Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
UNA VITA SENZA BISOGNO DI PORTAFOGLIO
È scoccata l’ora di Tangentopoli anche per Roberto Formigoni.
Un tempo c’era la mazzetta di banconote, in busta o in valigia.
Oggi, attraverso l’ex presidente della Regione, si vedono le «altre utilità »: anni e anni di lussuosi viaggi caraibici a Capodanno e cene a base di champagne, di affari immobiliari occulti mescolati alle mollezze delle crociere.
Questa «vita a sbafo», per i magistrati, si spiega con il «sistematico asservimento della discrezionalità amministrativa» della Regione alle esigenze dei faccendieri. L’«eccellenza sanitaria» lombarda nascondeva un fiume di soldi: che usciva dalle tasche pubbliche e veniva drenato per infilarsi nelle tasche private dei faccendieri.
La razzia ammonta a circa 70 milioni ed è stata perpetrata, secondo la polizia giudiziaria, da due uomini legati indissolubilmente a Formigoni.
Antonio Simone, ciellino di lungo corso, travolto dalla vecchia Tangentopoli. E Piero Daccò, imprenditore.
I due, che ancora tacciono o si proclamano innocenti, hanno giustificato quel denaro come il frutto di meritate «consulenze».
Ma che non fossero consulenze lo provano i lavori surreali, appioppati dai due amici di Formigoni sia al San Raffaele, sia alla Fondazione Maugeri: paginette sulla vita marziana, copia-e-incolla di baggianate prese da Internet, robaccia delirante in lessico paramedico, dossier pagati centinaia di migliaia di euro (l’uno).
Soldi che prendono la via dell’estero, che s’inabissano nei paradisi fiscali.
Soldi ai quali bisogna fare attenzione, perchè nelle carte giudiziarie esiste un passaggio che viene ostinatamente «taciuto» dalla trincea difensiva.
Lo potremmo definire «il non-miracolo della moltiplicazione dei soldi» di Formigoni. I detective hanno analizzato tutti i conti dell’ex presidente della Regione, accertando che «non si registrano nè prelievi bancomat, nè emissione di assegni» compatibili con il suo tenore di vita. Accanto alle «significative disponibilità di denaro del quale non è nota la provenienza», si registra una sorta di risparmio totale, molto meno di quanto serve alle «necessità quotidiane di una “comune” persona».
Spiegazioni? «Non mi sono mai messo in tasca un euro, anche Gesù ha sbagliato a scegliere un collaboratore»: queste alcune reazioni di Formigoni in pubblico.
In privato, scaricava la sua rabbia persino sul cardinal Angelo Scola: «… magari a cercare degli amici cardinali che non dicano troppe str….».
Il brogliaccio degli intercettatori regala il perfetto riassunto di uno stile: «Formigoni dice di essersela presa perchè Scola ha dato il segnale di avere qualche dubbio su di lui (…) Formigoni continua a lamentarsi che altri amici non lo hanno difeso».
Ma come difenderlo?
Ci sono ciellini che faticano a finire il mese e c’è, ormai in vista, lo stupefacente mènage del loro leader.
La presentatrice tv Manuela Talenti ha acquistato una casa per 630mila euro, il pagamento è realizzato in parte con bonifici firmati Roberto Formigoni (55mila).
Ma anche, accertano i detective, con denaro cash. Quando il segreto istruttorio finisce, Talenti si sfoga con i giornali: «Formigoni – dice lei – mi diede un contributo di circa 135mila (…) è stato da parte di entrambi un grande amore vero ».
Da dove Formigoni prelevava i contanti per l’amatissima?
Nessuna risposta nemmeno sulla rata annuale d’iscrizione di Formigoni all’»Ordine militare costantiniano di San Giorgio» (280 euro), o sulla costosa crema per il viso che il politico (parola del suo segretario) usa «come colla per i manifesti».
E sulle barche Ojala, Cinghingaia, Ad Maiora, per il branzino, il vino, il carburante, le lenzuola, il vasellame, le focacce, i giornali, quanto spendeva Formigoni?
