Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
PER LE NORME VIGENTI A STRASBURGO IMPOSSIBILE LA MULTA DI 250.000 EURO
Carta straccia, nessun valore, non applicabile. A leggere le norme che regolano la vita del Parlamento europeo, il codice di comportamento per i venturi eurodeputati a 5 stelle non ha alcuna validità .
Beppe Grillo infatti ha stabilito una serie di stringenti regole che i neo eletti dovranno impegnarsi a rispettare.
Si va da una penale di 250mila euro per coloro che 500 attivisti prima e un voto sul blog poi riterranno “gravemente inadempienti”, al divieto di “associarsi ad altri gruppi politici”, salvo una ipotetica nuova formazione benedetta dall’ex comico e ratificata dalla rete.
Si passa poi per l’obbligo di dimissioni in caso di “sfiducia” e per quello dell’assunzione di due collaboratori parlamentari da una rosa individuata dal leader e da Gianroberto Casaleggio.
Un elenco che cozza vistosamente con le regole che disciplinano la vita dei parlamentari europei, approvato nel lontano 28 settembre del 2005 e in vigore dall’inizio dell’attuale legislatura, apertasi nel 2009.
L’articolo 2 di quello che tecnicamente è lo “Statuto dei deputati del Parlamento europeo” recita: “I deputati sono liberi e indipendenti. Qualsiasi accordo sulle dimissioni dal mandato prima della scadenza o al termine della legislatura è nullo”. Punto. Nessuna clausola che potrebbe aprire a interpretazioni di sorta, nessun cavillo al quale appellarsi.
Il “contratto privato” stipulato tra Grillo e i suoi candidati diventerà inapplicabile nel momento stesso della loro elezione.
Il leader stellato parla di clausole specifiche da sottoscrivere: “Ciascun candidato del MoVimento 5 Stelle al Parlamento europeo – si legge – prima delle votazioni per le liste elettorali, dovrà sottoscrivere formalmente l’impegno al rispetto del presente codice di comportamento, con assunzione di specifico impegno a dimettersi da deputato sia in caso di condanna penale sia nell’ipotesi in cui venisse ritenuto gravemente inadempiente al rispetto del codice di comportamento e, in difetto, a versare l’importo di € 250.000 al Comitato Promotore Elezioni Europee MoVimento 5 Stelle che lo devolverà ad ente benefico”.
Uno “specifico impegno” che – se non bastasse il secondo articolo dello statuto – cozza fragorosamente anche con il terzo.
Che, oltre a specificare che il voto degli eurodeputati è “individuale e personale”, stabilisce a chiare lettere che “non possono essere vincolati da istruzioni nè ricevere mandato imperativo. Qualsiasi accordo sulle modalità di esercizio del mandato è nullo”.
“Quella economica è una clausola fideiussoria che non è assolutamente applicabile a norme vigenti – spiega Gianni Pittella, che a Strasburgo ricopre la carica di vicepresidente – Affinchè i vincoli che Grillo farà firmare diventino operativi, i suoi eletti dovranno modificare l’attuale statuto, ma ad oggi su di esso c’è una larghissima condivisione”.
Insomma: per riscuotere la tassa non basterà una firma su una carta privata tra il leader e i suoi candidati.
Pittella sottolinea anche che “le nostre regole prescrivono una totale libertà di vincoli di mandato”, tali per cui “il leader del M5s può chiedere il rispetto di determinati impegni, ma non può pretendere alcunchè qualora uno dei suoi si comporti in maniera difforme dai precetti da lui indicati”.
C’è di più. Perchè anche nello specifico dello staff dei parlamentari, lo statuto di Strasburgo impedisce l’imposizione da parte della diarchia genoan-milanese di due collaboratori a testa sul fronte comunicazione (pagati dalle istituzioni europee, ovviamente).
Basta scorrere fino all’articolo 21 per leggere che “i deputati hanno diritto ad essere assistiti da collaboratori personali da loro liberamente scelti”.
Il Movimento si difende dicendo che non si tratta di imposizioni, ma di libere scelte personali di adesione a un codice interno. Tutto vero. Peccato che quel codice sia considerato “fuorilegge” proprio dal Parlamento europeo.
“Non mi risultano casi di partiti o movimenti con un codice in così palese votazione dello statuto, ma non posso escluderlo, non ho i precedenti sotto mano – chiosa Pittella – Certo è che, qualora venisse imposto, Strasburgo opererà per garantire il rispetto delle proprie regole. E chiunque le violasse verrà sanzionato”.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
GRILLO: “LA TV E’ MORTA, MAI IN TV”, MA UNO STUDIO RIVELA CHE I GRILLINI IN RAI SONO PIU’ PRESENTI DI PD E FORZA ITALIA
C’era un volta la tv brutta e cattiva, terreno di gioco e di potere dei partiti tradizionali. Era il tempo dei talk show da evitare come la peste, dei media tradizionali da demonizzare, dei comizi da tenere in piazza e trasmettere magari sul blog.
Era il tempo in cui era in voga un adagio: «I grillini non vanno in tv, sono in tv», in quanto dettano l’agenda, fanno in modo che di loro si parli sempre e comunque.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti.
La resistenza a oltranza nei confronti dei salotti televisivi, con tanto di furia di Beppe Grillo contro i ribelli – «il talk show uccide, digli di smettere», diceva prendendo spunto dal caso di Federica Salsi – si è gradualmente ammorbidita, fino alla fine dell’embargo, sia pure spesso con forme di distinzione come l’utilizzo dello studio «esterno».
I parlamentari di M5S hanno iniziato a sperimentare le telecamere, a comparire a Porta a Porta a partire dall’intervista «chiusa» di Vito Crimi nell’aprile 2013, per poi diventare attori protagonisti di Servizio Pubblico, In mezz’ora, Virus o Otto e Mezzo, solo per citarne alcuni.
Lo stesso fondatore negli ultimi giorni si è concesso due interviste, una su carta stampata su Repubblica, la seconda in tv, a Bersaglio mobile con Enrico Mentana.
I tempi, insomma, cambiano.
E complice la vicinanza con le Europee si riaprono i canali di comunicazione più tradizionali.
Una correzione di rotta fotografata in maniera chiara dalla rilevazione mensile del Centro di ascolto dell’Informazione radiotelevisiva, letta su Radio Radicale dal direttore Gianni Betto.
