Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
UN GIORNALE DEL TICINO SPUTTANA LA BECERODESTRA ELVETICA: HANNO ARRUOLATO QUEGLI STESSI FRONTALIERI CHE A PAROLE DEMONIZZANO
Vizi privati e pubbliche virtù della destra del Canton Ticino. La stessa che, giusto un mese fa, con una campagna battente contro i frontalieri italiani, riuscì a far passare, con oltre il 68 per cento dei voti, il referendum anti-stranieri tenutosi in Svizzera. Oggi i leader della Lega dei Ticinesi, dell’Unione Democratica di Centro, ma anche alcuni Comuni da loro amministrati si ritrovano tra coloro che non hanno lesinato, tra il 2011 ed il 2012, ad impiegare una categoria, quella dei “padroncini”, sempre italiani ovviamente, altrettanto demonizzati dei frontalieri.
Questi piccoli artigiani, che vengono da oltre confine ad effettuare lavori a metà prezzo, sono stati assoldati, secondo quanto rivela il settimanale elvetico Il Caffè, dalla società Bilsa del leader della Lega dei Ticinesi, Attilio Bignasca, “per posare delle piastrelle nel Comune di Morbio”.
“Proprio quel Bignasca -denuncia il Caffè -che dalle pagine del giornale del suo movimento invita i lettori a un safari fotografico a caccia di padroncini”.
Con il risultato che, nel Canton Ticino, basta guidare un furgoncino con targa italiana, per correre il rischio di finire nella carrellata fotografica del giornale leghista.
Ma a utilizzare i padroncini è stato anche un altro noto leghista, Michele Barra, oggi scomparso, per pochi mesi ministro dell’Ambiente del Canton Ticino.
A sue spese Barra effettuò, tra l’altro, uno studio sull’impatto negativo degli artigiani italiani sull’economia ticinese.
Il che non gli impedì, nel 2011 e nel 2012, di ricorrere alle loro prestazioni per la sua impresa edile.
Nell’elenco di 628 pagine dei fruitori dei servizi dei “padroncini” figura pure uno psichiatra, Orlando Del Don, che contro quella categoria di piccoli imprenditori ha il dente più che avvelenato.
Eppure Del Don, deputato al Parlamento ticinese per l’Unione Democratica di centro (ovvero il partito che ha lanciato e vinto il referendum del 9 febbraio), “per il montaggio di pareti mobili e lavori urgenti sulle linee telefoniche della sua clinica diurna si è affidato a due imprese “italiote” – per usare il termine sprezzante utilizzato dal suo partito e dalla Lega.
Pure nel Comune di Chiasso, dove impera un’altra personalità legista, Roberta Pantani, assessore e Deputata al Parlamento federale, si è ricorso ai “padroncini” per la manutenzione del campo di bocce.
Sempre la Pantani, titolare di una ditta di pavimentazioni stradali, sarebbe ricorsa a degli asfaltatori italiani per dei lavori a Lugano.
E dire che ieri, proprio per rendere omaggio al patriottismo ticinese, è sceso, da Zurigo Christoph Blocher, leader carismatico della destra svizzera.
Chissà se è al corrente della doppia morale di questi svizzeri del sud.
Franco Zantonelli
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
EUGENIO SCALFARI LIQUIDA I PRIMI PASSI DEL GOVERNO RENZI E MOSTRA I DATI
“Renzi ci sta rivendendo come suo proprio il programma già contabilizzato e in piena esecuzione dal suo predecessore”. Si legga Enrico Letta.
Queste le parole lapidarie di Eugenio Scalfari che in un editoriale su La Repubblica passa in rassegna ciò che concretamente il nuovo capo dell’esecutivo potrebbe fare per stabilizzare e migliorare i conti dell’Italia, senza trascurare i vincoli europei. “Perchè a Bruxelles e Berlino bisogna tentare la strada della convinzione, ma non quella dei pugni sul tavolo”, sottolinea Scalfari
Non trascurare i vincoli europei.
Ma non trascurare neanche il dettagliato programma che l’ex premier e il suo ministro dell’economia Saccomanni avevano imbastito prima di essere scomunicati.
Un programma che sembra essere cristallizzato e rispetto al quale “difficilmente Renzi potrà fare di più o di diverso”.
L’esclusiva chiacchierata che il fondatore di Repubblica ha fatto con Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni è riportata e riassunta in 9 punti programmatici.
Per saperne di più ho interrogato Letta, rientrato due giorni fa in Italia e da lui ho avuto la sua versione dei fatti e delle prospettive.
