Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
I QUESITI DA PORSI
I soldi ci sono o non ci sono? E l’Europa lascerà fare a Matteo Renzi quello che vuole, cioè dare 80 euro in più in busta paga a chi ne guadagna meno di 1500 al mese?
I due temi sono legati, come è già chiaro dalle prime reazioni alla conferenza stampa programmatica del premier di mercoledì
1. La Banca centrale europea nel suo bollettino mensile scrive che l’Italia non ha fatto “progressi tangibili” per rispettare le richieste della Commissione europea di ridurre il debito. Significa che Mario Draghi ha già bocciato il piano Renzi?
No, le due cose non sono connesse. A novembre 2013 la Commissione ha chiesto al governo Letta di tagliare il debito strutturale dello 0,5 per cento del Pil (4-5 miliardi) già nel 2014 per essere in regola con la cosiddetta “regola del debito”, cioè un ritmo di riduzione del debito pubblico che ci permetta di rispettare i vincoli di bilancio del trattato Fiscal Compact. Letta aveva risposto che i tagli sarebbero arrivati dalla spending review, che ancora si aspetta. Il Bollettino di Francoforte, peraltro, è stato chiuso il 2 marzo
2. Renzi ha intenzione di rispettare questa richiesta di correzione dei conti?
No. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha già spiegato che non è nel programma del governo fare interventi correttivi. La scommessa è che le misure di stimolo alla crescita faranno crescere il Pil a sufficienza da non rendere necessari i tagli aggiuntivi (il rapporto migliora sia se scende il debito sia se cresce il Pil)
3. Che succede se la scommessa di Renzi si rivela sbagliata?
Se a breve non ci sarà stata la correzione e la crescita si rivelerà inferiore a quella sperata, l’Italia rischia già da giugno una procedura di infrazione per squilibri macroeconomici eccessivi, che può comportare multe pesanti
4. Il commissario europeo Olli Rehn ha detto di apprezzare il taglio delle tasse sul lavoro finanziato dalla spending review ma ha anche richiamato l’Italia a “rispettare gli impegni del patto di Stabilità ”, in particolare “il bilancio in pareggio in termini strutturali e la nuova regola del debito”. È un via libera?
Sì, ma cauto. La Commissione ricorda la necessità di ridurre il debito di 4-5 miliardi e di non sfondare il tetto del 3 per cento tra deficit e Pil. Renzi ha detto che vuole pagare parte del taglio al cuneo fiscale facendo deficit (cioè, di fatto, rinunciando a cercare copertura). Il deficit 2014 può salire da 2,6 a 3 per cento. Il premier spera però di non dover usare tutto quel cuscinetto da 0,4 per cento. Anche questa scelta, ha ricordato Padoan, deve essere discussa con Bruxelles e approvata dal Parlamento
5. Quali sono i pericoli di questa linea nei prossimi mesi?
Arrivando così vicino al limite del 3 per cento, Renzi si preclude ogni flessibilità del bilancio pubblico per l’intero 2014. Qualunque misura di spesa – ad esempio i soldi che mancano sulla Cig – dovrà essere coperta da tagli corrispondenti o aumenti di tasse dal gettito immediato (tipo alzare le accise sulla benzina). Una strada molto stretta che, se imboccata, prelude a sorprese d’autunno: dopo le elezioni europee, il premier potrebbe trovarsi costretto ad ammettere di essere già sopra il 3 per cento, a causa di coperture incerte, di una crescita sotto le attese o spese impreviste. A quel punto la Commissione lo solleciterebbe a fare una manovra correttiva oppure partirà l’iter della procedura d’infrazione (l’Italia ne è uscita nel 2013, dopo quattro anni).
6. Anche Spagna e Francia hanno sfondato il deficit e sono sotto procedura d’infrazione, perchè non possiamo farlo anche noi?
È un’opzione: in questi anni sia il governo Monti che quello di Enrico Letta hanno privilegiato un altro approccio, fare di tutto per rispettare i vincoli su debito e deficit in modo da trattare poi con Bruxelles forti dei risultati raggiunti.
Spagna e Francia invece hanno preso tempo per diluire i dolorosi aggiustamenti dei conti pubblici. Letta e Monti erano convinti che per l’Italia fosse troppo pericoloso seguire quella linea perchè il debito pubblico (134 per cento del Pil) rende il Paese troppo esposto ai cambi di umore dei mercati, che possono determinare improvvisi aumenti dei tassi di interesse,. Inoltre chi è “sotto procedura” ha vincoli molto più stringenti nell’esame preventivo della legge di Stabilità da parte di Bruxelles, obbligatorio dal 2013.
7. Ma ci sono coperture vere nelle promesse di Renzi?
Il taglio dell’Irap alle aziende vale 2,4 miliardi all’anno ed è coperto – forse non del tutto dal 20 al 26 per cento del prelievo sulle rendite finanziarie (titoli di Stato esclusi).
Le entrate incerte sono: 3 miliardi nel 2014 (5 nel 2015 e 2016) dal rientro dei capitali dall’estero, 1,6 miliardi di gettito Iva dal pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione (prima bisogna pagarli e per ora c’è solo un disegno di legge) e i risparmi della spending review.
Il commissario Cottarelli ha parlato di 3 miliardi di risparmi sul 2014, perchè i tagli inciderebbero sulla seconda metà dell’anno. Renzi parla di 7 miliardi, come se invece potessero essere retroattivi.
Ci sono quindi 4 miliardi molto incerti e anche per i 3 sicuri bisogna comunque fare un provvedimento di legge che ancora non è alle viste.
Far salire il deficit o spendere circa 3 miliardi dovuti ai risparmi sul costo stimato del debito (spread) equivale a spendere senza coperture.
