Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO 22 GIORNI DALLE ELEZIONI REGIONALI MANCANO ANCORA I DATI DEFINITIVI DI 12 SEZIONI ELETTORALI DI SASSARI
Se un suggerimento si può dare ai politici che a Roma si stanno arrovellando su che razza di legge elettorale dare a un Paese stremato dalla loro incapacità di decidere, è quello di buttare un occhio a quanto sta succedendo in Sardegna.
Sull’isola, a distanza di 22 giorni dalle elezioni regionali, ancora è buio pesto sulla proclamazione del vincitore.
Presumibilmente, l’economista Francesco Pìgliaru.
Presumibilmente, perchè 12 sezioni elettorali sassaresi (dodici sulle 1.836 di tutta l’isola) stanno procedendo ormai da due settimane a un estenuante riconteggio delle schede.
E anche se l’esito complessivo del voto non sarà messo in discussione, fino a quando le operazioni non saranno concluse sarà impossibile proclamare ufficialmente il nuovo governatore e il nuovo consiglio regionale.
Come del resto ha potuto sperimentare l’ambasciatore del Regno Unito Christopher Prentice protagonista di una recente visita ufficiale in Sardegna: durante la quale, ricorda il quotidiano della Confindustria, ha dovuto incontrare tanto il presumibile futuro presidente della Regione, quanto il suo predecessore Ugo Cappellacci che formalmente risulta ancora in carica.
Tutta colpa, a quanto pare, di un assurdo e complicatissimo regolamento elettorale di 275 pagine, approvato fulmineamente a dicembre del 2013 nel corso di un consiglio regionale destinato agli ammortizzatori sociali.
Tanto è bastato perchè il meccanismo dello spoglio andasse in confusione e si arrivasse a questa situazione incredibile, se non nei Paesi che con la democrazia devono ancora fare i conti.
E ci si potrebbe anche ridere sopra a questa vicenda, se non fosse che l’ultima di una lunga serie di storie nelle quali la miscela esplosiva fra mediocrità politiche e ottusità burocratiche ha prodotto effetti devastanti.
Tre anni e mezzo ci sono voluti per invalidare le elezioni regionali del Piemonte. Tre anni e mezzo trascorsi fra ricorsi e controricorsi, culminati con una iniziativa del Movimento 5 Stelle che ha piegato le residue resistenze di Roberto Cota imponendogli di fissare entro pochi giorni le nuove elezioni pena commissariamento.
Per non parlare poi delle tempeste giudiziarie che hanno tenuto sulla corda per anni tanto la Lombardia quanto il Lazio, ossia le due Regioni italiane più popolose e «pesanti» dal punto di vista economico e politico.
Cose che però non hanno risparmiato neppure il piccolissimo Molise.
In un decennio sono state annullate dal Tar per irregolarità ben due elezioni regionali: e ogni volta che per decisione dei magistrati si è tornati al voto, il risultato elettorale è stato ribaltato. Nel 2000 aveva vinto il centrosinistra e con le nuove elezioni si è affermato il centrodestra: nel 2013 è accaduto esattamente il contrario.
Ciliegina sulla torta, anche il voto molisano del 2013, a un anno di distanza dalla chiusura delle urne, è ancora sub judice al Consiglio di Stato.
Si potrebbe aggiungere che le vicende emerse da due anni a questa parte, partendo dal caso dei denari pubblici dissipati con modalità talvolta scandalose dai gruppi regionali del Lazio, non depongono certo a favore della qualità morale della classe politica scaturita dal voto regionale. Le Regioni nelle quali non ci sono consiglieri finiti indagati o già condannati per l’uso indiscriminato e personale dei fondi di partito si contano sulle dita di una mano.
Ed è anche per questo ancora più incredibile che non si sia pensato di affrontare con serietà e determinazione anche il tema di certi assurdi meccanismi elettorali locali.
Spesso anche uno diverso dall’altro.
Vale la pena di ricordare che il tanto deprecato Porcellum partorito nel 2005 dal centrodestra non è altro che la versione nazionale del sistema adottato qualche anno prima dalla Regione Toscana governata dal centrosinistra. E quando non ci si mettono di mezzo le regole, ecco che ci pensano le persone.
Pìgliaru aspetta da 22 giorni la proclamazione? Si consoli.
