Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
“LE ENTRATE PREVISTE NON HANNO RISCONTRI OGGETTIVI”
Sul tavolo c’è una tabella scritta a mano coi numeri de #lasvoltabuona di Matteo Renzi, la dote finanziaria che consentirà (o no) di realizzare l’ambizioso cronoprogramma del premier.
La persona che l’ha compilata, una fonte Ue esperta di cose economiche, invita a usare le molle.
Avverte che le cifre, come i contenuti e i relativi giudizi, sono «intrinsecamente vincolati a ciò che accadrà davvero».
Giudica positive le ambizioni per economia e lavoro. Però appaiono due rughe sulla sua fronte quando si affrontano le coperture.
«Troppe variabili – ammette -: troppe certezze che possono cadere nonostante le migliori intenzioni»
L’argomento principale è che metà delle voci destinate a bilanciare il minor gettito Irpef «non ha riscontri oggettivi» e l’altra metà è «incerta».
«Non vuol dire che siano dati impossibili – sottolinea la fonte -. Tuttavia vedo delle domande prive di risposta».
A partire dall’esito della spending review che il governo definisce foriera di 7 miliardi di risparmi, mentre il suo autore Carlo Cottarelli ne conta tre da maggio a fine anno: «I 4 miliardi in più vanno spiegati, no?». Certo che sì.
Dovrà accadere entro aprile, limite entro cui Renzi dovrà far recapitare a Bruxelles i suoi Piani perchè siano valutati.
Come tutte le stime, impongono verifica sul campo gli 1,6 miliardi di gettito Iva che i tecnici a Roma attribuiscono all’attività generata dal pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione.
L’interrogativo è «l’effetto reale di un’iniezione di liquidità per un’economia davvero provata». Può accadere, concede la fonte.
Magari la reazione supererà le aspettative e, con essa, le entrate.
Del resto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, preferisce «tenersi basso» quando fa una previsione. Chissà .
La terza incertezza sono i risparmi dello spread felicemente calante.
Erano anni che il divario fra i virtuosi bund tedeschi e i nostri buoni decennali non se ne stava stabilmente sotto i 200 punti. Rispetto alle previsioni del vecchio governo, il Tesoro annusa un beneficio di 2,5 miliardi.
Vorrebbe contabilizzarli e spenderli subito. «Abbiamo detto che le entrate di copertura devono essere certe», annota la fonte.
Qui, invece, si propone un’alea grave: «Sino a chiusura esercizio non saremo sicuri dell’incasso. Basta un battito d’ala di farfalla…».
Il che conduce alla partita più complessa, quella da giocare a carte scoperte. Il piano Renzi si aggrappa alla previsione Ue secondo cui l’Italia chiuderà il 2014 con un rapporto deficit/pil del 2,6%.
Sarà 0,4 punti sotto la fatidica soglia del 3% oltre la quale comincia il disavanzo eccessivo. L’intenzione è sfruttare questo margine, tutto o in parte, per stimolare la domanda. Sino a 6 miliardi da negoziare con Bruxelles.
«Siamo qui per fare, non per chiedere», ha detto Padoan. Ma senza chiedere, su questa strada, non si può fare.
Nell’analisi approfondita degli squilibri italiani la Commissione ha scritto che «l’aggiustamento del saldo strutturale 2014 come attualmente previsto appare insufficiente dato il bisogno di ridurre il grande parametro debitorio a un passo adeguato».
Era un modo per risvegliare l’attenzione sull’esigenza di maggiore enfasi, soprattutto alla luce delle nuove regole di rientro accelerato. «In queste condizioni, chiedere altri margini mentre bisogna frenare il debito può essere problematico».
Il fiscal compact dice che dobbiamo tagliare il debito in misura pari allo 0,5% del differenziale fra il rapporto totale col pil (133,7%) e la soglia d’equilibrio teorica (60%). «È il vostro impegno, lo avete negoziato e accettato».
E allora? La soluzione è quella indicata da Padoan. Si fanno le riforme, vere.
Inizialmente si porta il deficit in tensione. Poi si rientra grazie alla crescita.
Fattibile? «Non è mai successo prima e le priorità sono altre».
Bruxelles non vuole mollare, eppure si guarda bene dal chiudere la porta. Ne consegue che tocca riformare seriamente, venire alla Commissione coi risultati concreti e augurarsi che tutti i tripli salti mortali della «svolta buona» siano perfetti.