Eccone il resoconto.
1. Il cuneo fiscale già figura nella legge di stabilità approvata dal Parlamento e prevede una riduzione di tre miliardi per il 2014 e di dieci miliardi per il 2015. La copertura proviene dalla “spending review” per l’anno in corso e di metà per l’anno successivo: l’altra metà dovrebbe esser fornita dal recupero dell’evasione fiscale. Saccomanni ritiene che la “spending review” possa dare di più, non meno di cinque miliardi quest’anno e forse sette nel successivo.
2. Il pagamento dei debiti dalla pubblica amministrazione alle imprese è già contabilizzato e i fondi già stanziati per 20 miliardi da erogare quest’anno. La copertura è fornita dalla Cassa depositi e prestiti che può agire subito e mobilitare altri fondi per i prossimi mesi.
3. La legge di stabilità ed altre leggi specifiche prevedono una serie di investimenti da parte di imprese pubbliche, a cominciare da Rete Imprese, dalla Fincantieri e da altre aziende. I fondi sono già stanziati e il totale supera i tre miliardi.
4. Il debito pubblico sarà ridotto attraverso la privatizzazione di “asset” patrimoniali, anche questi già previsti e contabilizzati con apposita legge approvata il 20 gennaio e già in via di esecuzione.
5. L’andamento dello “spread” fornirà dai tre ai quattro miliardi che Letta aveva previsto di utilizzare per le scuole e l’occupazione giovanile.
6. La Commissione europea è disponibile a fornire fondi per la crescita economica e per l’equità sociale per somme rilevanti, da destinare al nuovo sistema di ammortizzatori sociali e di investimenti pubblici e privati. L’obiettivo è di ridurre le imposte sul lavoro e ripristinare con norme semplificate il credito di imposta per la creazione di nuovi posti di lavoro.
7. Durante il semestre di presidenza europea spettante all’Italia era previsto un decisivo passo avanti dell’Unione bancaria e interventi della Bce che stimolassero le banche ad accrescere i loro prestiti alle imprese.
8. L’Italia avrebbe visto la diminuzione del deficit-Pil dall’attuale 2,6 al 2,3 con un miglioramento dell’avanzo delle partite correnti al 5 per cento al netto degli oneri del debito pubblico.
9. In quello stesso semestre e in piena intesa con la Bce, l’Europa avrebbe dovuto affrontare un tema di grandissima importanza e cioè un mutamento del tasso di cambio tra l’euro e il dollaro. Proprio in questi giorni quel tasso ha visto una ulteriore rivalutazione dell’euro che sfiora ormai 1,40 dollari per un euro, una situazione intollerabile per le esportazioni europee verso l’area del dollaro. L’ideale sarebbe un tasso di cambio attorno all’1,20 o addirittura all’1,10 che rilanciando massicciamente le esportazioni europee ed italiane provocherebbe un apprezzabile aumento degli investimenti e della base occupazionale.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
“NEGO DI ESSERE IL PADRE DELLA LEGGE ELETTORALE, POI HA FATTO TUTTO RENZI CON BERLUSCONI”
«L’Italicum è il frutto di un compromesso tra Renzi e Berlusconi…». Roberto D’Alimonte nega di essere il «padre» della legge elettorale e sceglie di definirsi «zio». Non che il politologo si sia pentito di aver dato una mano al premier, ma avrebbe preferito un sistema diverso: «Voglio chiarire il mio ruolo. Quando ho collaborato con Renzi, le decisioni fondamentali le hanno prese lui e Berlusconi. Sono loro i veri protagonisti, che fin dall’inizio si sono appoggiati a consigli di altri».
Denis Verdini?
«È il tecnico elettorale di Berlusconi e il rapporto tra loro è stato molto più stretto di quello, assai più frammentario, tra me e Renzi. Io sono un tecnico-tecnico, il senatore Verdini è un tecnico-politico, il che mi ha impedito di far valere il mio punto di vista sulle parti che non mi piacevano».
La imbarazza aver contribuito a resuscitare politicamente l’ex premier?
«Io non c’entro nulla, è una responsabilità politica di Renzi – si smarca il professore, “seccato per la sovraesposizione” –. Mi ha chiesto di dare dei pareri e io glieli ho dati. Gli sono servito nella fase più delicata, dopodichè lui adesso ha la Boschi. Renzi non mi cerca e io non lo cerco, sono tornato a fare il mio mestiere». A ottobre D’Alimonte suggerì a Renzi di andare a votare con il Porcellum e resta convinto che sarebbe stata la scelta giusta: «Avrebbe vinto lui. La storia del Paese è cambiata per la sentenza della Consulta, arrivata nel momento sbagliato e sulla quale io sono ultracritico».