Il nuovo presidente della Provincia di Bolzano Arno Kompatscher ha assunto la carica l’8 gennaio 2014, 73 giorni dopo le elezioni del 27 ottobre 2014.
Delle due l’una. O il suo predecessore Alois Durnwalder ci teneva così tanto a scavallare l’anno nuovo, consacrando in questo modo il quarto di secolo consecutivo al potere, oppure in Alto Adige hanno deciso di fare come gli Stati Uniti d’America, dove il presidente si elegge a novembre ma governa da gennaio.
Regole americane, ma stipendi nostrani: visto che il presidente della Provincia di Bolzano guadagna l’equivalente di 2.000 euro al mese più di Barack Obama.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere dela Sera”)
argomento: elezioni | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
SE TUTTI E TREDICI ADERISSERO, QUESTO E’ L’IMPORTO CHE SPETTEREBBE AL NUOVO GRUPPO PARLAMENTARE
L’ assegno virtuale porta la cifra di 1.069.600 euro.
Soldi da versare sul conto corrente che verrebbe aperto al Senato dal nuovo gruppo formato dagli ex M5S.
Se tutti e 13 i fuorusciti pentastellati aderissero, la cifra totale sarebbe questa. Il contributo ai gruppi parlamentari è l’altra grande fetta del finanziamento pubblico ai partiti, mai sfiorata da alcun serio proposito di riforma o sforbiciata.
Forse già questa settimana si saprà se ci sono i numeri per far nascere il gruppo.
A Palazzo Madama, tra vecchi e nuovi espulsi, fuoriusciti e future defezioni, le condizioni ci sarebbero, le intenzioni pure.
Almeno stando alle dichiarazioni degli ultimi giorni. La soglia minima è fissata a dieci.
Finora, veleni e allusioni si sono concentrati sui soldi ai singoli, molti dei fedelissimi di Beppe Grillo hanno spiegato le critiche dei senatori dimissionari con la volontà di non restituire i soldi di diaria e rimborsi.
Ma il capitolo più ricco è rimasto fuori dalle polemiche.
Funziona così, sulla base del regolamento di Palazzo Madama, anno per anno, ogni raggruppamento riceve una quota fissa di 300 mila euro, a questa vanno aggiunti 59200 euro per ogni senatore, a titolo di “rimborso spese per il gruppo di appartenenza”.
Formalmente, dovrebbero servire alle funzioni di “studio, editoria e comunicazione” connesse all’attività politica dei gruppi, cioè a pagare dipendenti, consulenti, addetti stampa e collaboratori vari.
I soldi vengono versati i primi giorni di ogni trimestre, se nel frattempo un parlamentare esce, la sua somma viene decurtata nella rata successiva, e viceversa.
I dati sono relativi al 2013, ma così sarà anche quest’anno. A partire da questa legislatura, non esiste più la ripartizione per destinazione di spesa, in pratica i soldi non sono vincolati, e ogni gruppo li gestisce auotonomamente. Alla Camera, le cifre sono simili.
Nel 2013, la torta dei fondi ai gruppi parlamentari valeva 57 milioni di euro, 22 dei quali destinati al Senato.
A Palazzo Madama, il Pd ha preso 6 milioni e 634 mila euro per 107 parlamentari, il Pdl (che ne aveva 91) 5 milioni e 687mila, il Movimento 5 Stelle 3 milioni e 437mila per un gruppo di 51 senatori (ridotto ora a 41 dopo espulsioni e abbandoni), Scelta Civica un milione e 543mila per 21 senatori, la Lega Nord un milione 247mila per 16 senatori.
A questi, si sono aggiunti i circa 4 milioni destinati al gruppo misto e ad altri gruppi minori. Fino alla scorsa legislatura i controlli non esistevano, i fondi venivano spesi a totale discrezione dei capigruppo.
Nessuna rendicontazione, neanche a consuntivo a fine anno. Tutto quello che non veniva effettivamente speso (cioè molto), rimaneva nelle tasche dei partiti. Un sistema impermeabile alla trasparenza.
Al Senato, la cortina di fumo si è dissolta solamente in questa legislatura, grazie ad una delibera del Consiglio di presidenza del novembre 2012. Come già deciso per la Camera, i gruppi dovranno rendere pubblico il loro bilancio, che sarà certificato da un soggetto esterno: una società di revisione selezionata dal Consiglio con procedura pubblica che dovrà vigilare nel corso dell’esercizio “la regolare tenuta della contabilità ” ed esprimere un giudizio sul rendiconto finale.