Al netto dell’Europa, insomma, è la parte facile.
Stefano Feltri
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE NON CONFERMATO PER PRESUNTE IRREGOLARITA’… INSEGNANTI CHE HANNO LAVORATO SENZA UN CONTRATTO, MENTRE LE RISORSE SI SPRECAVANO TRA VERNISSAGE E RINFRESCHI… IL PRANZO PER D’ALEMA DA 16.000 EURO
Nella cassetta di sicurezza c’era ancora una busta chiusa con 1.334,59 euro. 
Neppure una scritta. Forse erano proventi di un evento mai rendicontati.
Perchè all’Istituto italiano di Cultura a Bruxelles un vero contabile non c’era. C’era invece un segretario e pare avesse anche un doppio lavoro: visto il giro di ricevimenti e banchetti, ha pensato bene di farsi la sua società di catering.
Si spediva i preventivi e se li autorizzava. Duemila, tremila euro alla volta.
Per contro gli insegnanti di lingua, che dovevano essere il fiore all’occhiello dell’istituto, lavoravano da anni senza un contratto.
Solo impegni a voce e mandati di pagamento, le ore e gli importi scritti a penna. Nessuna ritenuta, niente tasse, zero contributi.
Il capolavoro è stato poi ingaggiarli perchè tenessero corsi ai funzionari della Commissione europea. La Commissione fatturava all’Istituto, i soldi finivano a professionisti abilitati ma irregolari da sempre.
Lampi da Bruxelles, dove la credibilità del Belpaese è appena affogata in un pasticcio coi fiocchi.
Mentre Renzi esordiva al Consiglio Europeo, giovedì scorso, la rappresentanza culturale presso il Consolato, in Rue de Livourne, era in piena smobilitazione.
Pacchi e documenti in partenza per l’Italia, compresa la direttrice dell’Istituto di cultura. Ricercatore a Tor Vergata, Federiga Bindi era stata nominata per “chiara fama” da Frattini (9.600 euro di indennità mensile).
Il suo incarico è scaduto il 9 marzo e non è stato rinnovato anche a seguito dei risultati di un’ispezione del Mef che nel 2013 ha rilevato “gravi irregolarità contabili e amministrative” nella gestione dell’ente: acquisti senza “determinazione a contrarre” (una cucina professionale da 13mila euro, frigo e altri materiali per 5mila…), irregolarità per contratti e consulenze esterne, 9mila euro di acquisti non rendicontati con la carta di credito dell’istituto.
Le carte sono già alla Corte dei Conti, da Roma arriverà un nuovo direttore proveniente dai ruoli del ministero e non più di nomina politica.
Ma la vicenda è tutt’altro che chiusa. “Procederò nei modi e nelle forme appropriate per poter ristabilire la verità dei fatti e la mia integrità professionale, fisica e morale”, annuncia la Bindi.
Quale verità ? Fermata praticamente sulla porta, sostiene che l’ispezione avesse rilevato irregolarità riferibili anche alle precedenti gestioni ma abbia poi avuto effetti solo sul suo incarico, determinandone l’uscita di scena.
Sia come sia, la contabilità degli anni passati è ancora lì da vedere, quando c’è.
E riserva diverse sorprese.
La Belle à‰poque dell’Istituto: dai vernissage al “pranzo per D’Alema”
Vernissage, eventi di nicchia e generosi banchetti. Dall’archivio della contabilità riaffiorano le tracce di un’epoca d’oro in cui il prestigio dell’Istituto si guadagnava anche spendendo ingenti risorse tra mostre, eventi e rinfreschi.
La dotazione ministeriale per l’istituto è raddoppiata nel giro di un paio d’anni fino a superare i 600mila euro per esercizio.
Le uscite nel 2006 ammontavano a 774mila euro, l’anno dopo supereranno il milione. I costi di catering lievitano come la panna: 30mila euro nel 2004, 35mila nel 2005, 58mila nel 2007.
Una fattura per quell’anno riporta la causale “Pranzo per il ministro D’Alema”: 153 persone in uno dei resort più esclusivi di Bruxelles, praticamente un banchetto di nozze, 16mila euro il conto.
“La cucina professionale è servita ad abbattere questi sprechi e tornare sui 10-12mila euro”, sostiene la defenestrata Bindi. “Io lascio un bilancio risanato e in attivo ma mi contestano irregolarità procedurali. Poi chiudono gli occhi su un passato ben più pesante”.
L’archivio della contabilità
Il riferimento è alla storia contabile degli ultimi anni, a tratti un groviera.
Nel 2005 l’ex direttore Pialuisa Bianco certifica un avanzo di 47.049,29 euro: conti in attivo.
Cinque ottobre 2007, la Bianco lascia l’Istituto spiegando che «a fronte della prima tranche di dotazione finanziaria incassata, pari a 240 mila euro, si riscontrano 483.333,05 euro di autofinanziamento pari a due volte la dotazione finanziaria».
Due settimane dopo la reggente pro-tempore, Donatella Cannova, segnala al Ministero fatture non liquidate, non elencate nel verbale di passaggio delle consegne, per 39.790 euro. Un’avvisaglia.
Il neo direttore, Giuseppe Manica, prende servizio il 18 settembre e un mese dopo accerta che le fatture non liquidate e gli impegni di spesa da onorare ammontano a 192mila euro. La storia finisce con il ministero che dovrà metterci una pezza. Il 31 dicembre Manica chiede un’integrazione straordinaria al bilancio “per far fronte a una situazione debitoria tale da non consentire di corrispondere alle richieste dei creditori, a fronte dei numerosi impegni assunti sotto la gestione dell’ex direttore, dottoressa Pialuisa Bianco”. I conti, a quanto pare, non sempre tornavano.
