Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
APRE IL MEGA EATALY DI MILANO: 400 DIPENDENTI ASSUNTI CON CONTRATTI ATIPICI DA 1000 EURO… E UN PADRE PARTIGIANO CONDANNATO PER RAPINA
“Se vince la Lega non apro a Milano”. Era il febbraio 2013.
Roberto Maroni ha poi conquistato la Regione Lombardia e Oscar Farinetti martedì prossimo a Milano inaugura non un negozio ma una cattedrale di Eataly: 5500 metri quadrati immersi in pieno quadrilatero della moda, a due passi da corso Como e quattro da Brera.
È il secondo punto vendita di Eataly in città . Nell’ultimo anno, mentre il Carroccio si accomodava sulle poltrone lasciate da Roberto Formigoni, Farinetti ha aperto in piazza Cinque Giornate e ora si appresta ad alzare le quinte di quello che un tempo era il teatro Smeraldo, palco storico di Mina e Adriano Celentano; nel 2010 scelto da Beppe Grillo per annunciare la nascita del Movimento 5 Stelle, chiuso nel 2011 e venduto a Farinetti dalla famiglia Longoni, da 70 anni proprietaria dell’immobile.
Il patron di Eataly ha pagato un milione 290 mila euro per i soli oneri di urbanizzazione e avrebbe voluto aprire il 25 aprile 2012, festa della Liberazione.
Ma il Comune guidato da Giuliano Pisapia ha bloccato i lavori: la struttura era piena di amianto, con esattezza 12,5 tonnellate. “La solita burocrazia all’italiana”, polemizzò.
Dopo cinque rinvii e due anni ora è tutto pronto. In onore alla coerenza o magari alla Lega, nel megastore campeggiano quattro enormi colonne verdi e i circa 400 dipendenti, assunti con i soliti contratti creativi da mille euro al mese, indosseranno Superga dall’inconfondibile colore bossiano.
Ma l’uomo, da buon commerciante, è trasversale. Sostenitore e grande amico di Matteo Renzi, che lo voleva ministro nel suo esecutivo, ha intrattenuto rapporti con tutte le amministrazioni.
Per trovare uno spazio adatto a un punto vendita a Roma si incontrò più volte con l’allora sindaco Gianni Alemanno. Il cuore però, ha sempre detto, “batte a sinistra”.
Padre partigiano condannato per rapina (sentenza cancellata) e sorella assessore
Nel 1980 Oscar era segretario del Psi ad Alba, paese di origine della famiglia Farinetti.
Il padre Paolo, anche lui socialista, è stato un partigiano, ricorda con notevole frequenza e orgoglio il figlio, omettendo con altrettanta frequenza che venne arrestato e condannato per rapina: svaligiò, insieme a tre complici, un’ambulanza che trasportava le paghe degli operai della Fiat Ferriere.
Ma era passato da poco il 25 aprile ’45 e la condanna fu poi cancellata. Fu lui ad avviare quello che oggi è l’impero Farinetti.
Prima un forno in pieno centro, accanto all’edificio che ora ospita il museo Beppe Fenoglio, poi la catena Unieuro che nel 2003 il figlio Oscar ha ceduto per 528 milioni di euro alla Dixon di Londra.
Capitale con cui ha gettato le basi di Eataly. Partendo da Alba, quartier generale dell’impero.
In Comune ci sono due “uomini” di Farinetti: la sorella Paola, assessore a cultura e turismo, e Giovanni Bosticco, commercialista di Eataly e assessore a trasporti ed economia.
Candidata nel 2009 Paola prese solo 42 voti e non venne eletta, così il sindaco Maurizio Marello l’ha chiamata al posto del democratico Antonio De Giacomi, nominato vicepresidente della Fondazione bancaria Cassa di Risparmio Cuneo.
Paola è anche nel consiglio della fondazione Mirafiore, presieduta da Oscar, che organizza incontri pubblici con personaggi dello spettacolo e della politica, gli ultimi ospiti sono stati Massimo D’Alema e Luca Cordero di Montezemolo.
La Fondazione è nata nel 2010 e si trova nel cuore della Langa del Barolo, a Serralunga d’Alba, nella riserva bionaturale diFontanafredda, storiche cantine piemontesi oggi in mano a Eataly, un tempo tenuta di re Vittorio Emanuele II e della Bella Rosin.
Una prima parte dell’azienda vinicola, il 64%, era passato a Farinetti nel 2008, il restante 36% era della Fondazione Monte dei Paschi di Siena che nel 2010 ha ceduto la sua quota per 32,5 milioni di euro.
Fontanafredda è ora uno dei marchi più diffusi nei 25 store Eataly.
Dal negozio a New York, che nel 2013 ha registrato più visite del Moma, a Tokyo, Dubai, Istanbul.
Il primo è nato a Torino nel 2007, grazie anche all’allora sindaco Sergio Chiamparino che concesse gratuitamente all’amico Oscar l’ex sede della Carpano. Lui li voleva per 99 anni ma Chiamparino gli rispose, in sabaudo: “Esageruma nen”, non esageriamo. Si accordarono per 60 anni: uno spazio da 2.500 metri quadri in cambio dei restauri, costati 7 milioni.
Poi Roma, la Firenze dell’amico Renzi, Bologna, Bari, Genova e il mondo.