Il monitoraggio relativo al periodo 22 febbraio-22 marzo sull’informazione del servizio pubblico radiotelevisivo svela un dato a sorpresa.
I grillini, in forma diretta o indiretta, sono adesso i nuovi prezzemolini del tubo catodico: conquistano, infatti, la palma dei più presenti nei tg Rai e sono vicinissimi al Pd nella classifica delle presenze nei talk show
I dati parlano chiaro.
La visibilità di M5S nei telegiornali Rai è al 22,3%, a fronte del 16,9 del Pd, del 14,2 dei membri del governo, ministri e sottosegretari, del 14,1 di Forza Italia, del 7,3 del solo Renzi, del 4,7 di Ncd, del 2,9 del presidente della Camera, del 2,8 Fratelli d’Italia e del 2,6 della Lega.
La presenza del Movimento 5 Stelle nei Tg Rai varia non di molto da testata a testa: sul Tg1 è al 22,7%, sul Tg2 al 21, sul Tg3 al 22,6%.
Un risultato e un primato che colpisce e assume il sapore del paradosso se si pensa che soltanto due mesi fa, sul blog di Grillo compariva un post dal titolo: «Telegiornali Rai al servizio dei partiti»
Se dai tg si passa ad analizzare il dato relativo alle trasmissioni Rai il dato cambia di poco.
In testa a questa classifica c’è il Pd al 24,2%. Il Movimento 5 Stelle tallona, però, gli esponenti di Via del Nazareno a breve distanza, con un ottimo 22%
In terza posizione c’è Forza Italia al 15,5. Poi a seguire i membri del governo al 9%, il presidente del Consiglio al 6% e Ncd al 4,4.
Come dire che il bavaglio a lungo denunciato dal movimento pentastellato sembra ormai essere stato definitivamente sostituito da un microfono.
E chissà che di questo passo Grillo non finisca per ritrovarsi seduto nel salotto del suo nemico giurato Fabio Fazio.
Una comparsata che potrebbe perlomeno rompere la monotonia degli inviti a senso unico, visto che a Che tempo che fa nelle ultime tre settimane sono stati ospiti in sequenza Matteo Renzi, Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni.
Una vera e propria trasformazione dello show di prima serata di Rai Tre in una succursale di YouDem Tv.
Fabrizio De Feo
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
COME SI PROTEGGONO I PARLAMENTARI: DAL RELATORE CHE NON DEVE ESSERE “OSTILE”, CIOÈ D’OPPOSIZIONE, ALLE PERDITE DI TEMPO CHE “AIUTANO A DEFINIRE LE QUESTIONI” FINO ALL’ACCUSA DI PEDOFILIA SPACCIATA PER CRITICA POLITICA
Cosa avviene nelle Giunte per le autorizzazioni di Camera e Senato?
La domanda è legittima, la risposta largamente sconosciuta visto che raramente se ne seguono i lavori.
Peccato, perchè si tratta degli ultimi recessi in cui la grande tradizione giuridica italiana trova ancora un suo spazio. Dibattiti altissimi, pensose obiezioni, lunghe pause di riflessione.
Eccovene un saggio.
OSTILITà€ PRECONCETTA
Siamo a maggio 2013, prime riunioni della Giunta per le Autorizzazioni della Camera, e il grillino Andrea Colletti chiede che per scegliere i relatori si segua questo criterio: “Per i casi riguardanti esponenti dei gruppi di maggioranza, l’incarico va all’opposizione e viceversa”.
Strabuzza gli occhi il presidente Ignazio La Russa: intanto l’incarico lo do io valutando “il soggetto più idoneo a svolgere l’incarico” e, comunque, “la prassi è affidare il compito a un deputato appartenente allo stesso schieramento proprio al fine di evitare che le valutazioni siano influenzate da logiche di parte”.
LA PSICOSI TABULATI
Il senatore Antonio Milo ha una rapida e convulsa carriera politica: la scorsa legislatura era deputato di Noi Sud, costola meridionale di marca Pdl, poi viene spedito a Palazzo Madama, s’iscrive subito a Forza Italia e quindi aderisce a Forza Campania, il movimento scissionista ispirato da Nicola Cosentino.
Le cose, però, non cambiano in fretta come i partiti di Milo e così, l’11 marzo 2014, in Giunta arriva la richiesta per l’utilizzo dei tabulati telefonici del politico di Agerola, Napoli.
Il senatore, all’epoca dei fatti deputato, è accusato di essersi procurato certificati e fatture false da un centro di fisioterapia per ottenere i rimborsi in Parlamento.
Il Gip chiede il permesso per acquisire i suoi tabulati telefonici per capire se in quei giorni Milo era a fare regolarmente fisioterapia oppure beatamente altrove.
Semplice, ma non per il relatore, il democratico Giorgio Pagliari, avvocato. Il nostro s’interroga a lungo: la questione tabulati, d’altronde, si pone per la prima volta nella legislatura. Alla fine, citate un paio di sentenze della Consulta, Pagliari non trova la risposta e propone di aspettare le “eventuali memorie scritte” del senatore Milo.
IL COMMA 22 DELLA P3
Possiamo usare le intercettazioni della trimurti berlusconiana Verdini, Cosentino, Dell’Utri nell’inchiesta P3, presunta associazione segreta finalizzata al pilotaggio di appalti e sentenze, oltre che al dossieraggio al danno di nemici politici?
Domanda semplice che il Gip di Roma ha rivolto alla Camera e al Senato ad aprile e—con nuovo materiale — a luglio. Le due Giunte, desiderosissime di rispondere, non riuscivano però a risolvere un dilemma: chi doveva decidere su cosa? Camera o Senato?
In sei mesi e oltre si è riuscito a fare quanto segue: i presidenti La Russa e Stefà no hanno nominato i due relatori (Costa e Pezzopane), che avevano pure il compito di sentirsi tra loro, compito poi demandato ai presidenti delle due Camere.
Il piddino Franco Vazio si poneva interrogativi ponderosi: “Che succede, per dire, se sia la Camera che il Senato dichiarano che non sono competenti su Verdini?”.
Pare niente, ma a forza di pensare s’è fatto ottobre: il 14 la posizione dei tre è stata stralciata dal processo principale; il 23 la Giunta ha deciso con un’alzata d’ingegno notevole. Di Cosentino se ne occupa la Camera perchè era deputato, di Dell’Utri il Senato perchè era senatore, di Verdini sempre il Senato perchè ora è senatore.
