è successo, all’uomo Berlusconi, negli ultimi anni; e chi si ostina a non ammetterlo non solo non gli vuole bene, ma continua a illudersi che le traversie del Capo siano dipese esclusivamente dall’offensiva dei nemici.
Michele Brambilla
(da “La Stampa”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
CUNEO FISCALE, RENZI PROVA A CONVINCERE L’EUROPA
Chiuso un fronte, se ne riapre un altro.
La scommessa di Matteo Renzi sul taglio delle tasse su cui il premier ha detto di “giocarsi tutto”, dopo la prima battuta di arresto di ieri, con la sola presentazione delle misure, senza provvedimento, deve affrontare lo scoglio dell’Unione Europea.
L’azzardo del premier, confermato anche dal ministro Pier Carlo Padoan in conferenza stampa, è quello di utilizzare quello 0,4% di margine di spesa tra il 3 per cento fissato dall’Europa e il 2,6 stimato dall’Europa per il nostro Paese quest’anno.
Oltre sei miliardi, nelle intenzioni del premier a cui dovrebbero aggiungersi i 3 miliardi messi in conto da Carlo Cottarelli per la spending review e i 2,4 miliardi dalla minore spesa per interessi sul debito dovuto all’abbassamento dello spread.
Ma il percorso per arrivarci, a questi sei miliardi, è tutt’altro che privo di ostacoli. E gli appuntamenti di lunedì, con i faccia a faccia del premier con Francois Hollande e Angela Merkel, possono già rivelarsi molto importanti.
Con Francia e Germania, c’è da strappare il semaforo verde allo scostamento sul disavanzo programmato, e sarà fondamentale in questo senso la capacità di persuasione del presidente del Consiglio.
Ogni allontanamento dagli obiettivi di bilancio fissati, con la firma del Fiscal compact — recepito in parte nell’articolo 81 della Costituzione -, deve passare dal via libera del Parlamento e, soprattutto, della Commissione.
Non si tratta più soltanto di restare entro il contestato tetto del 3%, ma di dover giustificare — come in questo caso — significative variazioni di spesa rispetto agli obiettivi di medio termine e all’orizzonte del pareggio di bilancio che misure di questo tipo allontanano sempre di più.
Fonti europee spiegano che il margine “tecnicamente” c’è, ma nel caso italiano, quello cioè di un Paese da poco uscito dalla procedura di deficit eccessivo, il rischio è di rinviare se non appesantire l’aggiustamento strutturale dello 0,5% di Pil richiesto dall’Europa per ridurre il debito.
Al di là dei colloqui con i leader europei, il primo passaggio formale indispensabile sarà l’adozione nel Def del nuovo margine di manovra. Uno scostamento che, come scritto, dovrà esserà passare al vaglio al vaglio del parlamento prima ancora della Commissione.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
IL SOCIOLOGO: “I TAGLI ALLA SPESA COLPIRANNO L’OCCUPAZIONE”… “IL TAGLIO DEL 10% DELL’IRAP FAVORIRA’ IL FATTURATO NON LE ASSUNZIONI”…”GLI 80 EURO? MEGLIO AIUTARE A USCIRE DAL PRECARIATO”
“Renzi un leader di sinistra? Direi di no, molti intellettuali farebbero i salti nella tomba a sentirlo definire così”.
Luciano Gallino ha pochi dubbi: “Al di là della comunicazione spigliata e ‘giovanotta’, le cose che dice sono decisamente più a destra anche di quanto detto e scritto da molti dei liberal statunitensi che si sono cimentati con possibili soluzioni alla crisi economica”.
Tono pacato ma deciso, il professore risponde al telefono dalla Francia, e raccoglie la provocazione quando gli si domanda se il premier, oltreoceano, potrebbe candidarsi a guidare i Tea Party: “Il suo programma è al 90% liberal-liberista, per cui direi di sì. Diciamo che sarebbe uno che Mitt Romney inviterebbe volentieri a cena”.
Scendiamo nel dettaglio: come valuta i contenuti illustrati nella conferenza stampa di ieri?
Sono stati tra i più disparati. Ma tutti vicini all’idea dell’austerity che ha condotto l’Europa nella condizione in cui versa oggi.
A cosa si riferisce esattamente?
Per esempio ai tagli alla spesa pubblica, che prefigurano una stangata che destinerà il nostro paese a una povertà certa. Cosa intende fare, tagliare la sanità , o il sistema di istruzione, che sono entrambi già in grande difficoltà ?
Il premier parla di sette miliardi di risparmio, senza incidere sui servizi primari.
Non mi sembra credibile, ma ripeto: bisogna vedere dove si interviene. Cottarelli ha parlato di 32 miliardi in tre anni. Un’enormità , se si considera che lo stato incassa 500 miliardi all’anno ma ne spende solamente 400, perchè 95 se ne vanno sul debito.