È vero che fu Napolitano ad affossare l’accordo sul sistema spagnolo?
«No – chiarisce D’Alimonte –. Il capo dello Stato non mise alcun veto, si limitò a segnalare garbatamente la preoccupazione che quel sistema fosse troppo distorsivo, nel senso di favorire i grandi partiti e penalizzare i piccoli, quando invece la Consulta chiedeva equilibrio tra rappresentatività e governabilità ».
Chi fu allora ad affossare lo spagnolo?
«Una coalizione di interessi formata dal governo Letta, dalla minoranza del Pd e dai piccoli partiti, a cominciare dall’Ncd di Alfano».
Torniamo all’Italicum, professore…
«Migliora la situazione, però è il frutto di un compromesso e quindi ha diversi limiti. Consente di conoscere chi ha vinto la sera stessa delle elezioni e il doppio turno è un primo passo importante, su cui Renzi è stato bravissimo a strappare il via libera. Però il premio di maggioranza è troppo basso. Il fatto che chi vince abbia 321 deputati è troppo poco».
E la soglia per ottenere il premio?
«Berlusconi non si muove dal 37%, perchè gli dà la speranza di vincere al primo turno. Ma bisognerebbe portarla al 40».
Se si andasse a votare con l’Italicum, Renzi rischierebbe di perdere?
«Questo sistema va bene a Berlusconi, ma Renzi rischia solo se perde la sua scommessa di governo. L’unico sistema con cui non può vincere è il proporzionale della Consulta. Ecco perchè l’obiettivo assoluto di Renzi, che non è un ingenuo, è modificare quel modello. Ha cercato di tirar fuori da Berlusconi il meglio, forse però si poteva fare qualcosina di più».
Lei cos’altro cambierebbe?
«Le soglie sono troppe e non mi piacciono gli sconti. Bastava una soglia unica al 4%, come nella legge Mattarella. Su questo punto mi sono battuto e ho perso e così sulle liste fasulle tipo Forza Milan o No Equitalia».
E la parità di genere? È d’accordo?
«No, il 50 e 50 è una soluzione estrema, che non c’è neppure in Svezia».
Alla Camera la legge dovrebbe farcela, ma il problema è il Senato
«Il rischio che possa saltare c’è. I numeri sono più ballerini e i senatori non si accontenteranno di fare i notai della riforma approvata alla Camera, la vorranno modificare significativamente».
Cosa pensa del dimezzamento dell’Italicum?
«È un mezzo pasticcio, a cui Renzi è stato costretto pur di portare a casa la riforma. Se non si abolisce il Senato il pastrocchio sarà inenarrabile. La partita è ancora complicatissima».
I tacchini non vogliono finire nel piatto a Natale…
«Esatto, il problema è che tocca ai senatori dover dichiarare lo scioglimento di Palazzo Madama».
Monica Guerzoni
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DEL SEGRETARIO DELLA FIOM
Signor presidente del Consiglio,
come testimoniano tutti i dati e come lei ben sa il nostro Paese conosce un’emergenza occupazionale e una crisi sociale che trascina centinaia di migliaia di persone nell’insicurezza e nella paura di non poter garantire un futuro a se stessi e ai propri figli.
È a partire da questa situazione che Lei ha più volte sottolineato la necessità di una svolta politica, indicando nell’urgenza la principale delle motivazioni che l’hanno spinta ad accettare l’incarico di formare un nuovo Governo, rinunciando persino a fondarlo sulla legittimazione elettorale, come sarebbe più opportuno fare
Nel nome della stessa urgenza abbiamo ascoltato da parte sua l’annuncio di un calendario d’interventi che ha messo il lavoro ai primi posti dell’agenda del nuovo esecutivo
Noi che nel mondo del lavoro cerchiamo di rappresentare i bisogni e gli interessi di milioni di donne e uomini vogliamo portare il nostro contributo per affrontare la drammaticità della situazione sociale che segna oggi grande parte del Paese.
La democrazia è a rischio nel nostro Paese se non si combatte la disoccupazione e la precarietà .
E quando si è poveri anche lavorando, vuol dire che è il momento della giustizia sociale e che bisogna redistribuire ricchezza verso i redditi più bassi e verso le fasce più deboli della società .