VERDINI E SOCI, FINALMENTE
Alla fine, dopo quasi un anno di attesa, le Giunte di Camera e Senato hanno risposto sì alla Procura di Roma sull’utilizzo delle intercettazioni telefoniche di Denis Verdini, Nicola Cosentino e Marcello Dell’Utri.
Sul banchiere-editore fiorentino, in particolare, la battaglia a palazzo Madama fu memorabile. Scegliendo fior da fiore. Lucio Malan (Fi), perentorio: “La Costituzione è chiara e va applicata. Le intercettazioni nei confronti di Verdini sono illegittime”. Mario Ferrara (Gal), sospettoso: “L’iscrizione di Verdini nel registro degli indagati risulta stranamente breve”. Maria Elisabetta Alberti Casellati (Fi), definitiva: “Le intercettazioni effettuate dalla Procura di Firenze non sono occasionali e, di conseguenza, non può essere autorizzato l’utilizzo”.
ELOGIO DELLA LENTEZZA
È il lontano 2009 quando, sui giornali locali, esce la notizia che il sindaco di Civitavecchia (Roma), Giovanni Moscherini, sarebbe stato espulso da Cuba “per aver commesso il reato di corruzione dei minori”. In due giorni fu chiaro che si trattava di una bufala, ma al terzo Pietro Tidei — deputato Pd e ora sindaco al posto di Moscherini (ma in Parlamento c’è sua figlia) — rilasciò un’intervista al Messaggero per dire: “Quel documento è vero: l’hanno espulso”. Querela, si giustifica Tidei in Giunta:macchè Cuba, “quella controversia affonda le radici nella mie costanti iniziative politiche sulla gestione dell’autorità portuale di Civitavecchia”.
Alla fine — dopo cinque anni — i due pur di non aspettare la Camera si sono accordati extragiudizialmente. Commento di Daniele Farina (Sel): “La tempistica con cui la Giunta decide, talvolta , può favorire la definizione della questione”.
GENIO GIURIDICO
La Procura di Bergamo contesta a Giorgio Iannone, imprenditore e deputato berlusconiano fino al marzo scorso, il reato di tentata estorsione per alcune minacce rivolte dal politico ai vertici di Ubi banca avvalendosi anche di informazioni acquisite quand’era parlamentare. La presunta tentata estorsione, peraltro, sarebbe avvenutaanchedopoladecadenza dal seggio del nostro.
La cosa curiosa,il vero colpo di genio giuridico, è che la difesa ha invocato l’insindacabilità delle parole di Iannone: in sostanza, avrebbe estorto nell’esercizio delle sue funzioni di deputato e quindi è immune. La Camera, dopo un pensoso dibattito, s’è rifiutata di dargli ragione.
IL DOPPIO TURNO DI BONDI
Non le frequenta più, ma nelle aule parlamentari si discute ancora di Italo Bocchino, stavolta come parte offesa, diffamato da Sandro Bondi.
L’ex deputato vuole la condanna del poeta berlusconiano per un’intervista al Giornale del 2010. Se le opinioni di Bondi su Bocchino siano o meno coperte dall’insidacabilità parlamentare è una controversia che si trascina da anni.
Il presidente Dario Stefà no propone ai colleghi di attendere un’audizione di Bondi. Vito Crimi (M5S) fa notare che ce n’è stata già una il 15 febbraio 2012 che i commissari possono facilmente consultare attraverso i resoconti già pubblicati.
Mario Ferrara di Gal, però, eccepisce che non è sufficiente rileggersi il Bondi di due anni fa: va riascoltato per valutare tutte le argomentazioni.
Evidentemente, la scorsa volta non fu esaustivo. Anche il democratico Giuseppe Luigi Cucca, ultragarantista, vuole “salvaguardare i diritti della difesa”. Risultato: siamo in attesa della seconda audizione.
LO SCUDO DI GASPARRI
Dopo aver ricevuto una denuncia per diffamazione da parte di Marco Travaglio — accusato senza fondamento in tv e sulla stampa di aver trascorso le vacanze con un condannato di mafia (che le avrebbe anche pagate) — il senatore Maurizio Gasparri, per non incorrere in una condanna, si è appellato all’insindacabilità d’opinione del parlamentare.
La Giunta ricostruisce la vicenda: “Nella scorsa legislatura sono emerse nel dibattito due tesi contrapposte. La prima delle due tesi, in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale, era volta a sottolineare la non configurabilità nel caso di specie della prerogativa dell’insindacabilità , per mancanza di nesso funzionale tra le dichiarazioni (rese extra moenia) oggetto del procedimento civile in questione e l’attività parlamentare del senatore Gasparri.
La seconda tesi, emersa anch’essa nel corso del dibattito, era volta a profilare la sussistenza della prerogativa dell’insindacabilità anche nei casi riconducibili all’esercizio extra moenia, da parte di un parlamentare, del diritto di critica politica avulso, sul piano funzionale, dalle attività parlamentari svolte in sede istituzionale”.
E com’è finita? Ha vinto la seconda tesi, quella contraria alla Consulta.
Lo stesso trattamento benevolo, peraltro, l’avevano ricevuto i senatori Iannuzzi, Ciarrapico, Guzzanti, Pedica e Vaccari.
Ora la palla è appunto alla Corte costituzionale.
Che fa il Senato: insiste o arretra? Insiste e manda gli avvocati nonostante l’inevitabile sconfitta. Per Lucio Malan è un “atto doveroso”. La collega Alberti Casellati sente il momentostorico:“Va salvaguardata l’istituzione”.
BIPOLARISMO
“Delinquente di centrodestra”. Nel luglio 2012 Aniello Formisano, ex Idv, si lasciò andare nell’accogliente studio di Uno mattina Estate, Raiuno, a questo giudizio poco lusinghiero su Ciro Borriello, sindaco uscente di Torre del Greco, Napoli, ex di-pietrista pure lui, ma convertitosi al verbo di Nicola Cosentino.
