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SIMBOLO DI AN IN TRIBUNALE: “ANNULLATE L’ASSEGNAZIONE DEL LOGO A FRATELLI D’ITALIA”

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

UN GRUPPO DI EX AN CHIEDE L’IMMEDIATA SOSPENSIONE DELLA DELIBERA CON CUI LA FONDAZIONE HA DATO IN AFFITTO IL SIMBOLO ALLA MELONI

Fermate quel simbolo. Cinque esponenti dell’allora Alleanza nazionale hanno presentato un ricorso al tribunale ordinario di Roma per chiedere l’immediata sospensione della delibera con cui la fondazione An ha affidato l’uso del logo del partito sciolto cinque anni fa a Fratelli d’Italia.
Si tratta di cinque esponenti pugliesi della formazione politica e tutti e cinque fanno riferimento a quell’area politica che fu di Pinuccio Tatarella.
E fa un certo effetto perchè Tatarella di certo non avrebbe fatto salti di gioia nel vedere le diatribe a cui sono arrivati i big (e non solo) della (fu) destra.
Se ne occuperà  la storia, la cronaca ora se la vede con un atto presentato dall’avvocato Roberto Ruocco, consigliere regionale Pdl-Fi, e con lui dagli altri consiglieri pugliesi berlusconiani Nicola Marmo e Pietro Lospinuso e dagli esponenti locali Domenico Damascelli e Dario Damiani.
L’atto si poggia su due elementi fondamentali.
Il primo ricorda che dopo lo scioglimento del partito, tutti i beni confluirono in una fondazione e che «la decisione di costituire una fondazione scaturiva dall’esigenza di non aprire in futuro controversie sull’eredità  politica e sull’uso del nome e del simbolo da parte di minoranze eventualmente dissidenti».
Si ricorda che le finalità  della fondazione An «sono la conservazione, tutela e promozione del patrimonio politico e di cultura storica e sociale che è stato proprio, fino alla sua odierna evoluzione, della storia della destra italiana, e, segnatamente, del partito politico Alleanza nazionale, oltre che dei movimenti ed aggregazioni politiche e sociali, che ad essa hanno dato causa o contributo ideale».
«Consegue, quindi – si legge ancora nel ricorso -, che la cessione, se pur limitata nel tempo, da parte della fondazione del simbolo e della denominazione del “partito politico Alleanza nazionale”, ad essa conferiti per il raggiungimento delle finalità , ad altri soggetti perchè se ne servano nel contingente politico ed elettorale, da cui, sciogliendosi e costituendo una fondazione, An si è voluta sottrarre, costituisce, oltre che un depauperamento di suoi elementi identificativi, una palese violazione delle finalità  di “conservazione, tutela e promozione del patrimonio politico e di cultura storica” di Alleanza nazionale».
A riprova del rischio depauperamento si portano alcuni numeri.
Il partito allora guidato da Fini alle ultime elezioni in cui si presentò con il suo simbolo, le politiche 2006, raccolse il 12,34%, mentre Fratelli d’Italia alle politiche 2013 ha toccato l’1,95%.
«Il che – scrivono i ricorrenti – significa che oltre l’85% dell’elettorato che fu di Alleanza nazionale non si riconosce nel FdI (che, peraltro, conta nella sua esigua base anche aree di provenienza diversa)».
Il secondo elemento fondamentale riguarda la votazione dell’assemblea della fondazione An del 14 dicembre scorso, quando venne approvata la mozione Meloni-La Russa-Alemanno con cui appunto vene ceduto il logo del partito ormai defunto a Fratelli d’Italia.
Anzitutto, rilevano i ricorrenti, non era stata iscritta all’ordine del giorno visto che in quella sede si discusse del “piano generale delle attività  e dei risultati della gestione e della conduzione amministrativa della fondazione, nonchè gli obiettivi che la stessa si propone di conseguire, i relativi strumenti e tempi di attuazione”.
«Inoltre – è scritto nel ricorso – è stata approvata alla presenza di soli 292 partecipanti su 1.206 aventi diritto».
Nell’atto vengono annotati altri aspetti che tuttavia possono essere considerati accessori. Per esempio il fatto l’assegnazione riguardava il simbolo e non anche la scritta Alleanza nazionale.
Oppure il fatto che sono stati ascoltati, dall’ufficio di presidenza, un numero esiguo di dirigenti.
«Basta leggere il verbale delle audizioni dell’inventato ufficio di presidenza “allargato” per verificare che nessuna indagine (necessaria, secondo la mozione, prima di concedere il simbolo) di quelle previste è stata seriamente svolta.
Va evidenziato, a tal proposito, che sono stati “auditi” (solo) 21 ex dirigenti di An, di cui solo parte favorevoli (vicini od in avvicinamento a Fratelli d’Italia) a concedere a FdI il simbolo.
Alcuni altri, a nome del Comitato promotore del “Movimento per Alleanza nazionale” addirittura hanno diffidato gli organi della Fondazione a concedere il simbolo.
Il rappresentante di Fli (il partito fondato da Gianfranco Fini che all’elezioni politiche ha raccolto quasi la metà  dei voti raccolti da FdI) si è espresso negativamente».
Anche qui, a supporto di questa tesi (ovvero della scarsa rappresentanza dei dirigenti ascoltati) si portano numeri: «Di fronte a quei 21 “auditi”, in parte favorevoli ed in parte contrari, va ricordato che Alleanza nazionale, però, contava (dati 2005) ben 188.000 iscritti, oltre 500 dirigenti nazionali (congresso 2002) e migliaia di dirigenti locali. Per Alleanza nazionale hanno votato nel 2006 ben 4.706.654 elettori».
Del caso se ne occuperà  il tribunale.
Quel che è sicuro è che il mondo dell’ex An continua a non trovare pace.

Fabrizio dell’Orefice
(da “il Tempo“)

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INTERVISTA AL PROF. AZZARITI: “MA COME SI FA A STRAVOLGERE COSI’ LA COSTITUZIONE?”