Quest’ultimo dovrà essere pubblicato sul sito internet di ciascun gruppo, insieme a “ogni mandato di pagamento, assegno o bonifico, con indicazione della relativa causale”.
Tutto quello che non viene speso, andrà restituito, così come le somme a carico del bilancio del Senato ricevute e non rendicontate.
Chi non rispetterà le regole perderà automaticamente il diritto ai contributi. Per il 2013, la gara per scegliere i revisori si è svolta regolarmente, ma i controlli partiranno solo quando verrà ufficialmente sottoscritto il contratto.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
“NON POSSO SPOSARE UNA LINEA SENZA CONOSCERE IL MIO DESTINO”
Agli amici che gli chiedono come mai Forza Italia non sia carne nè pesce, non al governo e nemmeno veramente all’opposizione (per cui non si capisce come mai la gente dovrebbe votarla), il Cavaliere risponde a sua volta con una domanda: «E come potrei sposare una linea chiara, se non so nemmeno cosa decideranno i giudici il 10 aprile?».
Quel giorno si terrà l’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza per decidere in che modo Berlusconi sconterà la pena. E nessuno, tantomeno i legali dell’ex premier, se la sente di azzardare previsioni.
Si sa solo che in forza di legge i giudici prenderanno una decisione nei 5 giorni successivi, e che questa decisione potrà prendere due differenti pieghe: l’affidamento ai servizi sociali, oppure il carcere a domicilio.
Nel primo caso, tra un adempimento e un altro, trascorrerebbero settimane, per cui nel frattempo Berlusconi potrebbe fare campagna per le Europee.
Diverso se per lui decretassero un anno di reclusione tra le mura di Arcore.
La sua «agibilità politica» verrebbe messa a dura prova. E insomma, si può comprendere lo stato d’animo berlusconiano, la grande incertezza che scandisce il conto alla rovescia (meno 33 giorni all’udienza, meno 32…), e perfino certe ossessioni intrise di cupo pessimismo, culminate nello sfogo ripreso da un video clandestino che ai tempi di Bonaiuti portavoce e della segretaria Marinella mai nessuno a casa sua avrebbe osato girare, tantomeno diffondere: quello dove si dà del «mafiosi» ai giudici dai quali dipende il suo destino.
L’ex premier dunque va spiegando ai visitatori che lui non prende una chiara direzione politica in quanto, casomai si azzardasse a farlo, verrebbe immediatamente penalizzato.
Se appoggiasse Renzi, perchè lo appoggia; se lo avversasse, perchè lo avversa…
Di qui la rinuncia preventiva a esporre il fianco, nella convinzione che i magistrati siano tutti assetati di vendetta nei suoi confronti.
Invano gli viene spiegato che il Tribunale di Sorveglianza (nella fattispecie, quello milanese) è composto da toghe niente affatto assimilabili alle camarille della giustizia politicizzata.
Nel caso Sallusti, per citare una vicenda che Berlusconi seguì da vicino, nessuno riscontrò il minimo accanimento verso il direttore del «Giornale», anzi.
Non si vede perchè il Tribunale dovrebbe cambiare metro.
A patto, si capisce, che Silvio non tiri troppo la corda. Se ad esempio dovesse insistere che i servizi sociali gli provocano ribrezzo, alla fine potrebbe essere accontentato e chiuso in casa a doppia mandata…
Tali e tante sono le incognite, che Berlusconi nemmeno può fare il gesto di candidarsi per l’Europa (come il suo consigliere Toti ieri auspicava, senza peraltro crederci troppo): nel giro di pochi giorni il suo nome verrebbe depennato.
I successivi ricorsi e controricorsi avrebbero l’effetto di mettere a rischio montagne di voti, meglio non provarci secondo Verdini, tra i pochi che di queste faccende ne capiscono.
Ma senza Berlusconi a trainare Forza Italia, chi prenderà il suo posto?
Qualcuno accarezza l’idea che venga candidato un membro della famiglia, non necessariamente Marina, in modo da riproporre il nome sulla scheda.
Altri più realisticamente scommettono che alla fine di Berlusconi si parlerà solo nel simbolo. Quanto alle candidature, regna enorme confusione.
Uniche certezze sembrano Toti numero uno nel Nord-Ovest e Tajani al Centro.