L’Italia e la lezione di lavoro (nero) all’Europa
Il buco più nero di questa storia è però quello degli insegnanti ingaggiati senza contratti di alcun tipo, almeno fino a marzo 2013, alcuni anche per 10-15 anni di seguito. I vecchi registri sono zeppi di nomi.
Gli ultimi contano una dozzina di docenti e solo da un anno sono stati regolarizzati con contratti d’opera. “Sono stata io a fargli avere il primo contratto”, rivendica la silurata Bindi.
“Sono arrivata che i corsi erano già iniziati. All’inizio del nuovo semestre ho cercato i contratti in istituto, niente. Li ho chiesti agli insegnanti, niente. Nessuno li aveva, erano tutti al nero da anni. Allora abbiamo studiato le forme di inquadramento possibili, e alla fine abbiamo optato per contratti d’opera intellettuale, redatti in conformità col diritto belga e la contrattualistica degli Istituti. Il MEF ha contestato questa procedura e siamo così arrivati all’ultima spiaggia: farli intermediare da un’agenzia interinale, che però si mangia buona parte del compenso dei docenti e delle entrate dell’istituto”.
Il ministero degli Esteri
Scavando ancora emerge il sospetto di un tacito accordo, sulla pelle degli insegnanti, che si è protratto per anni.
“A richiesta del Mae, detti insegnati non hanno nessun contratto e sono ingaggiati sulla base del titolo universitario”, scriveva nel 2006 l’ex direttore Bianco. A richiesta del Ministero, dunque. L’ipotesi, se così fosse, è che tale indicazione venisse impartita direttamente da Roma per evitare che i docenti potessero accampare delle pretese sull’amministrazione sulla base di un impegno scritto. E che l’indicazione trovasse poi sponda a Bruxelles, dove il mancato accollo di oneri contributivi e fiscali garantiva all’Istituto entrate consistenti a costi ridottissimi. E ai vari direttori di ostentare “ottimi risultati di gestione”.
Il rendiconto finanziario 2007, ad esempio, riporta 339mila euro di entrate per le iscrizioni ai corsi a pagamento a fronte di 152mila euro di compensi al personale docente. Per anni poi, sulla base di convenzioni e gare d’appalto, gli stessi docenti venivano mandati a far lezione ai funzionari della Commissione e del Parlamento Europeo, con crescente profitto: 34mila euro nel 2002, 62mila nel 2003, 93mila nel 2007, 120mila nel 2009…
Un flash dal rendiconto 2003: entrate per corsi presso IIC e istituzioni europee 151mila euro, uscite per gli insegnanti che li hanno tenuti 80mila, utile in bilancio 71mila euro. Un affare. Le istituzioni europee fatturavano regolarmente all’Istituto, ignare di alimentare lavoro irregolare sottratto agli obblighi contributivi e/o fiscali.
La Farnesina non smentisce nè minimizza.
La Direzione Generale che sovrintende gli Istituti di Cultura conferma anzi di aver riscontrato irregolarità almeno dal 2007. “Dal carteggio relativo alle passate gestioni emerge un meccanismo di retribuzione di questi insegnanti che sembrava prescindere da un contratto scritto e avvenire solo attraverso la contabilizzazione delle ore del servizio prestato, in assenza anche solo di una lettera d’incarico da produrre in atti”, spiega il ministro plenipotenziario Giovanni Iannuzzi al fattoquotidiano.it.
Più indietro l’accertamento non arriverà , anche per ragioni di prescrizione delle eventuali contestazioni di responsabilità .
“L’Ufficio centrale bilancio e gli ispettori del lavoro del Mef stanno analizzando, in ordine a questo aspetto, le risultanze sulle precedenti gestioni fino all’ultima, che ha iniziato invece un processo di regolarizzazione ed è oggetto di altre contestazioni”, assicura il funzionario.
La questione è dunque all’attenzione degli organi di controllo. “Tutti i contratti stipulati dalla PA richiedono la forma scritta ad substantiam”, si legge nella relazione ispettiva sull’Istituto trasmessa al Ministero e alla Procura della Corte dei Conti. I finanzieri ricordano che tale obbligo di legge è stato pure ribadito dal Consiglio di Stato con una sentenza del 2003.
Ma a Roma come a Bruxelles, sembra non ne sia arrivata notizia per almeno dieci anni. E la grana esplode solo ora, alle porte del semestre italiano dell’Unione Europea.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
SANATORIA PER LE DONAZIONI IRREGOLARI… NORMA AD HOC INSERITA NELLA LEGGE CHE ABOLISCE IL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI
I partiti si regalano una sanatoria per le donazioni irregolari.
La norma, finora rimasta in ombra, è stata inserita nella legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti politici.
Con un emendamento proposto dai leghisti Roberto Calderoli e Patrizia Bisinella viene stabilito che le erogazioni in denaro effettuate a favore dei partiti politici a partire dal 2007 «devono comunque considerarsi detraibili» dall’Irpef.
Una norma che, votata dalla maggioranza del Parlamento, apporta una significativa modifica alla dizione precedentemente in vigore sulle erogazioni.
Nel passato infatti, prima del 2013 era prevista una detrazione del 19% per le «erogazioni liberali» in denaro in favore dei partiti per importi compresi entro un certo tetto.
La «furbata» sta proprio nell’eliminazione della parola «liberali» dopo quella «erogazioni», accompagnata, per evitare ogni dubbio, dall’inserimento dell’avverbio «comunque» riferito a «detraibili dall’Irpef».
La norma è rimasta finora sotto traccia perchè pochi erano a conoscenza delle vere ragioni che hanno spinto i senatori leghisti a proporre la sanatoria preventiva.