ALTOLà€ ALL’EUROPA
Crediamo che oltre a rivedere e rinegoziare i vincoli europei per uscire dalla logica dell’austerità , per il lavoro sia prioritario partire dalla difesa e dalla valorizzazione dell’occupazione che già c’è per arrivare a crearne di nuova. Per puntare a questi obiettivi sono essenziali politiche attive del lavoro a iniziare da un piano straordinario di investimenti pubblici e privati, da una politica industriale che individui e intervenga sui settori strategici del Paese, che non disperda ma anzi valorizzi il nostro patrimonio di conoscenze e professionalità , sapendo che particolare attenzione debba essere riservata a quei settori e quei territori – la manifattura e il Mezzogiorno – che hanno pagato il prezzo più alto della crisi, ma che possono essere il cuore di una ripartenza comune.
E’ con questo spirito che, a partire dalla nostra esperienza e dalle nostre conoscenze, Le proponiamo una serie di indirizzi per uscire dalla crisi e dal ristagno. Si tratta di scelte e interventi tesi a innovare la produzione industriale e l’economia del Paese, riprogettare gli stessi prodotti e i loro cicli di vita indirizzandoci verso un’economia di beni durevoli e ambientalmente sostenibili, con un’opportunità di sviluppo qualificato dell’occupazione, di sicurezza sul lavoro (sono ancora più di 1000 i morti ogni anno nei luoghi di lavoro) e di miglioramento della qualità della vita di tutti.
PIENA OCCUPAZIONE
Anche per quanto riguarda le politiche sociali del lavoro crediamo sia necessaria una svolta rispetto alle scelte degli ultimi anni, riproponendo gli obiettivi della piena occupazione e del diritto a redditi dignitosi. E anche su questo – in attesa di conoscere meglio le indicazioni contentate nel vostro Jobs Act – ci permettiamo di sottoporLe sinteticamente il nostro punto di vista, le nostre indicazioni, un nostro “piano per il lavoro”.
Secondo noi, sono da evitare interventi a pioggia. Bisogna individuare delle priorità . Ad esempio, ogni euro pubblico a favore delle imprese deve essere vincolato a quanti posti di lavoro si difendono e si creano. Vanno resi possibili forme di credito e di finanziamento agli investimenti a tassi agevolati per le piccole e medie imprese, incentivando la costituzione di reti d’impresa. Non serve a nulla una riduzione generalizzata e non selettiva del cuneo fiscale. Per una ripresa dei consumi la tassazione va ridotta a partire da una riduzione dell’Irpef sui redditi da lavoro più bassi e ripristinando una vera tassazione progressiva. In particolare sarebbe necessario: incentivare la riduzione e la redistribuzione degli orari di lavoro; ridurre l’età pensionabile e ripristinare le pensioni di anzianità (perchè i lavori non sono tutti uguali e vanno tutelate maggiormente le mansioni più disagiate); riformare gli ammortizzatori sociali per estendere la cassa integrazione ordinaria e straordinaria a tutti i lavoratori e a tutte le imprese di ogni settore e dimensione; disoccupazione, precarietà , abbandono universitario e scolastico richiedono di introdurre anche in Italia forme di un reddito minimo universale; ridurre il numero oggi decisamente eccessivo delle tipologie contrattuali; cancellare l’articolo 8 della legge 148 del 2011, con cui si è permesso di derogare ai contratti nazionali. Varare una legge sulla rappresentanza coerente con la recente sentenza della Corte costituzionale, per certificare il peso reale di ogni organizzazione sindacale, garantendo il diritto alle lavoratrici ed ai lavoratori di scegliere e votare il sindacato che vogliono e approvare sempre le piattaforme e gli accordi che li riguardano tramite referendum.
TASSARE LE RENDIT
Per finanziare questi piani straordinari e questi interventi legislativi è naturalmente necessario un consistente recu-pero di risorse che può essere raggiunto con misure straordinarie, in sintonia con la gravità della situazione: dal rientro dei capitali all’estero alla lotta all’evasione fiscale, dalla tassazione delle rendite finanziarie all’istituzione di una patrimoniale, dal privilegiare la riduzione del peso fiscale per chi investe in Italia e reinveste gli utili anzichè distribuirli agli azionisti, al rendere possibile per i fondi pensione dei lavoratori dipendenti un accordo con lo stato che garantendo il loro rendimento, permetta di usare parte di quelle risorse a sostegno di una politica d’investimenti per la ricerca, l’innovazione e l’ammodernamento del nostro sistema industriale ed infrastrutturale piuttosto che, come avviene oggi, nella finanza internazionale.