Sennò il cammino potrebbe essere sbarrato da un passivo più grande del previsto che chiuderebbe ogni possibile margine di trattativa.
E costringerebbe Renzi, per tenere la rotta, a una correzione autunnale dal costo politico probabilmente insostenibile.
Marco Zatterin
(da “La Stampa”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
MA DECIDE TUTTO LUI, ANCHE IL PESCE ROSSO
La katana sguainata dal samurai Renzi, la spada per abbattere «il nostro nemico: quelli che “si è sempre fatto così».
Il pesciolino rosso che nuota nella sua boccia. Lo split screen, uno schermo diviso a metà per proiettare le slides e – simultaneamente – il volto del leader che le sta illustrando. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli nella conferenza stampa show dell’esordio del premier. Tutto
Dietro ogni scelta grafica, ogni slogan, c’è una riunione, uno studio.
E una doppia firma.
Quella dello staff comunicazione di palazzo Chigi, coordinato dall’ex vicedirettore di Europa e blogger Filippo Sensi.
E quella dei maghi di Proforma, lo studio grafico barese che ha firmato molte campagne di successo della sinistra italiana, dal sindaco Emiliano a Nichi Vendola, da Bertinotti a Bersani (alle primarie 2009 lo slogan “un senso a questa storia” era loro).
L’unico dirazzamento a destra è stato con Scelta civica di Monti, di cui i ragazzi di Proforma disegnarono il logo.
Con Renzi il rapporto nasce alle ultime primarie. Ma allora c’era un vero contratto commerciale.
Stavolta il lavoro sulle slides è stato fatto in amicizia. Pro bono.
«Matteo – racconta il capo dei creativi Giovanni Sasso – ci ha chiamato lunedì scorso, a sole 36 ore dall’evento, e ci ha chiesto una mano. Lui lavora così e noi gli abbiamo detto di sì senza pensarci un attimo».
L’immagine iconica con il pesciolino rosso, diventata per misteriosi meccanismi della comunicazione il simbolo stesso della svolta, è di Sasso: «Inizialmente l’avevamo pensata per simboleggiare l’operazione trasparenza della Pubblica amministrazione.
La boccia di vetro trasparente, appunto. Poi quel pesciolino ce lo siamo ritrovati come rappresentazione del silenzio di Renzi sulle riforme che verranno. È stato lui a usarlo in modo opposto».
Un dettaglio che alza un altro velo sul modo di lavorare del premier.
Chiede contributi, assorbe tutto come una spugna, procede per accumulazione, ma poi decide in solitudine cosa mandare all’esterno e come. Il titolo dell’evento, #laSvoltabuona, è farina del suo sacco.
Così come l’idea di usare lo “split screen”, lo schermo doppio, copiata pari pari a Barack Obama, che lo ha usato nell’ultimo discorso a gennaio sullo Stato dell’Unione.
Renzi lo ha visto e ha preso l’idea. «Ma è stato più bravo di Obama – scherza Sasso – perchè il presidente americano aveva un valletto che scorreva le slides per lui, Renzi invece ha chiesto il telecomando per sincronizzare le immagini con il suo ritmo di esposizione ».
La fascinazione per i metodi rivoluzionari della comunicazione obamiana è del resto antica.
Renzi lo andò a conoscere tre anni fa e, a settembre 2012, partecipò da osservatore alla Convention dell’Asinello a Charlotte.
Anche lo slogan della Leopolda – «Il meglio deve ancora venire» – era ricalcato dal «the best is yet to come» con cui Obama salutò la rielezione.
All’intuizione leaderistica di Renzi si deve anche la scelta di parlare, da solo, dal palchetto di solito usato dai portavoce per dare la parola ai giornalisti.
Niente ministri intorno.
Renzi non li ha voluti per evitare l’effetto Politburo sovietico ed esaltare la sua immagine.
Se Proforma ha dato una mano con le immagini e gli slogan, dietro molte “americanate” del premier c’è invece la manona di Filippo Sensi.
Personaggio schivo, restio ad apparire e allergico alla definizione di spin doctor. Ma il suo ruolo lo conferma il ministro Maria Elena Boschi: «È stato Filippo a lavorare sulla conferenza stampa».
Anche il portavoce e braccio destro Lorenzo Guerini smentisce la consulenza di guru americani, come pure qualcuno aveva iniziato a sospettare: «Ma quali guru?! Facciamo tutto in casa, come le tagliatelle ».