C’è un equivoco, ha spiegato Formisano in audizione: io mi riferivo a Cosentino, quindi era chiaramente una polemica politica connessa con la mia attività parlamentare . §
Il berlusconiano Antonio Leone, però, ha un dubbio: “Vorrei sapere, anche in ragione della mia appartenenza, se lei intendeva dare all’espressione ‘delinquente di centrodestra’ una connotazione diversa rispetto a ‘delinquente di centrosinistra’, ad esempio”. Pronta la replica “La collocazione politica di un delinquente non deve mai comportare alcuna differenza nella valutazione del soggetto”.
La Giunta gli ha dato ragione.
TROPPE PROVE
Francesco Proietti Cosimi, detto Checchino, già braccio destro di Gianfranco Fini, finisce indagato per bancarotta fraudolenta, emissione di fatture false e violazione del finanziamento ai partiti.
Il Gip di Roma chiede alla Camera di poter usare una decina di intercettazioni casuali dell’ex deputato (per quelle dirette è necessaria l’autorizzazione preventiva del Parlamento).
Ne segue lungo e appassionato dibattito. Sapeva il pm che stava ascoltando Proietti prima di indagarlo? Se sì, quegli ascolti sono illegittimi.
Risposta della Giunta: sì, lo sapeva, perchè all’epoca era già uscito un pezzo di Panorama in cui si parlava della società coinvolta, la Ke.Is. del nipote dell’onorevole.
Niente intercettazioni. Poco male, dice il relatore Domenico Rossi (Scelta civica), visto che il pm ritiene rilevante una conversazione in cui Proietti chiede soldi al nipote, ma in quantità “piuttosto risibile rispetto ai volumi di denaro accertati dalla Guardia di Finanza”. Come dire: le prove già le avete…
FOTOGRAFIE
Un tale Alberto Ruggin, nel 2007, era stato allontanato dal coro della parrocchia di Monselice. Aveva spiegato sul Mattino di Padova la leghista Paola Goisis, bossiana doc: “Don Paolino ha deciso di prendere questa decisione nel momento in cui sono state trovate fotografie su internet con Alberto in posizioni sconce e scabrose”.
Ne era seguita querela per diffamazione visto che, peraltro, le famose foto non esistono. La relatrice della scorsa legislatura, Jole Santelli del Pdl, aveva chiesto alla Giunta di dichiarare insindacabili le opinione di Goisis: aveva diffamato da onorevole.
La faccenda era poi rimasta in sospeso per sopravvenute elezioni.
Il parere del nuovo relatore Antonio Leone (Forza Italia): “A prescindere se le foto esistano o meno, è una questione locale, una bega di paese”.
Goisis va salvata. La faccenda, alla fine,s’è risolta con la rinuncia della leghista all’insindacabilità .
STALINISMO
“Figliulo è un bugiardo comunista”, come d’altronde è intuibile dal “celebre motto di Stalin tramandato dal Pci: calunniate, calunniate, qualcosa resterà ”.
Parere a mezzo stampa di Edmondo Cirielli, deputato ex An.
A parte che in genere la massima viene attribuita a Voltaire, il signor Figliulo — segretario del Pd a Salerno — non l’ha presa bene e ha querelato.
Parere del relatore Antonio Leone: “Emerge inequivocabilmente la sussistenza del nesso funzionale tra le opinioni espresse e l’attività parlamentare tipica”.
Marco Palombi e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA FAMIGLIA ALLARGATA DEL PREMIER
Altro che cerchi magici di Umberto Bossi prima e di Silvio Berlusconi ora, attorno a Matteo Renzi c’è una famiglia allargata. Divisa in più rami.
Ciascuno con incarichi, nomine, partecipazioni che rimandano comunque al premier di Rignano.
C’è la famiglia naturale, quella dell’amico fraterno Marco Carrai e quella dei fidatissimi.
Ognuno porta poi con sè gli affetti più cari. Mariti, fidanzate, fratelli. Un albero genealogico che dalla provincia di Firenze ora distende i rami nel Pd e nel del governo
LA FAMIGLIA
L’unico contratto di lavoro della sua vita Matteo Renzi l’ha ottenuto dal padre Tiziano che nel 2003, il giorno prima della candidatura alla Provincia, lo ha assunto come dirigente nella Chil srl, azienda di famiglia.
Chiusa nell’ottobre 2010, il padre lo riassume, sempre come dirigente, nella nuova società : Eventi 6.
Qui siedono la madre, Laura Bovoli, e le due sorelle, Matilde e Benedetta.
Tra i soci entra anche Andrea Conticini, marito di Matilde. Quest’ultima ora è impegnata ad amministrare l’azienda mentre la sorella Benedetta è stata indicata come assessore alla cultura del Comune dove vive: Castenaso, nel bolognese.
Il sindaco democratico Stefano Sermenghi ha garantito che la scelta “non è dipesa dal cognome che porta”.
Ma certo, un assessore in casa Renzi può essere utile.
Il cognato, Andrea Conticini è, oltre che socio della famiglia, anche agente della DotMedia, società privata che gestisce il sito dell’azienda di Alessandro Dini, proprietario dell’ormai nota casa di via degli Alfani 8 (pagata da Marco Carrai per l’amico Matteo che qui ha risieduto per tre anni).
Tra i soci della DotMedia figura anche Alessandro Conticini.
DotMedia ha ricevuto fondi da Palazzo Vecchio, ha lavorato per Firenze Parcheggi (presieduta da Carrai), per Publiacqua (nel cda siedeva Maria Elena Boschi) e ha curato, tra l’altro, la comunicazione delle due convention alla Leopolda e la campagna elettorale alle primarie del 2012 dell’allora sindaco
L’AMICO FRATERNO, Marco Carrai.
Crea e cura dal 2007 le associazioni e le fondazioni che finanziano l’ascesa politica del fu rottamatore. Festina Lenta, Noi Link, Big Bang, Open: 4 milioni di euro .
Ha ottimi contatti internazionali. Che mette a disposizione del premier.
Da Davide Serra del fondo Algebris a Michael Ledeen, consulente per Cia, Sismi e governo Reagan. Renzi e Carrai si conoscono nel 96. Non si dividono più.
Carrai guida Firenze Parcheggi prima e ora Adf (aeroporti di Firenze).
Siede anche nell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze che destina 10 milioni di euro al fondo Algebris di Serra che a sua volta finanzia la campagna di Renzi.
Marco con sè “porta” il fratello Matteo Carrai che, attraverso la società edile Carim Sas, nel 2013 realizza i lavori al negozio fiorentino di Eataly dell’altro amico Oscar Farinetti.
