Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
I GARANTI DIVISI SULL’EX DISOBBEDIENTE
Il comunicato arriva nel pomeriggio ed è molto scarno: “La notizia della candidatura di Andrea Camilleri — scrivono i garanti della lista Tsipras — è destituita al momento di fondamento. La definizione della lista è ancora in fieri”.
Il padre del Commissario Montalbano, in realtà , era sicuro capolista dell’esperimento elettorale battezzato dal leader greco Alexis Tsipras e promosso in Italia dai sei garanti, Barbara Spinelli, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Guido Viale e lo stesso Camilleri.
Il suo passo indietro, che potrebbe però rientrare oggi, è l’esito di uno scontro molto duro che ha riguardato la possibile candidatura dell’europarlamentare Sonia Alfano e quella dell’ex disobbediente, leader dei centri sociali, Luca Casarini
Uno sxcontro dietro il quale si intravede il problema del profilo politico che la lista Tsipras dovrà avere: molto esposta sul lato sinistra, conflittuale oppure capace di farsi carico dei temi della giustizia e di essere attrattiva per una parte dell’elettorato grillino.
Per assolvere a questo compito, nei giorni scorsi, una parte dei garanti, tra cui Camilleri, aveva avanzato la candidatura di Sonia Alfano, europarlamentare eletta nella lista Di Pietro nel 2009, prima che il M5S conoscesse il boom che sappiamo e tipica esponente di quella fetta di elettorato.
Il problema di Sonia Alfano, però, è quello di essere parlamentare in carica e quindi fuori dai criteri, assolutamente stringenti, che i garanti hanno prefissato all’inizio della proposta della lista Tsipras: “Non possono candidarsi coloro che hanno ricoperto l’incarico di parlamentare italiano, europeo o consigliere regionale dal 2004 in poi”. Un modo per sbarrare la strada alla politica professionale e al peso dei partiti che però ha impedito l’operazione Alfano.
A quel punto si è verificato lo scontro su Luca Casarini candidato su cui pesano diverse inchieste giudiziarie, tutte per reati “sociali”, cioè relativi all’attività politica ma anche rappresentante di un profilo di lista nettamente spostato a sinistra.
Il caso ha tenuto occupati i sei garanti per tutta la sera dell’altro ieri fino a produrre una spaccatura: Camilleri, Flores d’Arcais e Gallino contrari alla candidatura mentre Spinelli, Revelli e Viale si sono dichiarati favorevoli.
C’è voluto l’intervento di Tsipras per risolvere la questione e mantenere la candidatura dell’ex disobbediente.
La spaccatura è giunta inattesa. Della candidatura di Casarini si parlava da diverso tempo e finora non erano state avanzate obiezioni.
Di scontri analoghi, però, se ne erano avuti anche altri.
Ad esempio sul nome di Vladimir Luxuria, avanzato dagli esponenti di Sel nei giorni scorsi, ma che ha visto un’obiezione diffusa nel comitato dei garanti. Anche l’ex parlamentare, del resto, non rientrava nei parametri della lista.
Difficile capire se la divergenza possa produrre strascichi negativi nella imminente campagna elettorale che per la lista Tsipras inizierà prima visto che vanno raccolte le circa 150 mila firme necessarie ai sensi della legge.
La lista in ogni caso è quasi pronta e vede un ventaglio ampio di candidature di gran parte della cosiddetta società civile a partire dall’impegno diretto di Barbara Spinelli, che sarà capolista al centro insieme alla giornalista Lorella Zanardo, autrice del documentario Il corpo delle donne.
Come annunciato nei giorni scorsi, però, l’editorialista di Repubblica ha accettato la candidatura con spirito di servizio pronta a dimettersi per lasciare spazio ad altri. Nelle ipotesi al vaglio dei garanti ci sono anche altri nomi di prestigio come il giornalista di Repubblica Curzio Maltese e il professor Adriano Prosperi.
Al Sud lo scrittore Ermanno Rea e la scrittrice Valeria Parrella mentre a Milano c’è Moni Ovadia e nel nord-ovest il magistrato Mario Almerighi.