A Sensi si deve la decisione, scomoda per i giornalisti ma utile per le casse pubbliche, di evitare l’ampia e iper-tecnologica sala polifunzionale della presidenza del Consiglio.
Un anfiteatro di legno nella bella galleria Alberto Sordi, usato in un paio di occasioni da Mario Monti.
Il problema è che per allestirlo servono tecnici esperti, riscaldamento ed elettricità : si può arrivare a spendere per una conferenza stampa 15-20 mila euro.
Quando Sensi ha chiesto un preventivo gli si sono rizzati i capelli e ha scelto di ripiegare sulla angusta saletta al piano terra di palazzo Chigi.
Gratis la consulenza di Proforma e gratis anche la sala: in tempi di spending review al governo hanno capito che non era il caso di avere pubblicità negativa.
La forma è sostanza, insegnava Aristotele.
Ma se l’infiocchettamento grafico, la confezione del pacco, è stata importante, sui contenuti invece hanno lavorato tutti i ministri.
La regia, la raccolta finale, l’hanno fatta in due: Renzi con il fidato Graziano Delrio, ormai deus ex machina di palazzo Chigi.
Francesco Bei
(da “la Repubblica”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
“LE ASSEMBLEE NON SI SUICIDANO”
State già issando le barricate per fermare Matteo Renzi?
«Nel ‘900 sono rarissimi i casi di assemblee parlamentari che si sono suicidate».
Lo dice da storico o da parlamentare della sinistra pd, senatore Miguel Gotor?
«La legge elettorale condiziona la qualità della democrazia e i suoi cambiamenti materiali. Con il disegno di legge del governo si va verso un presidenzialismo di fatto, senza contrappesi»
Lei la vota, la riforma?
«Un senatore non legherà mai il suo nome a un possibile disastro istituzionale».
Se non passa, Renzi lascerà la politica.
«Il premier è furbissimo e ha stretto con Berlusconi un patto molto forte, ma ho paura che finisca uccellato come D’Alema».
Il Pd non lavora per impedirlo?
«Bisogna modificare prima il Senato e solo dopo approvare l’Italicum. Se Berlusconi rompe il patto e la riforma non si fa, restiamo con una legge elettorale inapplicabile».
Ma il Senato volete cambiarlo, o no?
«Sì. Il problema è che Berlusconi non vuole e dobbiamo stanarlo. Qual è il vero punto dell’accordo tra lui e Renzi?».
Sospetta un patto per andare al voto?
«Sarebbe da indagare quali sono gli effettivi contenuti di questo patto, sull’altare del quale si è già ceduto troppo. La legge elettorale approvata dalla Camera rischia di farci perdere».
Berlusconi non vuol toccare le soglie.
«Le soglie non piacciono a Ncd, M5S e popolari Per l’Italia. È un sistema che legittima le liste civetta, come “Forza Roma”, ”Viva Renzi” o “Berlusconi ti voglio bene”. Non potremo garantire la governabilità che promettiamo».
Il voto segreto sarebbe un bell’aiutino, ma al Senato non c’è…
«Il voto palese rende tutto più limpido. Daremo il massimo per migliorare i difetti, faremo una battaglia a viso aperto e poi ci conteremo. Meglio prevenire, che curare le ferite».
E le liste bloccate?
«In nove anni di Porcellum non c’è stato comizio in cui il Pd non abbia promesso “mai più”. Il segretario del mio partito è anche il mio padrone, come nel partito azienda di Berlusconi… Ma la cosa più miope è che il paracadutato si sente irresponsabile e il cittadino, che non ti ha votato, ti sputa in faccia. Una cosa gravissima, che va corretta»
Renzi pensa che sia gravissimo sabotare la legge.
«Mi dispiacerebbe se la nostra battaglia venisse letta come una lotta di minoranza, bersaniani contro renziani»
Come dobbiamo leggerla?
«La mia paura è che la riforma del Senato non si fa e che Berlusconi, leone ferito, ci porta a votare con una legge che ci fa perdere. Se accade, in un anno e mezzo ti sei giocato Bersani, Letta e Renzi».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
I DEM HANNO FIRMATO LA CARTA DI PISA SULLE LISTE PULITE, MA IL LORO CANDIDATO E’ ANCORA SOTTO PROCESSO DOPO L’ASSOLUZIONE IN PRIMO GRADO… PER IL PROF. VANNUCCI CHE HA CURATO IL DOCUMENTO “IN CASO DI VITTORIA DEVE FARE UN PASSO INDIETRO”
Nel Pd oramai, sono capaci di tutto.
