Destra di Popolo.net

“DIMEZZARE IL NUMERO DEGLI F35 ORMAI NON HA PIU’ SENSO”: INTERVISTA A SILVIO LORA LAMIA, DA SEMPRE CRITICO DEL JET

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

“L’AERONAUTICA DI 30 AEREI NON CI FA NULLA, NE SAREBBERO DISPONIBILI   SOLO 5″….”PER L’IMPIANTO DI CAMERI ABBIAMO GIA’ SPESO 800 MILIONI”

Sui cacciabombardieri F35 Jsf era già  in atto in Italia un silenzioso rallentamento.
Nei lotti annuali di ordini contraddistinti dalle sigle “Lrip 8” e “Lrip 9” erano calati da 8 a 5.
Il Canada ha addirittura indetto una nuova gara alla quale ha invitato anche l’Eurofighter, il Rafale francese e il Boeing F/A-18 E/F. I
l ministro della difesa Roberta Pinotti sostiene che all’acquisto si applicano le tre r, “ripensare, ridurre, rivedere”, valide per tutte le spese militari.
Silvio Lora Lamia, ex condirettore di “Volare” e ora collaboratore di punta sui temi dell’aeronautica di “Analisi Difesa”, il più autorevole magazine online di problemi militari, non nasconde un giudizio drastico su un eventuale dimezzamento dei jet.
“Se l’ipotesi è di ridurre la commessa a 45 aeroplani, quella descritta in commissione difesa dal deputato del Pd Gian Piero Scanu, all’Aeronautica ne restano 30, perchè 15, i velivoli a decollo verticale, sono destinati alla portaerei Cavour. L’Aeronautica con 30 aerei non ci fa nulla. Di trenta, tenendo conto della manutenzione, della riserva operativa, dell’inevitabile fermo macchina e dell’aggiornamento, l’upgrade, solo 5 sono sempre disponibili. Neppure uno squadrone”.
Quindi?
“Abbiamo 70 Eurofighter di recente diventati multiruolo, ossia adatti anche all’attacco a terra, che alla fine saranno 96. Gli ultimi arriveranno entro la fine del 2016. Avrebbero dovuto essere 121, ma Larussa ne ha tagliati 25. I vertici dell’Aeronautica però sono innamorati degli Usa. Da decenni c’è un cattivo rapporto con l’industria aeronautica italiana, un rapporto che definirei di sfiducia reciproca”.
Avanti con gli F 35 allora.
“L’innamoramento per l’F 35 è stato assecondato dai governi dal 1998 in avanti, sia di centrodestra sia di centrosinistra. Il ragionamento in sostanza era questo: l’Aeronautica lo vuole, avrà  i suoi motivi, diamoglielo”.
Nonostante le prime delusioni?
“Si è scoperto che gli accordi promettevano alcune cose e che l’attuazione pratica disattendeva. C’era di mezzo il divieto di esportazione di tecnologie avanzate. La Lockheed prometteva, ma il Congresso statunitense, il custode geloso della potenza militare americana, ha detto no. Le tecnologie stealth, che rendono invisibili gli aerei, e quelle di integrazione dei sistemi non sono state trasferite. I ritorni industriali sono stati molti di più con gli Eurofighter, che noi abbiamo progettato, sviluppato, integrato, collaudato. Con gli F 35 non è stato è possibile. I generali li difendono, ma i problemi di una mancata sovranità  militare e industriale restano tutti”.
Con il tempo forse potrebbero attenuarsi.
“La fase iniziale, quella più importante, è negativa per noi”.
L’F 35 ha già  rivelato problemi importanti.
“È noto quello del gancio di arresto nella versione da portaerei. Gli alloggiamenti interni di armamento sono troppo caldi. È stato necessario appendere i missili fuori, sotto l’ala, e così lo stealth, l’invisibilità , va a farsi benedire. Sono problemi inspiegabili. Derivano da strani sbagli di impostazione. Le ruote dei carrelli degli aerei a decollo verticale si sono subito sgonfiate. I timoni posteriori si sono incendiati alla prima accensione del postbruciatore del motore, quello che si aziona quando si deve andare a tutta manetta. L’aeroplano è molto complesso. Racchiude in sè tre versioni. È stealth, dovrebbe essere invisibile davanti e dietro, ma con quel po’ po’ di motore non lo è ai sensori di infrarosso nella parte posteriore. Le versioni non a decollo verticale soffrono di questo problema. La manutenzione è complicatissima. C’è un sistema informatico pazzescamente complesso. L’F35 è coperto di sostanze antiradar che rendono la manutenzione costosa”.
C’è stata polemica sui costi.
“Viene sempre citato il Fly Away Cost, ma va aggiunto tutto quello che serve per mettere l’aereo in linea. Così si passa da 100 milioni di euro ad almeno 180”.
Torna la prima domanda. Che fare adesso?
“Io credo però che sia troppo tardi per tirarsi indietro. Solo per l’impianto di Cameri (ndr. una linea di assemblaggio finale e di produzione delle ali, l’unica che non si trova negli Usa) sono già  stati spesi 800 milioni di euro”.