«Neanche un centesimo», ricorda il cambusiere.
E la splendida villa in Sardegna, acquistata da Alberto Perego, «capocasa» di Formigoni nella comunità dei Memores Domini, come mai è costa così (relativamente) poco (a loro)?
E come mai Formigoni chiamava in Regione un funzionario di banca e consegnava «denaro contante per importi compresi tra i 5 e i 20mila euro… raccomandandosi di non farli transitare sul proprio conto corrente»?
In questa vita senza bisogno del portafoglio c’è la chiave che accende la macchina del rinvio a giudizio per corruzione e associazione per delinquere.
L’ex presidente della Regione resta uno che, quando Daccò venne arrestato, disse ai giornalisti: «Mi pare faccia il consulente nel settore della Sanità ».
Ci aveva trascorso cinque Capodanni insieme. «Le ricevute delle spese? Le cerco», aggiunse.
Per il 6 maggio, giorno d’inizio processo, le avrà trovate?
Piero Colaprico
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
SONO BARRACCIU, DEL BASSO DE CARO, DE FILIPPO E I RICONFERMATI BUBBICO E LUPI… 4 DEMOCRAT E IL MINISTRO DIVERSAMENTE BERLUSCONIANO
Fabrizio Cicchitto, mentre ancora il suo compagno di partito Antonio Gentile era inchiodato alla poltrona di sottosegretario, avvertiva il Pd del rischio di “non vedere la trave nel proprio occhio, ma solo la pagliuzza nell’occhio altrui”.
Più o meno tutti quelli del Nuovo centrodestra — con significative differenze di stile espressivo — si schieravano sulla stessa trincea.
La sostanza del ragionamento è questa: Gentile non è nemmeno indagato e se ne deve andare, a maggior ragione devono farlo gli indagati del Pd, che sono quattro.
In realtà i seguaci di Angelino Alfano si dimenticano di citare un altro indagato del governo Renzi, l’unico ministro: trattasi di Maurizio Lupi, Ncd pure lui, inquisito dalla Procura di Tempio Pausania per concorso in abuso d’atti di ufficio per la nomina del commissario dell’Autorità portuale del Nord Sardegna.
Va detto che effettivamente ha ragione Cicchitto: un bel pezzo del Pd tende a dimenticare le sue pagliuzze o travi che siano.
Non Rosy Bindi, per la verità : “Sono stata molto critica anche nei confronti delle nomine a sottosegretario che riguardano il mio partito — ha detto la presidente dell’Antimafia — Soprattutto nel momento in cui si vuole riformare il finanziamento pubblico ai partiti e si punta il dito sui rimborsi ai consiglieri regionali, trovo che sia poco opportuno e poco corretto che chi è inquisito per reati relativi al finanziamento dei gruppi regionali sieda nel governo”.
Questi infortuni del moralizzatore Renzi hanno un nome e un cognome.
La più famosa è Francesca Barracciu, sottosegretario alla Cultura, sarda e fedelissima del nuovo premier.
Indagata, con molti altri consiglieri regionali, per peculato aggravato: i magistrati di Cagliari le contestano spese non rendicontate per 33mila euro tra il 2006 e il 2009.
Lei sostiene di averli spesi tutti in benzina. Comunque la condizione di indagata le impedì la candidatura a governatrice, ma ora non è di ostacolo alla sua presenza al governo.
C’è poi il caso di Vito De Filippo, sottosegretario alle Salute, accusato per 3.840 euro con cui — così dice lui — l’ex presidente della Basilicata del Pd comprò francobolli in due tabaccherie. Un altro caso riguarda il beneventano Umberto Del Basso De Caro, ex socialista, avvocato di Nicola Mancino nel processo sulla trattativa Stato-Mafia, anche lui sotto inchiesta per i rimborsi facili in regione (la Campania, nel suo caso).
Ultimo ma non ultimo Filippo Bubbico, confermato viceministro nientemeno che all’Interno, che è sotto processo a Potenza per abuso d’ufficio.
Chi sarà il prossimo?