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

IL DOCENTE DI DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA SAPIENZA: “RISCHIO DI SVOLTA AUTORITARIA, I MAGGIORI POTERI VANNO DATI AL PARLAMENTO, NON ALL’ESECUTIVO”

“Renzi procede con irruenza, senza scorgere la direzione verso cui procede. Una buona riforma costituzionale non si fa velocemente, e i maggiori poteri andrebbero dati al Parlamento, non certo all’esecutivo”.
Gaetano Azzariti, professore di Diritto costituzionale all’università  La Sapienza di Roma, è uno dei firmatari dell’appello di Libertà  e Giustizia “contro il progetto di stravolgere la Costituzione”.
Ieri si sono aggiunte altre firme: Rosetta Loy, Corrado Stajano, Giovanna Borgese, Alessandro Bruni, Sergio Materia, Nando dalla Chiesa, Adriano Prosperi e Fabio Evangelisti.
Professore, l’appello lancia l’allarme sul rischio di una “svolta autoritaria”. Perchè?
La storia italiana ci ha insegnato quanto sia pericoloso l’effetto slavina: si inizia da una piccola frana, ovvero da una piccola riforma costituzionale, e poi si arriva a una valanga che travolge l’intero sistema. Lo conferma il fatto che siamo passati rapidamente dall’ipotesi di una nuova legge elettorale alla riforma del Senato e del Titolo V. E in questi ultimi giorni abbiamo letto di proposte che toccano anche la forma di governo, come quella sul premierato forte
Il ministro per le Riforme Boschi ora smentisce. Pare invece che nella bozza di riforma ci sia la ghigliottina sui provvedimenti, cioè l’imposizione di un termine 60 giorni per varare i ddl del governo, pena la loro votazione senza modifiche…
Anche questo è un tentativo di limitare ulteriormente la voce del Parlamento. Se abbiamo un problema di crisi costituzionale è che negli ultimi 20 anni le Camere hanno contato sempre meno. Una buona riforma dovrebbe estendere i poteri del Parlamento, il contrario di quello che si tende a fare. La ghigliottina non è solo una metafora: è un modo di tagliare la testa al dibattito, una fiducia rafforzata, in un Paese dove il ricorso al voto di fiducia è assolutamente eccessivo.
Nella Direzione del Pd, Renzi ha sostenuto: “I cittadini non amano questo eccesso di livelli di governo. E poi mille parlamentari sono troppi”.
Si vuole scaricare sulla Carta la profondissima crisi della politica e del sistema dei partiti, della classe dirigente. Le Costituzioni hanno l’ambizione di limitare i poteri: capisco che questo ad alcuni poteri dia fastidio
Il taglio della Province non è utile?
Il vizio principale di questo testo di riforma nasce dal fatto che l’unica logica è quella di tagliare le teste ai senatori e ai consiglieri provinciali. Ma la Carta pretende che innanzitutto si ragioni di funzioni: nessuno mi ha spiegato a chi andrebbero date quelle delle Province. E poi c’è il tema del Senato: vorrei sapere cosa se ne vuole fare.
Renzi però insiste e va di corsa. Le pare un uomo forte, o un uomo che prova a diventarlo?
Io spero che sia più attento alla Costituzione. Questa sua irruenza, questa sua volontà  di velocità  nel cambiamento, gli impedisce di vedere la direzione in cui procede. Per fare una riforma costituzionale di qualità  non bisogna essere rapidi. E questo lo dimostra anche il continuo mutare della bozze, segno evidente della debolezza di questo progetto
La Costituzione ha bisogno di aggiustamenti?
Come spiegava Leopoldo Elia, un costituzionalista raffinato, il vero tema è sempre quello dell’equilibrio dei poteri. Negli ultimi anni c’è stato un forte squilibrio a favore del governo, a colpi di voti di fiducia e maxiemendamenti, che va compensato. Bisogna ripartire dalla razionalizzazione della forma di governo, come sosteneva già  il giurista Perassi nell’Assemblea costituente.

Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DECRETO SUL LAVORO DI RENZI: LA LIBERALIZZAZIONE CHE NON LIBERA

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

LA RIFORMA DI RENZI CREERA’ MENO ORE LAVORATE, SALARI PIU’ BASSI E LAVORATORI DI SERIE B

Il decreto sul lavoro varato dal governo Renzi non è nè di destra (l’espressione usata ieri da Stefano Fassina), nè di sinistra.
Semplicemente si muove in direzione antitetica rispetto al disegno di legge delega che lo stesso governo sostiene di voler tradurre in misure operative in tempi rapidi.
La legge delega si propone di stabilizzare i lavoratori temporanei e di unificare il mercato del lavoro, superando la segregazione fra i lavoratori duali e gli altri lavoratori, occupati e disoccupati (unificando gli ammortizzatori con il sussidio di disoccupazione).
Il decreto liberalizza, invece, i contratti a tempo determinato, rendendoli ancora più convenienti per il datore di lavoro rispetto a quelli a tempo indeterminato e allo stesso contratto di apprendistato.
Certo, giusto, togliere una serie di oneri burocratici, introdotti dalla riforma Fornero, che hanno ostacolato le assunzioni, ma qui si va ben oltre quanto richiesto dalle stesse associazioni di categoria.
Si permettono fino a 8 proroghe dello stesso contratto con lo stesso datore di lavoro anche per prestazioni che non hanno affatto natura temporanea.
Al termine di ciascuna di queste proroghe, il datore di lavoro potrà  di fatto licenziare il lavoratore senza preavviso e senza riconoscere alcuna indennità .
Nulla impedisce che una lavoratrice venga lasciata a casa perchè entrata in maternità  al termine di uno dei suoi tanti microcontratti.
E dopo tre anni di prova, il datore di lavoro ha l’alternativa fra convertire il micro-contratto in un contratto a tempo indeterminato (col rischio di pagare fino a 36 mensilità  nel caso di licenziamento senza giusta causa) oppure sostituire il malcapitato con un altro lavoratore temporaneo a costo zero.
Facile intuire che il tasso di conversione si ridurrà  ancora di più rispetto ai già  bassi livelli attuali e le imprese continueranno ad offrire quasi unicamente contratti a tempo determinato.
Tanto più che ora il decreto permette che questi siano utilizzati per il 20% dei lavoratori di un’impresa, e anche oltre, se specificato dal contratto di categoria.
Ad esempio, il contratto per il settore “legno lapidei”, siglato col decreto in Gazzetta Ufficiale, permette alle aziende del settore di avere fino alla metà  dei lavoratori a tempo determinato
Crediamo che Renzi abbia scelto questa strada perchè voleva dare una spinta alla creazione di posti di lavoro. Nobile intento. Ma bene che non si illuda.
Può esserci un effetto immediato sulle assunzioni, ma prima o poi, forse anche prima delle elezioni di maggio, ci sarà  un forte effetto anche sulle cessazioni di rapporti di lavoro.
L’esperienza trentennale della Spagna, raccontata con alcuni grafici su lavoce. info, è molto informativa a riguardo.
Liberalizzando i contratti a tempo determinato in presenza di contratti a tempo indeterminato con alti costi di licenziamento, si hanno più contratti temporanei, ciascuno più breve, più passaggi da un’impresa all’altra, più periodi di disoccupazione, meno ore lavorate e salari più bassi (anche a parità  di ore lavorate). Non è un’avventurosa e impegnata vita spericolata.
È semplicemente una deprimente vita lavorativa segregata, da lavoratore di serie B, spesso a vita, condannato a non poter pianificare in alcun modo il proprio futuro.
Se si vogliono togliere freni alla creazione di posti di lavoro senza rendere ancora più duale il nostro mercato, meglio concentrare tutte le energie su di un disegno di riforma coerente.
Si può, ad esempio, tagliare il cuneo fiscale nel modo più diretto e meno distorsivo, vale a dire riducendo i contributi sociali.
Dato che le risorse sono limitate, questa riduzione del cuneo fiscale può limitarsi ai soli contratti a tempo indeterminato.
È un modo di incoraggiare le conversioni e corrisponde ad un principio assicurativo: sono posti di lavoro a minor rischio di venir interrotti dei contratti a tempo determinato.
Si può, al contempo, introdurre il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti nel decreto, al posto di proroghe ed estensioni ad libitum dei contratti a tempo determinato.
Anche questo serve a incentivare i datori di lavoro ad assumere fin da subito con contratti a tempo indeterminato.
Essendo una riforma strutturale, potrebbe essere utilizzata nel negoziato a Bruxelles per ottenere quella maggiore flessibilità  auspicata anche ieri dal ministro Padoan, dunque per rendere ancora più forte e incisiva la riduzione delle tasse sul lavoro. Pagaiando in modo disordinato si rischia di continuare a girare su se stessi.
L’illusione è quella di muoversi, ma è solo tanta fatica sprecata.
Meglio decidere dove si vuole andare e, a quel punto, vogare spingendo entrambi i remi verso prua oppure sciare a dritta, spingendoli con altrettanta determinazione verso poppa.

Tito Boeri
(da “La Repubblica”)

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INTERVISTA A MARINE LE PEN: “LA FRANCIA CHE GUIDERO’ NON SARA’ NE’ FASCISTA NE’ DI SINISTRA”

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

“HO CAMBIATO IL FRONT NATIONAL, NON SIAMO DI DESTRA, SIAMO UN PARTITO DI GOVERNO CHE RACCOGLIE I DELUSI”…”DIFESA DELLA NAZIONE, RIFIUTO DELL’ULTRALIBERISMO E DELL’EUROPEISMO”