(da “Huffingtonpost“)

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RENZI SPINGE D’ALEMA VERSO LA CARICA DI COMMISSARIO EUROPEO

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

“IL MIO GOVERNO MANDERA’ GLI UOMINI PIU’ FORTI NELLE ISTITUZIONI EUROPEE”

“Non mi interessa l’archeologia, mi interessa il futuro. Io voglio fare politica”. Lo ammette Massimo D’Alema. Senza reticenze.
Un interesse che Matteo Renzi, accanto a lui, ha il potere di soddisfare.
Candiderà  alle elezioni europee il Lìder Maximo? “Per le liste, deciderà  il Pd”, dice. Poi non senza un giro di parole che tradisce qualche imbarazzo: “Contestualmente credo che per i livelli di guida delle istituzioni europee dovremo mandare in Europa le persone più forti che abbiamo: e qui parlo da premieri”.
Tra le righe, ma lo dice: candiderà  D’Alema a commissario europeo.
Da un anno e mezzo i “carissimi nemici” si combattono, si riappacificano, si combattono ancora più duramente.
Ma adesso è il momento del patto, quello pubblico.
La location è il Tempio di Adriano a Piazza di Pietra, l’occasione la presentazione del libro dell’ex premier, “Non solo euro”. In prima fila, Alfredo Reichlin e un Walter Veltroni in questo momento decisamente ai margini, una platea piena delle varie minoranze Pd.
“Chi dice più Europa perde le elezioni, chi dice meno Europa sbaglia. Ci vuole un’altra Europa”, esordisce Renzi, che scopre “preoccupanti” convergenze con D’Alema.
L’altro parte con una dichiarazione forte: “Questo non è un dibattito, noi siamo d’accordo su tutto”. Poi, eccolo lì, si tocca i baffi, marca qualche differenza.
Prima di tutto di linguaggio. In altri tempi sarebbe stato sprezzante , adesso è condiscendente.
“Io lo dico in un altro modo, ma lui – spiegando che metterà  80 euro in più nelle tasche degli italiani – prenderà  più voti”.
Sull’Europa, “ dobbiamo fare “massa critica”, restare uniti anche per “poterle cambiare, non violarle, le regole”.
E dunque: “Io non mi metto dalla parte di quei soloni che dicono che non si può ridurre l’Irpef perchè altrimenti siamo al due virgola qualcosa di deficit anzichè al due virgola qualcos’altro. Cosa ci vogliono fare in Europa? Vogliono riaprire la procedura di infrazione? Questa commissione sta per scadere, quindi ne discuteremo con la prossima”.
Come dire, ci penso io. D’altra parte a inserire il nuovo premier tra i leader europei lui ci ha già  pensato, guidandolo verso il Pse.
L’altro ha colto l’occasione e ci ha portato il Pd senza pensarci due volte.
E adesso, è lo stesso: D’Alema vuole rientrare in gioco, Renzi ha bisogno di qualcuno in Europa con i rapporti giusti per coprirlo ed aiutarlo.
E allora, “il suo programma è realistico”. Sul lavoro? “Non entro nei tecnicismi, ma tu, tu che sei un uomo di sinistra (…nella platea c’è un attimo di disorientamento) devi tener presenti anche la dignità  e i diritti dei lavoratori”.
Un monito che sa tanto di apertura. Notare che non lo chiama quasi mai per nome. Archiviati così un anno e mezzo di lotta dura? Fino a un certo punto.
Renzi legge un passo del libro di D’Alema, con un passo di una lettera a lui scritta due giorni dopo le primarie. In cui questi rivendicava: “Negli ultimi 20 anni l’Italia ha fatto anche benissimo: ha ridotto la spesa pubblica, è stata autorevole nei Balcani e pur nelle divisioni ha prodotto una classe dirigente che ha guidato il Paese e l’Europa”. Insomma, D’Alema non ci sta a fare un tutt’uno del famoso ventennio.
Ma Matteo non molla: “Quando eri segretario dei Ds nel ’97 annunciasti una riforma del lavoro. Non l’hai fatta”.
E in generale, “il centrosinistra sulle grandi riforme ha fallito”.
Indora appena un po’ la pillola: “Va detto che D’Alema ha sempre continuato a parlarmi, anche quando lo attaccavo. Erano i dalemiani e i dalemini a non farlo”.
A D’Alema tocca starci. L’Europa è vicina.
E non a caso esordisce con una citazione dall’incontro tra il premier con la Merkel: gli regala la maglia di Totti.

Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)

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PORTAEREI E FREGATE, SOLDI A MARE

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

LA GARIBALDI E’ IN VENDITA, MA PER LA MARINA C’E’ UNO STANZIAMENTO DI SEI MILIARDI CHE FA GOLA

Le due portaerei Garibaldi e Cavour, orgoglio e vanto della marineria italiana, in questo momento non sono operative.
La prima, la Garibaldi, avendo ormai spesso bisogno di manutenzione a causa dei 33 anni di navigazione alle spalle, si trova nel cantiere di Taranto dove decine di operai le stanno rifacendo il trucco forse anche per rimetterla al meglio in vista della vendita.
Si dice che la marina militare dell’Angola sia molto interessata all’affare.
La seconda portaerei, la Cavour di cui ancora non sono stati ultimati gli allestimenti, in particolare le difese elettroniche, nonostante sia stata varata 5 anni fa, naviga tranquilla lontano migliaia di chilometri dalle coste italiane, nei mari dell’Africa occidentale proseguendo in quel suo contestato giro del mondo in versione supermarket galleggiante voluto dal ministro della Difesa del governo precedente, Mario Mauro.
Sul ponte e nei saloni ospita una specie di fiera delle armi, dai sistemi elettronici Selex (gruppo Fin-meccanica) ai mitra e ai fucili Beretta, tanto da somigliare a un piccolo Le Bourget ambulante, facendo cioè il verso a quella gigantesca kermesse allestita ogni anno sulle piste del vecchio aeroporto nei dintorni di Parigi dove viene esposto il non plus ultra degli strumenti di morte più micidiali.
In teoria, quindi, in caso di necessità , l’Italia non potrebbe fare affidamento sulle due punte di diamante del sistema difensivo marittimo
Questo nno vuol affatto significare che la Marina militare italiana tra le tre armi sia la Cenerentola, anzi.
A giudicare da tutte le attenzioni che la circondano, mai come in questo momento la forza marittima gode di una posizione privilegiata, frutto di una serie di congiunzioni favorevoli che la lanciano come l’Arma per eccellenza.
Prima di tutto il capo di Stato maggiore della Difesa, cioè di tutte e tre le forze armate, Luigi Binelli Mantelli, è un ammiraglio e quindi sicuramente conserva nel cuore un qualcosa in più per la sua arma di provenienza.
Seconda congiunzione: il capo della Marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ha stabilito un ottimo rapporto con Roberta Pinotti fin da quando questa era sottosegretaria alla Difesa, un’intesa che ha mantenuto e rinforzato ora che è diventata ministra.
Terza congiunzione favorevole: la Pinotti è di Genova e quindi molto sensibile alle esigenze delle industrie della sua città , a cominciare da Fincantieri, il gruppo statale con la testa a Trieste, ma la produzione di navi militari proprio nel capoluogo ligure.
Questo intreccio di fattori ha già  dato i suoi frutti.
Intanto prosegue il programma di acquisto di 4 sottomarini della classe U 212 (Todaro) costruiti in collaborazione con la Germania e per i quali l’Italia ha previsto di spendere quasi 2 miliardi di euro da qui al 2020.
Il colpo da maestro pro Marina risale però a circa tre mesi fa quando, in occasione dell’approvazione della legge di stabilità , proprio la forza navale è riuscita a farsi trattare in guanti bianchi.
Nel testo è stato inserito un emendamento caldeggiato dall’ammiraglio De Giorgi che a forza di pianger miseria è riuscito a convincere l’allora sottosegretaria Pinotti che lo stato della flotta militare è pietoso data la sua vetustà  e quindi bisognava provvedere in fretta.
Con un voto bulgaro è stato concesso alla Marina uno stanziamento monstre di circa 6 miliardi di euro in un quindicennio, una cifra di tutto rispetto in un momento di crisi come questo.
Soldi che serviranno per la costruzione di nuove navi.
A beneficiare di questo gigantesco programma navale sarà  ovviamente l’unica industria nazionale in grado di tener testa all’impegno, la genovese Fincantieri guidata da Giuseppe Bono, vecchia volpe delle partecipazioni statali di una volta.
Appena approvato l’emendamento, ha ripreso a veleggiare spedita l’ipotesi di quotare Fincantieri in Borsa prima dell’estate.
Sul mercato sarebbe messa una minoranza azionaria del gruppo che, è facile immaginare, andrebbe a ruba, trainata dalla certezza che nei prossimi anni non mancherà  il lavoro grazie alla megacommessa della Marina.
Non è ancora chiaro che tipo di navi saranno costruite. Lo deciderà  il Parlamento, sempre che il presidente Napolitano non ritenga di far valere come ai vecchi tempi le prerogative del Consiglio supremo di Difesa.