Persino di far vincere delle elezioni regionali ad un loro candidato e farlo dimettere il giorno dopo. Sembrerà assurdo, ma in Abruzzo le cose stanno proprio così.
Perchè? Semplice. La coalizione ‘Insieme, il nuovo Abruzzo’ (che comprende Sel, Idv e, appunto, Pd), nella sua ‘Carta d’intenti per il cambiamento abruzzese’, ha stabilito che “la questione morale sarà un cardine della coalizione e del suo governo” e s’è impegnata “ad adottare formalmente i contenuti della Carta di Pisa“.
Per adottarli ha scritto un codice etico e infatti, nell’articolo 6, si può leggere: “In caso sia rinviato a giudizio per reati di corruzione, l’amministratore s’impegna a dimettersi, ovvero a rimettere il mandato”.
Ma le cose non finiscono qui, anzi, si complicano.
Il candidato della coalizione sarà Luciano D’Alfonso, vincitore alle primarie di coalizione. Pur se assolto in primo grado, rimane comunque imputato per corruzione in un procedimento penale.
Sicuramente, alla data del delle elezioni regionali, che si terranno il 25 Maggio, D’Alfonso non avrà terminato il processo di appello.
Cosa succederà , allora? Si dovrà dimettere per l’impegno sottoscritto nella Carta.
Il Pd abruzzese ha tentato di correre ai ripari e per mezzo del coordinatore della Segreteria Regionale ha fatto sapere che “in relazione ai richiami operati da alcuni organi di stampa all’articolo della Carta di Pisa ai sensi del quale un amministratore si impegna a dimettersi ovvero a rimettere il mandato ‘nel caso in cui sia rinviato a giudizio o sottoposto a misure di prevenzione personale e patrimoniale per reati di corruzione, concussione, mafia, estorsione, riciclaggio, traffico illecito di rifiuti’, si evidenzia che questa fattispecie non si configura per i candidati alle primarie organizzate dalla coalizione ‘Insieme il nuovo Abruzzo’, in quanto nessuno di essi ha ricevuto richieste di rinvio a giudizio per tali fatti, ma vi è stata soltanto una richiesta d’appello a seguito di sentenza di assoluzione“.
Il Pd, in sostanza, vorrebbe ora interpretare a suo vantaggio la Carta, per salvarsi la faccia e nel caso D’Alfonso diventi presidente della Regione.
Peccato che a smentire la teoria democratica sia proprio chi la Carta di Pisa l’ha scritta e coordinata, ovvero il professor Alberto Vannucci, associato presso il dipartimento di Scienze politiche all’Università di Pisa.
Alla nostra domanda, sul caso specifico, il professore non ha dubbi “il presidente, Luciano D’Alfonso, dovrebbe dimettersi”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
NESSUNO TROVA A RIDIRE CHE UN MINISTRO CHE PROVIENE DALLE COOP STANZI 500 MILIONI PER UN FONDO PER LE IMPRESE SOCIALI
Molte cose sono incerte sui provvedimenti annunciati da Matteo Renzi, almeno una è sicura: le lobby qualcosa hanno incassato.
Le proteste preventive della Confindustria di Giorgio Squinzi hanno prodotto un risultato: il taglio del 10 per cento all’Irpef nelle imprese private è l’unica misura con una copertura certa e precisa, l’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento.
Certo, i soldi arrivati sono meno del previsto (circa 2,4 miliardi all’anno, Squinzi li avrebbe voluti tutti e 10 quelli destinati al cuneo fiscale), ma meglio di niente.
Ed è a tuttto beneficio delle imprese la scelta di rimuovere la causale dai contratti a termine fino a tre anni, così si evitano i contenziosi di lavoro.
Come ha spiegato il premier, è stata un’idea del ministro del Lavoro Giuliano Poletti quella di destinare 500 milioni di euro, cifra rilevante, per un fondo per le imprese sociali.
Poletti, che arriva dal vertice della Lega Coop e dell’Alleanza delle cooperative, ha quindi convinto il presidente del Consiglio a dare mezzo miliardo al terzo settore da cui proviene.