Nel Trentino ci sarà una rappresentanza dei Verdi altoatesini e poi da più parti rappresentanti di vari movimenti come i NoTav o i No-Muos, figure dell’associazionismo come Raffaella Bolini dell’Arci.
Sel punta soprattutto su figure di area riconoscibili, come Casarini e Zanardo, e su sindaci di piccole città , Rifondazione su esponenti dei movimenti, come Nicoletta Dosio dei NoTav e su dirigenti del partito mai stati parlamentari come Fabio Amato ed Eleonora Forenza.
In lista, poi, rappresentanti dei Comitati per l’acqua pubblica e del Teatro Valle di Roma.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
EMENDAMENTO PER INTRODURRE IL CARCERE FINO A 12 ANNI
Il testo dell’emendamento che introduce il reato di autoriciclaggio è pronto.
Nei prossimi giorni sarà presentato alla commissione Finanze della Camera, che da oggi comincia a esaminare il decreto governativo da convertire in legge sulla voluntary disclosure, cioè sulla collaborazione volontaria per far rientrare in Italia i capitali nascosti all’estero.
L’emendamento è stato proposto dai due parlamentari del Pd Giuseppe Civati e Lucrezia Ricchiuti, con l’idea di farlo diventare proposta comune di tutto il partito: per unire alla norma che favorisce il rientro dei soldi in nero anche quella che punisce chi ricicla o reimpiega i soldi illeciti dei suoi delitti.
Finora in Italia è punito soltanto chi ricicla denaro frutto di reati altrui.
L’autoriciclaggio era stato inserito nel decreto del governo Letta e poi stralciato, con l’intenzione di inserirlo in un altro pacchetto normativo
Caduto Letta, ora si tratta di trovare la strada per farlo diventare legge.
E la strada appare ancora assai incerta e accidentata
Il testo messo a punto da Civati e Ricchiuti modifica l’articolo 648-bis del codice penale (quello che punisce il riciclaggio) e dice: “È punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da 5 mila a 50 mila euro chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
La formulazione attuale ha invece una “clausola di riserva” che punisce soltanto chi non abbia commesso, o non abbia concorso a commettere, anche il reato presupposto del riciclaggio.
Esclude insomma di perseguire chi ricicla i soldi provento di suoi stessi reati. Il testo dell’articolo prosegue: “Si applica la pena della reclusione da 2 a 8 anni e della multa da 2 mila a 25 mila euro se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto non colposo per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni”.
Pene inferiori, dunque, a chi ricicla per esempio soldi frutto dell’evasione fiscale.
E infine: “La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di una professione ovvero di attività bancaria o finanziaria. La pena è diminuita fino a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori. Si applica l’ultimo comma dell’art. 648”.
Premio dunque per chi collabora a far scoprire i soldi sporchi e aggravio di pena invece per chi ricicla come professionista: così cadrebbe definitivamente l’impunità dei fiduciari e dei banchieri che si nascondono dietro il loro ruolo “tecnico” e si aprirebbe la possibilità di incriminare per riciclaggio anche le società che lo realizzano, comprese le banche e le fiduciarie.
Questo testo recepisce le proposte fatte dalla commissione presieduta dal pm milanese Francesco Greco
Quale sarà il destino di questo emendamento? Dipende dalle decisioni del governo.
Ci sono voluti molti giorni prima che il presidente del Consiglio Matteo Renzi affrontasse il problema : non una parola sui temi della criminalità economica nei suoi discorsi d’investitura alla Camera e al Senato, non una risposta alle domande sull’autoriciclaggio sollevate venerdì scorso da questo giornale, Renzi ha preso di petto l’argomento soltanto rispondendo a Roberto Saviano, domenica, su Repubblica.