Daniele Martini

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LA PINOTTI IN RETROMARCIA SI DICE “FRAINTESA”: E FRENA SUL TAGLIO DEGLI F35

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

“IL MIO ERA UN RAGIONAMENTO COMPLESSIVO”… SMENTITO ACCORPAMENTO POLIZIA-CARABINIERI… “COME SI FACCIA A RISPARMIARE 2,5 MILIARDI SULLE FORZE DELL’ORDINE SU UN BILANCIO REALE DI 800 MILIONI DELLA POLIZIA, LO SA SOLO COTTARELLI”

Si fa presto a dire: tagliamo gli F35.
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, in Parlamento ha difeso con veemenza il «suo» bilancio: «Abbiamo un problema di spesa pubblica, è vero. Ma complessivo. Guai se passa l’idea che la Difesa sia un bancomat da cui prelevare liberamente. La Spending review bisogna farla in tutti i settori dello Stato, altrimenti sarebbe una sperequazione».
E i cacciabombardieri della discordia? Renzi non ha già  annunciato un taglio al programma e lei stessa non s’era sbilanciata nello stesso senso?
«Io – scandisce – non ho mai parlato di un singolo programma d’arma. Io faccio sempre un ragionamento complessivo. Prima dobbiamo ripensare la Difesa, poi rivedere i programmi, quindi ridurre». Sono i media che «hanno esteso al singolo programma una valutazione complessiva».
Era prevedibile. La Difesa non ci sta a passare per l’agnello sacrificale della Spending review.
Il ministro ribadisce la sua disponibilità  a nuovi tagli, ma senza dimenticare che una riorganizzazione è in corso, gli effettivi scenderanno da 190 a 150 mila, si rinuncerà  a 385 caserme e basi.
Tutto il resto andrà  discusso. Lo strumento a cui la Pinotti si affida si chiama Libro Bianco. Sarà  un poderoso documento che prenderà  in esame le minacce future per l’Italia e gli strumenti adatti a fronteggiarli.
Dice Pinotti: «Ci impegnerà  i prossimi mesi. Ritengo che sarà  pronto entro dicembre. Non prima, perchè sarebbe la fotografia dell’esistente. Non dopo, perchè c’è l’esigenza di decidere».
E quindi, per come la vede lei, che su questo percorso ha avuto l’appoggio delle commissioni parlamentari e oggi chiederà  la condivisione del Consiglio supremo di Difesa con il Capo dello Stato, è rinviato al 2015 ogni discorso sull’F35, ma anche sull’assetto della Marina, e sui programmi dell’Esercito.
Resterà  deluso il commissario straordinario Carlo Cottarelli, insomma, che sulle spese militari ipotizzava un risparmio di 1,8 miliardi già  nel 2015 e 2,5 nel 2016.
Altre spine per il commissario alla Spending review vengono dall’Interno.
Nonostante la sua cautela («Non si può ridurre il livello di sicurezza, è un settore delicato. Si parla infatti di sinergie tra i diversi corpi. Altri Paesi come la Francia lo hanno fatto») i sindacati della polizia sono scesi in guerra contro il taglio di 300 presidi della Ps.
E non solo loro. Anche il Cocer dei carabinieri ha tuonato: «Per via di una Spending review insensata, l’Arma ha dovuto chiudere, accorpare e rimodulare diversi presidi, ai danni non solo delle comunità  locali ma anche dei carabinieri che vi prestavano servizio».
Per di più s’è sparsa la voce che il governo medita su un accorpamento tra Carabinieri e Polizia. Il governo s’è precipitato a smentire.
Dice il ministro Angelino Alfano: «Quello sull’unificazione dei corpi di pubblica sicurezza è un dibattito che va avanti da decenni: dal mio punto di vista non è mai stata una mia richiesta».
Gli fa eco Roberta Pinotti: «Mai discusso di accorpamento in sede di governo. Non è all’ordine del giorno. Semmai un miglior coordinamento».
Eppure i sindacati di polizia Siap e Anfp attaccano: «Il ministro Alfano non consenta che logiche meramente ragionieristiche dettino l’agenda della sicurezza».
Ricordano: la Ps costa 7,3 miliardi. Tolti gli stipendi, restano 800 milioni per le indennità  di missione, l’ordine pubblico, l’armamento, la formazione, gli automezzi, la benzina, le pulizie, il riscaldamento, la manutenzione, e gli affitti. Come risparmiare 2,5 miliardi in due anni, allora?

Francesco Grignetti
(da “La Stampa”)

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L’IMPRESENTABILE PD SALVATO DAL COMITATO DEI GARANTI: CHI E’ GENOVESE, DEPUTATO A RISCHIO ARRESTO

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

DEMOCRISTIANO, POI SEGRETARIO REGIONALE PD CON VELTRONI, SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE ANITMAFIA, POI CON FRANCESCHINI, QUINDI CON BERSANI, ORA PASSATO CON RENZI