Secondo quanto risulta all’agenzia Adnkronos, nel corso di una indagine penale condotta dalla procura di Forli gli inquirenti sarebbero incappati in alcuni contratti che legavano parlamentari della Lega al proprio partito nei quali era concordata l’erogazione «liberale» di una parte dell’indennità percepita dopo l’elezione al Parlamento.
La Procura, a questo punto, ha trasmesso un’informativa all’Agenzia delle Entrate per verificare se la presenza del contratto faceva venir meno la possibilità di detrarre le somme donate al partito in maniera «poco liberale» come invece prevedeva la legge.
Gli uffici del fisco hanno ritenuto che la presenza di un contratto scritto faceva venir meno la possibilità di portare in detrazione le somme date al partito.
E sono quindi partite le contestazioni per indebito utilizzo della detrazione per oneri.
Ma Calderoli e la collega Bisinella hanno anticipato tutti facendo approvare un condono preventivo che sana tutti i comportamenti illegittimi per il periodo 2007-2013.
(da “il Fatto Qutodiano“)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
NON SOLO IL CONGRESSO DI ROMA, MA ANCHE A MODENA, IN CAMPANIA, IN LUCANIA, IN SICILIA
Nel territorio le battaglie sulle primarie: sospetti e file anomale di extracomunitari 
E sabato il caos all’assemblea del Lazio «E poi… Poi, Matteo, ci sarebbe… beh, sì, insomma: a Roma si sono menati», raccontavano ieri mattina a Matteo Renzi, che vuol essere sempre informato su tutto quando accade all’interno del suo partito, il Pd.
«Menati, scusa, come? E dove? Ma che dici?» (Renzi, tra stupore e fastidio).
«È successo all’assemblea regionale. Stavano ratificando la nomina del segretario, dopo le primarie. Poi hanno iniziato a litigare. Sembra che uno, poveretto, sia perfino finito all’ospedale».
Renzi, a quel punto, si è fatto spiegare meglio (come vedremo, le primarie del Partito democratico stanno seminando ovunque, in Italia, liti furiose e denunce alla magistratura).
A Roma la scena è particolarmente tragica.
I protagonisti sono tutti personaggi minori, locali: ma se provate a non farvi condizionare dai loro cognomi sconosciuti, ciò che è accaduto vi apparirà assai grave, ed emblematico.
Sabato pomeriggio, centro congressi della Cgil, molti invitati eccellenti (il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, il sindaco di Roma Ignazio Marino, più altri parlamentari di rango: Stefano Fassina, Enrico Gasbarra, David Sassoli).
La rissa esplode quando – proclamato segretario Fabio Melilli – la maggioranza del partito decide di eleggere presidente non Lorenza Bonaccorsi, renziana sconfitta da Melilli alle primarie, ma Liliana Mannocchi, nemmeno delegata però fedelissima di Marco Di Stefano, un deputato che nel Lazio controlla un mucchio di voti.
Calci e sputi (letteralmente).
Due tessere centrano Melilli sul viso. Pernacchie, fischi, urla.
Massimiliano Dolce, un delegato arrivato da Palestrina, crolla a terra, colpito da un principio di crisi epilettica.
Sirene di ambulanze, fotografi scatenati. E piccolo, gustoso retroscena politico: la cortesia a Marco Di Stefano sarebbe stato un gentile omaggio organizzato dal potente Goffredo Bettini che, in vista di una sua candidatura alla elezioni europee, già tesse alleanze.
«È una ignobile falsità !».
Sarà .
«Io non conosco neppure fisicamente certe persone! La verità è che se si affermassero certe mie idee, finirebbe la giostra dei patti tra cordate che purtroppo…».
Proprio lei, il potente Bettini che parla di cordate?
«Basta! Mi creda: questa storia del “potente” Bettini sta diventando un alibi per chi non vuole o non sa dirigere. Da anni, ormai, chi gestisce il partito mi tiene ai margini».
Comunque la sua candidatura alle Europee ha bisogno di voti. E quel Di Stefano ne porta in dote parecchi.
«Una mia candidatura è spinta da amplissimi settori del partito e della società civile. E se Di Stefano pure mi voterà , beh, lo vedremo solo nei prossimi mesi…».
Nei prossimi mesi sarà interessante anche verificare lo stato di salute dell’intero partito.
A Modena, le consultazioni per scegliere il candidato sindaco sono degenerate nel volgere di due giorni. La seconda classificata, Francesca Maletti, ha presentato un esposto per denunciare l’irregolarità del voto degli stranieri nei seggi: qualcuno avrebbe fornito agli extracomunitari i due euro necessari per votare e ad un gruppo di filippini sarebbe addirittura stato offerto il pranzo. Commento di Matteo Richetti (comandante delle truppe renziane in Emilia-Romagna, gran frequentatore di talk show): «Irresponsabili».
È andata quasi peggio – «Siete inefficienti e inaffidabili» – ai capetti e caporali del Pd lucano in trasferta a Roma per chiedere a Lorenzo Guerini, il portavoce del partito, uno slittamento del congresso che, nei loro progetti, sarebbe stato utile a «ricompattare il partito».
Un partito, sul territorio, non si ricompatta in poche settimane.
In Campania, per fare un esempio, divisi erano e divisi sono rimasti.
Sfiorando il 60% dei consensi, il nuovo segretario regionale è l’avvocato Assunta Tartaglione di anni 43, vicina a Matteo Renzi e, quindi, anche a Vincenzo De Luca, il sindaco di Salerno noto per avere un controllo delle tessere quasi militare: e stavano ancora lì, a votare, i militanti, quando Guglielmo Vaccaro, 47 anni, deputato di tempio lettiano, che sarà poi il primo degli sconfitti (al 27%), decise di barricarsi nella sede del partito, in via Giovanni Manzo.