“Ma quale filosofia di slow food, ormai è solamente commercio”
Lo spazio di Torino fu il primo e, secondo molti l’unico, in cui davvero Farinetti ha rispettato la filosofia iniziale di Eataly: tutela del cibo, alimenti km zero, qualità alla portata di tutti.
“Ora sono dei supermercati, in cui si tenta di vendere il made in Italy, ma i parametri di qualità dei prodotti è impossibile da rispettare se hai 25 punti vendita sparsi in ogni angolo del mondo”.
Il ragionamento è di Bruno Ceretto, patron delle cantine Ceretto che da Alba ogni anno distribuisce quasi 1,5 milioni di bottiglie.
Lui era amico di Paolo Farinetti. “Oscar l’ho visto crescere”. Quando diede vita a Eataly, ricorda, “venne a chiedermi se volevo entrare nella sua distribuzione e mi spiegò le condizioni: il primo anno di fornitura gratis e poi disse ‘si vedrà ‘, non gli risi in faccia perchè lo conosco: è un commerciante”.
Sono molti i produttori che lamentano questa tendenza. Sugli scaffali di Eataly c’è la pasta Barilla, la birra Moretti: alimenti propri della grande distribuzione.
“Ma è normale se fai questi numeri; ripeto Oscar è un bravissimo commerciante”.
E la qualità ? La filosofia di Slow Food? la tutela dei piccoli produttori locali? “Lasciati ingannare, non disturbare il buon funzionamento del commercio”, diceva Wieslav Brudzinski.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’AVVOCATO ANTI-PORCELLUM FELICE BESOSTRI
Avvocato Felice Besostri, lei è tra i legali che ha vinto davanti alla Consulta il ricorso contro il Porcellum, adesso si è rivolto a più tribunali, contro quella che lei definisce “l’Europorcellum”, la legge italiana per il voto in Europa. Sembra la persona giusta per chiedere che fine farà l’annuncio di Silvio Berlusconi di candidarsi in 5 circoscrizioni per le elezioni europee di maggio.
Come tutti sanno è un condannato definitivo (per frode fiscale) e per la legge Severino è incandidabile per i prossimi 6 anni.
Può presentarsi lo stesso?
La legge Severino gli impedisce di candidarsi, non gli impedisce l’atto materiale di candidarsi. Ma c’è un ostacolo da superare per questo atto materiale se dovesse compiersi dopo una possibile pena accessoria definitiva all’interdizione dai pubblici uffici, che fa perdere anche il diritto di votare. In base a una legge del 1979 per le europee, infatti, bisogna essere elettori per essere eleggibili. Berlusconi, nel momento in cui si candiderà (può farlo tra il 10 e il 15 aprile, Ndr) è in grado di presentare un certificato di iscrizione alle liste elettorali? Potrebbe essere possibile perchè la comunicazione tra pubblici uffici, infatti, non è in tempo reale.
Alla luce di quanto ha appena spiegato, dunque, avrà un peso anche la sentenza della Cassazione, del prossimo 18 marzo, che dovrà pronunciarsi sui due anni di interdizione dai pubblici uffici?
Certamente. In caso di conferma, per due anni Berlusconi perderebbe anche il diritto a votare.
Ammettiamo, invece, che Berlusconi riesca a candidarsi come numero uno della lista Forza Italia.
Cosa accade?
I competenti uffici circoscrizionali, in questo caso di Milano, Roma, Venezia, Napoli e Palermo, lo escluderebbero dalla lista.
Difficile immaginare un Berlusconi rassegnato…
Contro l’esclusione si può ipotizzare un ricorso ai Tar delle Regioni dove si è candidato. A mio avviso potrebbe presentare un’eccezione di incostituzionalità della legge Severino. Se anche uno solo dei 5 Tar gli dà ragione, cioè ritiene che la questione non sia manifestamente infondata, la parola passa alla Consulta. Ma perchè lui sia candidabile, in attesa della eventuale pronuncia della Corte costituzionale, è necessario che il Tar — sempre proseguendo il ragionamento in via ipotetica — gli conceda la cosiddetta sospensiva contro la quale l’avvocatura dello Stato può ricorrere. Non può, invece, ricorrere nei confronti dell’eventuale decisione del Tar di rivolgersi alla Consulta. L’eventuale sospensiva dell’incandidabilità naturalmente varrebbe solo nella circoscrizione in cui si è deciso, per ipotesi, in tal senso.
Che tempi ha il Tar per una decisione del genere?
Una decina di giorni, non di più.
Il 10 aprile il tribunale di Sorveglianza di Milano comincia l’udienza per decidere se concedere a Berlusconi l’affidamento ai servizi sociali, o se metterlo agli arresti domiciliari dopo la condanna definitiva, sempre al processo Mediaset, a 4 anni, di cui tre indultati. Qualunque sarà la decisione dei giudici, l’ ex premier, candidatura a parte, potrà fare campagna elettorale?
In caso di domiciliari, dipenderà se saranno severissimi, con divieto di comunicare all’esterno, per esempio anche al telefono, o se, invece, saranno più morbidi. Lo stesso discorso vale per l’affidamento ai servizi sociali. Dipende da come saranno modulati.
In caso di candidatura di Berlusconi, e/o di una sua esclusione, qual è il destino della lista di Forza Italia?
La lista procede con gli altri candidati
Potrebbe chiamarsi, per esempio, Forza Italia-Silvio Berlusconi, anche con una sua esclusione dalle candidature, o una sua impossibilità a candidarsi?