Salvato dalla comitato dei garanti del Pd, adesso è il primo parlamentare della XVII legislatura per il quale è stato chiesto l’arresto.
C’era anche Francantonio Genovese tra l’elenco di candidati impresentabili che Franca Rame aveva chiesto di eliminare dalle liste del Partito Democratico.
Dodici mesi fa però il suo seggio a Montecitorio era stato salvato: il comitato dei garanti si era limitato a cancellare dalle liste democratiche soltanto i conterranei Nino Papania e Mirello Crisafulli.
Troppo pesanti le 19.590 preferenze raccolte dall’ex sindaco di Messina alle primarie, che di fatto ne facevano il più votato d’Italia nella competizione interna al Pd.
Democristiano fin da quando girava in grembiulino e lecca lecca, figlio del senatore Luigi Genovese e nipote del pluriministro Nino Gulotti, l’ex sindaco di Messina ha sempre rappresentato un valore aggiunto per il Pd siciliano, partito di cui diventa il primo segretario regionale nel 2007, sostenendo Walter Veltroni.
Nel 2008 l’ex sindaco di Roma lo porta per la prima volta a Montecitorio, dove Genovese diventa addirittura segretario della Commissione Antimafia.
Il Veltronismo nel Pd però dura poco, ma Genovese è abile a ricollocarsi immediatamente dalla parte dei vincitori: prima sostiene Dario Franceschini, quindi si scopre accesissimo sostenitore di Pierluigi Bersani.
Ed è all’ex segretario del Pd che Genovese porta in dote migliaia di voti per vincere le primarie del 2012.
Minuto, mite, calvo,occhiali: uguale identico al celebre Mister Magoo dei cartoon, come lo descrisse Gian Antonio Stella, Genovese negli anni duemila è l’unica certezza del centro sinistra in Sicilia, isola dove Berlusconi vince sempre e comunque. E invece nel 2005, Genovese sfata il tabù e sbaraglia i concorrenti nella corsa a sindaco di Messina, la sua città , dove tutti lo chiamano semplicemente “Franzantonio”.
Colpa del patto di ferro siglato con la famiglia Franza, di cui è socio in diverse attività , prima tra tutte la Caronte, che gestisce i traghetti che collegano Messina a Reggio Calabria.
Sulla poltrona più alta della città  peloritana, Genovese ci rimane un paio d’anni: poi è costretto a dimettersi, a causa di un pasticcio nei simboli presentati in campagna elettorale, che portano il Cga a dichiarare nulle le elezioni.
Poco male, perchè nel frattempo il ras delle preferenze fa il salto a livello nazionale: diventa deputato e continua ad occupare ogni spazio disponibile nell’ambito della Formazione professionale, sua vera gallina dalle uova d’oro.
Attività  che alla fine lo condurrà  nella polvere: a giugno scorso finisce indagato, a luglio gli arrestano la moglie Chiara Schirò.
Nel frattempo Genovese continua a fare quello per cui è più portato: ricollocarsi sempre e comunque dalla parte del vincitore.
E quest’autunno, un anno dopo la campagna elettorale per Bersani, Genovese si scopre a sorpresa accesissimo fan di Matteo Renzi: fulminato sulla via della rottamazione, il ras delle preferenze appoggia ufficialmente Basilio Ridolfo, candidato dell’ex sindaco di Firenze nella corsa alla segreteria peloritana del Pd.
Appoggio che i renziani di Sicilia hanno incassato silenziosamente, come in silenzio è stata finora accolta la richiesta d’arresto per Genovese.
Primo deputato di Matteo Renzi che rischia di finire in manette.

Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SCANDALO FORMAZIONE: CHIESTO L’ARRESTO PER IL DEPUTATO RENZIANO FRACANTONIO GENOVESE

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

AL SETACCIO SEI MILIONI DI FINANZIAMENTI: L’ACCUSA E’ DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, TRUFFA, PECULATO, RICICLAGGIO, FALSO IN BILANCIO