Tutto il resto è nebbia, compresa la discesa in campo al Sud di Fitto.
L’ex ministro pugliese è una macchine da guerra in fatto di preferenze. Ma ad Arcore c’è chi vorrebbe sbarrargli la candidatura, nel nome del rinnovamento.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX VICEMINISTRO: “QUEI 10 MILIARDI NON CI SONO, NON VORREI CHE SI INCIDESSE SULLE PRESTAZIONI SOCIALI”
Stefano Fassina, ex viceministro dell’Economia con Letta ed esponente di punta della minoranza Pd, guarda con un mix di speranza e preoccupazione al derby di governo su come utilizzare i 10 miliardi per la riduzione di Irpef o Irap.
«Il problema è che la provenienza di queste risorse è ancora ignota. Mi pare che si stiano facendo dei conti senza l’oste. Quei 10 miliardi fino a qualche settimana fa non c’erano, e temo continuino a non esserci. Temo anche che per reperirli il governo sia costretto a incidere sulle prestazioni sociali. C’è un’altra cosa che non mi convince…».
Spieghi onorevole Fassina.
«Tagliare di 100 euro la spesa per tagliare di 100euro le tasse rischia di avere un effetto recessivo sull’economia».
Dunque le tasse non vanno abbassate?
«Dico che l’abbassamento va finanziato in primo luogo con il recupero dell’abnorme evasione che c’è in Italia».
Ma il governo pensa di utilizzare risorse che derivano dalla spending review.
«Revisione della spesa non significa tirare fuori dei soldi da un cassetto. Ci sono tagli che possono avere un impatto sull’economia, anche se consentono di ridurre le tasse. La spesa pubblica italiana è tra le più basse d’Europa, va riqualificata con una radicale riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali»
Torniamo ai 10 miliardi.
«Il governo Letta nella legge di Stabilità ha previsto di utilizzare 10 miliardi in tre anni, finanziati da risparmi di spesa. Inoltre ha previsto di potenziare l’intervento con le risorse provenienti dal rientro dei capitali. Ma prima bisogna aspettare che tali somme rientrino. Per il resto faccio fatica a vedere dove si possano trovare altre risorse senza incidere sulle prestazioni sociali».
Crede davvero che il governo andrà a tagliare la spesa sociale? Sulla scuola sono previsti nuovi investimenti…
«Speriamo. Comunque non tutti ricordano che la legge di Stabilità prevede già per il prossimo triennio un pesante taglio della spesa, circa 30 miliardi, già contabilizzati».
Nel derby tra Irap e Irpef come si schiera?
«Se l’obiettivo per la ripresa è sostenere la domanda, allora è necessario sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori. Si può fare non solo tagliando l’Irpef, ma anche, come suggerisce Vincenzo Visco, fiscalizzare i contributi sociali pagati dai lavoratori. Questo meccanismo consente di raggiungere anche i lavoratori che non guadagnano abbastanza per beneficiare del taglio dell’Irpef».
Il menù del governo Renzi è destinato a somigliare molto a quanto già messo in cantiere da Letta? Oppure possiamo attendere un colpo d’ala?
«Il colpo d’ala che il governo Renzi deve avere per giustificare la sua stessa nascita deve riguardare i rapporti con l’Ue. Una revisione degli obiettivi di finanza pubblica è il vero possibile valore aggiunto. Bisogna allentare la morsa, la nostra proposta è di allentare di mezzo punto di Pil all’anno per 3 anni il deficit strutturale tendenziale per finanziare investimenti nelle scuole e misure di contrasto alla povertà . L’altro punto chiave è rivedere il piano di privatizzazioni e utilizzare le risorse che entrano non per la riduzione del debito – sarebbero irrilevanti – ma per finanziare nuovi investimenti».
C’è il rischio di una manovra correttiva?
«Non solo non ci vuole una manovra correttiva, ma ne serve una espansiva. Se continuiamo a seguire le indicazioni di Bruxelles soffochiamo la ripresa e il risultato sarà un debito pubblico più elevato. Le politiche di austerità in questi anni hanno peggiorato le condizioni del debito pubblico di 30 punti percentuali».
Il governo Letta ha lasciato i conti in ordine?