Come nel caso dell’Irap, se tutto va bene, a trarne beneficio sarà tutta l’economia, ma certo il mondo di provenienza di Poletti ringrazia.
Così come sono sollevati i grandi gruppi dell’energia: delle promesse renziane di tagli drastici alla bolletta è rimasto poco.
L’annuncio che le piccole e medie imprese pagheranno il 10 per cento in meno di elettricità si fonda un un progetto appena agli inizi: il ministero dello Sviluppo di Federica Guidi ha avviato una consultazione tra i protagonisti del settore (produttori, distributori, intermediari) per limare qualcosa tra incentivi e oneri di sistema e recuperare 1,2-1,4 miliardi all’anno.
Nessuna rivoluzione che possa preoccupare i colossi.
Resta da capire quanto guadagneranno le banche scontando le fatture dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
SE PASSASSE AL SENATO PER IL VOTO EUROPEO POI SE LA RITROVEREBBE ANCHE PER LE POLITICHE
Grande allarme a destra suscitano le parole serali del premier. Non sui tagli alle tasse e sulla scommessa di fare centro là dove il Cavaliere fallì, ma sulla soglia di sbarramento alle elezioni europee.
«Credo si stia chiudendo al 3 per cento», è stato vago Renzi da Vespa, precisando che toccherà al Senato occuparsene, e non si sa come andrà a finire…
Ecco, appunto: non si sa.
Cioè può accadere che martedì a Palazzo Madama venga abbassato il quorum per accedere al Parlamento di Strasburgo, con grande giubilo dei partiti minori e altrettanto scorno di Forza Italia.
La revisione della legge elettorale per l’Europa è sollecitata dal fronte delle donne, le quali mirano a introdurre perlomeno lì l’alternanza di genere nelle candidature (lunedì alla Camera sull’«Italicum» vennero respinte).
I partiti centristi ne profitterebbero per dare, tanto che si mette mano alla legge, una limatina alla soglia di sbarramento, abbassandola dal 4 per cento al 3.
E il 3, a quel punto, diventerebbe la regola aurea di riferimento pure per le elezioni nazionali: come insistere sull’astruso 4,5 dell’«Italicum» se per accedere all’Europa fosse sufficiente un punto e mezzo in meno?
Un’ombra inquietante si allungherebbe sul patto tra Matteo e Silvio, che il secondo ha siglato anche nella prospettiva di vendicarsi sui «traditori» alfaniani.
Invece di far fuori il Nuovo centrodestra, Renzi dà l’impressione di tenere aperti i due forni, quello col Cavaliere e l’altro con i suoi avversari.
Agli occhi dei «berluscones», così il premier scherza col fuoco perchè su questo non si transige, avverte Gasparri. A casa del Cavaliere se n’è parlato, la questione risulta ben presente, figurarsi se l’ambasciatore Verdini non avrà messo in guardia il premier.
La speranza berlusconiana è che tutto si sistemi, magari grazie a uno slittamento dei tempi al Senato, in modo da spingere fuori tempo massimo le eventuali modifiche della legge per le Europee (si vota il 25 maggio, e le candidature andranno presentate tra un mese).
Berlusconi non ha la minima voglia di duellare col più giovane avversario.
Prova ne sia la smentita di ieri all’alba: mai nemmeno pensate certe battute velenosette nei confronti di Renzi, che i giornali gli attribuiscono.
Colpisce l’ansia di scaglionarsi agli occhi del premier, che fa il paio con il silenzio del Cavaliere sulla frustata economica, con la totale assenza di pubblici giudizi dal leader dell’opposizione. Non fosse per le dichiarazioni del pugnace Brunetta, Forza Italia si segnalerebbe per il vuoto pneumatico.
E d’altra parte, fa notare uno dei personaggi più in vista, «come è possibile votare le riforme istituzionali con Renzi, e nel frattempo tentare di sgambettarlo sull’economia? Perchè, se lui cade, addio riforme…».
Un grave dilemma strategico, la cui soluzione «purtroppo non è matura».
Ugo Magri
(da “la Stampa“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
“NON RISOLVERA’ LA CRISI DI COMPETITIVITA’ DELL’ITALIA, RISPONDE SOLO A ESIGENZE ELETTORALI”
“La medicina di Renzi non guarirà l’italia”, perchè “un taglio delle tasse ai redditi più bassi non rafforzerà la competitività del paese”.