Ci permettiamo di indicare la necessità di un vero coordinamento della Presidenza del Consiglio nell’azione del Governo e quindi tra i vari Ministeri, che fino ad ora troppe volte non abbiamo registrato.
BASTA ASPETTARE
Siamo coscienti, signor Presidente, quanto impegnativo e ambizioso sia l’insieme delle scelte che qui Le abbiamo sommariamente esposto, consapevoli che ci sono una serie di emergenze in corso a cui dare risposte (cassa in deroga ed esodati); ma è a partire dalla realtà che ogni giorno tocchiamo con mano che siamo convinti della loro necessità e di una strategia che renda coerente i singoli provvedimenti e ricrei una fiducia che oggi non c’è. E, se lo riterrà utile, siamo pronti a chiarirne il senso e la realizzabilità direttamente con Lei e con i Ministri competenti. Il 21 marzo organizzeremo a Roma una grande assemblea di delegate e delegati metalmeccanici per discutere e valutare l’evoluzione della situazione e decidere tutte le iniziative necessarie.
Non possiamo più aspettare, questo Paese va cambiato ed il lavoro è l’unico vero motore di un cambiamento che estenda la giustizia sociale e la democrazia, intesa come partecipazione e dignità .
Maurizio Landini
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
“COME MEDICO E SOSTENITORE DELLA SCIENZA AL FEMMINILE IN EUROPA CREDO SAREBBE PIU’ CORRETTO DISCUTERE DI “QUOTE AZZURRE”
Per prendere posizione oggi nel dibattito sulla parità di genere nella legge elettorale, basterebbe infatti ispirarsi all’equilibrio biologico del Pianeta: l’umanità è composta per metà da donne e per metà da uomini, e dunque la «superiorità » del maschio è una costruzione squisitamente culturale, nata dalle condizioni di vita di secoli fa.
O piuttosto una «distorsione», resa necessaria in società in cui la violenza e l’aggressività , tendenze legate al profilo ormonale maschile, avevano una funzione importante perchè garantivano l’approvvigionamento del cibo— tramite la caccia e la conquista di territori — e la protezione della prole in comunità dedite principalmente alla guerra.
Nelle società moderne tuttavia il quadro è capovolto: la violenza un handicap, mentre valgono molto di più le capacità di ricomporre i conflitti tramite il dialogo, la comprensione e l’intuizione, che sono prerogative tipicamente femminili.
Per questo penso che alle donne andrebbe riconosciuto un ruolo non solo paritario, ma addirittura superiore a quello dell’uomo, perchè sono più adatte al mondo di oggi.
Da qui la mia provocazione delle «quote azzurre».
Ho molto riflettuto sui punti di forza femminili e ne ho raccolti dieci, che ho pubblicato nell’ultimo capitolo del libro «Dell’Amore e del Dolore delle Donne» (Einaudi, 2010).
Il primo è di ordine biologico: con la procreazione, la donna ha nelle sue mani la sopravvivenza della specie umana.
Senza contare che nei primi mesi di vita, i bambini sono esposti prima di tutto all’influenza materna, dunque il mondo dell’infanzia, che ci determina come adulti, è un mondo femminile.
Il secondo è la capacità di unire il ruolo procreativo e materno con quello sociale e lavorativo: una delle conquiste sociali più recenti che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale rivoluzionario.
Il terzo è la resistenza al dolore e alla fatica. Potrei testimoniare con migliaia di storie, come le donne abbiano una capacità straordinaria di affrontare la malattia e il dolore psicologico e fisico.
Il quarto punto precedente è la motivazione. Così come per un motivo superiore (l’amore per i figli o per la vita stessa) una donna sopporta e supera tragedie profondissime, così per l’attaccamento ad una causa o un’idea è una lavoratrice instancabile, intelligente, tenace.
Al quarto è legato il quinto punto che è il senso della giustizia. Già oggi metà dei nostri magistrati è donna e la maggior parte di loro si distingue per integrità e fermezza di giudizio.
Il sesto punto è la tendenza all’armonia, che è in linea con il senso femminile per l’organizzazione e l’ordine, molto importante nelle attività gestionali.
Il settimo è la maggior sensibilità soprattutto in senso artistico e culturale. Dico spesso che al cinema, a teatro, ai concerti, alle mostre troviamo soprattutto donne, mentre gli uomini riempiono gli stadi.