Ha annunciato misure per ridare potere d’acquisto alle fasce più deboli, come gli 80 euro in più in busta paga a partire da maggio.
Un certo numero di persone vedrà con favore quell’intervento, anche perchè lo potranno vedere negli stipendi due giorni dopo le elezioni europee. È una misura a pioggia, per toccare una fascia ampia di lavoratori. Ma non è così che si rilancia l’economia. Servono azioni più mirate e strutturali, a partire dalla lotta alla precarietà .
Di questo si parla nel jobs act che dovrebbe essere varato fra poche settimane.
Finora si è letto poco, qualche paginetta che si può riempire a piacimento. Ma alcuni provvedimenti lasciano perplessi, come quello che permetterebbe di licenziare i dipendenti con un contratto a tempo determinato fino a tre anni dopo l’assunzione. Fa molto anni ’90.
Anni ’90?
Nel ’94 l’Ocse consigliò misure di questo tipo, salvo poi correggere il tiro e ritornare sui propri passi una decina d’anni dopo.
Veniamo a un altro punto. Renzi ha detto a Vespa: “Se taglio i debiti della Pa entro il 21 settembre, vai a piedi da Firenze a Monte Senario”.
Quant’è distante?
Una ventina di chilometri, perchè?
Ecco, se avesse detto “Vai a piedi a Santiago de Compostela” sarebbe stato senz’altro un impegno più forte. Il taglio del 10% dell’Irap sarà senz’altro gradito, un contributo al rilancio delle imprese. Ma il pagamento dei debiti pregressi non è questo grande vantaggio. Sarebbe un aiuto modesto, il vero punto è la mancanza di domanda di beni.
Ma per il mondo delle aziende è un tema molto sensibile.
Il punto è che anche se le imprese da queste piccole flebo traessero vantaggio si risentirebbe sul loro fatturato, non sull’occupazione. Dall’inizio della crisi c’è stata una forte spinta all’automatizzazione della produzione, la strada continuerebbe a essere quella.
Fausto Bertinotti lo ha definito “Il Tony Blair italiano”. È d’accordo?
Più o meno sì. I modelli politici a cui guarda Renzi vanno molto indietro nel passato. La Terza via, il superamento della contrapposizione fra classi sociali.
Sempre Bertinotti definisce il suo programma social-liberista. Quale dei due aggettivi la convince di più?
Al 90% il suo programma è di matrice liberal-liberista, rispolverando le raccomandazione dell’Ocse del ’94, ormai superate.
Dunque non è un leader di sinistra?
Direi di no, molti intellettuali farebbero i salti nella tomba a sentirlo definire così. Al di là della comunicazione spigliata e ‘giovanotta’, le cose che dice sono decisamente più a destra anche di quanto detto e scritto da molti dei liberal statunitensi che si sono cimentati con possibili soluzioni alla crisi economica.
Più vicino ai Tea Party d’oltreoceano dunque.
Probabilmente sì. Diciamo che sarebbe uno che Mitt Romney inviterebbe volentieri a cena.
Ha detto: “Se non supero il bicameralismo perfetto considero conclusa la mia esperienza politica”.
Ha una grande superficialità nel considerare il Senato un vecchio orpello. Per rimanere nel paragone: proviamo ad andare a dire una cosa del genere agli americani. Lo rincorrerebbero per la strada. È vero che Palazzo Madama ha problemi di funzionamento, che andrebbe riformato, ma è anche vero che assolve a una sua precisa funzione politica, serve a evitare errori madornali.
Prevede tuttavia che riuscirà nel suo obiettivo?
La cultura politica italiana ha toccato uno dei punti più bassi nella storia del nostro paese, per cui non vedo quali avversari possano contrastarlo. Ma…
Ma?
In Europa c’è una grande insofferenza nei confronti della democrazia. La Merkel, la Lagarde, come anche Van Rompuy e Rehn hanno più volte ribadito che la democrazia è un bene importante, ma che se il processo decisionale non fosse intralciato dalle lentezze dei Parlamenti sarebbe meglio. Ecco, buttare il Senato dalla finestra va esattamente in questa direzione.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
BENI CULTURALI, IL PREMIER CONTRO LE SOPRINTENDENZE CHE “IMPEDISCONO LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE”
Non c’è davvero nulla di nuovo in Matteo Renzi, a parte la grinta: c’è solo un intenso bricolage che ritaglia da destra, e incolla malamente a sinistra, spezzoni di pensiero, parole d’ordine, slogan.
Uno dei più impresentabili che Renzi ha preso di peso dal repertorio populista è il “padroni in casa propria”.