In cinque anni, con un sistema di enti e società  tutti a lui riconducibili, avrebbe fagocitato sei milioni di euro di risorse pubbliche destinate alla formazione professionale.
Già  la scorsa estate, chiudendo la prima tranche dell’inchiesta, la Procura di Messina aveva arrestato la moglie e la cognata, ora il pool di magistrati coordinato dal sostituto procuratore Sebastiano Ardita chiede l’arresto del deputato nazionale del Pd Francantonio Genovese, ras della formazione professionale nella provincia di Messina, azionista e dirigente della traghetti Caronte di Pietro Franza, oltre che nipote dell’ex ministro Nino Gullotti ed esponente di spicco dei democratici siciliani (alle primarie per il Parlamento del 2012 è stato il più votato d’Italia con quasi 20 mila preferenze).
La richiesta è stata accolta dal gip che ha girato alla Camera dei deputati la richiesta di autorizzazione all’arresto del parlamentare accusato di una sfilza di reati che vanno dall’associazione per delinquere al peculato, dalla truffa al riciclaggio al falso in bilancio.
La richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare in carcere è stata notificata a Montecitorio dagli uomini della squadra mobile di Messina e della Guardia di finanza che all’alba di oggi hanno eseguito anche altre quattro ordinanze di custodia, questa volta ai domiciliari, notificando i provvedimenti a persone tutte molto vicine a Genovese e con incarichi nel Pd o negli enti e nelle società  da lui controllate.
Si tratta di Salvatore La Macchia, già  capo della segreteria tecnica dell’ex assessore regionale alla Formazione Mario Centorrino, Stefano Galletti, Roberto Giunta e Domenico Fazio.
Anche in questo secondo filone di inchiesta restano indagati la moglie di Genovese, Chiara Schiro’, sua sorella Elena (entrambe arrestate a luglio e attualmente sotto processo) con il marito Franco Rinaldi (deputato regionale del Pd), altre due cognate di Genovese, la segretaria Concetta Cannavò, Elio Sauta (personaggio chiave del complesso meccanismo controllato dal politico messinese) e tutte le altre persone già  coinvolte nel primo troncone d’indagine sfociato negli arresti del luglio scorso.
Da allora, i magistrati della Procura di Messina hanno scoperto che non erano solo la Lumen e l’Aram gli enti mangiasoldi attraverso i quali Genovese e il suo clan politico-elettorale avrebbero drenato finanziamenti regionali, statali e comunitari e soprattutto foraggiato un bacino elettorale che negli anni ha sempre garantito al deputato Pd elezioni con numeri da record.
Secondo le più recenti risultanze investigative sarebbero stati una decina gli enti ( tutti no-profit naturalmente) dei quali Genovese avrebbe acquisito il controllo, attraverso suoi familiari o prestanome, per presentare progetti da inserire nei piani di formazione.
Progetti che all’assessorato, dove Genovese riusciva esercitare forti pressioni, venivano puntualmente finanziati.
Una rete alla quale vanno ad aggiungersi diverse società  sempre riconducibili all’uomo politico che servivano come interfaccia e che consentivano di quintuplicare fittiziamente i costi, mai sostenuti, che venivano poi rimborsati dalla Regione per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale.
Affitti e acquisti di locali, noleggio di attrezzature, locazione di macchine. Gli enti di formazione amministrati dai familiari di Genovese si rivolgevano alle società  (sempre da loro controllate) che fornivano i servizi a prezzi esorbitanti e fuori mercato.
Senza che alla Regione nessuno esercitasse alcun controllo.
Per giustificare le ingenti somme percepite venivano poi rendicontate una serie di consulenze fittizie.
Tra il personale degli enti di formazione, naturalmente tutti pagati dalla Regione, Genovese sistemava non solo il suo numeroso clan familiare, ma anche i parenti degli uomini su cui poteva contare all’interno della pubblica amministrazione e anche i suoi più stretti collaboratori. Alcuni degli addetti alla sua segreteria politica sarebbero stati stipendiati dagli enti di formazione.
Il Pd in mattinata ha comunicato la decisione di sospendere Genovese, sebbene lo stesso Genovese abbia diramato un comunicato quasi a togliere il partito dall’imbarazzo: “Per comprensibili ragioni di opportunità “, non disgiunte dall’alto senso di rispetto che ho sempre avuto nei confronti delle istituzioni, dei colleghi di partito e dei parlamentari tutti, anticipo la mia determinazione ad autosospendermi dal Partito democratico e dal gruppo parlamentare”, ha scritto il deputato.
“Al momento, ho avuto contezza solo dei capi di   imputazione e non delle ragioni a sostegno delle accuse mossemi. Sin da ora, tuttavia, anche alla luce di quanto emerso, in questi ultimi mesi, nel corso di un   parallelo procedimento penale ed avuto riguardo alla documentazione già  depositata agli inquirenti dai miei difensori, sono certo di poter fornire ogni chiarimento utile ad escludere la sussistenza degli addebiti che mi vengono contestati. Ciò farò, con serenità , in ogni sede, non esclusa quella parlamentare”.

(da “La Stampa“)