L’ottavo è la capacità di ragionamento e concentrazione. Al contrario di ciò che si è detto per secoli, la donna è più adatta alle attività scientifiche e di ricerca.
Al Campus di ricerca biomolecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia, metà del personale è donna e la produttività è straordinaria.
Il nono punto è che le donne decidono meglio e più rapidamente nelle situazioni critiche. Cito ancora il mio campo: quando qualcuno si ammala in famiglia, anziani o bambini, è la donna che prende in mano la situazione.
Il decimo, a cui ho già accennato è che la donna è portata alle soluzioni diplomatiche e la fine delle guerre è la condizione imprescindibile per il progresso civile.
È ovvio che i punti di forza sono molto più di dieci e basta guardarsi intorno: alle nostre compagne, figlie, madri, colleghe per rendersi conto che, quote a parte, il futuro è donna.
Umberto Veronesi
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE: PRESENTATA DALL’ORDINE DEGLI AVVOCATI ISTANZA DI FALLIMENTO, DODICI ANNI PER AVERE UN SENTENZA, MAGISTRATI RIDOTTI A 21, CIASCUNO HA 1300 FASCICOLI PENDENTI A TESTA
«Rinvio al 16 maggio 2020 ore 10». «Possiamo fare le 11?». «Che le importa? È fra sei anni!». «Alle 9 dovrebbe venire l’idraulico…».
La fissazione delle udienze al Tribunale di Vicenza somiglia ormai alla vecchia barzelletta sovietica sui tempi biblici della burocrazia.
E così l’Ordine degli avvocati, appoggiato da un po’ tutte le associazioni di categoria, ha deciso di fare un passo mai visto.
Questa mattina presenta infatti al Tribunale berico un’istanza di fallimento del Tribunale stesso. Per insolvenza.
Che la situazione della giustizia vicentina sia pesante è noto. Non tanto per la penetrazione nella società della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta, che pure hanno infettato pezzi del mondo della produzione e del commercio.
Nè per la violenza in generale, contenuta entro limiti accettabili rispetto ad altre parti d’Italia. Il punto è che, come dicono tutte le analisi, una giustizia semiparalizzata causa danni gravissimi all’economia.
Per capirci, verreste dall’estero a investire in terra berica sapendo che un’azienda artigiana che doveva avere dei soldi da un debitore insolvente ottenne dal tribunale (dopo una denuncia, un’istruttoria e una sentenza) un’ingiunzione di pagamento nel lontano 2005 ma, a causa di una litania di ricorsi del debitore e una via crucis di rinvii, il processo andrà a chiudersi (auguri) il 3 febbraio 2017 e cioè 12 anni dopo l’ordine al debitore di pagare?
Rischiereste i vostri soldi lì
Dicono i numeri che i magistrati di Vicenza, che già sarebbero pochi a pieno organico (36, più 18 onorari) sono scesi a 21.
Con un carico ciascuno di 1300 fascicoli pendenti.
Oltre il doppio, secondo gli avvocati, di quelli che gravano mediamente sugli altri giudici della penisola. Per non dire dei vuoti mai colmati tra il personale amministrativo.
Per dare un’idea: in questa provincia che si vanta di avere la quarta associazione confindustriale d’Italia, un reddito pro capite che nel capoluogo passa i 26 mila euro, depositi bancari che sfiorano i 60 mila euro a famiglia, c’è un magistrato ogni 3.142 imprese, uno ogni 714 milioni di euro di export, poco più di uno ogni 2 miliardi (per l’esattezza 1.809 milioni) di fatturato industriale.
A farla corta: il pianeta economico vicentino è così vasto e complesso da imporre una giustizia molto più efficiente.
Mettetevi al posto di Jean Pierre, un operaio d’origine francese licenziato nel 2011: difficile trovare un posto, a 54 anni.
Conoscere il proprio destino (ha ragione lui o ha ragione il suo ex datore di lavoro?) è una questione di vita o di morte.
Bene: depositato il ricorso nel novembre 2011, la prima udienza fissata nel luglio 2012 è stata rinviata al gennaio 2014 ma, arrivata finalmente la data agognata, non c’era più il giudice, trasferito alla fine del 2013 a Roma.
Dunque? Tutto rinviato di nuovo. A data non ancora stabilita: «e non si tratta di un caso limite. Anzi»
Come può reggere un sistema così?