Sicuramente. Entrambi i casi non incidono sulla scelta del nome della lista.
Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
I FINANZIAMENTI DELLO STATO SI BASANO SULL’EFFICIENZA DEL SERVIZO…UN EX DIRIGENTE DENUNCIA AI PM L’IMBROGLIO
“Le Poste truccano i dati sulla puntualità della consegna delle lettere. Io lo so perchè l’ho visto fare un’infinità di volte e so come si fa perchè anch’io ho partecipato alla fiera. à‰ un sistema collaudato, una grande truffa”. Roberto Peruzzi, 53 anni, è un dirigente postale pentito. Ha lavorato una vita nell’azienda delle lettere, dal 1978 al 2010, fino a diventare capo dell’area recapiti con competenza su Pescara, L’Aquila e Teramo.
Prima di lasciare la scrivania ha archiviato migliaia di documenti: mail, contratti, tabulati, fotocopie, appunti riservati.
Una mole straordinaria di atti che ha deciso di mettere a disposizione della Procura della Repubblica di Pescara e della Corte dei conti dell’Aquila.
Molti documenti riguardano proprio la faccenda della puntualità delle consegne della cosiddetta posta prioritaria, la “qualità postale”.
Proprio dai livelli di puntualità dipendono i quattrini che ogni anno lo Stato versa alle Poste come pagamento del servizio svolto.
Più sono rispettati i parametri di puntualità concordati nel contratto del “servizio universale” tra i capi delle Poste e lo Stato italiano, più corposa è la ricompensa pubblica: dai 300 ai 360 milioni di euro l’anno, 2 miliardi e 394 milioni dal 2006 al 2012.
Manipolando i dati sulla puntualità , l’azienda delle lettere può raggirare il suo azionista, cioè lo Stato. È una faccenda assai compromettente per l’amministratore Massimo Sarmi, che dopo esser stato confermato 4 volte e per 12 anni di fila alla guida delle Poste da governi di centrodestra e centrosinistra, non disdegnerebbe ottenere a primavera da Matteo Renzi il quinto mandato.
Sentite dal Fatto le Poste negano: “Escludo l’esistenza di un’organizzazione per l’alterazione dei dati”, dice il responsabile della qualità postale, Gianluca Celotto.
Sul rispetto degli standard postali vigila una società privata, la Izi, formalmente terza tra lo Stato e le Poste, un’azienda diretta da Carlo Fuortes, anche amministratore dell’Auditorium di Roma.
Izi da anni si aggiudica l’appalto per le verifiche sui recapiti e a fine anno riceve un corrispettivo dalle Poste: il controllore è pagato dal controllato.
Izi dovrebbe verificare i livelli di puntualità seguendo il percorso e i tempi di consegna della corrispondenza inviata come test.
Il presupposto perchè un controllo del genere sia efficace è che nessuno delle Poste sappia preventivamente quali sono le lettere inviate a campione e sottoposte a esame.
“Invece è il segreto di Pulcinella, almeno per un bel po’ di dirigenti postali di un certo livello”, accusa l’ex dirigente.
Un segreto di Pulcinella finora ben custodito, però. Accusa Peruzzi: “All’interno delle Poste funziona una rete apposita e capillare per intercettare le lettere chiamate in gergo ‘civetta’, oppure anche i ‘noti invii’.
Una volta individuate, le lettere vengono fatte viaggiare come schegge su una corsia di consegna preferenziale e superveloce, un binario parallelo che non ha niente a che vedere con i sistemi e i tempi di consegna consueti.
In questo modo i dati sulla puntualità vengono truccati, si fanno artificiosamente apparire tempi di recapito ottimali creando quindi i presupposti perchè le Poste possano rivendicare a buon diritto dallo Stato il pagamento delle centinaia di milioni di euro del contratto di programma. à‰ un imbroglio gigantesco”.
I test di puntualità , insomma, non rispecchiano la realtà delle consegne postali fatta di ritardi, tempi approssimativi e migliaia e migliaia di lettere spesso ammassate nei centri smistamento.
Come funziona la stangata postale? La Izi organizza i test avvalendosi di una rete di collaboratori su tutto il territorio nazionale.
I collaboratori sono di due tipi: i dropper, che hanno il compito di imbucare le lettere, e i receiver che sono quelli che le lettere le ricevono.
Sovente le due figure si scambiano i ruoli. Una volta avuta la lettera civetta, i receiver ci trovano dentro un modulo prestampato e una busta indirizzata alla Izi.
Sul modulo devono annotare data e ora di ricevimento, infilare il foglio nella busta e spedire il tutto.
Gli elenchi della rete di collaboratori Izi vengono aggiornati periodicamente proprio con l’intento di tutelare l’anonimato dei collaboratori e garantire la segretezza dell’operazione.
Questo a livello ufficiale. Nella pratica le cose vanno in altro modo.
La segretezza di dropper e receiver non esiste: le Poste li conoscono uno ad uno.
Ogni dropper riceve, ogni 15 giorni o ogni mese, un bustone dalla Izi contenente le lettere da inviare ai receiver e le relative istruzioni di spedizione.
Secondo quanto risulta dalla testimonianza dell’ex dirigente Peruzzi e dai documenti in suo possesso, le Poste sono in grado di intercettare questi bustoni, li aprono prendendo nota sia dei dropper sia dei receiver aggiornando così in continuazione gli elenchi dei collaboratori Izi.