Un’idea texana della convivenza civile che significa che ciascuno dev’essere libero di cementificare, sfigurare, distruggere pezzi di ambiente, di paesaggio, di patrimonio storico artistico
Fin da quando era sindaco, Renzi ha polemizzato aspramente contro quelle che chiama “le catene” imposte dalle soprintendenze, istituzioni “ottocentesche” che impedirebbero la “modernizzazione del Paese”.
“Sovrintendente — ha scritto nel suo tragicomico libro Stil novo — è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Renzi sembra non accorgersi di vivere in un paese massacrato da uno “sviluppo” pensato solo in termini di cementificazione: un paese compromesso non dai troppi no, ma semmai dai troppi sì, delle soprintendenze.
E non sono solo le opinioni di Renzi, a preoccupare: è il suo governo di Firenze a far capire come la pensi in fatto di cemento.
Vezio De Lucia ha notato come nel piano strutturale del 2010 “le previsioni relative alla proprietà Fondiaria (un milione e 200 mila metri cubi) sono riportate come fossero già attuate: per non smentire la propaganda del sindaco Renzi a favore del piano a sviluppo zero”.
Sapendo che il cemento non è telegenico, Renzi cerca di non parlarne troppo.
Tanto più stupisce che sia un giornale come Repubblica — subito improbabilmente seguito da Italia Oggi — ad abbracciare, in scala uno a uno, un simile programma. Archiviato il pensiero di Antonio Cederna, sconfessato quello di Salvatore Settis, ora è Giovanni Valentini a scrivere sul giornale di De Benedetti che “troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto, cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia”
L’articolo, in prima pagina domenica scorsa, ha lasciato basiti migliaia di lettori che vedevano da sempre in Repubblica un presidio sicuro per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione: e da allora si susseguono sul web risposte incredule e indignate di associazioni, funzionari di soprintendenza, singoli cittadini
È in questa prospettiva che Renzi diventa il campione delle “mani libere” contro le soprintendenze, che l’avrebbero ostacolato nell’allestimento della cena della Ferrari su Ponte Vecchio e fermato nei “sondaggi tecnici” sulla Battaglia di Anghiari di Leonardo in Palazzo Vecchio.
Peccato sia tutto falso: sull’osceno noleggio del ponte l’asservita soprintendenza fiorentina non ha aperto bocca, ed è stata una partita tutta giocata dal Comune, con tanto di permesso ufficiale concesso il giorno dopo la manifestazione, e con un incasso pari alla metà di quello sbandierato da Renzi.
Quanto a Palazzo Vecchio, giova ricordare che la Battaglia di Anghiari semplicemente non esiste, e che Renzi è stato fermato non dalla soprintendenza (anche in quel caso succube), ma dalla comunità scientifica internazionale, compattamente insorta contro una farsa pseudoscientifica che fa ancora ridere i direttori dei più grandi musei del mondo.
Ma i banali dati di fatto non devono oscurare la retorica del Presidente del Fare che spezza trionfalmente i lacci e i lacciuoli frapposti da questa oscura genìa di burocrati. A quando un suo ritratto a torso nudo, mentre aziona una betoniera calpestando l’articolo 9
L’altra faccia di questa usurata medaglia è l’incondizionato inno ai salvifici privati. Chiedendo la fiducia al Senato, l’unica cosa che Renzi ha saputo dire sulla cultura è che “se è vero che con la cultura si mangia, allora bisogna fare entrare i privati nel patrimonio culturale”.
Peccato che i privati ci siano da vent’anni, nel patrimonio, e che a mangiarci da allora non sia lo Stato, ma solo un oligopolio di concessionari fortemente connessi con la politica.
E la ricetta è tanto originale che il punto 41 di Impegno Italia (il documento cui ha inutilmente provato ad aggrapparsi Enrico Letta) prevedeva un’unica ideona: “Incentivare lo sviluppo dei servizi aggiuntivi da dare in concessione ai privati”.
Di fronte ai crolli di Pompei, Renzi ha gridato: “L’Italia è il paese della cultura, e allora sfido gli imprenditori: che state aspettando?”.
Quando era sindaco di Firenze, Renzi sfidava sistematicamente lo Stato a fare il proprio dovere in fatto di tutela del patrimonio.
Ora che lo Stato è lui, sfida gli imprenditori. Fosse il presidente di Confindustria, ce l’avrebbe con gli enti locali.
Non c’è davvero nulla di nuovo, se non che il repertorio da palazzinaro anni Sessanta è passato tale e quale dal fondatore di Forza Italia al segretario del Partito democratico.
È il manifesto di una nuova stagione di Mani sulla città , un ritorno alla bandiera inverosimile del “più cemento = più turismo”. E siamo solo all’inizio.
Tomaso Montanari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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