«Un voto ogni 26 secondi mi sembra un po’ troppo, no?»
Accadono cose strepitose nelle varie primarie del Pd, che poi – spesso – si perdono nelle pagine delle cronache locali.
Per dire: sapete cos’è accaduto in Sicilia? È accaduto che a capo della segreteria regionale hanno eletto Fausto Raciti, 30 anni, un ragusano determinato, cortese, battezzato in politica da D’Alema, fatto eleggere alla Camera da Bersani, appoggiato dai renziani di Faraone e sostenuto infine da chi? Da Mirello Crisafulli, l’ex senatore di Enna cacciato dalle liste del Pd perchè ritenuto impresentabile e, addirittura – fare piccolo esercizio di memoria, prego – insultato dal palco della Leopolda, quando vennero ricordati i suoi presunti rapporti con un boss mafioso.
Dice Raciti, senza scomporsi: «Noi, temo, facciamo troppe primarie»
A Firenze, in effetti, per un po’ hanno pure pensato di non farle: per sostituire a Palazzo Vecchio il sindaco diventato premier poteva correre direttamente Dario Nardella. Poi hanno cambiato, saggiamente, idea. Le primarie si fanno, ma senza che a Nardella sia opposto il più temibile degli avversari: Eugenio Giani.
Giani ha rinunciato? No: Giani è stato chiamato a Roma, a Palazzo Chigi.
Inventato, per lui, un incarico ad personam: consigliere per le Politiche dello sport.
Perchè non è che poi le primarie debbano sempre finire in rissa.
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
DAL SOPRABITO PRESO IN PRESTITO DI DE GASPERI AL CAPPOTTO RETRO’ DI RENZI
Nel film Viva la Libertà di Roberto Andò un finto segretario di partito, interpretato da Toni Servillo pre La Grande Bellezza, andava a visitare un ‘algida Cancelliera tedesca e la seduceva, politicamente parlando, invitandola a ballare un tango a piedi nudi.
Da Renzi, certamente, non ci saremmo aspettati tanto, ma dopo l’exploit della conferenza stampa con slide e estetica mastrotiana veniva naturale pensare a qualche guizzo anche nel grigiore berlinese.
E invece no.
A parte l’omaggio della maglia di Gomez, a Berlino il presidente del Consiglio arriva con aplomb istituzionale quasi inedito.
Ad accompagnarlo ci sono altre 11 persone tra ministri e rappresentanti del Gotha industriale
Si fa sul serio. “Non siamo l’ultimo vagone o somari da mettere dietro la lavagna”, ha fatto sapere Renzi alla vigilia dell’incontro con la Cancelliera. Questa volta bisogna convincere l’Europa.
Si cambiano i toni, ma anche il look, perchè, aristotelicamente parlando, la Forma è sostanza.
E allora ecco che Matteo abbandona la giacca di pelle alla Fonzie sfoggiata negli studi di Amici di Maria de Filippi, il completo in stile Iene con cui ha posato su Vanity Fair e l’abito con cui ha varcato domenica la soglia dell’Eliseo.
L’ex sindaco di Firenze sbarca a Berlino con un cappottone grigio a doppio petto.
Non è un loden di montiana memoria, ma forse il capo vuole trasmettere l’idea di rigore e solidità che emanava il Professore, che , nel giugno 2012, era riuscito a portare a casa un meccanismo per fermare il differenziale fra i titoli di Stato tedeschi e quelli degli altri Paesi.
Perchè le relazioni internazionali del nostro Paese, qualche volta, sono passate anche dai cappotti.
Come nel 1947, quando Alcide de Gasperi dovette farsi prestare un soprabito dal ministro Attilio Piccione, non avendone uno degno di una visita ufficiale a Washington.
L’allora presidente del Consiglio volò negli Stati Uniti per chiedere un prestito che avrebbe dovuto attenuare la drammatica situazione in cui si trovava il nostro Paese.
L’Italia di oggi non è quella del dopo guerra, ma versa comunque in una crisi gravissima, da cui fatica a uscire.
Renzi ha voluto portare alla Merkel un’immagine del Paese dinamica e positiva, che prova a guardare al futuro con positività .
“Un ‘Italia che sta cambiando e che ha il bicchiere mezzo pieno”, ma che ha molto da lavorare. Ottimismo, ma anche, ancora, un po’ di rigore.
Per questo ci vuole un cappotto grigio, severo e un po’ retrò.
Peccato solo sia stato allacciato nel modo sbagliato…
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO DELLA “DESTRA DEL FUTURO” CERCA POI DI RIMEDIARE E SI RICORDA DI CONDANNARE ANCHE QUELLI DELLA SUA ETA’ CHE VANNO CON LE RAGAZZINE MINORENNI
Al deputato di Fratelli d’Italia Massimo Corsaro non sono piaciuti i racconti fatti dalle baby squillo
dei Parioli durante l’incidente probatorio, e diffusi dai giornali in questi giorni.
Non gli sono piaciuti e non ne ha fatto mistero sul suo profilo twitter: “Adesso però risparmiateci i racconti “sofferti” delle baby-squillo. Mignotte consapevoli e spontanee; giovanissime, ma sempre mignotte”.
Un tweet che suona come una sentenza, morale sì, ma che non ammette appello.
Ovviamente il Corsaro-pensiero non poteva non suscitare polemiche e commenti: “Un signore come al solito”, scrive un utente.
E un altro: “Sì, ma non dimenticare i MAIALI che ci vanno, e che hanno i figli o figlie della stessa età !!! Risparmiati sto sarcasmo”.