Infine la compagna, nonchè futura moglie, la 26enne Francesca Campana Comparini: a lei il Comune di Firenze ha affidato la mostra Pollock e Michelangelo. E la fidanzata garantisce: “La merito”.
I FIDATISSIMI
Il viaggio da Firenze a Roma è stato improvviso, ma il vagone s’è riempito al volo. Francesco Bonifazi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti sono quelli che spiccano tra i fidatissimi del premier.
Bonifazi, oggi tesoriere nazionale del Pd, è l’artefice dell’incontro tra Renzi e Boschi: lei era una praticante dello studio legale in cui lavorava Bonifazi.
L’attuale ministro per le Riforme, dopo l’esperienza dal 2009 in Publiacqua, è dallo scorso dicembre ora segretario della fondazione Open.
Con lei ha fatto il suo ingresso nella cassaforte renziana anche Lotti. Sottosegretario del consiglio con delega all’editoria, Lotti, come Bonifazi, è anche consigliere comunale. E a Palazzo Vecchio ha lasciato gli affetti. La moglie, Cristina Mordini, è impiegata nella segreteria del sindaco.
Non è invece voluto andare nella Capitale l’altro fidatissimo di Renzi: Alberto Bianchi, suo avvocato e braccio destro di Carrai nella raccolta fondi.
Presidente della Big Bang prima e della Open poi, Bianchi ha presentato a Renzi il fratello Francesco Bianchi che è stato nominato commissario straordinario del Maggio Musicale Fiorentino.
Ex consigliere del cda di Bpm, cresciuto tra Jp Morgan e Citibank, Francesco s’è fatto carico di risanare i conti del Maggio a cui Renzi tiene molto.
Gli amici del resto servono a questo.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
GLI INVESTIMENTI MAFIOSI NEL’AGRO-ALIMENTARE
Gli impoverimenti e i saccheggi che le mafie operano sulla pelle dei cittadini, vampirizzando la qualità della loro vita, sono infiniti.
Le mafie non si negano niente: qualunque opportunità di conquistare territori e mercati (aumentando il proprio potere economico) va bene.
Fra i tanti investimenti di denaro sporco in attività apparentemente pulite, di speciale pericolosità per gli interessi della collettività sono quelli del settore agroalimentare. Proprio il settore nel quale un tempo le mafie affondavano le proprie radici storiche e culturali, oggi è diventato area di investimento remunerativo, strategico ed emergente: con dimostrazione della straordinaria capacità di adattamento delle mafie (è nel loro DNA) al nuovo, in questo caso la globalizzazione dei mercati e dei traffici internazionali. I mafiosi con coppola e lupara sono ormai roba da film di terz’ordine.
Oggi abbiamo a che fare con abili “colletti bianchi” investiti di compiti e funzioni di primo piano nell’economia: che però continuano a far leva su posizioni di forza, di intimidazione e di ricatto, mettendo a punto affari duraturi e lucrosi (il business delle agromafie è di circa 14 miliardi di euro l’anno) che sempre più interessano le frodi alimentari.
Fino a qualche tempo fa si parlava di frodi, per lo più, con riferimento ai bilanci delle imprese.
Oggi si ha riguardo prevalentemente alla manipolazione degli alimenti ed i comportamenti illeciti rientrano nell’area del rischio d’impresa : contraffare, adulterare, sofisticare il cibo conviene molto, considerando che il “made in Italy” va ancora fortissimo ed è il nostro miglior ambasciatore nel mondo.
Questo appeal del “made in Italy” va difeso dall’aggressione delle mafie, per tutelare le alte potenzialità che la nostra economia possiede nel settore agroalimentare e per impedire che siano compromesse la qualità e la sicurezza dei prodotti.
Vanno aumentando vertiginosamente le frodi a tavola, dove spesso siede un convitato di pietra: le mafie, allettate dalle opportunità che offre l’agroalimentare.
L’odioso inganno dei cibi adulterati colpisce soprattutto quanti dispongono di una ridotta capacità di spesa e sono costretti a rivolgersi ad alimenti di minor costo.
L’Italia inoltre è un forte importatore di alimenti che poi diventano ingredienti di prodotti spacciati come nazionali, senza che si possano riconoscere provenienza e qualità di tali ingredienti.
E la mancanza di un sistema trasparente di tracciabilità ed etichettatura degli alimenti ( al riguardo la normativa europea è molto disinvolta) facilita potentemente l’inserimento delle attività criminali.
I pericoli per la salute dei consumatori sono di assoluta evidenza.
Prova inconfutabile — ancora una volta — che il prezzo socio-economico dell’illegalità mafiosa è pesantissimo (mina il futuro del paese) e lo paghiamo tutti quanti noi.
Gian Carlo Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
FU INVIATO IN ITALIA DAL DIPARTIMENTO DI STATO AMERICANO PER AIUTARE IL NOSTRO GOVERNO
Al telefono, Steve Pieczenik ha ricordato la breve ma intensa esperienza del suo soggiorno in Italia nei giorni più caldi del rapimento Moro e della sua morte.
“Mi dispiace che sia dovuto morire ma, in realtà , in termini di strategia, la sua morte è stata uno degli elementi chiave per il risultato finale della strategia adottata. Sono uno psichiatra laureato a Harvard, poi chiamato da Henry Kissinger a ricoprire la carica di assistente alla Segreteria di Stato per dare vita a un nuovo organo statale, un Dipartimento per il controllo delle Crisi Internazionali e per il contro-terrorismo”
Chi vi ha mandato in Italia nel marzo del 1978?
Mi ha mandato in Italia Ben Reed, all’epoca sottosegretario di Stato che, preciso, mi ha chiesto e non ordinato, per conto del Segretario di Stato Cyrus Vance, di andare in Italia per aiutare il governo italiano a far fronte al terrorismo delle Brigate rosse, al rapimento di Aldo Moro, risposi di sì. Francesco Cossiga, all’epoca ministro dell’Interno, chiese espressamente di me, per avere l’aiuto di qualcuno in stretto rapporto con i piani alti dell’amministrazione statunitense, ma che non fosse legato alla politica, non appartenente alla Cia nè all’esercito.
Quando arrivò in Italia qual era la sua conoscenza delle Brigate rosse?