Il Commissario Ue Rehn parla di squilibri eccessivi. «Rehn cerca di scaricare sui governi le responsabilità delle ricette fallimentari che la Commissione continua a riproporre, invece di fare una seria analisi autocritica. Il nostro premier avrebbe dovuto rispedire le critiche al mittente, piuttosto che cercare nel governo Letta una scusa per l’impossibilità di realizzare le promesse fatte in modo disinvolto e inconsapevole».
Quali promesse di Renzi sono a sua avviso disinvolte?
«Il taglio del cuneo di 10 miliardi quest’anno, e anche l’idea che una riforma delle regole del mercato del lavoro possa generare occupazione. Io al contrario vedo rischi di ulteriore precarizzazione».
Un contratto unico per i giovani non può invece servire a razionalizzare la giungla del precariato?
«Aspetto di vedere che sia un contratto unico, e che siano eliminate altre tipologie contrattuali. Aumentando il costo del lavoro per le imprese? Nel migliore dei caso si può razionalizzare il poco lavoro che c’è. Ma se una macchina è senza benzina (la domanda) non si fa ripartire aggiungendo l’olio».
Cosa pensa dell’emendamento sulla parità di genere nella legge elettorale?
«È necessario che il Pd lo sostenga, nonostante i diktat di Berlusconi».
Andrea Carugati
argomento: PD | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
A SCRUTINIO SEGRETO BOCCIATI GLI EMENDAMENTI SULLA PARITA’ DI GENERE… FI E PD AVEVANO UFFICIALMENTE DATO LIBERTA’ DI COSCIENZA, MA SOLO PER SALVARE LA FORMA… L’OPPOSIZIONE PERDE L’OCCASIONE PER CREARE PROBLEMI A RENZI
L’aula della Camera boccia le quote rosa nell’Italicum, e parte la protesta delle donne Pd che accusano gli uomini del gruppo dem di non aver rispettato i patti.
Interviene subito il premier Matteo Renzi a dire che il partito assicurerà comunque l’alternanza di genere.
Dopo giorni carichi di polemiche, confronti, appelli e discussioni, a Montecitorio viene respinto con 335 no e 227 sì il primo emendamento messo ai voti sotto sera sulla parità di genere e l’alternanza dentro alle mini liste bloccate della riforma elettorale.
Passano alcuni minuti, e viene respinto (con numeri ancora più alti) anche il secondo, che riguarda la parità ’50 e 50′ per i capilista: i no sono 344, i sì 214.
Dopo un’ampia e accesa discussione, il pollice verso arriva pure per il terzo, considerato soft visto che prevedeva una rappresentanza donne-uomini di ’40 e 60′ sempre sui capilista: i contrari stavolta scendono e si fermano a quota 298, favorevoli 253.
Forza Italia si spacca (e lo si era capito dalle dichiarazioni di voto), ma a sorpresa si spacca soprattutto il Pd.
Infatti, se i democratici avessero sostenuto compattamente entrambi gli emendamenti, gli emendamenti avrebbero potuto contare sui 293 deputati componenti il gruppo, senza contare che le proposte sono stati votate dai 36 deputati di Sel, da molte parlamentari del centrodestra e degli altri gruppi.
La reazione delle donne dem non si fa attendere. E’ il caso di Maria Chiara Carrozza, già ministro dell’Istruzione nel governo Letta.
Ma a reagire con parole pesanti è anche la deputata Pd Giuditta Pini.
Dopo la bocciatura di tutti gli emendamenti sull’introduzione delle quote rosa nell’Italicum, le deputate Pd lasciano l’aula in segno di protesta.
Le parlamentari dem vogliono chiedere al capogruppo, Roberto Speranza, una imminente riunione del gruppo e pare puntino a far mancare il numero legale per impedire la prosecuzione dei lavori sulla legge elettorale.
L’accordo, spiegano le parlamentari, era che il gruppo Pd avrebbe dovuto votare l’emendamento, dando in tal senso indicazione di voto.
“Ed invece – spiegano – non è andata così visto che i voti a favore sono stati 253 mentre solo noi del Pd siamo 293. Quindi sono mancati molto più di 40 voti visto che a favore hanno votato anche esponenti di altre forze politiche”.
Considerando che, concettualità a parte, gli unici interessati a non far passare le quote rosa erano Verdini e Renzi, al fine di poter avere mano libera nella formazione delle liste elettorali, una opposizione lungimirante avrebbe dovuto votare sì per far esplodere l’inciucio di governo tra renziani eVerdini.