Le organizzazioni criminali, ha scritto il presidente del Consiglio, sanno “di non rischiare molto sul piano penale, anche perchè nel nostro codice manca il reato di autoriciclaggio. Il paradosso di un estorsore o uno spacciatore di droga che non viene punito se da solo ricicla o reimpiega il provento dei suoi delitti sarà superato con assoluta urgenza attraverso l’introduzione del delitto di autoriciclaggio. In questo senso, aggredire i patrimoni mafiosi può essere una delle grandi risposte che il governo è in grado di dare, dal punto di vista economico, per fronteggiare la crisi. Una giustizia più veloce, più efficace da questo punto di vista, è uno degli strumenti che possiamo mettere in campo come Paese per uscire dalla situazione economica in cui ci troviamo”.
Dopo questa netta presa di posizione, resta però da vedere come il reato di autoriciclaggio sarà inserito nel codice e quando scatterà la proclamata “assoluta urgenza”.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che proviene anch’egli dal Pd, si dichiara favorevole all’introduzione di quel reato, ma si chiede quale sia la strada più rapida ed efficace.
“Si potrà inserire come emendamento nel decreto sulla voluntary disclosure”, ha dichiarato al Fatto quotidiano, “oppure potremo presentare un nuovo disegno di legge, da far correre in corsia preferenziale, che contenga quattro o cinque articoli: uno sull’autoriciclaggio e gli altri sull’accelerazione del passaggio dal sequestro alla confisca dei beni frutto di reato. Le due strade possono essere percorse entrambe, possono anche correre parallele, e non so quale delle due potrà arrivare prima alla meta”.
Il capogruppo del Pd nella commissione Finanze della Camera, Marco Causi, tende invece a escludere che nei lavori ripresi oggi possa trovar spazio l’emendamento Civati. “Su questi temi è già al lavoro la commissione Giustizia che preparerà un testo più complessivo, che tenga conto di tanti contributi e anche dell’emendamento Civati”. Conclusione: tutti a parole d’accordo, ma l’introduzione dell’autoriciclaggio sembra un gioco dell’oca di cui ancora non si vede la casella d’arrivo.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX LEADER DEL PPI SCONFESSA I SUOI EX COMPAGNI DI PARTITO: “UNA SCELTA DIBATTUTA PER MOLTO TEMPO”
Sarà stato pure un approdo brusco, celebrato con una certa fretta da Matteo Renzi. Eppure, il matrimonio tra Pd e Pse trova in Franco Marini uno sponsor convinto.
«Era una scelta inevitabile », sostiene l’ex Presidente del Senato.
Nonostante i malumori di alcuni Popolari: «Non possiamo vivere nel passato, che pure fu positivo».
Il padre nobile dei popolari sostiene la scelta di Renzi, mentre alcuni ex Ppi protestano.
«Capisco la loro tensione, l’ho sentita anche io. Ma era una scelta fondamentale, la fine di un lungo percorso. Non capirei, invece, appunti di altra natura, più strumentali».
È un paradosso che lei faccia questo favore a Renzi. Il premier affossò la sua candidatura al Colle…
«Ma no, cosa c’entra? Io e Renzi siamo, come dire, dialettici… Io questa sua accelerazione la comprendo. C’era un’opportunità e l’ha colta al volo, in vista del semestre europeo. Per tentare di rivedere le modalità di abbattimento del debito, non calcolare nel deficit le spese per gli investimenti e completare l’unione bancaria».
La svolta si è compiuta con una direzione lampo.
«La riunione della direzione può essere sembrata un po’ superficiale. Forse si poteva chiudere il percorso in modo più solenne. Ma sa perchè non sono intervenuto? Perchè ho seguito il dibattito fin dai tempi della Margherita».
Un lungo travaglio, Presidente.
«Dal 1995 stavamo con il centrosinistra, in Italia. In Europa eravamo nel Ppe. Restammo per un po’, con i conservatori inglesi e Berlusconi… Si trattò di una convivenza contraddittoria, complicata, scomoda».
Il percorso si complicò anche negli anni successivi.