Portare a compimento la strategia di «superamento della demonizzazione » del suo movimento.
Dare una tabella di marcia ai futuri sindaci e consiglieri municipali del suo movimento, fissando l’asticella molto in alto: dovranno essere virtuosi, rispettare l’opposizione e «mantenere le loro promesse ».
A due giorni dal secondo turno delle amministrative in Francia, parla Marine Le Pen, la leader del Front National, il partito dell’ultradestra che è andato al ballottaggio in ben 229 comuni del Paese.
La Le Pen auspica la nascita di un «grande movimento patriottico, nè di destra nè di sinistra», un «partito di governo» contrapposto a un altro blocco politico, che sarebbe costituito dall’Ump e dal Partito socialista. Una sorta di «peronismo alla francese», definizione che l’eurodeputata non respinge.
Come valuta l’esito del primo turno delle municipali?
«Molto positivamente. Abbiamo raggiunto i nostri obiettivi: più di 500 liste. E il secondo turno ci darà  oltre 1000 consiglieri municipali. Il nostro obiettivo era conquistare più di quindici città ; e in effetti quelle che abbiamo sono una quindicina. C’è una grossa lezione da trarre da questo voto: la necessità  del radicamento. Tanto più che il territorio si conquista per cerchi concentrici, come si è potuto vedere nel bacino minerario. Partendo da una città  in cui il movimento ha preso piede, la volta successiva potremo avere candidati in altre quindici o venti»
Ma la vostra scelta di non essere «nè di destra nè di sinistra » non rischia di impedire ogni alleanza, portandovi in un vicolo cieco?
«Nient’affatto. E’ questo che i francesi si aspettano. Nel nostro elettorato abbiamo sia i delusi dell’Ump che i delusi del Ps. Siamo all’anno zero di un grande movimento patriottico, nè di destra nè di sinistra, che fonda la sua opposizione all’attuale classe politica sulla difesa della nazione, sul rifiuto dell’ultraliberismo e dell’europeismo, capace di trascendere le antiche barriere per porre i problemi veri: la prospettiva è nazionale o post-nazionale? Spero questo possa apparire chiara al momento delle elezioni europee»
Ma il Front National non fa parte del blocco della destra?
«No, assolutamente. Lo schieramento di destra non corrisponde più alla realtà . Non si possono catalogare gli elettori in due campi contrapposti, destra e sinistra; la realtà  è assai più complessa».
Eppure, è con l’Ump che siete in concorrenza, e vi fondete con liste di destra…
«Mi scusi, ma dove emergiamo noi il Partito socialista scompare ».
Secondo lei, il Fn può prendere il potere da solo?
«Stiamo passando per una tripolarizzazione della vita politica francese. La Quinta Repubblica -a meno che non si passi alla Sesta -imporrà  nuovamente il bipolarismo, com’è nella logica delle istituzioni. E il confronto sarà  tra l’Ump da un lato e il Fronte Nazionale -Rassemblement Bleu Marine dall’altro ».
Ma nel frattempo ricorrete a fusioni con liste di destra, e neanche molte…
«È una scelta. Ho sempre detto che reggeremo dovunque, tranne qualche rarissima eccezione. I progetti sono a portata di mano, la prospettiva di vincere esiste. Le fusioni non hanno alcun senso se non si vince».
Il logo del Fn, o sono le vostre idee a impedire ai militanti dell’Ump di affiancarsi a voi?
«No, c’è ancora un solo soffitto di vetro, che però salterà  presto: non avere la possibilità  di far vedere ciò che siamo capaci di fare. In altri termini un bilancio. È questo che ci manca. Ed è importante. Non intendo rifuggire da questo ostacolo. Sarà  grazie al bilancio di cui parlo che faremo un salto di qualità  »
Con queste alleanze non temete di deludere gli elettori che votano per il vostro programma nazionale?
«Non è del tutto vero. Il rifiuto di sovvenzionare le associazioni politicizzate o comunitariste è un atto politico, come lo è la difesa dei piccoli commercianti, o la lotta contro l’insicurezza. I francesi sanno distinguere perfettamente le competenze comunali da quelle nazionali».
Quali sono le associazioni politicizzate?
«Quelle che si schierano nelle elezioni. Se la Lega dei diritti umani diffonde un volantino per far votare pro o contro qualcuno, vuol dire che è politicizzata. Perchè allora non si costituisce in partito politico? Le associazioni possono assumere posizioni politiche; ma nel momento in cui chiedono sovvenzioni pubbliche hanno l’obbligo di rispettare certi paletti »
Un sindaco del Fn «deideologizzato » sarà  diverso da un sindaco dell’Ump o del Partito socialista?
«Credo di sì. Penso soprattutto a farla finita con il fantasma delirante che consiste nel dire “sarà  la guerra, sarà  il Fascismo”. Il pericolo fascista è una favola per bambini e per qualche intellettuale di sinistra parigino. La vera questione è sapere se gli eletti del Fn saranno trattati come gli altri o come dei paria. In quest’ultimo caso, fra sei anni ce ne saranno cento volte di più».
Temete di essere trattati come dei paria?
«Lo abbiamo già  visto. Nel 1995, i sindaci del Fn hanno dovuto amministrare le città  come dei paria, con l’interruzione delle sovvenzioni e così via. Questo genere di cose non funziona più. Non fa più presa sull’elettorato ».
A proposito del Festival di Avignone, i sindaci del Fn nel 1995 erano intervenuti sulle biblioteche, su certe programmazioni. Sarà  così anche stavolta?
«Non sono mai stata per queste cose. La situazione è più tranquilla. L’obiettivo non è fare dei laboratori ideologici. Nel 1995 il Front National non era allo stadio a cui è arrivato oggi. I sindaci dell’epoca volevano lasciare il segno sugli spiriti, c’era l’impostazione molto ideologica di Bruno Mègret. Io non sono su questa linea, non è il mio stato d’animo. È un altro periodo che si apre».
È il Fn che è cambiato o è la società ?
«Tutti e due. Il Fn è cambiato perchè è un grande partito, e quando si è grandi si cambia: non si vedono più le cose allo stesso modo di quando si è un partito di opposizione, di contestazione, che vive in un’ostilità  brutale. Ora abbiamo una visione più tranquilla. Siamo diventati un partito di governo, che ha la struttura e la base elettorale per arrivare al potere».
La carta municipale del Rassemblemet Bleu Marine sarà  il programma di tutti i sindaci del Front National?
«Sì».
È molto generica. Da dove verrà  la rottura?
«Non solo la rottura si vedrà , ma i sindaci saranno rieletti. Vedrete. Alle promesse devono seguire i fatti. La prima prova che dobbiamo dare è dimostrare che siamo capaci di rispettare le promesse. E questa è una rottura enorme con la classe politica tradizionale».
Darete istruzioni agli eletti del Fn nei consigli comunali per affrontare certi temi?
«Naturalmente. organizzeremo un ciclo di formazione. Porteremo delle idee nei consigli comunali. Per esempio la costituzione di centrali d’acquisto comunali per la nafta, per le forniture scolastiche»
I vostri eletti nei consigli comunali porteranno avanti una guerriglia permanente?

«No, non è questo l’obiettivo. saremo un’opposizione reale. La faremo con durezza se la giunta comunale non vorrà  stare a sentire. Oppure in modo sereno se la giunta sarà  disponibile. Ma la vigilanza sull’operato della giunta ci sarà , perchè è essenziale »
Al di là  delle città  conquistate, qual è per voi lo scenario ideale? Un trionfo dell’Ump? Un Partito socialista che limita i danni?
«È quello che dimostrerà  che il Fn ha riserve di voti a destra come a sinistra. Questo farà  comprendere ai nostri elettori che possiamo vincere domani, in qualsiasi elezione».
Giocate per il 2017 (le prossime elezioni presidenziali, ndr) nel 2014?
«Non soltanto. Le regionali, le cantonali, le presidenziali, le legislative… Dimostrare che siamo una grande forza che può vincere le elezioni, che bisogna piazzarsi al primo turno, che abbiamo delle riserve a cui attingere per il secondo, ancora una volta sia a destra che a sinistra».