Per molti dei suo follower il deputato di Fratelli d’Italia dimentica, nel suo J’accuse, di menzionare chi va con le baby-squillo: “Qual è l’età in cui una persona di genere femminile è concesso non essere detta mignotta? Schifo gli uomini che vanno con ragazzine”.
E poi: “Sentir dire ‘io credevo che avesse 19 anni’ è penoso quanto più penose sono le loro squallide figure di ominicchi”.
Ancora: “Complimentoni! Ci devi aver pensato tutta la settimana per partorire un concetto così di m…a di domenica mattina”.
Qualcuno che condivida il pensiero dell’onorevole lo si trova, anche se si fatica: “Straquoto, a 16 anni ne sanno più de me, vanno in giro vestite come 30enni, sguaiate e consapevoli”.
Ma Corsaro raccoglie soprattutto attacchi: “Bhe, lui appartiene alla fazione ‘Ruby nipote di Mubarak’ per cui è lecito far sesso con chi si può pagare”.
Corsaro si rende conto di averla fatta grossa e allora scrive un lungo post di risposta sul suo sito web: “Premesso che IN NESSUN CASO la mia considerazione sminuisce la gravità del comportamento di chi frequenta le cosiddette baby-squillo nè la necessità di perseguirli e condannarli secondo le leggi opportunamente in vigore, ciò che mi preme una volta in più stigmatizzare è l’omologazione relativista che ci impedisce ormai di cogliere la china distruttiva assunta dalla nostra società “.
Retromarcia fratello…
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
AZIENDE CHE SI OCCUPANO DI STRADE DANNO 10.000 EURO AL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE… FORNITORI DI SOFTWARE CHE CONTRIBUISCONO ALLA CAMPAGNA ELETTORALE DEL SOTTOSEGRETARIO ALLA P.A…. ATTI PUBBLICI DA CUI EMERGONO CONFLITTI DI INTERESSE
Minimo sforzo, massima resa.
Almeno un “merito” al Porcellum andrà riconosciuto: producendo un Parlamento di nominati, ha ridotto al minimo lo sforzo dei candidati blindati per assicurarsi contributi per la campagna elettorale.
Stando alle dichiarazioni depositate nella Camera di appartenenza da ministri e sottosegretari, si scopre infatti che vari membri del governo lo scorso anno non si sono sforzati granchè. Soprattutto i big.
Non hanno ricevuto finanziamenti privati il ministro Roberta Pinotti (Difesa), Federica Mogherini (Esteri), Marianna Madia (Semplificazione) e Beatrice Lorenzin (Salute).
Dario Franceschini (Cultura) ha raccolto appena 2.300 euro, mentre il Guardasigilli Andrea Orlando ne ha avuti 5 mila dall’immobiliare Delta Ligure di Sarzana (La Spezia).
Niente contributi diretti nemmeno per il vicepremier Angelino Alfano. L’unico annotato, sotto forma di servizi, è stato quello della Management engineering consulting di Torino, holding della famiglia dell’europarlamentare Vito Bonsignore (anche lui poi passato con Ncd), attiva nel campo delle infrastrutture.
Il 22 febbraio 2013, giorno di chiusura della campagna elettorale, l’allora delfino Pdl era atteso a Napoli alle 17 (con Silvio Berlusconi) e a Catania alle 19 (con Renato Schifani).
Tempi troppo stretti. E allora ecco il ricorso a un jet privato, pagato dalla società 8.400 euro. Ma la spa di casa Bonsignore è stata generosa anche con altri due parlamentari in seguito passati a Nuovo centrodestra e ha elargito 20 mila euro al sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione e altrettanti a Fabrizio Cicchitto.
TURBO AMBIENTE
In questa conventicola di francescani, non manca tuttavia qualche significativa eccezione, come il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti.
L’esponente dell’Udc in campagna elettorale ha ricevuto ben 90 mila euro, anche se poi non è riuscito a essere eletto a Montecitorio.
Molti osservatori hanno storto il naso al momento della sua nomina, dal momento che Galletti, di professione commercialista, non risulta mai essersi occupato di tematiche ambientali.
Tanto più che il suo partito durante le trattative per la formazione del governo aveva chiesto a Renzi il ministero dell’Agricoltura.
L’intenzione era di affidarlo proprio a Galletti, che lo scorso anno, poco dopo le elezioni, fu nominato consigliere dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), un ente vigilato del ministero che aiuta le imprese agricole attraverso forme di garanzia creditizia e finanziaria.
Sta di fatto che nella lista dei sostenitori del politico figura un nome di peso del settore: il presidente di Confagricoltura Mario Guidi, che ha erogato in suo favore 10 mila euro (altrettanti ne ha versati a Maurizio Gasparri).
Lo stesso Guidi nei giorni scorsi non ha nascosto la sua soddisfazione per la nomina: «Galletti è l’uomo giusto, una persona competente e preparata.
A lui offriamo sin da ora la piena collaborazione del mondo agricolo, sicuri che saprà interpretare con la giusta modernità la mission del “ministero dello sviluppo sostenibile”».
Galletti – che adesso si occuperà di green economy – è stato anche destinatario di un contributo da 20 mila euro da parte della Seci, società del gruppo Maccaferri attiva anche nel campo delle rinnovabili.
Ma il colosso bolognese guidato dal vicepresidente di Confindustria, che ha in piedi un progetto da mezzo miliardo per trasformare i vecchi zuccherifici Eridania in produttori di energia da biomasse , in occasione delle ultime elezioni non ha badato a spese e ha elargito contributi del tutto bipartisan: 30 mila a Luigi Marino (ex montiano, ora con Per l’Italia), 15 mila a Paolo Petrini (Pd), 10 mila al forzista Renato Brunetta, all’alfaniano Filippo Piccone e al presidente della commissione Ambiente di Montecitorio Ermete Realacci.