Non sapevo niente. Arrivato in Italia, il capo della Cia sul posto aveva ben poco da dirmi, non esistevano rapporti su Moro nè sulle Brigate rosse, nè sulla P2 o i fascisti, oppure il Sisimi o il Sisde. Quello che ho fatto è stato imparare da Cossiga e da Ferracuti, uno psichiatra, suo consulente. Poi ho saputo che era agente della Cia e piduista. La prima cosa che mi disse Cossiga fu molto chiara: ‘Guarda, non abbiamo capacità per gestire questa crisi, non abbiamo una strategia’. Avevo capito subito che le Br già si erano infiltrate ovunque, nel Parlamento come nel gruppo dei fedelissimi di Cossiga.
Come erano riusciti a infiltrarsi così bene nello Stato italiano e come faceva a saperlo?
Probabilmente non era così difficile. L’ho capito in conseguenza dei fatti avvenuti, dei nostri sospetti e tramite l’aiuto del Vaticano. Tutte le informazioni utili che io e Cossiga abbiamo ricevuto venivano dal loro intelligence, perchè quello del governo italiano praticamente non esisteva. Attraverso il sistema dell’intelligence italiana deviata, erano arrivate informazioni a Cossiga come quelle sul mio conto, che sapevano tutto di me, chi ero, di cosa mi occupavo e che dovevo essere eliminato: ho subito capito quanto erano presenti nel Parlamento, negli organismi della sicurezza.
Aveva avuto sentore che i Servizi deviati stessero giocando un ruolo in quella tragica rappresentazione che si stava svolgendo a vari livelli sul caso Moro?
Sì. La prima impressione l’ho avuta quando mi fu detto alla presenza del colonnello Guglielmi , dei Servizi di Sicurezza, presenti sulla piazza e la sua assurda giustificazione da cui risultava che si trovava lì alle 10 del mattino perchè era stato invitato a colazione alle 13 in un appartamento accanto a via Fani. Altrettanto paradossale risultava l’ingenuo movimento della moto Honda che da ore, a detta dei testimoni, stava facendo la ronda prima, durante e dopo l’atto terroristico. Sono passati tanti anni e non ricordo più bene i particolari, ma si diede subito per scontato che sia il colonnello sia i motociclisti stessero effettuando un banale controllo del teatro delle operazioni così come è consuetudine in questi casi.
Marco Dolcetta
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
A BEZIERS IL SUCCESSO DEL FONDATORE DI REPORTERS SANS FRONTIERES: “I VERI LIBERTARI SIAMO NOI”
Il candidato sindaco, Robert Mènard, nega di essere di estrema destra, anzi nega di essere di destra tout court («ma di certo non di sinistra»), men che meno del Front national, che ha solo sei aspiranti consiglieri sui 49 della sua lista.
«Io sono indipendente. Il mio partito è Bèziers», proclama il celebre giornalista, già fondatore e anima di «Reporters sans frontières», protagonista di spericolati blitz in difesa della libertà di stampa e della libertà in generale.
Però sul suo santino elettorale ci sono, in fondo e in piccolo, i simboli di chi lo sostiene: il Front e altri tre partitini di destra.
Quindi se domenica Mènard vincerà al ballottaggio, cosa non solo possibile ma molto probabile, perchè parte dal confortevole 44,88% del primo turno, si potrà dire che Bèziers è la più grande città francese amministrata dal Fn: 72 mila abitanti, 160 mila nell’area metropolitana
Distinguo a parte, però, Bèziers, nell’angolo sud-occidentale della Francia, fra Montpellier e Perpignan, è un caso da manuale che spiega non solo perchè madame Le Pen venga votata, ma anche perchè non ci si vergogni più di farlo.
Altro che i fascisti su Marte come nel film di Guzzanti raccontati da chi non vuol vedere e soprattutto capire quel che sta succedendo nel ventre della Francia profonda, specie in questo Midi dove le contrapposizioni sono sempre state aspre a spesso sanguinose: ugonotti contro cattolici, rivoluzionari contro realisti, resistenti contro collaborazionisti
La città è carina, con la solita cattedrale gotica e le lapidi che ricordano illustri sconosciuti locali tipo Jean-Pons-Guillaume Viennet, 1777-1868 (complimenti), pari di Francia ed «esecutore testamentario di Luigi Filippo» (ah, beh, allora…).
Ma dà l’impressione di aver urgente bisogno di un buon piano di manutenzione straordinaria o almeno di una bella mano di pittura.
Il problema è che la situazione economica non è nemmeno cattiva: è catastrofica. Bèziers è la quarta città più povera del Paese, il 32% dei suoi abitanti vive sotto la soglia della povertà , il 16,4% è disoccupato.
In compenso, la tassa rifiuti è aumentata del 39,5% in quattro anni e la bolletta dell’acqua è la più cara di Francia.
«Qui si viveva di vino, di “pinard”, il rosso a buon mercato. Non si è capito che bisognava investire sulla qualità , e così siamo stati travolti dal vino prodotto in altri Paesi ancora più a buon mercato. Sopravvive un po’ di industria petrolifera e basta», spiega Ludovic Trabuchet, capo della redazione del «Midi libre»
Il sindaco uscente, dell’Ump, destra «repubblicana», ha governato per 19 anni ed è così discreditato che non si è più ricandidato.
Ma ha fatto presentare il suo vice, «insomma la solita politica fatta di clientelismo, affarismo e comunitarismo», tuona Mènard.
Il vice candidato, Elie Aboud, si è fermato al 20,17%, quello socialista, Jean-Michel Du Plaa, a un imbarazzante 18,65
Due passi in centro? Sembra una città fantasma e, in ogni caso, non una città francese. Dalla cattedrale alla chiesa di Saint-Jacques, egualmente bella ma romanica, si incontrano esclusivamente donne velate.
L’immigrazione magrebina è massiccia: quando ancora l’economia andava bene, si mugugnava e basta; adesso che va a rotoli, è iniziata la guerra fra poveri e ai mugugni si è aggiunto il voto per Le Pen. E tanta rabbia.
«Li vede, tutti quei panni stesi alle finestre?», mi intima una madama quasi soffocata dall’indignazione. Beh, sì. «E le sembra possibile? E il decoro? Qui non è mai usato. Certo che ho votato per Mènard, perchè è uno di noi. E domenica lo rifarò. Questi vivono secondo le loro leggi, non quelle della Rèpublique».