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MOSTRE A CASO E CURATORI SCELTI: E’ LA TURBOCULTURA DI RENZI

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

IMBARAZZO A FIRENZE PER LA SINGOLARE MOSTRA AFFIDATA ALLA PROSSIMA MOGLIE DI MARCO CARRAI, IL GIANNI LETTA DI RENZI

Nella mozione con cui Matteo Renzi si è candidato alla guida del Pd si legge che “vanno cambiati i centri per l’impiego, in un Paese dove si continua a trovare lavoro più perchè si conosce qualcuno che perchè si conosce qualcosa: la raccomandazione più che il merito”.
Una frase che non fa una piega.
Proviamo ad applicarla al mondo — mai molto chiaro — dei rapporti tra pubbliche amministrazioni ed eventi culturali.
Se una ragazza di 26 anni, laureata in Filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano è perchè conosce qualcuno o perchè conosce qualcosa? La ragazza in questione (che si chiama Francesca Campana Comparini), è in procinto di sposare Marco Carrai, uno dei membri più importanti del cerchio magico di Renzi.
Carrai — vicino a Cl — è presidente dell’Aeroporto di Firenze e membro del cda della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, e di quello del Gabinetto Viesseux, oltre a essere stato presidente della cruciale Firenze Parcheggi.
Carrai è socio della Holden srl di Baricco, ed è — per dire — tra i soci della ditta che ha trasformato la Libreria Marzocco nel nuovo Eataly Firenze.
Ed è, naturalmente, il direttore generale della Fondazione Big Bang, la cassaforte della macchina politica di Renzi.
In questi giorni, infine, Carrai è sotto i riflettori per aver ospitato per tre anni a titolo gratuito l’amico Matteo in un suo appartamento nella centralissima via degli Alfani a Firenze.
Una serie di circostanze che spiega perchè l’opposizione chieda di chiarire formalmente “se la mostra di Pollock ha superato una valutazione tecnico amministrativa ed eventualmente da chi è stata svolta prima di ricevere il sostegno del Comune di Firenze attraverso la delibera di Giunta e se si può ravvisare in questo intreccio un apparente conflitto d’interessi o almeno un inopportuno favoritismo verso la futura moglie di un personaggio assai vicino al sindaco Renzi”.
Moglie di Carrai o no, il punto è: Francesca Campana Comparini ha i titoli per curare una mostra di questa ambizione?
Nella principale banca dati del settore, sono presenti 62 titoli dell’altro curatore (Sergio Risaliti), e uno solo (e su un tema del tutto diverso) della Comparini, che esattamente due anni fa veniva intervistata sempre dal Corriere Fiorentino per aver esposto alcune sculture contemporanee fuori del negozio di famiglia, in via Tornabuoni.
Un’iniziativa certo lodevole, ma non esattamente un titolo scientifico.
Nel frattempo, bisogna riconoscerlo, la giovane filosofa ha firmato un saggio nel catalogo della mostra sullo scultore Zhang Huan a Forte Belvedere.
Ma poichè anche quella è stata una commissione dello stesso Comune di Firenze, è purtroppo assai poco utile a chiarire il dubbio instillato da De Zordo e Grassi.
Avrebbe i titoli per rispondere l’assessore alla cultura Sergio Givone, il quale ha incontrato la curatrice intervenendo a un ciclo di conferenze da lei organizzato presso lo Studio Teologico di Santa Croce: e il tema (“Il Dono: sorgente del vivere e del pensare”) potrebbe essere perfino la chiave concettuale della vicenda, assai illuminante circa il verso che prende l’Italia di Renzi.
Nulla si è detto finora della mostra: si tratta del tentativo di far dimenticare la fallimentare e tragicomica caccia all’inesistente Leonardo della Battaglia di Anghiari ospitando nello stesso Salone dei Cinquecento un confronto tra Michelangelo e Jackson Pollock.
Sì, avete capito bene: appoggiandosi sul fatto che Pollock da giovane ha copiato qualche opera di Michelangelo (come è capitato a ogni artista da cinque secoli in qua), si è deciso di stupire i borghesi appaiando ai marmi del Buonarroti le gocciolature del pittore americano.
Purissimo marketing, dal valore culturale prossimo allo zero.
Un dettaglio.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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LA FIDANZATA DEL BRACCIO DESTRO DI RENZI NOMINATA CURATRICE DELLA MOSTRA SU POLLOCK E MICHELANGELO A FIRENZE

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

CONOSCE QUALCOSA O CONOSCE QUALCUNO? … OLTRE A ESSERE IN PROCINTO DI SPOSARE MARCO CARRAI, RISULTA ESSERE LAUREATA IN FILOSOFIA E NON AVER MAI CURATO ALCUNA MOSTRA

Il Fatto Quotidiano stuzzica il premier Matteo Renzi sulla mostra su Pollock e Michelangelo a Firenze.
Il casus belli è che la curatrice della mostra è la futura sposa dell’uomo ombra del primo ministro, ovvero Marco Carrai.
La ragazza di 26 anni, si chiama Francesca Campana Comparini.
Se una ragazza di 26 anni, laureata in filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano è perchè conosce qualcuno o perchè conosce qualcosa?
È questa la domanda che due consiglieri di opposizione, Ornella De Zordo (Per un’altra città ) e Tommaso Grassi (Sel), hanno formalmente rivolto alla città  di Firenze, ora retta dal vicesindaco Dario Nardella.
In un articolo apparso il giorno prima sul Corriere Fiorentino si era infatti letto che la ragazza in questione (che si chiama Francesca Campana Comparini), è in procinto di sposare Marco Carrai, uno dei membri più importanti del cerchio magico di Renzi.

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LA IDEM COME RENZI: LEI INDAGATA, LUI NO, MA CHE STRANO…

Marzo 19th, 2014 Riccardo Fucile

L’EX MINISTRA ACCUSATA DI TRUFFA: DA ASSESSORE FU ASSUNTA DAL MARITO E I CONTRIBUTI GLIELI PAGà’ IL COMUNE…TANTE ANALOGIE CON IL PASSATO DEL PREMIER: 300.000 EURO A CARICO DEL CONTRIBUENTE