Cosa fanno invece, tanto per cambiare, grillini, sorellastre d’Italia e padagni? La ruota di scorta di Verdini e Renzi che ora potranno navigare tranquilli e farsi gli affari loro.
E dato che questi finti oppositori stupidi non sono, vuol dire che sono complici di questo governo che a parole attaccano ogni giorno, ma di fatto nei momenti di difficoltà mantengono a galla.
argomento: Parlamento | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
UN DIBATTITO CHE TESTIMONIA L’ARRETRATEZZA CULTURALE DEL NOSTRO PAESE
Da donna, sono contraria alle quote rosa nelle liste elettorali.
E l’attuale dibattito che si è sviluppato in Italia, a rimorchio della discussione sull’Italicum in corso alla Camera, mi rattrista perchè è la spia dell’arretratezza culturale del nostro paese.
Non siamo un paese scandinavo e si vede: da noi, parità e diritti sono ancora oggetto di discussione, come se fossero discutibili, come se non avessero a che fare con il sano concetto di uguaglianza, come se fossimo ancora nel Medioevo della caccia alle streghe e non in un’epoca comunque posteriore alla Rivoluzione francese.
Sostenere che abbiamo bisogno di una legge sulle quote rosa proprio per via di questa arretratezza culturale, è argomento che non mi convince.
Soprattutto quando si prendono in considerazione percentuali diverse dal 50 % di uomini e 50% di donne in lista, tipo quel 60 (uomini) 40 (donne) di cui si parla nelle ultime ore.
Senza dilungarmi, ne elenco solo 5 di motivi per cui una norma del genere non è utile a risolvere il problema della parità di genere e rischia magari di essere controproducente.
1. Trovo sempre allarmante qualunque ragionamento fondato su una idea di differenziazione tra esseri umani: uomini-donne, bianchi-neri, ricchi-poveri e così via. Perchè chiedere le quote rosa e non quelle per i senza tetto, per dire?
Non meriterebbero anche loro di entrare in Parlamento, godere del diritto inalienabile e sancito per legge di un posto in lista?
E mi fermo qui sulle categorie sociali, il senso del ragionamento credo sia chiaro. Tutti sono uguali davanti alla legge. Nessuno può diventare ‘più uguale degli altri’ solo perchè parte da una condizione di svantaggio.
Di svantaggiati nella società ce ne sono: non è ‘solo’ una questione di genere, lo è ‘anche’.
2. Non mi piace l’idea di ‘chiedere al maschio’ di avere un posto in lista.
Il posto in lista si guadagna sul campo, anche con la solidarietà tra donne, le lotte, la partecipazione.
Supplicare per ottenere di essere candidata o ricandidata – come lascia pensare l’accanito dibattito delle parlamentari – è sintomo di sudditanza al potere, che spesso è maschile in questo paese.
Si dirà : come si fa a sconfiggere un ‘nemico’ del genere? E’ dura, lunga, trattasi di rieducazione culturale nelle scuole ma vi risparmio il ‘pippone’ sull’argomento. In ogni caso, non esistono bacchette magiche: nemmeno quelle legislative lo sono.
3. Cosa succederebbe se in una data circoscrizione elettorale emergessero tantissime donne in gamba da candidare, così tante da superare gli uomini in gamba?
Cosa succederebbe se per legge fosse sancita la parità assoluta ‘fifty-fifty’ o se fosse stabilita la versione più ‘soft’ di 60% di posti per gli uomini e 40% per le donne? Succederebbe che la legge strangolerebbe una realtà evidentemente più avanzata della legge stessa.
4. L’aggravante del dibattito italiano sta nell’aver esaminato la possibilità di uscire dal seminato del ‘fifty-fifty’ per acconciarsi a soluzioni tipo quella del 60/40, nel tentativo di andare incontro alle resistenze di Forza Italia.
Un rimedio peggiore del male, che dovrebbe offendere tutte le donne.
Perchè qui addirittura si esce dal terreno della parità assoluta, seppur deprecabile se stabilita per legge, per entrare in quello della disparità , che sarebbe assoluta proprio perchè messa nero su bianco per legge.
5. Difficile non sospettare una certa strumentalità politica nelle argomentazioni di taluni sostenitori degli emendamenti sulle quote rosa in Parlamento.
Ma, si sa, la battaglia politica contiene sempre ampie dosi di strumentalità , purtroppo. E preferisco non addentrarmi su questo terreno.