Abel Mestre e Caroline Monnot

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ROMANI CONDANNATO A 1 ANNO E 4 MESI PER LE BOLLETTE DA 3.000 EURO PAGATE DAL COMUNE DI MONZA

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

IL CAPOGRUPPO DI FORZA ITALIA ERA ACCUSATO DI PECULATO: AL TELEFONINO, RICEVUTO IN COMODATO COME ASSESSORE ALL’EXPO, RISPONDEVA LA FIGLIA

Il capogruppo al Senato di Forza Italia, Paolo Romani, è stato condannato a un anno e quattro mesi per lo scandalo delle maxi bollette telefoniche.
L’accusa, pronunciata dal gup Alfredo De Lillo, è di peculato.
L’ex ministro allo Sviluppo economico dell’ultimo governo Berlusconi è finito sotto accusa per un uso troppo “disinvolto” del telefonino che il Comune di Monza gli aveva dato in comodato, per il suo incarico di assessore all’Expo, tra il 2011 e i primi mesi del 2012.
In questo periodo, secondo l’accusa, l’ex ministro aveva accumulato oltre 3mila euro di bolletta.
Componendo il numero di Romani rispondeva la figlia, che gentilmente indicava all’interlocutore il numero dove trovare il padre.
Il politrico ha anche risarcito i costi delle bollette al Comune di Monza, ma il giudice dell’udienza preliminare non ha riqualificato il reato nell’ipotesi più lieve di peculato d’uso, come chiesto dall’avvocato difensore.
“La sentenza è figlia di un’epoca di caccia alle streghe“, ha commentato il legale, Raffaele della Valle, annunciando che “faremo senz’altro appello”.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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“GENERALE, STAI SERENO”: IL CACCIABOMBARDIERE ARRIVA, PAROLA DI PINOTTI

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

DOPO LA VISITA DI OBAMA A ROMA E LA RICHIESTA DI MAGGIORI INVESTIMENTI MILITARI IL MINISTRO DELLA DIFESA PINOTTI RASSICURA LE TRUPPE: “NON FAREMO MARCIA INDIETRO”

Tra Obama e Renzi sugli F 35 c’è un gigantesco gioco delle parti.
Quando il presidente americano alla conferenza stampa con il capo del governo italiano dice “niente tagli alla difesa” è evidente che si riferisce all’Italia.
Ma quelle parole non significano automaticamente “niente tagli ai cacciabombardieri della statunitense Lockheed Martin” che anche il nostro paese sta comprando. L’equivalenza non è così diretta, per tre ordini di motivi almeno.
Primo e più importante: Obama sa che non può chiedere ai partner, Italia compresa, di non tagliare gli F 35 quando lui stesso lo sta facendo.
Gli Stati Uniti hanno ridotto del 20 per cento circa l’impegno per i cacciabombardieri nel prossimo anno fiscale federale.
Mentre prevedono altre riduzioni per il prossimo quinquennio.
Secondo motivo: richiamare gli alleati ai livelli di spesa previsti dalla Nato è quasi un’ovvietà  dal punto di vista del presidente americano, considerando il divario tra la spesa statunitense per l’alleanza (il 4 per cento circa del Pil) e quella degli europei, Italia in particolare (meno dell’1 per cento).
Questo richiamo appare ancor più scontato considerando gli scenari da Guerra fredda ai confini dell’Europa con i militari russi ammassati alle frontiere ucraine.
Terzo motivo: ritenere che Obama si faccia piazzista della Lockheed Martin è forse eccessivo . Prima di tutto non è Bush e poi la lobby bellica non è in prima fila tra i suoi grandi elettori.
È evidente, però, che gli Stati Uniti, e quindi Obama, abbiano tutto l’interesse che l’Italia al pari degli altri 9 partner del gigantesco e costosissimo programma degli F 35 non si sfili del tutto.
Perchè se lo facesse sarebbe un bel guaio dal punto di vista del tornaconto americano. Una volta accertato che l’elaborazione e la produzione dell’avveniristico cacciabombardiere comportava costi che neanche loro statunitensi erano in grado di affrontare da soli, hanno fatto di tutto per coinvolgere una serie di paesi alleati in modo da diluire la spesa e impegnare meno risorse.
E sarebbe del tutto illogico se oggi facessero marcia indietro riguardo a questa impostazione ed è probabile Obama lo abbia fatto presente a Renzi.
A questa pressante esigenza americana il governo italiano, il Pd e Renzi del resto non avevano e non hanno l’intenzione, la forza e il coraggio di sottrarsi .
Esponendosi così alle inevitabili critiche di chi a sinistra è del tutto contrario all’acquisto dei cacciabombardieri considerandoli inutili, costosi e difettosi.
E di Beppe Grillo e del Movimento cinque stelle che rimproverano a Renzi di essersi messo sull’attenti agli ordini del presidente americano.
L’obiettivo di Renzi appare sia quello di non scontentare il potente alleato americano sia di scongiurare rovinose spaccature all’interno del suo partito salvando capra e cavoli: non rinnegando per intero l’acquisto dei cacciabombardieri, forse anche in omaggio agli impegni assunti a suo tempo con gli Stati Uniti dai governi precedenti, a cominciare da quelli di centrosinistra della fine anni Novanta di cui fu esponente l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il politico che più di altri nel suo partito aveva buoni rapporti con la Casa Bianca.
Ma riservandosi uno spazietto di manovra per operare qualche taglio, se non proprio incisivo almeno di bandiera, di immagine.
Anche l’ambiguissima dichiarazione della ministra Roberta Pinotti alla festa dell’Aeronautica può essere interpretata come una specie di “non aderire del tutto e non sabotare completamente”.
Ai generali Pinotti ha raccomandato di “stare sereni” perchè “l’Italia non può fare marcia indietro”.
Senza specificare su che cosa non indietreggerà : nell’impegno militare o proprio sugli F 35?
A visita di Obama conclusa e a riprova delle tensioni e della confusione nel Pd, il gruppo della Camera ha confermato che approverà  il “libro bianco” preparato dal responsabile in commissione, Gian Piero Scanu, che prevede meno F 35 rispetto ai 90 che avrebbe voluto l’ex ministro Mario Mauro e più Eurofighter, il caccia europeo alla cui costruzione partecipa anche l’Italia.