«La discussione andò avanti quando nacque il Pd. Poi, in Europa nel 2009, è nato il gruppo dei socialisti e dei democratici. Non sottovaluto quel passaggio, si decise di lasciare spazio all’autonomia e alla cultura che vogliamo coltivare. E poi la linea della Merkel è duramente conservatrice, il Ppe non risponde alle nostre ragioni politiche».
In Ue, però, i cattolici presidiano il fianco conservatore.
«Ma l’Italia è l’Italia. E questo passaggio divenne inevitabile con la fine della Dc e la definizione del bipolarismo. Tentammo di tenere in vita la continuità della Dc, ma con i Popolari prendemmo nel 1994 l’11%. Martinazzoli prese atto del fallimento. Si divisero anche i dirigenti. Se si tiene conto della complessità della Dc, era ineluttabile e non spregevole che ci fosse chi voleva finire accanto ai conservatori di FI».
Socialdemocratici, d’ora in poi.
«Il Ppe e il Pse non rispondono più alla logica della loro nascita, alcuni ex Ds addirittura dicono che non sono mai stati comunisti… . Se poi facciamo riferimento alle prime lotte sociali, alle leghe rosse e bianche, vediamo chele esperienze non sono così lontane dalla dottrina sociale della Chiesa. Dicono: vogliamo morire con i socialdemocratici? Dico che sarebbe una morte nobile».
Alcuni cattolici del Pd potrebbero inorridire, Presidente.
«Anche i loro valori sono la libertà e la centralità della persona, la giustizia sociale, l’economia sociale di mercato. Sono i principi fondamentali delle democrazie cristiane più avanzate ».
Intanto alcuni Popolari rompono con Cuperlo.
«L’unica cosa che non si può dire è che i popolari abbiamo poco ruolo nel Pd. Così sarà anche in Europa. Una terza via non c’è, nè esiste la volontà di questi amici che protestano di lasciare il Pd. Non condivido ma posso capire la loro insofferenza, la cosa che mi pare incomprensibile sono le critiche a Cuperlo».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL SINDACO AVEVA CRITICATO LR ESPULSIONI E GRILLO PER RITORSIONE AVEVA PRESO LE DISTANZE DALL’INIZIATIVA
Federico Pizzarotti non commenta lo scontro con Grillo, ma non arretra di un passo, confermando l’appuntamento del 15 marzo con gli aspiranti sindaci grillini che il leader genovese ha sconfessato ieri su Twitter negandone l’autorizzazione.
“Sì, l’incontro è confermato”, si limita a riferire ai cronisti che lo aspettano sotto il municipio. No comment invece sulle ragioni dello strappo.
In attesa del sindaco, i giornalisti hanno provato a interpellare anche l’assessore alla Cultura Laura Ferraris e quello allo Sport Giovanni Marani, ma nessuno della Giunta ha voluto parlare.
Silenzio stampa anche da parte dei consiglieri di maggioranza, eccetto il capogruppo Marco Bosi – che prima ha minimizzato l’accaduto con un tweet ma poi ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni – e Fabrizio Savani, che interpellato da Repubblica ha commentato: “E’ stato solo un malinteso organizzativo — dice — nessuna situazione politica critica”.
La pensa diversamente la minoranza in consiglio comunale. “Cosa faranno i 21 consiglieri? Prenderanno le parti di Pizzarotti, rinnegando il movimento per salvare l’amministrazione e dare vita a un nuovo civismo di palazzo, oppure sacrificheranno il sindaco e sè stessi sull’altare della rivoluzione grillina?”, si chiede il capogruppo Pd Nicola Dall’Olio.
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
PER IL SENATO VALE QUELLA USCITA DALLA CONSULTA… LE ELEZIONI SI ALLONTANANO: FORZA ITALIA ESPRIME “DISAPPUNTO”
“Come ulteriore atto di collaborazione, nell’interesse del Paese, a un percorso riformatore verso un limpido bipolarismo e un ammodernamento dell’assetto istituzionale, manifestiamo la nostra disponibilità a una soluzione ragionevole che, nel disegnare la nuova legge elettorale, ne limiti l’efficacia alla sola Camera dei deputati, accettando lo spirito dell’emendamento 2.3″. Si tratta dell’emendamento che prevede che sia soppresso l’intero articolo 2 della legge, che disciplina l’elezione del Senato. In caso di voto anticipato si andrebbe alle urne con sistemi elettorali distinti per le due camere del Parlamento.