Faccio solo notare che, mentre infuoca la discussione sulle quote rosa in lista, in commissione alla Camera ancora giace il testo contro quella terribile pratica chiamata delle ‘dimissioni in bianco’ sul posto di lavoro.
Questa sì che sarebbe una norma di civiltà : riguarda soprattutto le donne, in quanto sono spesso loro le vittime di una consuetudine ancora strausata in Italia.
Ma in realtà riguarda tutti, perchè i meccanismi che stritolano i diritti spesso non guardano in faccia al genere maschile o femminile.
Soprattutto in tempi di crisi economica.
Angela Mauro
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Parlamento | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
ITALICUM, FUMATA NERA SULLA PARITA’ DI GENERE: IL VOTO ALLA CAMERA RISCHIA DI SLITTARE… IL GOVERNO SI RIMETTE ALL’AULA
La riforma elettorale torna oggi in Aula a Montecitorio.
La speranza di Matteo Renzi è quella di far approvare il testo in prima lettura tra stasera e domani mattina. “Entro domattina si chiude”, assicura il presidente del Consiglio.
I tempi potrebbero però allungarsi perchè tra i punti controversi in agenda, un’intesa è stata raggiunta solo sulla delega al governo per la definizione dei collegi plurinominali.
L’accordo prevede che i collegi non possono essere inferiori a 120. La riformulazione dell’emendamento prevede ora solo un tetto massimo dei collegi, ma lascia invariati i 25 giorni di tempo assegnati al governo per disegnare i collegi.
Restano invece ancora da disinnescare altre tre mine: il cosiddetto salva-Lega, le candidature multiple e la rappresentanza di genere.
In particolare su quest’ultimo punto il confronto resta molto aspro e per il momento una mediazione appare lontana, con il movimento bipartisan a favore della sua introduzione deciso a non fare passi indietro.
Il comitato dei 9 della commissione Affari costituzionali della Camera, convocato per stamattina, non è stato in grado infatti sinora di sciogliere il nodo sulla parità di genere, con Forza Italia ferma sulla posizione di non apportare alcuna modifica all’accordo Renzi-Berlusconi.
L’Aula, inizialmente convocata per le 11, su richiesta del relatore Francesco Paolo Sisto è slittata quindi alle 14:30, scatenando le proteste dell’opposizione, esclusa naturalmente Forza Italia. Gli emendamenti sulla parità di genere sono stati però nuovamente accantonati.
“Noi dobbiamo tenere una posizione conforme all’accordo, il voto poi è affidato ai singoli parlamentari. Ma sarebbe grave se si usassero gli emendamenti sulla parità di genere per saltare la riforma”, avverte lo stesso Sisto, intervistato da Radio24. “Emendamenti peraltro – aggiunge – che violano dei precetti costituzionali, come dimostrano due sentenze della Corte costituzionale”. “Nessuno – inisiste ancora Sisto – mi ha chiamato stanotte – aggiunge Sisto – non mi risultato cambiamenti rispetto a quanto deciso nell’accordo fatto con il Pd”.
Il governo ha fatto sapere in tarda mattinata che sul tema delle quote rosa si rimetterà all’Aula, mentre sugli altri nodi della legge elettorale rimasti aperti darà parere contrario.
Il Pd, dal canto suo, sarebbe disponibile a una modifica della legge elettorale pro ‘quote’, ma – viene ribadito – deve esserci l’accordo di tutti i sottoscrittori del patto sull’Italicum. La battaglia bipartisan delle donne a Montecitorio, però, va avanti e sarebbero orientate a mettere comunque in votazione, quindi senza ritirarlo, l’emendamento a prima firma Agostini e appoggiato da diverse deputate di vari schieramenti. Molte deputate si sono presentate oggi vestite di bianco, raccogliendo l’appello lanciato da Laura Ravetto di Fi ad indossare qualcosa di bianco per sostenere la parità di genere. Tra loro, Alessandra Moretti e diverse colleghe del Pd ma anche Nunzia De Girolamo di Ncd e Michela Brambilla di Fi.
In assenza di una mediazione che possa coinvolgere anche Forza Italia, per gli emendamenti sulla parità di genere (in tutto sono 4) la sorte pare però segnata. Si andrà , con ogni probabilità , al voto segreto ma sono soprattutto i numeri a ipotecare fortemente l’approvazione degli emendamenti. Il documento-appello pro quote rosa è stato infatti sottoscritto da 90 deputate su 197. Le più nette divisioni si registrano all’interno di Forza Italia, ma anche nel Pd – con le renziane che non hanno appoggiato apertamente la battaglia delle colleghe – manca l’unanimità .