Daniele Martini

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FIRENZE APPALTI E FINANZIAMENTI INDAGINI SUGLI AMICI RENZI

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

LE SCATOLE CINESI: DALLE GUIDE AFFIDATE A CARRAI AI LAVORI ALLA DOTMEDIA DEL FEDELISSIMO SPANà’

Cinque milioni di euro in tre anni. Un flusso continuo e in costante crescita di denaro che dal Comune finisce nelle casse di una società  controllata e da qui arriva anche ad aziende private di amici e soci riconducibili all’entourage del sindaco e alla sua stessa famiglia.
Tra cui la CrossMedia controllata da Marco Carrai, l’amico che ha pagato l’affitto al premier
Accade dal 2011 nella Firenze di Matteo Renzi.
La controllata si chiama Museo dei Ragazzi, le aziende private sono numerose in particolare CrossMedia e Dotmedia.
Dal 2012 a oggi la società  ha ricevuto da Palazzo Vecchio una cifra complessiva di circa 5 milioni di euro.
Su questo flusso di denaro la Procura ha aperto un fascicolo più di un anno fa, grazie al lavoro svolto dal nucleo di polizia tributaria di Firenze della Guardia di Finanza (sezione accertamento danni erariali) su delega del procuratore capo Giuseppe Quattrocchi.
Il magistrato è andato in pensione da ormai sei mesi e il fascicolo è ancora lì.
Nel frattempo il denaro ha proseguito ad arrivare.
Nel solo 2014 il Comune ha già  stanziato 1 milione 240 mila euro al Museo dei Ragazzi e la controllata ha avanzato richiesta di altri 700 mila euro.
Nei primi dieci anni di vita (2001-2011) la controllata riceveva cifre medie annue di mezzo milione.
Le necessità  sono cambiate con l’arrivo dei nuovi vertici: Lucia De Siervo direttore generale e di Matteo Spanò alla presidenza. Entrambi fedelissimi di Renzi.
La prima, figlia del presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo e sorella del direttore di Rai Trade Luigi, è stata capo di gabinetto poi assessore nella giunta Renzi, infine direttore della cultura di Palazzo Vecchio e figura già  nel 2007 tra i fondatore dell’associazione
Noi Link creata per finanziare l’attività  politica dell’attuale premier su idea di Marco Carrai. Matteo Spanò, invece, era già  direttore di Florence Multimedia (società  creata da Renzi quando guidava la Provincia) e su cui la Corte dei Conti ha contestato sprechi per 9 milioni di euro proprio nel periodo in cui era guidata da Spanò, dal 2006 al 2009.
Oggi presidente della Banca di Credito Cooperativo di Pontassieve, comune di Renzi, Spanò è anche socio della società  privata Dotmedia
Così come accadeva quando era alla guida della Florence Multimedia, anche dal Museo dei Ragazzi assegna direttamente alla sua società  delle iniziative dell’amministrazione.
Nel 2011 la comunicazione della Notte Tricolore. “A costo zero” ha poi spiegato in Consiglio Comunale rispondendo a Tommaso Grassi, consigliere di Sel ora candidato sindaco alle prossime amministrative.
Ma a Dotmedia sono arrivati altri incarichi dal Comune, questa volta pagati: la campagna per la Riduzione dei rifiuti, quella del Natale in San Lorenzo, le Mappe dell’Oltrarno.
E ancora oggi nell’elenco dei committenti figura Palazzo Vecchio.
Socio di Spanò nella DotMedia è Alessandro Conticini, fratello del cognato di Renzi: Andrea Conticini, marito di Matilde, sorella del presidente del Consiglio.
“A noi è sempre sembrato assurdo — spiega Grassi — è evidente che il Museo dei Ragazzi sia la nuova Florence Multimedia”.
Nella volontà  di Renzi c’è l’intenzione di trasformarla in Fondazione per affidarle l’intero comparto culturale e stanziarle i fondi della tassa di soggiorno.
“Siamo riusciti a fermarlo in Consiglio, per ora. Si tratta di 23 milioni di euro all’anno che verrebbero sottratti dalla gestione diretta del Comune e affidati a una società  privata travestita da pubblica”.
Il Museo dei Ragazzi guidato da Spanò nel 2011 affida a un’altra società  dell’universo renziano l’appalto per i tablet nel polo museale: la C&T CrossMedia controllata da Marco Carrai attraverso la D&C.
Oggi gestisce le guide di Palazzo Vecchio, del Brancaccio e di Santa Maria Novella. L’appalto, assegnato senza gara, scadrà  il 28 dicembre 2016. Secondo la delibera il Museo dei Ragazzi tiene nelle proprie casse l’80% degli introiti dei musei e il 20% viene versato al Comune.
Dai resoconti che il Fatto ha potuto visionare risulta che quel-l’80% è poi diviso a metà  con CrossMedia: una cifra che al momento raggiunge il mezzo milione di euro complessivo.
Nonostante le richieste avanzate anche da alcuni consiglieri comunali, Palazzo Vecchio ha negato l’accesso ad alcuni atti del Museo dei Ragazzi.
I cinque milioni complessivi servono anche a gestire la struttura, precisano dalla società . Ma la controllata paga esclusivamente i dipendenti perchè le altre spese ordinarie (telefoni, sedi e altro) sono interamente a carico del Comune.
Ma perchè la struttura che fino al 2011 costava massimo 500 mila euro appena tre anni dopo ha quadruplicato le uscite di bilancio?
Il fascicolo è in Procura in attesa di un pm.

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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“FORZA SILVIO” ULTIMA ARMA: QUEI 12.000 CLUB INVISIBILI PER EVITARE IL TERZO POSTO

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

DAI CONDOMINI ALLE ASL, MINI GRUPPI SENZA SEDI… BERLUSCONI: “OGNUNO CONVINCA 4.000 ELETTORI”…MA L’EX DEL DEBBIO: “NEGATIVO IL CERCHIETTO MAGICO CHE LO CIRCONDA”