Senza dimenticare i partiti: 20 mila a Scelta civica, 60 mila euro all’Udc (che a sua volta ne ha erogati 30 mila a Galletti) e ben 105 mila al Pd, in parte al Nazareno e in parte a federazioni locali come quella di Bologna e Poggibonsi.
FLORIDE INFRASTRUTTURE
Anche il riconfermato Maurizio Lupi si è dimostrato un collettore di finanziamenti niente male: ha raccolto 54 mila euro e pure in questo caso figurano alcune aziende attive in settori (come le infrastrutture e i trasporti) divenuti poi competenza del suo ministero.
Come la Ingegneria spm, società milanese che ha erogato a Lupi 10 mila euro e che si sta occupando fra l’altro del nodo di Firenze, della riqualificazione della Fiera di Milano e ha un paio di cantieri sulla Salerno-Reggio Calabria.
Stesso importo ha versato la Russott finance di Messina, che oltre a occuparsi di imprenditoria alberghiera (suoi i prestigiosi Hilton di Giardini Naxos, il Marriott di Roma e Milano e il Russott di Venezia) è assai attiva anche nell’edilizia pubblica e privata.
Cinquemila euro sono invece arrivati dal tour operator Eden viaggi di Pesaro e duemila da Claudio Del Bianco, direttore Relazioni esterne della Sea, la società per azioni che gestisce gli aeroporti di Milano.
Una curiosità : nella lista figurano anche Camillo Aceto e Salvatore Menolascina, due ex dirigenti della Cascina (la cooperativa vicina a Comunione e liberazione, come lo stesso Lupi) che una decina d’anni fa finirono coinvolti nell’inchiesta sulle forniture alle mense scolastiche di Bari .
Il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, anche lui alle Infrastrutture, ha invece raccolto 35 mila euro: 15 mila dal pastificio Rummo e 20 mila dalla Cnf, una finanziaria appartenente al gruppo Credit Network & Finance in cui il politico beneventano è consigliere d’amministrazione.
SOTTOGOVERNO LOW COST
Paradossalmente sottosegretari e viceministri, forse perchè non tutti candidati in posizione blindata, sembrano essersi impegnati maggiormente rispetto alla gran parte dei ministri.
Anche se si tratta per lo più di importi relativamente bassi. Ivan Scalfarotto (Riforme) ha raccolto fondi per 20.270 euro, Luciano Pizzetti (Rapporti con il Parlamento) 16.850, Marco Minniti (Presidenza del Consiglio) 10.200, Angela D’Onghia (Istruzione) 9.300, Ivano Giacomelli 7.300, Sandro Gozi 6.000, Gianpiero Bocci (Interno) 4.400 con una cena di autofinanziamento da 100 euro a testa, Luigi Bobba (Lavoro) 3.500 e il fedelissimo renziano Luca Lotti appena 1.350.
L’unica eccezione di rilievo è quella del sottosegretario alla Pubblica amministrazione Angelo Rughetti, che ha ricevuto contributi dai consulenti tributari (l’associazione Ancot), aziende che producono software e servizi proprio per la P.a. (Data Management Human Resourse, Engineering Ingegneria Informatica), società di archiviazione documentale (Sa Documents), di informazioni commerciali (Sistemia) e di edilizia privata (Spqr 2000).
In tutto, 47.500 euro. Troppi, visto che Rughetti ne ha utilizzati meno della metà .
E così 25 mila li ha restituiti ai finanziatori.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso“)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
BRUNETTA: “E’ NECESSARIA UNA MAGGIORANZA PIU’ AMPIA”
Sul «Mattinale» del gruppo Forza Italia della Camera, da qualche giorno è comparsa una
riflessione che apre scenari suggestivi. «Non si giochi ai due forni, non credano Renzi e il suo staff di coordinare due maggioranze confliggenti a lungo, lucrando sulla rendita di questa anomalia. Non si fa. Pensiamo a soluzioni».
Già , quali soluzioni? Non avevano detto che la collaborazione doveva limitarsi alle riforme istituzionali ed elettorale? Berlusconi ritorna alle larghe intese?
Renato Brunetta, che del «Mattinale» è l’ispiratore, spiega che «alla lunga le due maggioranze non reggono: o diventa una o si spacca tutto».
Il presidente dei deputati azzurri è esplicito: si dovrebbe andare verso «una sola maggioranza quando c’è idem sentire per le riforme istituzionali e l’azione di governo: distinguerle è una pia illusione». Più chiaro di cosi…
Brunetta va oltre proprio sul piano dell’azione del governo. L’idem sentire, appunto, sulla diminuzione della pressione fiscale e sulle nuove regole del mercato del lavoro.
Ma il punto nevralgico su cui insiste il capogruppo di Fi è il confronto europeo.
Brunetta, che non parla a titolo personale, è interessato alle grandi scelte che Renzi dovrà compiere per mettere la parola fine alla politica dell’austerità .
«Queste svolte – precisa Brunetta – non si fanno con piccole maggioranze come quella che oggi sostiene Renzi.
Ci vuole tutto il Paese dietro e non si può pensare che una svolta del genere possa essere fatta con obiettivi di tipo elettorale.
Ti pare che la Merkel ti lasci sfondare il 3% perchè tu devi fare bella figura alle Europee? O che tutta la comunità politica ti consenta di fare un’operazione di questo tipo a solo tuo vantaggio». Secondo Brunetta dietro il premier ci deve essere «la grande forza del sistema Paese che si presenta unito in Europa».
Unica maggioranza: come rispetto all’attuale e alla composizione del governo? Ancora non c’è una risposta.
L’importante è porre il problema politico: la necessità di stringere un patto come è stato fatto con le riforme istituzionali.