A quel punto, quando le lettere civetta arrivano insieme a tutte le altre ai centri di smistamento postale, è un gioco da ragazzi mettere le mani su quelle del test.
Ogni lettera intercettata viene inserita in un canale a sè stante, introdotta nella macchina per la codifica con il codice a barre e subito dopo ritirata e infilata in una cassetta dedicata, consegnata ai capisquadra o ai direttori dei portalettere che a loro volta l’affidano al postino insieme alla raccomandazione che sia consegnata al volo.
Se il destinatario della lettera test si trova in una zona lontana rispetto allo smistamento, per esempio Ortona, a un trentina di chilometri dal centro postale di Pescara, la lettera o le lettere vengono infilate in una busta apposita e separata dall’altra corrispondenza, portata di filato con un auto o un furgone, affidata dall’autista a un addetto al recapito che gli rilascia un documento di ricevuta firmato e messa immediatamente in consegna con mille raccomandazioni.
Negli ultimi tempi questa parte della procedura è stata informatizzata.
Sui computer dei dirigenti e degli addetti della rete postala parallela c’è una cartella condivisa per segnalare gli invii e rilasciare le ricevute di consegna.
Daniele Martini
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
E UNA LOLITA RIDEVA: “AVEVO PAURA, POI HO CAPITO CHE SONO TUTTI DEFICIENTI”
I cento faldoni di atti giudiziari della storia di Serena ed Emanuela, bambine squillo di 15 e 14 anni, sono un abisso che racconta molto di più di una perversione.
Nello squallore di lenzuola stropicciate e preservativi di un seminterrato di viale Parioli riattato a scannatoio, nelle migliaia di sms con la clientela e i papponi, non c’è il lolitismo di Nabokov e neppure il suo fantasma.
Nè c’è – come pure all’inizio di questa storia si era ipotizzato – l’indicibile della pedofilia. C’è piuttosto l’epigrafe miserabile del nostro tempo e dei suoi campioni. «Lavorare poco e guadagnare tanti soldi».
Già . «Lavorare poco e guadagnare molti soldi» prometteva il sito “ bakekaincontri. it”, lo scaffale digitale in cui offrire e pescare, tra un trans, una milf e una maggiorata, carne fresca.
E alle bambine, come alla madre di una di loro, non sembrava vero.
«Volevamo mettere da parte un po’ di soldi, così ne avevamo di più e ci godevamo l’estate – raccontano a verbale il 5 febbraio scorso durante l’incidente probatorio – Stavamo cercando di fare un lavoretto che fosse adatto un po’ alla nostra età . Dog sitter… queste stupidaggini qui. Volevamo andare in vacanza a Ponza».
Ma soprattutto, non sembrava vero alla clientela “per bene” di quel quadrante di città “per bene” che nei ritagli di tempo di un lavoro “per bene”, di una cena con le mogli o di un saggio dei figli, avevano di che saziare il proprio appetito al costo di un pieno di benzina del suv.
«Sono in una riunione – avvisava un Papi con un sms a Serena – Ci vediamo quando torni. Domani sera devo accompagnare mia figlia ad una festa e non posso muovermi. Di alla tua amica se ha voglia di incontrarmi».
«Sono serio, pulito e discreto – miagolava un altro – E, dimenticavo, dolcezza, passione e tutto ciò che volete senza limiti».
CIRCOLO DI INSOSPETTABILI
Il tariffario di Serena ed Emanuela diceva «100 il mezzo (rapporto orale), 200 o 150 l’intero. 300 a tre». Salvo extra per le visite a domicilio.
E, dunque, l’incrocio tra domanda e offerta non poteva che essere lì. Nella libido di chi, due o tre biglietti da cento, li alza in un’oretta di lavoro.
Un manager consorte di parlamentare di centro-destra (Mauro Floriani, marito di Alessandra Musssolini), il figlio di un parlamentare di centro-destra, un dirigente di Bankitalia, un quadro di Ernst& Young, un avvocato, un paio di funzionari della Fao. Quei tipi umani che a Roma magari incontri in una di quelle simpatiche feste in costume con le maschere da maiali e che comunque riconosci alla luce del giorno per il nodo a ormeggio della cravatta, l’incarnato perennemente abbronzato, la passione per le barche, il finger food, i lounge bar, in una geografia dei luoghi che fa perno tra l’ansa del fiume Aniene e Roma nord (i quartieri Parioli, Fleming, Trieste).
Dove l’apparenza quasi sempre mente sulla sostanza. E dove, le bambine, spesso si facevano trovare.
Itoya, “il giapponese” di viale Regina Margherita, il “Seventy” di via Nemorense, la discoteca “Villa Ruggeri” sull’Olimpica e il “Nice” al Foro Italico.
NIENTE GIOVANI, MEGLIO I VECCHI
Serena ed Emanuela li cercavano “vecchi” e con il grano. Per convenienza e per pudore. «Chiedevamo sempre di non avere ragazzi troppo giovani. Cioè, tipo di 18, 20 anni, perchè magari li potevamo conoscere », raccontano a verbale al procuratore aggiunto Maria Monteleone, al pm Cristiana Macchiusi e ripetono nell’incidente probatorio al gip Maddalena Cipriani. Anche perchè quei “vecchi per bene” e con il grano non stavano certo a guardare la carta di identità .