Ed ecco che Fabio Mantovani, il presidente dell’Ordine degli avvocati vicentini, con l’appoggio di Confindustria, Apindustria, Confartigianato, Confcommercio, Cgil, Cisl, Uil e altri ordini professionali («i magistrati, per evitare ovvie conseguenze di natura disciplinare non possono aderire formalmente altrimenti lo farebbero»), ha deciso, come dicevamo, di presentare oggi un’istanza di fallimento
Il documento, firmato anche da Claudio Mondin e Paolo Dal Soglio, accusa il Tribunale di essere «largamente venuto meno» all’adempimento «di gran parte degli obblighi istituzionali dei quali è portatore».
Denuncia «intollerabili ritardi nella definizione dei procedimenti pendenti, con rinvii di udienza che, nelle cause civili ordinarie, giungono persino a cinque anni, specialmente per le udienze di precisazione delle conclusioni».
Lamenta che «le condizioni di obiettivo e generalmente noto dissesto si sono andate progressivamente aggravando nel tempo, nonostante l’impegno dei magistrati e del personale amministrativo, il cui numero è peraltro andato gravemente diminuendo»
Sotto accusa, insomma, non sono i giudici locali «insostenibilmente congestionati» e impossibilitati a reggere carichi di lavoro impossibili ma quanti, a dispetto di tutte le proteste e tutte le pubbliche denunce cominciate nel lontano aprile del 2001, hanno abbandonato tutto in uno «stato di grave insolvenza».
Conclusione: «Poichè dai fatti menzionati si evidenzia l’assoluta incapacità da parte dell’Amministrazione della Giustizia di adempiere ai fondamentali obblighi propri di una istituzione tenuta a erogare il bene fondamentale della giurisdizione», gli avvocati «fanno istanza affinchè il Tribunale (…) dichiari lo stato di insolvenza del Tribunale di Vicenza».
Una provocazione? Certo. Difficile che una corte condanni per insolvenza se stessa.
Ma non è anche risolvendo questi problemi che passa il rilancio dell’economia?
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
COME SE FOSSE POSSIBILE…
Non molla. E’ determinata, convinta, innamorata.
Talmente innamorata che è disposta a rinunciare a tutto pur di sposare il suo Cavaliere.
“Io a Silvio lo chiedo tutti i giorni. E pur di sposarlo sono disposta a rinunciare a tutto, non voglio niente del suo patrimonio”.
Francesca Pascale in un’intervista a Il Fatto Quotidiano lo fa scrivere nero su bianco e ribadisce il concetto: “A lui l’ho già detto: ‘Da te voglio solo una cosa: il calore delle tue braccia”.
Probabilmente delusa dalle recenti dichiarazione di Berlusconi che ha detto di non pensare affatto a un nuovo matrimonio anche a causa della sua età (77 anni, ndr), Francesca è tornata alla carica, forte del sentimento che la lega al suo compagno al quale lancia un messaggio: “Basta con la storia del vecchio! Ogni volta mi incavolo, non sopporto questa immagine. Ma avete visto che grinta, che forza? Mica può essere vecchio a giorni alterni”.
E sulla presunta lite che si sarebbe scatenata a seguito dell’invito a Arcore che il Cavaliere avrebbe formalizzato a Susanna Canzian, modella trevigiana che con la sua bellezza si è fatta notare da Berlusconi, la Pascale mitiga: “Non ho problemi, possono anche venire in villa, ma devono riuscire a superare tre ostacoli: me, il cancello e la guardia di Dudù”.
Scherza, ma non troppo: “Non dimentichiamo che io sono partenopea e quindi gelosissima delle persone che amo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
“UN SISTEMA DI POTERE INCARTAPECORITO AVEVA BISOGNO DI RIFARSI IL MAQUILLAGE”…”LE LARGHE INTESE SONO LA NEGAZIONE DELLA DIMENSIONE POLITICA, SONO LA PARALISI”
Può succedere che, nella pausa di una lunga intervista, ti ritrovi in una cucina affacciata su un terrazzo precocemente fiorito, a far merenda con tè al gelsomino.
E capita pure che l’intervistato t’interroghi all’improvviso sui romanzi dostoevskijani, l’Idiota in particolare. “A un certo punto, ricorderà , Ippolàt dice a Myskin: ‘Principe, lei un giorno ha detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza’.