È quanto scrive in un editoriale il Financial Times, commentando “la ricetta per l’Italia” presentata mercoledì scorso dal presidente del Consiglio.
“Tagliare le tasse ai redditi più bassi ha buone ragioni di convenienza politica” perchè, come “ha ammesso sfacciatamente Renzi, questa misura può rafforzare il suo partito democratico in vista delle elezioni europee di maggio. Ma servirà a poco per risolvere la crisi di competitività dell’Italia”, sottolinea il Ft.
Il quotidiano della City indica quindi nella riforma del mercato del lavoro uno dei possibili strumenti per migliorare la competitività del paese: “Mercoledì Renzi ha annunciato modifiche alle norme che regolano l’apprendistato e i contratti a breve scadenza; queste dovrebbero facilitare le assunzioni da parte delle aziende. Ma il premier dovrebbe andare oltre, per esempio rafforzando la flessibilità a disposizione delle aziende di fissare i propri salari, piuttosto che dipendere dai contratti nazionali”.
“Una forte spinta a riformare il mercato del lavoro renderebbe più facile agli alleati europei dell’Italia accettare un nuovo indebitamento – conclude il Ft – dimostrerebbe anche che Renzi si preoccupa di risolvere i problemi economici dell’Italia tanto quando di conquistare voti”.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
LA LITE PER IL PATRIMONIO DI FAMIGLIA, LA STRANA POLIZZA, LA TENTAZIONE DI TORNARE ALL’ACI
“Oggi 12 aprile 2011 scrivo la presente perchè resti memoria di quanto accaduto”…
Il nome di Lidia Peveri al grande pubblico non dice nulla. Suo nipote Geronimo La Russa, invece, è molto più conosciuto. Figlio di Ignazio La Russa, ex coordinatore del Pdl ora nei Fratelli d’Italia, il giovane avvocato Geronimo, 33 anni, è infatti un personaggio la cui notorietà ha superato i confini dei “figli di”.
Ragione per cui diventa interessante una diatriba sui soldi di famiglia che la nonna Lidia, scomparsa lo scorso ottobre, aveva deciso di raccontare in una lettera autografa, con il fine esplicitato che «ne rimanga ricordo».
Va subito detto che, in questa vicenda, La Russa senior non c’entra nulla.
Lidia Peveri, infatti, era la nonna materna di Geronimo, nato dal primo matrimonio dell’ex ministro della Difesa.
Suo padre era stato un magistrato e lei stessa, classe 1924, era laureata in giurisprudenza, pur non avendo mai esercitato la professione legale. È per questa ragione che Geronimo, oggi, può legittimamente vantarsi di discendere da una famiglia che ha il diritto nel Dna. Nel ramo più conosciuto, quello paterno, è infatti avvocato il papà Ignazio — che ha lasciato al primogenito il suo studio legale — così come lo era il nonno Antonino, il primo dei La Russa a sedere nei consigli d’amministrazione delle società di Salvatore Ligresti, come poi è toccato a Geronimo
I fatti a cui si riferisce la lettera della signora Peveri iniziano nel 2010, quando Geronimo, a dispetto della giovane età , era già un personaggio pubblico.
Fin da ragazzo, infatti, il futuro avvocato faceva parte di un network di rampolli eccellenti che animavano le feste mondane.
Ancora oggi lo si vede spesso in compagnia dell’amica Barbara Berlusconi mentre, proprio nel 2010, aveva conosciuto un primo incarico di spessore: era stato catapultato alla vice-presidenza dell’Automobile Club di Milano assieme a una pattuglia di conoscenti, dal fidanzato del ministro Michela Brambilla, al figlio di Bruno Ermolli, uomo-ombra di Silvio Berlusconi.
Costretto a dimettersi nel 2012 dal decreto Monti che vietava i doppi incarichi (conservò la poltrona nella Premafin dei Ligresti), di recente lo davano interessato a tornare in pista per la presidenza dell’Aci milanese.
«Ho declinato l’invito di amici che mi hanno chiesto di far parte della loro squadra», ha risposto, motivando il rifiuto con «impegni personali» ma confermando la sua «grande passione per i motori».
Il 2010, dunque. Nel gennaio era mancato il marito di Lidia Peveri, Giovanni Antonio Cottarelli Gallina, il nonno di Geronimo.