A loro bastava l’aria da bimbe, quell’intercalare di “Scialla” e il trucco pesante sulla pelle da adolescenti. Che poi si fa sempre in tempo a dire – come hanno sin qui fatto a verbale tutti i clienti indagati – «non immaginavamo che fossero minorenni».
Racconta Emanuela: «Quando stavo con loro, svuotavo la testa e mi dicevo: tanto è un’ora e poi è finito. Non ero felice, ma cercavo di mettermi nei panni di una persona che faceva un lavoro normale. A volte avevo paura. Che gente mi capita?, mi dicevo. E se mi violentano? Poi ho capito che erano tutti deficienti »
IL FITTY-FIFTY COL PAPPONE
A qualche “deficiente” non doveva dispiacere neppure qualche schizzo di coca. Perchè incipriarsi le narici insieme a una bambina fa parte del menu.
Come del resto dimostrano le ricerche in rete di Emanuela e Serena per scoprire “come si eliminano dalle urine le tracce di cocaina”.
Certamente i “deficienti” passavano per lo più per Mirko Ieni («Era un amico. Ci dicevamo tutto. Anche se avevamo un problema», raccontano le bimbe), un lenone del nostro tempo, trentanove anni e un passato da impiegato alla Luiss, la prestigiosa università di Confindustria nel cuore dei Parioli a un tiro di schioppo dallo scannatoio.
Un tipo questo Mirko di quelli svelti a trovare l’algoritmo della felicità : “tanto grano” in “poco tempo”. «Ve ne fate tre al giorno», raccomandava il nostro che di strada ne aveva fatta.
Dallo squallore di una stanza di motel (il “Boomerang” sulla via Aurelia, stanze accessibili dalla strada senza passare dalla hall) alla privacy dei quartieri alti.
E poi fiftyfifty. E magari una bella risata. «Che avete combinato maialine? – scrive alle due ragazzine in uno degli sms intercettati – Andate a Ponza con i soldi delle scopate?». Pensava in grande Mirko. Anche una trasferta a Cannes a mille euro.
O un’ammucchiata in barca («A bordo sono già in quindici…. «) .
Perchè i vecchi “per bene e con il grano”, non vanno certo a Ladispoli e non usano il pattino.
L’OSSESSIONE PER LA PUNTUALITà€
Aveva una sola fissazione, Mirko. La puntualità . Perchè quei clienti non avevano tempo da perdere. Gente importante, quella li. Anche se di importante non si capisce bene cosa potesse avere uno come il commercialista Riccardo Sbarra che nei pc scaraventati dalla finestra all’arrivo dei carabinieri conservava più scatti pedo-pornografici (duemila) che pratiche di studio.
«Qualcuno si lamentava del fatto che arrivassimo in ritardo, che non ci presentassimo a un appuntamento o fossimo scortesi – raccontano a verbale Serena ed Emanuela – Ma noi, alla fine, siamo due ragazzine. E’ normale non essere sempre puntuali. E poi eravamo sotto pressione. Mirko ci trattava come delle macchine. Per lui dovevamo esserci sempre, tutti i giorni. Non voleva perdere soldi. Noi eravamo la sua fonte di guadagno ».
I “vecchi per bene” facevano la fila per Serena ed Emanuela. Gongolavano e farfugliavano giovanilismo con le loro “k” al posto delle “c” nei loro sms dal senile arrapamento. «Mi mandi una foto della tua amiketta?».
LA FILA PER AUTODENUNCIARSI
Dal 28 ottobre scorso (quando lo scannatoio dei Parioli è diventato la colonna infame della città ), come monatti, fanno la fila in via Inselci, gli uffici del nucleo investigativo dei Carabinieri.
I più coraggiosi – come raccontano due diverse fonti investigative – si presentano a raccontare una montagna di frescacce, ma almeno mettendoci la faccia e sperando in un patteggiamento che li salvi dalla vendetta delle mogli e dei salotti. “Il mio numero, non so perchè, potrebbe essere tra i telefoni intercettati”.
“Credo di ricordare di aver parlato con una di quelle ragazze di cui ho letto sui giornali”. I più arroganti, mandano avanti avvocati ben pagati. Perchè – furbacchioni – per le bimbe usavano telefoni aziendali e dunque “vallo a dimostrare che ero io”.
Ne hanno sin qui indagati 22 per prostituzione minorile, ma la lista dei clienti identificati dai carabinieri ha già raggiunto i 40 nomi.
E l’elenco della gente “per bene” non sembra debba finire qui.
Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi
(da “La Repubblica”)
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO BASSANINI, PRESIDENTE DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI, “ANGELA MERKEL POTREBBE DIRE SI’ A RENZI, MA SOLO PER USARE LO 0,3 DEL DEFICIT PER I DEBITI IN CONTO CAPITALE PIUTTOSTO CHE PER IL CUNEO FISCALE”
“Mi aspetto che Angela Merkel dica a Matteo Renzi che è importante il suo impegno per rispettare il vincolo del 3%” ma anche che apprezzi “che l’Italia abbia annunciato una serie di misure per rilanciare la crescita”.
Così il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, a ‘In 1/2h’ su Rai3. “Credo che la Germania – aggiunge Bassanini – sarà più favorevole a usare lo 0,3-0,4% di margine di deficit per i debiti in conto capitale piuttosto che per il cuneo fiscale”.
Insomma, Renzi dovrà cercare altrove i soldi per tagliare le tasse ai lavoratori.
Per risolvere il problema delle coperture, il premier deve così sperare che la spending review non gli dia quei 3 miliardi promessi dal commissario Carlo Cottarelli. Ma almeno 7 miliardi.