Berlusconi, dunque, dà il via libera di Forza Italia alla proposta del deputato Pd D’Attorre per il superamento dell’impasse sulla nuova legge elettorale.
Compiendo un passo indietro rispetto all’irritazione con cui stamane era tornato a Roma e suggellando la nuova intesa con Renzi, di cui però sottolinea “con grave disappunto” la “difficoltà ” nel “garantire il sostegno della sua maggioranza agli accordi pubblicamente realizzati”.
Accordi che Berlusconi conferma “senza alcun ‘patto segreto’ come maliziosamente insinuato da alcuni organi di stampa”.
Questo il risultato del vertice convocato questa mattina dal Cavaliere a Palazzo Grazioli.
Con lo stato maggiore forzista, tra cui il “tessitore” Denis Verdini, Berlusconi ha discusso dell’offerta lanciata ieri da Matteo Renzi: via libera alla riforma della legge elettorale, l’Italicum, ma corredata di un emendamento che ne avrebbe posticipato l’entrata in vigore di 12 mesi.
Proposta che non aveva il gradimento del Cavaliere, che ai suoi aveva dato l’ordine di ribadire che i patti vanno rispettati così come sono stati formulati durante l’incontro a largo del Nazareno.
Dal Nuovo Centrodestra, a caldo, il commento positivo del coordinatore Gaetano Quagliariello: “Mi sembra che abbia prevalso la ragionevolezza”.
“Noi – ha sottolineato Quagliariello a sky tg24 – le riforme vogliamo farle, possibili e serie. Avremmo fatto ridere il mondo a fare una riforma inapplicabile per il Senato. Così invece le riforme si possono fare. E anche in tempi brevi”.
Brevi, ma non troppo
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL PASSAPORTO ERA STATO RITIRATO DOPO LA CONDANNA DEFINITIVA PER LA FRODE FISCALE SUI DIRITTI TV: “E’ STATA SOLO APPLICATA LA LEGGE”
Silvio Berlusconi non potrà recarsi al congresso del Ppe in programma il 6 e 7 marzo a Dublino. Berlusconi, che ha dovuto riconsegnare il passaporto dopo la condanna definitiva per la frode fiscale sui diritti tv del gruppo Mediaset, non ha avuto il permesso chiesto al tribunale di Milano per poter partecipare alla riunione in vista delle elezioni europee.
“E’ stata applicata la legge”, ha spiegato a Radiocor una fonte giudiziaria, specificando che in tutti i casi come quello di Berlusconi non è prevista la possibilità di recarsi fuori dai confini nazionali.
Già nel dicembre scorso, i magistrati milanesi avevano respinto la richiesta di Berlusconi di andare a Bruxelles sempre in occasione di un vertice del Partito Popolare Europeo.
La decisione dei giudici del Tribunale in funzione di giudici dell’esecuzione è stata avallata dalla Procura che ha dato parere contrario alla concessione del permesso.
Tra le prime a regaire, Daniela Santanchè: “Vergognosa la decisione del tribunale di Milano. Dovrebbero spiegarci quali motivazioni inducono a negare il permesso al leader del maggiore partito di centrodestra a recarsi a Dublino Il 5 e 6 marzo in occasione del congresso Ppe, con le elezioni Europee alle porte. La mia è molto chiara: che certi magistrati continuano a fare politica, calpestando l’ordinamento. Dobbiamo reagire, anche per salvaguardare la tripartizione dei poteri, prevista dalla nostra Costituzione”, afferma in una nota la parlamentare di Forza Italia.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
SI CHIAMERA’ “SCELTA EUROPEA” LA LISTA LIBERAL-DEMOCRATICA
“Scelta Europea”. Si chiamerà così la lista liberal-democratica dell’Alde alle prossime elezioni europee, con un evidente rimando alla montiana Scelta Civica. La lista è il frutto dell’alleanza tra 13 movimenti di varia impostazione: liberale, centrista, moderata, europeista.