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 4th, 2014 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA NON VUOLE VOTARE NEL 2018 QUANDO BERLUSCONI AVRA’ 81 ANNI… ALFANO NON VUOLE VOTARE TRA UN ANNO… O CADE IL GOVERNO O SI ROMPE L’ACCORDO TRA SILVIO E MATTEO….RENZI TENTA UNA MEDIAZIONE CON UNA SCADENZA PER LE RIFORME
Se c’è un punto fermo, almeno uno, nella giostra di trattative sulla legge elettorale, è che l’accordo sull’Italicum, di fatto, non c’è più.
Inteso come quello che avevano siglato Renzi e Berlusconi per terremotare il governo Letta.
È per questo che Renzi, abituato a parlare quando ha cose da dire, preferisce rinviare la riunione del gruppo del Pd in serata.
Limitandosi a spargere un po’ di ottimismo: “Siamo alla stretta finale, l’accordo è vicino. Ma bisogna superare varie difficoltà ”.
Il problema — e non è un dettaglio — è che le difficoltà , alla vigilia della discussione in Aula, non sono banali.
E l’accordo è affidato ai più classici consigli che porta la notte. E allora conviene provare a fissare qualche punto fisso nel labirinto per ricostruire il complesso negoziato.
Ad esempio partire da quando, nel corso di una serie di telefonate dirette tra Renzi e Verdini, si capisce che con la formazione del governo tutto è cambiato.
Il plenipotenziario di Berlusconi si dice disposto ad aggiustamenti piccoli perchè, come ama dire, i numeri sono “birichini” e tutto dipende da come “li incolonni”, ma questo è il massimo del gioco possibile.
Bene dunque a ragionare di algoritmi, per risolvere quelle criticità che il professor D’Alimonte ha illustrato al Corriere. Epperò Forza Italia non può accettare nè il famoso emendamento Lauricella, nè l’emendamento D’Attorre, ovvero: applicare l’Italicum solo per la Camera dei deputati, ma non per il Senato, dove resterebbe in vigore il Consultellum (la legge uscita dalla Consulta).
Per evitare l’emicrania diciamola semplice: sia l’uno che l’altro rappresentano dei deterrenti rispetto alla prospettiva del voto anticipato e legano la legge elettorale alle riforme istituzionali.
Detto ancora più direttamente: si vota nel 2018 quando Silvio Berlusconi avrà 81 primavere. Si capisce allora il no, senza se e senza ma di Verdini.
E pure il malumore del Cavaliere, in costante contatto telefonico da Arcore affiancato da Giovanni Toti. Insomma, spiega con Renato Brunetta, col Lauricella o affini “salta tutto”. Legge elettorale e riforme devono andare “parallelamente”.
Il problema è che Renzi, critico col Lauricella ai tempi in cui al governo c’era Letta, stavolta cerca una mediazione.
Riforme e legge elettorale vanno collegate. Un azzurro di rango spiega: “Renzi ha fatto la politica dei due forni. Prima ha fatto l’accordo con noi sulla legge elettorale, poi con Alfano sul governo dando garanzie sui tempi lunghi. Ora si è incartato”.
Il sospetto del Cavaliere però è che il tempo sia foriero di brutte sorprese. E cioè che l’Italicum o si approva adesso o non si approva più: “Il vero obiettivo di Alfano e sinistra Pd — prosegue l’azzurro di rango — è prima prendere tempo, poi cambiare l’Italicum. A quel punto Renzi è incastrato”.
È un sospetto che alberga anche nei pensieri del premier. Il quale sta cercando una mediazione, una sorta di “lodo Renzi.
Una mediazione che consenta di non rompere con Forza Italia e, al tempo stesso, di non far saltare il governo.
Tra la l’Italicum subito e l’emendamento Lauricella, l’idea è fissare un tempo “determinato” per le riforme.
Un Lauricella a tempo, in sostanza: riforme istituzionali e legge elettorale vanno legate ma va fissato un tempo per non arrivare al 2108. Un anno, due. Una qualunque scadenze.
Alfano all’inizio ha detto di no. La trattativa è lunga…
(da “Huffingtonpost“)
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