La loro era una famiglia abituata a un certo benessere. Erano proprietari di un albergo con caffè-concerto sul lungomare di Riccione, il Metropol, dal quale, nell’Italia del boom passavano ospiti come Mike Bongiorno e Sandra Mondaini.
Avevano terreni per decine di ettari nella zona di Melegnano, a sud di Milano, dove abitavano. Quando si recavano a Milano per le serate alla Scala, Lidia e Giovanni non rincasavano ma erano soliti fermarsi in un pied-à -terre nella centralissima via Visconti di Modrone.
Buona parte di queste proprietà sono state da tempo distribuite ai due figli Libero e Marica, la mamma di Geronimo.
È così che, oggi, il giovane avvocato risulta titolare di un cospicuo patrimonio.
L’albergo sulla riviera romagnola non esiste più ma, da tempo, l’edificio dove sorgeva è stato riconvertito in un complesso di negozi intestati a una società , chiamata Metropol in memoria dei bei tempi, di cui Geronimo è socio unico.
Nonostante la distribuzione, tuttavia, Lidia Peveri anche dopo la scomparsa del marito aveva sempre voluto mantenere la sua autonomia, grazie anche al patrimonio residuo. Racconta chi la frequentava che, nonostante l’età , non si faceva mai trovare in disordine e che le piaceva trattare di persona con i direttori delle banche dove aveva i conti correnti. E sono gli stessi gli atti societari a dimostrare che nutriva fiducia nei confronti di Geronimo.
Nei maggio 2010, ad esempio, la nonna stipula una convenzione con il nipote proprio sul Metropol. Lei (che su parte delle quote conserva l’usufrutto) concede a lui (che ne ha la nuda proprietà ) il diritto di esercitare il voto, auto-estromettendosi dalla gestione.
Dopo pochi mesi, però, qualcosa si rompe.
Lo racconta lei stessa in una lettera: «Il mio denaro e quello lasciatomi da mio marito erano depositati presso varie banche. Mio nipote insistette affinchè aprissi un conto presso la sua banca di fiducia e vi depositassi parte del mio denaro. Alla fine cedetti alle sue insistenze e mi accompagnò presso la banca Unicredit di Milano in piazza San Babila dove, mi diceva, avrei depositato 175.000 euro».
Qui arriva il clou: «Giunti pochi minuti prima della chiusura mi furono posti innanzi molti fogli che venni invitata a firmare subito, data l’imminente chiusura, e che non feci in tempo a leggere. Li firmai fidandomi di mio nipote, nella certezza di solo depositare i miei denari».
Dopo alcuni mesi, però, la signora Peveri decide di ritirare quel patrimonio, per riportarlo nella banca di casa. Scrive: «Ebbi la tristissima sorpresa di essere stata ingannata e di aver sottoscritto una polizza di assicurazione sulla vita a beneficio, guarda caso, di mio nipote».
I documenti citati nella lettera — che “l’Espresso” ha potuto consultare — confermano l’esistenza della polizza. È datata 5 agosto 2010, è emessa da CreditRas e prevede un premio versato alla sottoscrizione di 175 mila euro.
Il beneficiario unico è Geronimo; la corrispondenza relativa al contratto, si precisa, va inviata nell’appartamento di via Visconti di Modrone, che nell’ottobre di quello stesso anno, cambia intestatario, passando dalla nonna al nipote.
La polizza prevede dei costi di chiusura; sarebbe questo il motivo per cui, alla scoperta, Lidia non la estingue ma ne cambia il beneficiario, che diventa prima un’altra nipote, del ramo del figlio Libero, poi la moglie di quest’ultimo.
A cui affida la lettera, affinchè «rimanga ricordo di quanto accaduto».
Geronimo, interpellato da “l’Espresso”, definisce «completamente priva di ogni attinenza con il vero e quindi calunniosa» la ricostruzione dei fatti contenuta nella lettera.
Della cui veridicità , in una conversazione telefonica, dice di sospettare.
E aggiunge: «Con mia nonna ho sempre avuto un rapporto splendido, mai cambiato nemmeno dopo che mio zio Libero la volle portare con sè negli ultimi mesi della sua vita, prima in Paraguay e poi, ormai stremata, in Romania dove poco tempo dopo il suo arrivo è deceduta».
Ce ne sarebbe da scatenare una faida infinita.