IL RASSEMBLEMENT
Tra i movimenti che hanno dato vita alla lista, presentata oggi da Guy Verhofstadt, ci sono tra gli altri Fare, capeggiato da Michele Boldrin e Ezio Bussoletti, il Centro Democratico capitanato da Bruno Tabacci, il Partito federalista europeo rappresentato da Stefania Schipani, il Pli di Stefano De Luca e i Conservatori sociali che fanno capo all’ex Msi, Cristiana Muscardini.
LA SCELTA DEI MONTIANI
Un corposo sostegno alla lista arriva da Scelta Civica, il movimento fondato da Mario Monti e ora coordinato da Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione nel governo Renzi.
A rappresentare i montiani di Scelta Civica c’era Andrea Romano, storico, parlamentare ed ex direttore generale della montezemoliana Italia Futura. L’endorsement dei liberali di Scelta Civica, rappresentati nel governo anche dal sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, arriva per certi versi inaspettato dopo alcune recenti indiscrezioni che accreditavano perplessità dell’ex premier ed ex commissario europeo, fondatore di Scelta Civica, per un raggruppamento eterogeneo come quello che è stato presentato oggi.
LIBERALI UNITI
Ma evidentemente è prevalsa una volontà unitaria per una lista che oltre al movimento moderato e popolare del Centro Democratico di Tabacci ha visto la presenza oggi nel corso della presentazione di esponenti storico del Partito liberale italiano.
Non solo il segretario del Pli, Stefano De Luca, ma anche di Valerio Zanone e di Renato Altissimo.
E non si esclude che, pur non facendo parte organicamente della Lista Alde, anche Ali, l’Alleanza liberaldemocratica coordinata da Silvia Enrico e fondata tra gli altri da Alessandro De Nicola e Oscar Giannino possa sostenere la lista, nonostante le divergenze con Fare che hanno contribuito a costituire con Boldrin.
Mentre i Radicali Italiani, come annunciato da Marco Pannella nella conversazione con Massimo Bordin su Radio Radicale, non si presenteranno alle Europee nella Lista Alde.
IL VIDEO A SORPRESA
A tenere il battesimo della presentazione della Lista Alde, avvenuta a Roma alla presenza di circa 90 persone compresi i giornalisti, è stato Romano Prodi con un video messaggio. Monti e Prodi a braccetto alle Europee: chi l’avrebbe detto?
(da “Formiche“)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
D’ATTORRE (MINORANZA DEM) PRESENTA UN EMENDAMENTO PER FAR VALERE L’ITALICUM SOLO ALLA CAMERA… D’ACCORDO ALFANO. FI INSORGE… IL PREMIER MEDIA
“Possiamo portare a casa l’Italicum entro la settimana. Berlusconi scenderà a Roma mentre io sarò a Tunisi”. Così spiegava ieri sera ai suoi Matteo Renzi (che oggi fa una visita lampo in Tunisia, primo viaggio internazionale).
Una dichiarazione esplicita che la legge elettorale dipende dal sì di Forza Italia.
Tant’è vero che il premier ieri ha condotto la trattativa in proprio: ha sentito Alfano, ha visto Denis Verdini e Gianni Letta.
E poi, a fine giornata, ha rimandato l’assemblea del gruppo Pd alla Camera: avrebbe dovuto portare ai deputati democratici un’indicazione sull’Italicum, frutto della trattativa con FI. Trattativa che però non è finita.
Oggi arriva in Aula alla Camera la legge elettorale (quella che secondo il programma annunciato dal premier al Quirinale sarebbe dovuta essere approvata entro febbraio).
Ma l’accordo a tre — quello di Renzi di governo con Alfano, e quello di Renzi sulle riforme con Berlusconi — non c’è.
Anzi ieri ha rischiato di saltare del tutto.