Pallottoliere alla mano, poi, c’è il voto decisivo dei colleghi uomini: su 630 deputati, 433 sono uomini. Tirando le somme, quindi, se ai voti degli uomini si aggiungono quelli delle donne contrarie agli emendamenti pro parità di genere, almeno sulla carta dovrebbero essere circa 500 i voti contrari, fatti salvi quei deputati maschi che si sono detti, almeno ufficialmente, favorevoli alla battaglia ‘in rosa’.
Ma è in particolare l’emendamento che prevede la pari rappresentanza per i capilista a mobilitare i deputati uomini contro il voto favorevole.
(da “La Repubblica“)
argomento: Diritti civili, Parlamento | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
PONTASSIEVE: IL CANDIDATO RENZIANO SCONFITTO PER 13 VOTI ALLE PRIMARIE PER IL SINDACO… AL PREMIER TOCCA LA STESSA SORTE DI BERSANI
Centodiciottomila i votanti alle primarie organizzate dal Pd e dal centrosinistra in 64 Comuni toscani per scegliere il candidato sindaco alle elezioni del 25 maggio.
Una partecipazione in linea con quello registrato dal Pd nelle primarie che l’8 dicembre scorso incoronarono segretario nazionale Matteo Renzi votarono 111mila persone.
“Una grande partecipazione, superiore alle nostre attese” spiega il segretario regionale dei Democratici Dario Parrini.
Verso le 22.30 sono iniziati ad arrivare i primi risultati dai vari Comuni.
Con la sorpresa proprio a Pontassieve – città dove vive Matteo Renzi – dove il candidato renziano Samuele Fabbrini ha perso per soli 13 voti contro Monica Marini, assessore della giunta uscente, che correrà quindi come candidato sindaco del Pd. Fabbrini su 4099 voti ha ottenuto 2043 voti contro i 2056 di Marini.
Non è quindi bastato il voto della moglie del premier, Agnese, che si è recata al seggio in tarda serata: Renzi aveva lasciato la sua abitazione intorno alle 17.30 senza votare alle primarie, come aveva anticipato in mattinata: “No, non vado”, aveva detto ai giornalisti che lo aspettavano all’uscita della messa delle undici nella chiesa di San Francesco.
(da La Repubblica”)
argomento: Renzi | Commenta »
Marzo 10th, 2014 Riccardo Fucile
NON TUTTI NEL CENTRODESTRA HANNO FIDUCIA NEL PREMIER
Dopo le lusinghe di alcuni commentatori di Centrodestra coma Alessandro Sallusti e Giuliano Ferrara, per Matteo Renzi arrivano anche le prime bordate.
Una la sferra questa mattina Vittorio Feltri che sul Giornale scrive:
Sei un chiacchierone di talento, questo sì, bisogna riconoscerlo. ma quando hai finito di parlare sei talmente soddisfatto di te da non avere più energie per nient’altro. E non fai un tubo. (..) I tuoi ministri ti assomigliano: belle statuine, ragazzi illusi che sia sufficiente essere investiti di una carica per dimostrare di meritarla. Finora tu e i tuoi boyscout vi siete distinti solo per la vostra assenza.Non ci siete, e se ci siete dormite. Non avete firmato un solo provvedimento di nota. (..) Ma tu Matteo, sei un politico, uno statista, un pubblicitario o un uomo marketing?
L’ex direttore del Giornale non fa sconti all’ex sindaco di Firenze:
Caro Matteo, non dirci qualcosa di sinistra e neppure di destra. Abbiamo aspettative più modeste: ci accontentiamo di un piccolo segnale, muovi un dito e rassicuraci che almeno respiri. (..) Se ti dovessimo giudicare per quanto non hai fattio al tuo esordio a capo dell’esecutivo, dovremmo dire che al tuo confronto Giulio Andreotti era un rivoluzionari e Arnaldo Forlani un sovversivo. Non possiamo affermare che la tua leadership ci faccia pena. Questo no. Però ci preoccupa. Fa sorgere la il sospetto che tu sia uno zero. Ma uno zero così tondo da apparire sciocco come la luna.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Stampa | Commenta »