Per i debiti della pubblica amministrazione di parte corrente “che sono il grosso” e che vengono stimati tra i 20 e i 100 miliardi di euro, Bassanini, si dice convinto che il pagamento sia possibile “molto prima della fine di luglio, bastano due o tre mesi”, anche perchè sono già stati conteggiati nel tetto deficit del 3%”.
Intervistato da Lucia Annunziata, Bassanini aggiunge che i debiti in conto capitale, “per i quali bisogna invece trovare una copertura”, e che sono stimati tra i 5 e i 10 miliardi, “i tempi sono un pochino più lunghi”.
Il presidente della Cassa depositi e prestiti ritiene comunque “credibile” la data del 21 settembre indicata dal premier Renzi.
Bassanini poi spiega che l’ex premier Enrico Letta “per quanto ne so io era assolutamente favorevole” alla soluzione per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione “ma ci sono state una serie di obiezioni da parte delle amministrazioni del ministero dell’Economia e Finanza che temevano che potesse emergere debito, cosa che l’Europa non vorrebbe”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER CHE ANNUNCIA DI VOLER ROTTAMARE CENTO VECCHIE AUTO BLU NON SI RIFERIVA A QUELLE A DISPOSIZIONE DELLA MOGLIE
«Agnese Landini, moglie di Matteo Renzi, sfrecciava per il centro di Roma con ben quattro macchine di servizio».
È la denuncia del senatore Stefano Candiani, che ha deciso di presentare un’interrogazione per avere risposte ufficiali su quanto racconta di aver visto in diretta.
Era mercoledì sera, verso le 23,30.
Via degli Orfani, nel cuore della Capitale. Alcune vetture, senza sirena, sfrecciano ad alta velocità verso il Pantheon: Candiani sta percorrendo la stessa strada a piedi ed è davanti alla libreria Borromini.
Arrivato in zona Pantheon, vede le quattro auto (tra cui una Bmw) ferme a pochi passi dall’Albergo del Senato, hotel a tre stelle in Piazza della Rotonda.
Candiani racconta di essersi avvicinato a una delle vetture, e di aver fatto presente all’autista che sarebbe stato meglio guidare con maggiore prudenza.
«Non ho detto di essere un parlamentare» spiega l’esponente leghista, che però non riceve risposta dal tizio al volante.
«È rimasto una statua di sale. Sa, a quell’ora e in quelle strade è pericoloso andare così veloce».
È a quel punto che Candiani, incuriosito dal corteo di macchinoni, sostiene di aver visto Agnese Landini in Renzi.
Domanda: “Candiani, è proprio sicuro che fosse la first lady?
Risposta: «Certo, era lei. Ho anche scattato alcune fotografie ma non ho fatto in tempo a immortalarla. Comunque sto preparando una interrogazione per avere la conferma ufficiale. Sa, siamo in un Paese dove i servizi segreti fanno sparire e apparire le persone…».
Abbiamo provato a contattare l’albergo, che però – ovviamente – non commenta e non conferma.
Di sicuro, la moglie del premier ha recentemente cambiato idea sulla sua residenza. Quando il marito era stato nominato capo del governo, infatti, aveva assicurato che sarebbe rimasta a Firenze insieme ai tre figli.
Da poco ha invece deciso di spostare tutta la famiglia nella Capitale, tanto che la signora ha chiesto l’aspettativa dalla scuola dove fa l’insegnante precaria.
Tornando alle auto blu, poche ore prima che Candiani s’imbattesse nelle quattro vetture in zona Pantheon, Renzi aveva convocato i giornalisti annunciando di voler vendere un centinaio di macchinoni in dotazione dell’esecutivo al grido «venghino, signori, venghino».
E aveva citato il caso di Firenze. Nel 2012 aveva messo all’asta i quattro mezzi a disposizione del sindaco.
Ma – come ha raccontato l’Espresso – l’operazione non s’era rivelata un’affare. Palazzo Vecchio aveva rastrellato la miseria di 17.774 euro, più o meno 4mila euro a macchina, nonostante si trattasse di una berlina Volvo e di tre Alfa Romeo a gasolio acquistate cinque anni prima.
Matteo Pandini
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI RILANCIA: VUOLE ESSERE CAPOLISTA IN OGNI CIRCOSCRIZIONE PER LE EUROPE… ALFANO: “QUELLO A FORZA ITALIA È UN VOTO INUTILE”
Silvio Berlusconi insiste e rilancia. Dopo l’annuncio di venerdì, ieri ha confermato: sarà candidato alle Europee. Di più: sarà capolista ovunque.
Alla faccia della condanna per frode fiscale, della legge Severino e del coro di disapprovazione alzato dagli altri partiti.
Ieri per il Cavaliere è stato l’ennesimo primo giorno di campagna elettorale.
I toni e il linguaggio sono quelli di sempre.
In collegamento telefonico con Lara Comi e il club Forza Silvio di Varese, Berlusconi non si contiene. Torna a minacciare la nascita di un “partito delle vittime della giustizia”, poi indica l’obiettivo: “Possiamo vincere alla grande”.
Non parla delle Europee, guarda ancora più avanti, verso le prossime Politiche.
E stabilisce senza esitazioni la data di scadenza del governo Renzi: “A giudizio di tutti, le elezioni saranno tra circa un anno. Avremo la possibilità di ottenere una chiara maggioranza in Parlamento in grado di sostenere un governo formato da tutti nostri ministri”.