Il caos s’è fatto evidente dopo le 12, orario in cui scadeva la presentazione degli emendamenti a Montecitorio. Con l’arrivo di una modifica presentata dal deputato bersaniano Alfredo D’Attorre, secondo la quale l’Italicum dovrebbe valere solo per la Camera e non per il Senato. Il punto è quello secondo il quale la legge elettorale va agganciata alle riforme costituzionali, nella fattispecie all’abolizione del Senato.
In pratica, in gioco è la possibilità di andare a votare subito, o non prima di un anno.
Ncd l’aveva posta come condizione per la nascita del governo. Condizione che Renzi formalmente non ha accettato. Mentre Forza Italia ha subito chiarito che l’Italicum (e la possibilità di votare) li vuole pronti all’uso.
In questo gioco, la minoranza Pd fa sponda con gli alfaniani, insistendo su modifiche e inadeguatezze del sistema così com’è.
Anche se poi sono tutti pronti a dichiarare, D’Attorre in testa: “Noi la legge la vogliamo solo migliorare”.
Tutto è cominciato col cosiddetto emendamento Lauricella, che rimanda l’entrata in vigore della legge all’abolizione del Senato.
D’Attorre ne ha proposto una variante di compromesso, presentando una modifica per abolire l’articolo 2 dell’Italicum e cancellare dalla legge le norme su Palazzo Madama.
In caso di fine della legislatura si andrebbe alle elezioni con due sistemi diversi nei due rami del Parlamento. Una soluzione che i democrat dicono possibile a livello costituzionale.
Ma che farebbe da deterrente a un voto immediato. È su questi due punti che ieri Renzi ha cercato una mediazione.
Per Ncd entrambe le soluzioni potrebbero funzionare (il sì ufficiale al lodo D’Attorre è arrivato da Gaetano Quagliariello). Forza Italia però non appena resi noti i nuovi emendamenti è salita sulle barricate.
“L’emendamento D’Attorre è incostituzionale”, tuonava Brunetta. “Si rispetti l’accordo Berlusconi-Renzi”, rinforzava Matteoli. Un’alzata di scudi in piena regola.
Se Berlusconi dovesse dire di no alle due modifiche sul tavolo, c’è già pronta un’altra proposta. Quella di legare l’Italicum a una data di entrata in vigore.
Perchè poi Renzi non può permettersi di fallire sulla legge elettorale, nè ha l’interesse a questo punto di andare a votare subito dopo, passando come quello che non è stato in grado di governare.
Insomma, si lavora a un sistema elettorale prossimo venturo, che conterrebbe una scadenza per quanto ipotetica della legislatura.
Tra un anno, o meglio un anno e mezzo, come spiegava ieri un esponente del governo.
Sono arrivati il “lodo Pisicchio (entrata in vigore dopo un anno o 18 mesi) e il lodo Balduzzi (gennaio 2016). E ancora: si potrebbe approvare la norma alla Camera così com’è, e poi rimandare tutto in Senato.
Tutte strade in salita: come ammetteva ieri sera lo stesso presidente del Consiglio i nodi sono ancora da sciogliere.
Nen fratempo , ha trovato il tempo per una “distrazione” nel suo stile: una lettera ai Sindaci in cui chiede di segnalargli una scuola da riparare (con tanto di mail annessa sindaci@governo.it  ). E ieri sera a cena a Palazzo Chigi c’è stata la prima riunione ufficiale per il jobs act: una cena tra Padoan, Poletti e Delrio.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
COME ALMANACCARE SULLA NORMA SENZA SCRIVERLA
Nel 1978 la legge Basaglia ha chiuso i manicomi.
Riapriteli di corsa: c’è un matto pericoloso da internare. È il legislatore schizofrenico, l’essere che comprende in sè il non essere, la volontà che vuole e disvuole.
In passato ne avevamo avuto già il sospetto, dinanzi a certe leggi strampalate, a certe norme subnormali. Adesso c’è un certificato medico, la prova che il seme della follia ha ormai attecchito nelle meningi dei nostri parlamentari.