Mentre la ex ministra dello Sport, Josefa Idem si ritrova indagata per truffa aggravata per i contributi della sua pensione, Matteo Renzi annuncia riforme mirabolanti delle pensioni altrui.
Prima di tagliare i privilegi però il premier dovrebbe chiarire perchè la sua situazione pensionistica dovrebbe essere così diversa da quella dell’ex campionessa di canoa. L’ex ministra è a un passo dalla richiesta di rinvio a giudizio per una presunta marachella da 8 mila euro mentre il premier, per una situazione simile ma che è costata alla collettività  una cifra di circa 300 mila euro, continua a non rendere conto a nessuno.
Difficile non notare la disparità  di trattamento: Josefa Idem, dopo le dimissioni presentate il 24 giugno 2013 per il mancato pagamento dell’Imu e dopo avere versato senza battere ciglio i 3 mila euro della multa, è stata prosciolta dall’accusa fiscale.
Ma è indagata per una questione che ricorda molto quella scoperta dal Fatto su Renzi.
La Procura di Ravenna ha notificato all’ex ministro e al marito-allenatore Guglielmo Guerrini l’avviso di chiusura indagini previsto dall’articolo 415 bis che solitamente prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
Il reato contestato è la truffa, punita all’articolo 640 del codice penale con una pena da 1 a 5 anni.
Secondo il pm Angela Scorza Idem avrebbe truffato il comune facendo leva sulla legge che impone all’ente pubblico (Comune, Provincia o Regione) di versare i contributi al posto del datore di lavoro precedente nel periodo in cui un dipendente viene eletto consigliere o nominato assessore e chiede l’aspettativa.
Questa norma rappresenta una conquista della sinistra codificata nello Statuto dei Lavoratori ma spesso è usata in modo furbo dai politici.
L’ex assessore allo Sport di Ravenna Idem è accusata dal pm di truffa per 8 mila e 642 euro, quelli versati dal Comune al posto dell’associazione sportiva del marito che l’aveva assunta poco prima della nomina.
Idem è indagata per 183 giorni lavorativi da assessore, dal 10 giugno 2006 al 7 maggio 2007, giorno in cui, per ragioni familiari e sportive, si dimise.
Renzi invece pontifica indisturbato sulle pensioni altrui anche se la provincia e il comune di Firenze gli hanno versato i contributi (da dirigente e quindi ben più elevati di quelli da semplice dipendente della Idem) per poco meno di 10 anni.
Josefa Idem si era fatta assumere dall’associazione sportiva del marito 16 giorni prima l’accettazione dell’incarico da assessore, offerto alcuni giorni prima.
Renzi, invece, come abbiamo raccontato sul Fatto , si è fatto assumere dalla società  Chil della famiglia un giorno prima l’annuncio da parte della Margherita della sua candidatura a presidente della Provincia.
Fino a 10 giorni prima dell’assunzione, avvenuta il 27 ottobre 2013, Matteo Renzi era socio con una quota del 40 per cento della Chil Srl.
All’atto di cessione delle quote si dichiara ‘libero professionista’, perchè era un mero co.co.co. non un dirigente.
Matteo e la sorella Benedetta quel giorno cedono le quote alla mamma e al babbo e solo a quel punto, quando Renzi è pronto a candidarsi alla presidenza della Provincia con garanzia quasi matematica di elezione, i genitori decidono di assumerlo.
Per 7 mesi e mezzo, fino all’elezione nel giugno 2004, Chil paga i contributi poi il peso della pensione, del tfr e dell’assistenza di Renzi passa sulle spalle dei contribuenti fiorentini.
Grazie all’assunzione nella Chil, Renzi si è fatto versare una massa enorme di contributi, se confrontati con quelli di Josefa Idem.
Altro che i miseri 8 mila e 600 euro dei ravennati, i fiorentini hanno pagato fino al mese scorso ben 3 mila e 240 euro al mese per i contributi di Matteo Renzi.
Alla fine del 2010, quando l’azienda della Chil Post con Matteo Renzi in aspettativa, passa alla Eventi 6, nel prospetto dei Trattamenti Fine Rapporto accumulati per Renzi c’è già  un tfr di 28 mila e 326 euro.
Grazie a un’interrogazione del consigliere Francesco Torselli si è scoperto che il sindaco è rientrato al lavoro in azienda tre giorni dal 22 al 24 giugno del 2009, e si è messo in ferie.
Nella risposta all’interrogazione il vicesindaco Lorella Saccardo ammette: “se al momento dell’assegnazione della carica, fosse stato occupato con un rapporto di co. co. co. (come era fino al 27 ottobre 2003, ndr) il dottor Matteo Renzi non avrebbe avuto diritto ai contributi figurativi”.
Forse Renzi, a prescindere dalla Idem, dalle indagini su di lui che non ci sono e mai ci saranno visto l’atteggiamento della Procura e della Corte dei Conti di Firenze, potrebbe considerare l’ipotesi di rinunciare ai contributi.
E magari a restituire il Tfr pagato dai contribuenti.
Perchè chiedere sacrifici ai pensionati quando si sono agguantati così l’anzianità  contributiva e il Tfr, magari non sarà  una truffa ma di certo è un’ingiustizia.

Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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