Ed ecco come il bucato spiega anche il comunitarismo
Intanto Mènard si gode il trionfo e ci ragiona sopra: «La crisi della politica è evidente in tutta la Francia. La gente non ne può più dei professionisti della politica che creano problemi invece di risolverne. Certo che sento Marine Le Pen, ma non sono iscritto al Fn e non lo voto nemmeno».
Infatti lei sembrava piuttosto di gauche, all’epoca di «Reporters sans frontières»… «Ma non è che se uno si batte per le libertà , ha un cuore e magari legge pure qualche libro sia di sinistra per definizione. Sa quel è l’unico Comitato centrale ancora esistente? Quello che dirige la Lega dei diritti dell’uomo».
L’obiezione è che, mettendoci la faccia, i vari Mènard diano una mano alla «dèdiabolisation» del Fn e lo rendano presentabile.
«Ormai che il Fn sia il diavolo lo possono davvero credere e scrivere solo “Le Monde” o “Libèration”. I francesi, no di certo. Vuole un esempio? Ho proposto di armare la polizia municipale e mi hanno detto che ero un “facho”, un fascista. Bene: per legge, in Francia, i vigili non possono uscire di pattuglia dalle 23 alle 7 se non sono armati. Quelli di Bèziers non lo sono, quindi di notte la città non è presidiata. Che c’entra il fascismo?»
Sarà . In città si dice però che Mènard sia assai più vicino alla famiglia Le Pen di quanto ammetta e prepari un libro-intervista con il papà .
Lui stesso prevede che, se diventerà sindaco, la figlia «dirà che il Front ha espugnato Bèziers, ma è normale, fa parte della politica».
Basta aspettare una settimana. I socialisti hanno tempo fino alle 18 di oggi per decidere se ritirarsi dal ballottaggio, invitare a votare l’uomo dell’Ump o addirittura mettersi insieme in lista con lui.
«Ormai sono disperati», dice Mènard.
E su questo ha certamente ragione.
Alberto Mattioli
(da “La Stampa“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA SPENDING REVIEW DETERMINA LA MESSA IN VENDITA DELLE PRIME 25 BERLINE DEI MINISTERI DI GIUSTIZIA, INTERNI E DIFESA
La #svoltabuona – come ama definirla Matteo Renzi – a ben vedere comincia oggi con un profilo eBay. Ad aprirlo sarà Palazzo Chigi e anche questo è un segno dei tempi che cambiano. Sul popolare sito di ecommerce e sul sito della presidenza del Consiglio comparirà un banner recante l’elenco di circa 170 auto blu (in uso da diversi ministeri tra cui gli Interni, la Giustizia e la Difesa) che saranno messe all’asta a cadenza settimanale fino al 16 aprile.
L’operazione
Verranno suddivise in 6 tranche da 25 (la prima – assicurano a Palazzo Chigi – sarà bandita tra qualche giorno dopo aver sistemato tutti gli adempimenti tecnici del caso, come il via libera da parte dell’Agenzia del Demanio e degli uffici legislativi competenti).
Poi i fanatici della Maserati Quattroporte (nel 2011 l’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ne fece acquistare 15 a 117 mila euro ciascuna suscitando più di qualche critica per il presunto sperpero di denaro pubblico) potranno ambire a diventare proprietari di queste berline «ministeriali» il cui prezzo di mercato attuale è di circa 50 mila euro, secondo le rilevazioni della rivista Quattroruote .
Tra le vetture all’asta su eBay anche alcuni modelli che avranno quasi il sapore di un cimelio, come le Lancia K di Interni e Giustizia (l’ultima prodotta risale al 2001 e il valore attuale oscilla tra i mille e 1.500 euro), la Lancia Thesis diffusa un po’ tra tutti (in un range che oscilla tra i 2.500 e i 12 mila euro a seconda dell’anno di produzione e della versione) e la Volvo S60 del Viminale (la prima serie arriva fino al 2009 e può valere dai 3 mila ai 9.500 euro; la seconda, attualmente in produzione, può raggiungere anche i 30 mila euro).
Dovrebbero essere inserite nell’elenco anche le Bmw 525d alcune delle quali in servizio al dicastero di via Arenula guidato da Andrea Orlando, le potentissime Audi A6 il cui valore può toccare i 50 mila euro, infine le Alfa Romeo 159 (valore compreso tra i 5 mila e i 16 mila euro) e 156 in dotazione agli Interni, che ne avrebbe messe a disposizione la parte più consistente per volere del ministro Angelino Alfano.
Complicato calcolare il ritorno economico per lo Stato (al netto della spesa di nove euro per l’inserzione, oltre ai 35 di commissione per ogni auto venduta), anche perchè non si conoscono ancora le basi d’asta, ma difficilmente si scosteranno molto dalle rilevazioni di Quattroruote . Soprattutto è prematuro calcolare l’effetto emotivo della prima procedura di messa in vendita pubblica di auto blu.
La scelta della presidenza del Consiglio di privilegiare eBay risponde a due motivazioni: dare un messaggio di trasparenza e al tempo stesso sperare nel massimo introito possibile considerato il bacino potenziale di 3,5 milioni di utenti attivi di eBay in Italia che potranno sfidarsi in un’insolita corsa al rialzo.
Rileva Irina Pavlova, responsabile comunicazione della filiale italiana di eBay, che la cosiddetta «offerta per procura» (la funzione prevista dal sito di ecommerce di dare all’utente la possibilità di definire all’inizio dell’asta la somma che si vuole impegnare senza dover stare poi fisicamente davanti al pc vista la procedura automatica di rilancio) potrebbe far salire il prezzo teoricamente all’infinito.
Al netto delle tecnicalità resta la volontà dell’esecutivo Renzi di dare un messaggio simbolico ai cittadini e di ridurre i costi della macchina amministrativa.
Proprio il presidente del Consiglio si è reso protagonista di un episodio a suo modo esemplificativo due anni fa quando era sindaco di Firenze: per dare un segnale alla cittadinanza aveva deciso la vendita di quattro auto di servizio di grossa cilindrata (una berlina Volvo e tre Alfa Romeo a gasolio) ma il ricavato alla fine è stato inferiore alle attese (17.774 euro) anche perchè era stato utilizzato il modello della busta chiusa che non consentiva il rilancio. Visto il precedente, ecco spiegato il perchè della scelta di eBay.