Come? Con un doppio emendamento alla legge elettorale, da quest’oggi all’esame della Camera.
Proviamo allora a raccontarla, questa «Storia della follia» che meriterebbe la penna di Foucault. Tutto comincia con l’accordo Renzi-Berlusconi sul doppio turno eventuale: se superi un determinato tetto incassi il premio di maggioranza, altrimenti ballottaggio fra le due coalizioni più votate.
È l’Italicum, ed è un sistema – almeno sulla carta – ragionevole. Perchè taglia le unghie ai piccoli partiti, contemplando una soglia minima per guadagnare seggi. E perchè lega la governabilità al consenso (implicito o esplicito) degli stessi governati.
Sennonchè il diavolo s’annida nei dettagli.
In questo caso i dettagli sono numeri, e numeri impazziti. Un premio troppo basso (52% con il 37% dei suffragi), che lascia l’esecutivo in balia di 6 deputati.
Tre soglie diverse (12%, 8%, 4,5%) per le coalizioni, per le liste coalizzate, per i partiti che corrono da soli.
Deroghe per le minoranze linguistiche, deroghe per la Lega Nord, però nessuna deroga se il voto si spalma sulle schede come una marmellata elettorale.
Può ben succedere, in fondo è già successo: siamo l’Italia dei mille campanili.
E dunque se il fronte di minoranza conterà un solo partito in grado di superare la boa dell’8%, quest’ultimo intascherà il 48% dei seggi: tombola!
Se il fronte di maggioranza verrà presidiato da una coalizione di 11 partiti (quanti ne imbarcò l’Unione di Romano Prodi nel 2006), se nessuno degli 11 sforerà il 4,5%, mentre tutti insieme sommeranno il 37%, il risultato in seggi sarà zero tagliato.
E, via via, potremmo esercitarci a lungo su questo manicomio elettorale.
T’aspetteresti che l’esercizio lo svolgano pure lorsignori, invece no: discettano, rimuginano, almanaccano su come scrivere la legge elettorale senza scriverla.
Da qui l’emendamento Lauricella, che ne subordina l’entrata in vigore alla riforma (ipotetica e futura) del Senato.
Più che una legge, una promessa di matrimonio; vatti a fidare.
Da qui – ed è storia di ieri – l’emendamento D’Attorre, che circoscrive l’Italicum alla sola elezione della Camera.
E il Senato? Lì rimarrebbero in vigore le regole di adesso: un proporzionale puro. Siccome su quest’emendamento la maggioranza è già andata in solluchero, siccome a quanto pare offrirà l’inchiostro della nuova legge elettorale, sarà il caso di ragionarci su.
Anche se è complicato ragionare con i pazzi.
Domanda: ma sarebbe incostituzionale stabilire regole diverse fra Camera e Senato? Niente affatto.
In primo luogo, la Costituzione stessa differenzia le due assemblee legislative, collegandole a elettorati differenti (18 e 25 anni).
In secondo luogo, in origine ne aveva differenziato pure la durata (5 e 6 anni).
In terzo luogo, già il Porcellum confezionava un premio nazionale per la Camera, e al Senato 20 premi regionali.
Però, attenzione: proprio questa disarmonia ha alimentato una censura d’incostituzionalità . Scrive infatti la Consulta (sentenza n. 1 del 2014, punto 4 della motivazione): il Porcellum «favorisce la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea»; sicchè viola, in conclusione, «i principi di proporzionalità e ragionevolezza».
Morale della favola: è ragionevole diversificare, è irragionevole contraddire.
Si può adottare, per esempio, un maggioritario con sistemi differenti: alla Camera con il premio, al Senato con i collegi uninominali.
Si può scegliere un proporzionale variando le soglie minime d’accesso nelle assemblee legislative. Ma non si può decidere per un «maggiorzionale», non si possono trattare le due Camere come se appartenessero a due Stati lontani.
Per rispetto del buon senso, se non anche del buon senno.
Michele Ainis
costituzionalista
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