La condizione, spiega, è scongiurare le frodi elettorali.
Dà i numeri: “Se riusciremo a non farci sottrarre 1 milione e 600 mila voti da parte degli esperti di brogli elettorali della sinistra e a recuperare 2 milioni e 400 mila delusi, Forza Italia vincerà da sola, senza alleati”.
Già , gli alleati. Nemmeno ieri si sono scambiati parole d’amore. Anche Angelino Alfano sente il profumo delle urne. A fine maggio, il Nuovo centro destra conta i suoi voti per la prima volta. Alle europee ognuno va per la sua strada.
Il partito del vecchio padre politico, in attesa di tempi migliori, è un avversario come e più degli altri.
Alfano ieri ha aperto le ostilità dal palco di una convention di Ncd a Torino: “Il vero voto inutile è quello a Forza Italia. Berlusconi dice tanto dei piccoli partiti. Ma il suo, che è più grande, non sa dove andare: non è nè carne nè pesce”.
Sull’argomento si è consumata una rapida polemica col consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti, che ha rivendicato a sua volta la paternità del “voto utile”: “L’unico è quello che si dà a Forza Italia”.
Il portavoce degli azzurri, Daniele Capezzone, ha rincarato la dose con spavalderia: “Alfano? Inutile anche parlarne. Di lui si occuperà lo sbarramento”.
L’asticella è al 4 per cento. Se Ncd fallisse l’obiettivo, il progetto potrebbe soffocare. Fabrizio Cicchitto ha replicato al suo vecchio portavoce: “Usa lo sbarramento come un manganello, ma rimarrà con un pugno di mosche in mano”.
Poi la minaccia di divorzio definitivo: “Se continua così, Capezzone alle prossime politiche rischia di fare coalizione con se stesso. Se ci riesce”.
In serata Berlusconi ha chiuso i conti, ripetendo la solita filastrocca sull’inutilità dei piccoli partiti: “Agli elettori dei partitini va spiegato che frazionare il voto non è soltanto inutile, ma dannoso. Questi elettori devono essere contattati, convinti e determinati a votare per noi”. Se ce ne fosse stato bisogno, la conferma che Forza Italia e il Nuovo centrodestra pescano entrambe nello stesso stagno.
Il Cavaliere, in un modo o nell’altro, sta provando a riprendersi una posizione centrale nel palcoscenico politico.
In verità i suoi pensieri sarebbero concentrati su una data più imminente delle elezioni di fine maggio. La vera partita si gioca il 10 aprile, giorno in cui è fissata la prima udienza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, che deve decidere sull’affidamento dell’ex premier ai servizi sociali.
La forzatura dell’annuncio della candidatura alle Europee è indirizzata prima ai giudici che agli elettori.
La violazione della legge e il ricorso alla Corte europea, per Berlusconi, sono ipotesi poco concrete: l’importante, in questo momento, è mettere pressione sui magistrati che hanno in mano il suo futuro.
In seconda battuta, la candidatura da capolista in tutte le circoscrizioni lo aiuterebbe a tenere unita Forza Italia e a rimandare antagonismi e rese dei conti in vista della sua successione (Raffaele Fitto e Paolo Romani, solo per fare due nomi, sono già pronti alla conta delle preferenze).
Ma qualsiasi scenario politico rimane subordinato alla decisione del Tribunale di Sorveglianza: Berlusconi ha bisogno dei servizi sociali e di un’ampia libertà di movimento.
Tommaso Rodano
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
IN LAZIO RISSA E INSULTI: E UN RENZIANO FINISCE IN OSPEDALE
Finisce con un’ambulanza del 118 chiamata in fretta e furia, un uomo a terra con un «inizio di crisi epilettica» trasferito in codice giallo al Policlinico, le mezze risate di chi dice che si tratti di una «pantomima» e le urla di chi accusa che, a provocare il tutto, sia stato invece uno spintone. È questo l’epilogo dell’assemblea regionale del Pd Lazio, convocata per ratificare il risultato delle primarie dello scorso 16 febbraio.
A emergere, però, è la spaccatura di un partito che, nel Lazio, vede franceschiniani, lettiani e bersaniani in maggioranza e i renziani della prima ora in minoranza.
Frattura difficilmente sanabile, tanto più dopo le scene viste ieri.
Da una parte c’è il neo segretario, Fabio Melilli, ex presidente della Provincia di Rieti, vicino al ministro Dario Franceschini.
Dall’altra Lorenza Bonaccorsi, deputata, fedelissima del sindaco di Firenze, sconfitta alle primarie col 30%
Per prassi la presidenza dell’assemblea regionale dovrebbe spettare a lei.
Melilli, invece, la offre (sembra su input dell’ex senatore Goffredo Bettini) a Liliana Mannocchi, candidata di Marco Di Stefano, deputato lettiano.
I renziani si appigliano al regolamento (la Mannocchi dovrebbe presiedere un’assemblea di cui non fa nemmeno parte).
La tensione sale, si urla. In gioco non ci sono tanto le poltrone nel partito, quanto le candidature per le Europee
Quando Massimiliano Dolce, renziano, chiede la verifica del numero legale, viene fronteggiato da Paolo Toppi, membro del cda di Cotral (l’agenzia regionale dei trasporti) in quota Di Stefano.