Sono l’ultima arma per la sopravvivenza. Berlusconi annuncerà  a giorni la «missione compiuta» dei 12 mila club “Forza Silvio”.
Piccoli, agili, ramificati ovunque, negli uffici ministeriali e nelle asl, nei condomini e nei centri commerciali.
Soprattutto tenuti a rispondere – tramite il coordinatore Marcello Fiori – solo a lui. Niente gerarchie, addio comitati di presidenza, zero burocrati forzisti, solo giovani, gente impegnata nel sociale, professionisti e impiegati, molte donne.
Macchine sul modello Caf, pronte a trasformarsi in cellule di propaganda elettorale.
Ogni club col compito di contattare col porta a porta i 4 mila elettori di cinque sezioni elettorali
«Nel partito devono capire che dobbiamo rinnovare, come ha fatto Renzi: dobbiamo diffondere il più possibile i club» si raccomandava ancora ieri il leader incontrando a Palazzo Grazioli dirigenti forzisti sempre più spaesati.
È una corsa contro il tempo, in vista del 25 maggio, con lo spettro del “terzo polo”. L’ultimo sondaggio targato Swg per il Pd mummifica Forza Italia per la prima volta al 18,8 per cento, sotto la fatidica quota 20, comunque dietro Pd al 35 e M5s al 21.
Ecco perchè ha deciso di voltare pagina e alla svelta.
«A ieri le domande per l’apertura di un club erano 10.849 e altri 279 ci sono arrivate dall’estero, da italiani a Pechino o in Australia, perfino in Vietnam» elenca soddisfatto Marcello Fiori: nel suo studio che è il vero quartier generale della sede forzista di Piazza San Lorenzo in Lucina.
Piglio manageriale, classe 1960, un passato ai vertici della Protezione civile, al Comune di Roma e all’Acea.
Con Giovanni Toti, è lui il paladino del berlusconismo 2.0, per questo temuto, invidiato e in parte detestato dalla vecchia guardia.
«Il presidente ha pensato a un partito leggero, all’americana, i club ne sono espressione – spiega – Come dice lui, saranno Forza Italia tra la gente».
Quella prediletta, non quella dei palazzi, ormai in via di «rottamazione ». La chiave, la trovata che Berlusconi spera sia vincente come lo furono i club di vent’anni fa, ruota attorno alla solidarietà  e all’assistenza.
Per tramutare poi l’operazione simpatia in consenso elettorale. «Vogliamo dare radici popolari alla vita politica, solo con gesti concreti potremo recuperare credibilità » ragiona ancora Fiori. Club in tutte le università  ma anche in zone di “frontiera” in Val di Susa per i coraggiosi “pro-Tav” piuttosto che a Lampedusa.
Ma come funzionano? Chi ne fa parte? E soprattutto, perchè in giro, per strada, non se ne vede nemmeno uno
«Ogni club deve essere formato da cinque persone, che dovranno diventare 25 nell’arco di sei mesi – continua il coordinatore – Un presidente affiancato da nove vice, ognuno con la sua competenza specifica. Ora partiranno le convention regionali, per mobilitarli tutti». Il voto è alle porte.
Gli intoppi burocratici sono stati enormi in questi mesi, l’obiettivo 12 mila era dato quasi per raggiunto da Berlusconi già  alla convention nazionale dell’8 dicembre a Roma. Invece è successo che molti volenterosi che hanno chiesto di aprirne uno via web hanno scoperto che occorreva registrarsi all’agenzia delle entrate, versare 200 euro e dotarsi di un codice fiscale.
L’operazione stava per fallire. Fiori minimizza, dice che quei problemi ora sono superati. «I club sono un’associazione che dopo tre mesi viene affiliata a Forza Italia, devono essere dotati di codice fiscale e per questo occorre depositare gli atti costitutivi all’Agenzia delle entrate. Teniamo alla trasparenza. Ma il club è un’onlus, l’atto va depositato, non può essere obbligatoria la registrazione, l’Agenzia ha chiesto soldi in maniera illegittima fino a poco tempo fa, scoraggiando alcuni. Ora, dopo una serie di chiarimenti, speriamo di aver superato il problema».
E le sedi? «I club nascono nell’era post finanziamento pubblico, non possiamo chiedere ai nostri iscritti di aprirne una e pagare un affitto, si incontrano in un circolo o in parrocchia ».
Cristian Leccese, 31 anni, lavoratore in coop, ha creato a dicembre il club “Per il bene di Gaeta”. «Con altri ragazzi abbiamo organizzato delle raccolte tramite banco alimentare, affidando poi la distribuzione dei prodotti alla Caritas piuttosto che alle parrocchie – racconta – Alle persone, meno si parla di politica, meglio è. Proviamo ad aiutare, poi certo apparteniamo a un partito, ma basso profilo politico ».
Francesca Crispino ha lavorato per anni nello staff di Berlusconi, oggi giovane madre ha dato vita al club “Mamme per la libertà ”.
«Siamo una decina, raccogliamo via Fb tutte le segnalazioni delle madri che hanno problemi per il reinserimento nel mondo del lavoro e i riscontri sono trasversali, da destra a sinistra ».
Simone Foglia, 35 anni, impiegato di banca, ha aperto un club nell’enclave un tempo rossa della Garbatella a Roma. «Noi una sede l’abbiamo, siamo trenta, forniamo assistenza legale, consulenza fiscale, ma collaboriamo con le parrocchie per iniziative di solidarietà ».
E confluisce nella costellazione dei club anche l’Esercito di Silvio di Simone Furlan. «Avevamo raggiunto gli 800 reggimenti, il presidente ci ha chiesto di trasformarli in club, ne sono nati almeno 400» dice l’imprenditore padovano, 38 anni, entrato nell’ufficio di presidenza di Fi.
«Restiamo però operativi, sorta di protezione civile per Berlusconi, pronti a intervenire in sua difesa, ci stiamo organizzando per una mobilitazione coi club il 10 aprile o quando il Tribunale di Milano deciderà  su di lui: porteremo in piazza una manifestazione pacifica». Basterà  tanta mobilitazione per salvare il partito?
A sentire berlusconiani della prima ora come Paolo Del Debbio, ieri in radio alla Zanzara, sarà  difficile. Voterebbe per Renzi? «Francamente sì. Non per sfiducia in Berlusconi, ma per chi sta intorno a lui – dice il cofondatore forzista e ex conduttore di Quinta colonna sulle reti Mediaset – Non so se magico, ma un cerchio c’è. Magari un cerchietto, ma è quello composto da tutte quelle donne lì. Io non le conosco, non le frequento e la cosa non mi dispiace. Coperta di Linus, gli fanno caldo. Berlusconi non è nella sua stagione migliore».