Se non fosse che i possibili contrasti sarebbero stati chiusi da un accordo fra gli eredi. Ovunque stia la verità , è però certo che le ferite rimarranno.
Camilla Conti E Luca Piana
(da “L’Espresso”)
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Marzo 14th, 2014 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA CHE COIVOLGE IMPRESARI DI POMPE FUNEBRI, DIRIGENTI, OSPEDALI E POLITICI (ANCHE PDL E LA DESTRA)
L’hanno chiamata Caronte.
È l’inchiesta sul business del caro estinto che vede 29 persone indagate tra impresari di pompe funebri, politici e dirigenti generali e sanitari di Asl e ospedali per ipotesi di reato che vanno dalla corruzione al 416 al 416 bis fino al 416 ter.
Vale a dire: associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso, e scambio elettorale politicomafioso.
I POLITICI
I politici indagati sono l’ex senatore Domenico Gramazio, suo figlio Luca Gramazio, consigliere alla regione Lazio di Fi, Giordano Tredicine, ex vicecapogruppo del Pdl in Consiglio Comunale, Marco Visconti, ex consigliere del comune di Roma, Maurizio Brugiatelli, coordinatore de La Destra di Anzio, il sindaco di Anzio Luciano Bruschini, Patrizio Placidi, ex vice sindaco di Anzio con deleghe all’assessorato all’ambiente e sanità e attuale consigliere.
I DIRIGENTI SANITARI
I dirigenti sanitari hanno in testa Vittorio Bonavita, commercialista settantenne nominato nel 2010 da Renata Polverini, ex dirigente della Asl RmB, già direttore amministrativo (cioè tesoriere) della Udc del Lazio (e per questo incarico, per 25 finanziamenti di altrettante imprese erogati all’Udc laziale e non documentati, è finito nel mirino della Corte dei Conti).
Tutto l’ex gotha del San Camillo: Giovanni Bertoldi, ex dirigente Ufficio Approvvigionamenti; Antonino Gilberto, ex direttore amministrativo; Luigi Macchitella, ex direttore generale, nominato da Zingaretti direttore della Asl di Viterbo; Roberto Noto, ex direttore amministrativo; Diamante Pacchiarini, ex Direttore sanitario. E poi Elisabetta Paccapelo, ex direttore generale della Rm
I VOTI PORTATI AI CLAN
I protagonisti di questa vicenda, oltre a politici e dirigenti sanitari, sono gli impresari di pompe funebri che nel Lazio hanno finito per creare “un sodalizio criminale di tipo mafioso” con “ruoli, compiti e mansioni ben precisi in relazione a una molteplicità di soggetti alcuni dei quali già coinvolti in pregresse attività investigative”.
Questo “sodalizio criminale” si è sostanzialmente spartito il mercato, fiorente, della morte della città di Roma, ma anche del resto del Lazio come hanno dimostrato diverse inchieste, come quella che vede attualmente sotto processo a Tivoli il sindaco di Sacrofano Tommaso Luzzi.
Ci sono però anche interessanti risvolti sul fronte dello scambio elettorale politicomafioso, con cene elettorali con capi clan.
IL BUSINESS
I decessi ormai, per almeno l’80 per cento, avvengono all’interno delle strutture ospedaliere.
Se un’impresa funebre, dunque, ha la gestione della camera mortuaria di un ospedale – quel luogo in cui il cadavere viene conservato per l’osservazione di legge, e poi preparato per la sepoltura – questa avrà , naturalmente, un vantaggio notevole rispetto alle altre imprese. Soprattutto se può dire ai “clienti” di avere “una convenzione con l’ospedale”.
Ancora di più se pratica tariffe bassissime, grazie a forniture che arrivano dalla Romania, dall’Africa, dalla Cina a prezzi stracciati. Il giro d’affari è di tutto rispetto.
Al Sandro Pertini, per esempio, nel 2011 ci sono stati 993 decessi, per un totale di quasi due milioni di euro di business.
Secondo le linee guida emanate nel 2010 “nel caso in cui si registri la mancanza di una struttura” interna all’azienda ospedaliera, è possibile indire una gara per la gestione delle camere mortuarie. “Le aziende sanitarie tuttavia dovranno avvalersi del divieto di partecipazione alla gara per le imprese di onoranze funebri e/o società “compartecipate” dalle stesse”.
(da “La Repubblica”)
argomento: Giustizia, Roma | Commenta »