La spending review
D’altronde anche il commissario alla spending review , Carlo Cottarelli, qualche giorno fa in un’audizione al Senato ha fissato l’asticella: «Non più di cinque auto per dicastero» e l’uso consentito solo a ministri e viceministri.
Se qui siamo nel campo delle intenzioni, i numeri finora raccontano una realtà ancora diversa.
La contabilità delle auto di servizio della Pubblica amministrazione e degli enti locali la fornisce da anni il centro studi Formez alle dipendenze del ministero della Funzione pubblica.
Al 31 dicembre 2012 – l’ultimo bilancio fornito dall’ente – le cosiddette «auto blu» sono 58.688 (al netto delle vetture in uso dalla Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia di Stato) per un esborso complessivo di quasi 950 milioni di euro tra spese di acquisto, noleggio, gestione di personale: 118 milioni di euro in meno rispetto al 2011.
Rileva Carlo Flamment, presidente del Formez, che il tema delle auto di servizio investe soprattutto gli enti locali più che ministeri e amministrazione centrale: «Le Regioni hanno oltre 51 mila auto, oltre il 90% del totale e sono proprio loro i centri di spesa più evidenti».
A confermarlo anche la quantità di consiglieri regionali indagati in questi anni per i rimborsi gonfiati sotto la dicitura «spese di trasporto».
La centrale Consip
Altro tema è quello degli acquisti di nuove vetture sotto la regia di Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione.
All’attivo ora ci sono un paio di convenzioni stipulate dall’ente dal valore di 40 e 15 milioni di euro per l’acquisto complessivo di 5.500 tra berline e utilitarie da qui al 2015.
Beninteso: sono soltanto accordi quadro, delineano cioè i limiti (anche di prezzo) entro i quali gli enti centrali e locali potranno acquistare nuove auto per esigenze di servizio.
Ecco non si vorrebbe che tutto si tramutasse in una partita di giro.
In quel caso non ci salverebbe neanche eBay e la #svoltabuona.
Fabio Savelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE: “ERA PRASSI CHE I SOLDI DELLE SOVRAFATTURAZIONI FINISSERO AI NOSTRI REFERENTI POLITICI”
Un versamento di 200mila euro veicolato dall’ex manager di Finmeccanica Lorenzo Borgogni.
Soldi che sarebbero stati consegnati nel 2010 al segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, per questo indagato per finanziamento illecito a parlamentare dal pubblico ministero di Roma Paolo Ielo.
L’indagine sui «fondi neri» creati grazie agli appalti del colosso specializzato in sistemi di difesa, arriva dunque al livello politico.
Svelando meccanismi di approvvigionamento che sarebbero serviti ad arricchire i manager e i loro referenti.
Un avviso di proroga è stato notificato a Cesa qualche settimana fa. Lui si dice estraneo a tutta la vicenda, ma nuovi accertamenti sono stati affidati alla Guardia di Finanza dopo le dichiarazioni di Sabatino Stornelli, l’amministratore delegato della «Selex Se.Ma» e di suo fratello Maurizio che un anno fa, dopo essere stati arrestati per le tangenti versate per aggiudicarsi le commesse legate al sistema di monitoraggio dei rifiuti denominato «Sistri», hanno deciso di collaborare con gli inquirenti.
Rivelando nomi e circostanze, e soprattutto indicando le società che emettevano fatture false e così creavano le provviste per pagare tangenti.
Due giorni fa il giudice di Napoli ha ordinato l’arresto di Borgogni, e dell’ex parlamentare di Forza Italia Vincenzo Angeloni, il dentista dell’ex amministratore di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini (anche lui indagato e perquisito) che avrebbe avuto il ruolo di collettore delle mazzette.
E nell’ordinanza di custodia cautelare ha scritto: «Maurizio Stornelli precisava che la Sedin era una società riconducibile a Nicola Lobriglio, il quale gli aveva raccontato che tramite Borgogni aveva provveduto a finanziare con i soldi delle commesse ricevute da Finmeccanica i suoi sponsor politici e segnatamente l’onorevole Lorenzo Cesa, lo stesso raccontava questa circostanza come un dato consolidato ormai nel tempo e riferibile già ad alcuni anni prima del 2009. Il rapporto era sempre mediato da Angeloni. E anche in questo caso Stornelli provvedeva a consegnare ad Angeloni una somma di 200 mila euro recapitatagli da Lobriglio a via Liberiana: destinatario finale dei soldi, a dire di Angeloni, era sempre Borgogni (in particolare aveva ricevuto la somma in due tranche : una volta era stato lo stesso Lobriglio a portargliela a casa, un’altra gli aveva chiesto di andargliela a ritirare a casa sua; i soldi venivano poi consegnati ad Angeloni in via Liberiana). Lobriglio gli aveva raccontato che era prassi che i soldi ricavati dalle sovrafatturazioni delle commesse per Finmeccanica venissero poi destinati tramite i vertici di Finmeccanica a finanziare i partiti e, per quanto riguardava lui, il partito di Cesa».
Proprio su questo indaga il sostituto Ielo, ma non solo.
Perchè sotto osservazione c’è anche l’attività di Luigi Pelaggi, l’alto funzionario del ministero dell’Ambiente già arrestato per ordine della procura di Milano.
«Fu proprio Pelaggi a impormi alcune ditte da far lavorare», ha raccontato Stornelli. Nell’ordinanza di Napoli è svelato un altro episodio che dimostra quali interessi si muovessero dietro l’affidamento dei lavori.
Scrive il giudice: «È appena il caso di ricordare le dichiarazioni rese da Sabatino Stornelli, secondo cui l’interesse di Guarguaglini e Borgogni nel Sistri è anche dimostrato dalla ubicazione del centro di localizzazione secondario del Sistri che è stato realizzato a Cecina, paese limitrofo a quello di Guarguaglini, Castagneto Carducci, e della città di Borgogni, Siena, e ciò nonostante il ministro Stefania Prestigiacomo volesse localizzarlo a Siracusa, in quanto siciliana, ed avesse espresso questo desiderio tramite Pelaggi. Invece Guarguaglini, spinto dall’ex ministro Matteoli, ha scelto Cecina, paese di Matteoli. Guarguaglini e Borgogni hanno anche deciso tutte le assunzioni a partire dalla responsabile del centro, che è la nipote di Guarguaglini».
Fulvio Bufi e Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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