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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STORACE CANDIDATO ALLE EUROPEE PER FORZA ITALIA, ACCORDO CON BERLUSCONI

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

EX AN IN LIVREA DA MAGGIORDOMI: LUI REALIZZA SUBITO, LE SORELLE D’ITALIA ENTRERANNO IN SERVIZO A FINE TURNO

Avanti dinosauri. Avanti parenti.
Le liste di Forza Italia saranno un po’ così, all’insegna del lancio verso Strasburgo di pantere grigie del calibro di Francesco Storace – che è la new-old-entry nella squadra di Forza Italia dove avrà  un diritto di tribuna e a cui promette di portare voti personali e della Destra – e dell’esordio da eurocandidati in pectore di figure familiari su cui l’ex Cavaliere punta tanto per svecchiare il partito e che per ora si riassumono in una mentre si attende lo scioglimento dell’enigma Barbara («E’ tosta come me e stronza come la madre», ossia Veronica è il giudizio attribuito all’ex Cavaliere).
Il parente per ora prescelto come aspirante parlamentare europeo è Edoardo Sylos Labini, marito di Luna che è la nipote di Silvio e la figlia di Paolo.
L’annessione a sorpresa di Sylos Labini (professione attore) tra i maggiorenti del partito, è stato infatti inserito nel comitato di presidenza azzurro, rappresenta il primo passo a cui dovrebbe seguire l’inclusione nella lista azzurra per le consultazioni del 25 maggio.
C’è da chiedersi come mai Berlusconi ricorra ai dinosauri e si rivolga ai parenti.
La spiegazione l’ha data in qualche modo lo stesso ex Cavaliere l’altro giorno alla riunione a Palazzo Grazioli, quando ha raccontato con aria grave e preoccupata questa storia. «Io ho fatto e sto facendo molte richieste a imprenditori, a personaggi pubblici, a persone che si sono distinte nel proprio lavoro – svela il leader di Forza Italia – ma tutti hanno risposto alla mia offerta di candidatura alla stessa maniera: Presidente, sono lusingato dalla proposta, mi ci faccia pensare per dieci giorni e poi le dirò.
Dopo dieci giorni, ognuno di loro mi risponde alla medesima maniera: no, grazie, sarebbe un’avventura bellissima ma in questo momento non me la sento».
LA CACCIA
Dunque, mentre la caccia alle novità  si rivela terribilmente faticosa, l’usato sicuro torna di moda.
Ieri Berlusconi ha inviato una lettera al comitato centrale della Destra di Storace che oggi si riunirà  e ha chiesto loro: «Tornate alleati di Forza Italia».
La proposta verrà  valutata, e intanto – così si racconta tra gli azzurri che sanno – la lunga trattativa tra Berlusconi e Storace su una possibile candidatura di quest’ultimo all’interno delle liste azzurre si sarebbe chiusa.
E Storace, con i suoi voti e le sue preferenze, correrà  nella squadra forzista per Strasburgo nel collegio laziale, dove il capolista è Tajani
La questione Fitto è risolta: ha vinto lui e correrà  per le Europee come capolista del Sud (Luigi Cesaro, detto Giggino ‘a purpetta, ex consentiniano carico di voti sarà  tra i big in gara nella stessa circoscrizione dove Cosentino minacciava fuoco e fiamme contro Forza Italia a trazione Pascale ma ora si sta placando).
Il caso Scajola è chiuso con un no – niente posto in lista per lui – anche se nel ritorno dei dinosauri forse non avrebbe sfigurato il leader di Imperia.
Il sardo Salvatore Cicu è in procinto di adottare il lodo Fitto (candidatura europea e dimissioni da deputato) mentre in molti altri casi si registra una retromarcia.
Svariati parlamentari azzurri, per garantirsi cinque anni pieni a Strasburgo e sfuggire all’indefinitezza della legislatura italiana, premevano su Berlusconi per farsi candidare in Europa.
Ma pensandoci bene – servono molte preferenze personali e spesso gli azzurri hanno soltanto i voti di Silvio – hanno deciso di soprassedere. Anche per un fatto di soldi.
SOLDI
In ogni circoscrizione, in media, il singolo candidato non può spendere più di 170.000 euro che comunque non sono pochi.
In ogni caso, la paura che si vada alle urne e non si venga ricandidati spingerà  i parlamentari forzisti a non dare troppa battaglia a Renzi – anche se l’ex Cavaliere ha scelto la linea del «niente sconti» – il cui governo è per loro garanzia di sopravvivenza. Il vero pensiero di Berlusconi però è un altro: «Il 10 aprile mi mettono in galera».
E non aggiunge più, perchè ha perso la sua proverbiale ironia: «Voi dovrete portarmi le arance in cella».

Mario Ajello
(da “il Messaggero”)

Al termine dei lavori del Comitato Centrale di Roma, i dirigenti de La Destra hanno approvato all’unanimita’ l’ordine del giorno roposto dal Segretario Nazionale del partito, Francesco Storace, in cui si dà  mandato di rispondere positivamente all’appello rivolto dal presidente Berlusconi nella lettera inviata ieri.
Questo il testo integrale del documento:
“Il Comitato Centrale de La Destra riunito a Roma in data 29 marzo 2014, udita la relazione del Segratario Nazionale;
Apprezzato il contenuto politico dell’appello lanciato dal Presidente Berlusconi teso a ricostruire un’area politica ove La Destra pur nella sua specificità  possa portare il suo fattivo contributo;
Analizzata la difficile situazione politica nazionale emersa e dibattuta durante i lavori del Comitato Centrale
Approva
La relazione del Segretario Nazionale, comprese le modifiche statutarie illustrate
Dà  mandato
Al Segretario Nazionale Francesco Storace di rispondere positivamente, sin dai prossimi giorni, alla lettera inviata dal Presidente Berlusconi affinchè possa concordare modi e tempi per un comune cammino che deve avere come obiettivo quello di restituire all’Italia, al più presto, un Governo finalmente eletto dal popolo”.

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