Dice sempre Brunetta: «Del resto anche le questioni europee, la riforma del fisco, l’attacco al debito pubblico e il taglio della spesa improduttiva fanno parte di una grande riforma istituzionale. Come fai a farla senza il consenso del Paese?».
I tempi per scrivere questo patto ci sarebbero. Brunetta fa presente l’agenda europea e ricorda che entro aprile bisogna presentare il Def, i piani nazionali delle riforme, il programma di stabilità .
L’Europa li analizzerà a maggio e li approva nel consiglio di giugno. «L’Italia potrebbe presentare un pacchetto unitario e una strategia concordata tra le maggiori forze politiche. Altrimenti non c’è alcuna speranza che Italia possa avere successo. Un dibattito divisivo renderebbe il nostro Paese molto fragile nel momento in cui chiediamo deroghe in Europa».
Fin qui Brunetta, che di tutto questo avrebbe parlato con Berlusconi.
Il quale teme il risultato elettorale delle Europee e vorrebbe mettere il cappello sull’azione di governo.
Per la verità la sua maggiore preoccupazione è personale. Dietro l’angolo c’è il 10 aprile: il Tribunale di sorveglianza di Milano dovrà decidere se metterlo agli arresti domiciliari o riconcedergli i servizi sociali. Una data spartiacque.
In gioco c’è la libertà personale di un ex premier e del leader di una parte importante dell’opposizione che sta collaborando alle riforme istituzionali e alla legge elettorale.
La libertà del leader di un partito che al voto europeo del 25 maggio farà di tutto per non farsi prosciugare i consensi da Grillo e da Alfano.
Ma il Cavaliere si guarda soprattutto da Renzi.
E’ l’amico Matteo il più insidioso con quelle «ricette liberali» che Alfano cerca di intestarsi per portare l’asticella di Ncd sopra la soglia del 4%.
Fi non dà molto peso a Ncd. Altra cosa è il Pd a trazione Renzi.
Verdini considera Matteo «pericolosissimo»: «Lui è vent’anni avanti alla sinistra e parla direttamente ai nostri elettori».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
“COSI’ CROLLANO I CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO, OCCORRE FAVORIRE LA DOMANDA AGGREGATA”
Questa volta il governo «è andato oltre».
Correggere la legge Fornero è giusto, perchè quelle regole sono «astratte, giacobine e controproducenti», ma anche i contratti a termine modello Poletti produrranno effetti contrari alle buone intenzioni del ministro: la precarietà aumenterà e i contratti a tempo indeterminato crolleranno.
Per Stefano Fassina, ex viceministro Pd all’Economia, il Jobs act «va cambiato a fondo». Annuncia battaglia in Parlamento e assicura che nel suo partito c’è «molta sensibilità sul tema».
Quali sono, secondo lei, i punti da modificare?
«Prima di ragionare sui singoli punti va detto che è sbagliata l’impostazione. Oramai ce lo dicono i numeri: il lavoro non si crea agendo sull’offerta, ma favorendo la domanda aggregata, l’attività produttiva, i consumi e gli investimenti. Qui continuiamo a pensare che per far ripartire una macchina con il serbatoio vuoto basti cambiare l’olio: ma serve la benzina, e la benzina del lavoro è la domanda».
Intanto siamo davanti ad un decreto che liberalizza il contratto a tempo e l’apprendistato. Il governo non lo ritira, cosa può fare l Parlamento?
«Può riscriverlo, partendo dal numero delle proroghe previste per i contratti a termine: permetterne otto in trentasei mesi vuol dire peggiorare drasticamente la qualità della vita dei lavoratori. Devono essere non più di tre».
Il testo abolisce anche l’obbligo di indicare la causale del contratto a termine e d’introdurre pause di 10 o 20 giorni fra un rinnovo e l’altro. Interverrete?
«Va bene eliminare le pause, ma appunto perchè non c’è più la causalità , la drastica riduzione delle possibili proroghe è irrinunciabile. Come è necessario ragionare sulle quote: il decreto prevede che, dove non intervengono gli accordi collettivi, ci sia un tetto all’utilizzo dei contratti a termine del 20 per cento sull’organico. Discutiamone, dobbiamo evitare gli abusi».
Come?
«Chiederemo l’istituzione di un’anagrafe pubblica dei rapporti di lavoro e chiederemo anche di introdurre una norma per verificare, ad un anno dall’entrata in vigore, gli effetti prodotti. Temo che il modello-Poletti porti ad un crollo dei contratti a tempo indeterminato: un risultato tragico perchè avremmo più precarietà , meno potere contrattuale per i lavoratori, quindi retribuzioni più basse, minori consumi, ripresa zero».
E le modifiche sull’apprendistato vi stanno bene?
«Per niente: capisco che – per come funziona oggi – la formazione è inefficace e permette sprechi e reati, ma abolire la formazione teorica degli apprendisti vuol dire condannarli ad un impoverimento professionale, proprio in un momento in cui, mai come prima, il mercato cambia continuamente. Nè è accettabile l’eliminazione dell’obbligo di stabilizzare almeno il 30 per cento almeno degli apprendisti prima di assumerne altri. Il contratto di apprendistato permette sgravi contributivi fortissimi: perchè dovremmo consentire agevolazioni così alte se poi nemmeno 3 apprendisti su 10 saranno assunti? Quel tetto non va toccato, altrimenti non ci sarà nessuna stabilizzazione».
In quanti, nel Pd, la pensano come lei? Quanti sarete a firmare questi emendamenti?
«In tanti. Prima di discuterne nel gruppo e in Commissione lavoro aspettiamo di vedere il testo definitivo, ma nel Pd c’è molta sensibilità sul tema».
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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