C’è chi parla di una spinta, chi dice che Dolce sia caduto da solo.
Assemblea sospesa, arriva il 118 che si porta via Dolce e renziani e lettiani restano a litigare. «Che tristezza – commenta l’ex viceministro Stefano Fassina – il gruppo dirigente dovrebbe chiedere scusa agli elettori delle primarie».
Mauro Favale
(da “la Repubblica”)
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Marzo 16th, 2014 Riccardo Fucile
“PARAGONARE LA MELONI A MARINE LE PEN? NON SCHERZIAMO, LI SEPARA UN 25% DI CONSENSI”…”USCIRE DALL’EURO? UNA SCIOCCHEZZA, AUMENTEREBBE IL DEBITO PUBBLICO E NON VERREBBE MENO IL DOMINIO DEL CAPITALISMO FINANZIARIO”… “L’UNICA NOVITA’ E’ L’ANALISI DI TSIPRAS”
«Giorgia Meloni? Ha ancora tutto da dimostrare, e il paragone con Marine Le Pen è improprio».
Lo scrittore francese Alain De Benoist, uno dei più importanti intellettuali d’Europa, riferimento transideologico e autore di testi come il celebrato «Visto da destra. Antologia critica delle idee contemporanee», del 1986, regala a «Il Tempo» una visione critica, lucida, del panorama politico italiano partendo dalla novità della «nuova destra» che ha debuttato a Fiuggi lo scorso week-end.
Dai paragoni con la «droit» all’Euro, da Berlusconi alla «simpatia» per Tsipras.
Dopo 6 anni, il Pdl è sparito ed ora sulla scena politica torna un partito di destra a vocazione maggioritaria. Che ne pensa?
«Che è abbastanza strano parlare di “vocazione maggioritaria”, per un partito, Fratelli d’Italia, che ha ottenuto solo l’1,95% dei voti nelle elezioni di febbraio 2013. Anche se i suoi leader affermano oggi di volersi presentare al di fuori della coalizione sponsorizzata da Forza Italia, sarà quasi impossibile superare la soglia dell’8% che la nuova legge elettorale richiede per essere rappresentati in Parlamento fuori coalizione».
Ci sono grande curiosità e molte speranze attorno a Giorgia Meloni. Può essere la Marine Le Pen italiana ? E potrà essere un buon interlocutore della destra francese?
«Prima di diventare un interlocutore per chiunque Giorgia Meloni deve dimostrare chi è. Nell’immediato, il confronto tra lei e Marine Le Pen non sembra molto appropriato, anche solo in relazione alla differenza del loro elettorato: 1,95% per Fdi e tra il 20 e il 35% per il “Gathering Blue Marine”. Differenze ideologiche non sono meno ampie. L’ex Ministro della Gioventù del governo Berlusconi sta cercando di riunire i vecchi esponenti di Msi e An, mentre Marine Le Pen, che rifiuta di definirsi “di destra”, sta prendendo sempre più distanza dalla comunità nazionalista. La sua visione “laica” della società fa tanto contrasto con l’atteggiamento pro-cattolico di Giorgia Meloni».
Gli osservatori italiani parlano ancora di una forte influenza di Berlusconi. È finita l’era del Cavaliere?
«Bisogna considerare un fattore fisiologico. Berlusconi è ancora il padrone del suo partito, ma se Renzi riesce a mantenere il Governo fino al 2018, il Cavaliere, che sta ancora scontando la pena di tre anni di interdizione dai pubblici uffici, avrà alle prossime elezioni più di 80 anni…».
Nella sinistra radicale, Alexis Tsipras sta tentando di riunire la sua parte politica in Europa. È possibile che possa accadere la stessa cosa a destra?
«Il divario fra destra e sinistra è ormai obsoleto, la creazione su un piano politico di una “nuova destra europea”, non mi interessa in alcun modo. Una cooperazione tra i partiti nazional-populisti sarebbe molto difficile, in ogni caso, a causa del loro egoismo nazionale. Invece nutro una certa simpatia per la critica che fa Alexis Tsipras dei partiti socialisti, oggi divenuti dei liberali di sinistra, ovvero rappresentanti dell’ala sinistra del Capitale».
Cosa c’è a destra del Ppe, dunque?
«Per lo più movimenti o gruppi che non hanno compreso in quale momento storico viviamo».
La guerra economica in Europa è tra il Nord e il Sud o tra la Germania e tutti gli altri?
«Non c’è una guerra economica fra il Nord o il Sud, e neanche fra la Germania e gli altri paesi europei, ma una guerra fra i popoli d’Europa e i mercati finanziari».
Ha senso uscire dall’euro? È vero che aumenterà il potere d’acquisto per i più deboli o c’è il pericolo di svalutare i pochi risparmi delle famiglie?
«La questione è puramente formale, se non demagogica, poichè nessun paese europeo è oggi disposto a lasciare l’euro. Un ritorno alla vecchia moneta nazionale avrebbe l’effetto di far crescere il debito pubblico, che è valutato in euro e non cambierà evidentemente nulla circa il dominio esercitato dal capitalismo finanziario di oggi. I Paesi che non utilizzano l’euro come la Gran Bretagna, non stanno facendo meglio di altri. In ogni caso, se l’euro come moneta unica scomparisse, esso dovrebbe essere mantenuto come moneta comune per gli scambi internazionali con i paesi extra europei».
Vincenzo Bisbiglia
(da “il Tempo”)
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