In russo la parola mir vuol dire mondo e, allo stesso tempo, pace”. Per fortuna partecipa anche la figlia del professor Zagrebelsky, Giulia, studentessa di Lettere. “Abbiamo presente, per esempio, l’orrore in cui vivevano gl’immigrati di Rosarno? È pensabile che fossero in pace con i propri simili? Chi a Taranto è costretto tra le polveri dell’Ilva, non è nelle condizioni di spirito di chi respira aria di montagna. Chiediamoci se viviamo in un mondo bello o sempre più brutto, in ambienti disumani, dominati dalla violenza, dalla sopraffazione, dallo sfruttamento. Altro che bellezza! Che salvi il mondo, questo nostro mondo, è una frase da cioccolatino. Infatti, l’hanno ripetuta in molti, autocompiacendosi, in occasione dell’Oscar a La grande bellezza, come se fosse quella di Myskin. Oggi si parla per non dire nulla. E si è ascoltati proprio per questo. Il vuoto non disturba e, se è detto in certo modo, è anche seducente. In un “Miss Italia” di qualche anno fa, una ragazza, per presentarsi, ha pronunciato una frase memorabile: ‘Credo nei valori e mi sento vincente’. Una sintesi perfetta del grottesco che c’è nel tempo presente”.
Professore, che impressione le hanno fatto i discorsi del neo premier?
Mah! Non tutto piace a tutti allo stesso modo. In attesa di smentite, mi par di vedere, dietro una girandola di parole, il blocco d’una politica che gira a vuoto, funzionale al mantenimento dello status quo. Una volta Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani definirono ‘razza padrona’ un certo equilibrio oligarchico del potere. Oggi, piuttosto riduttivamente, la chiamiamo ‘casta’. Un’interpretazione è che un sistema di potere incartapecorito e costretto sulla difensiva, avesse bisogno di rifarsi il maquillage. Se questo è vero, è chiaro che occorrevano accessori, riverniciature: il renzismo mi pare un epifenomeno. Vorrei dire agli uomini (e alle donne) nuovi del governo: attenzione, voi stessi, a non prendere troppo sul serio la vostra novità .
Il filo rosso di queste conversazioni è come sta l’Italia. Le risposte non sono quasi mai state incoraggianti: ci siamo chiesti quali responsabilità abbia la classe dirigente.
La classe dirigente — intendo coloro che stanno nelle istituzioni, a tutti i livelli — è decaduta a un livello culturale imbarazzante. La ragione è semplice: di cultura politica, la gestione del potere per il potere non ha bisogno. Sarebbe non solo superflua, ma addirittura incompatibile, contraddittoria. Potremmo usare un’immagine: c’è una lastra di ghiaccio, sopra cui accadono le cose che contano, sulle quali però s’è persa la presa; cose rispetto a cui siamo variabili dipendenti: la concentrazione del potere economico e gli andamenti della finanza mondiale, l’impoverimento e il degrado del pianeta, le migrazioni di popolazioni, per esempio. Ne subiamo le conseguenze, senza poter agire sulle cause. Tutto ciò, sopra la lastra. Sotto sta la nostra ‘classe dirigente’ che dirige un bel niente. Non tenta di mettere la testa fuori. Per far questo, occorrerebbe avere idee politiche e almeno tentare di metterle in pratica. Che cosa resta sotto la crosta? Resta il formicolio della lotta per occupare i posti migliori nella rete dei piccoli poteri oligarchici, un formicolio che interessa i pochi che sono in quella rete, che si rinnova per cooptazione, che allontana e disgusta la gran parte che ne è fuori. La politica si riduce alla gestione dei problemi del giorno per giorno, a fini di autoconservazione del sistema di potere e dei suoi equilibri. Pensiamo a chi erano gli uomini che hanno guidato la ricostruzione dell’Italia dopo la guerra: Parri, Nenni, De Gasperi, Einaudi, Togliatti, per esempio. Se li mettiamo insieme, non è perchè avessero le stesse idee ma perchè ne avevano, e le idee davano un senso politico alla loro azione. Le cose che, oggi, vengono dette e fatte sono pezze, sono rattoppi d’emergenza, necessari per resistere, non per esistere. Non è politica. Nella migliore delle ipotesi, se non è puro ‘potere per il potere’, è gestione tecnica. La tecnica guarda indietro; la politica dovrebbe guardare avanti.
Il governo Monti qualche disastro tecnico l’ha fatto.
La tecnica come surrogato della politica è un’illusione. Se lei chiama un idraulico perchè ha il lavandino otturato, si aspetta che, a lavoro ultimato, lo scarico del lavandino funzioni. Non chiede all’idraulico di cambiarle la cucina. Così, anche i tecnici in politica. Gestiscono i guasti nei dettagli. I governi tecnici per loro natura sono conservatori, devono mantenere l’esistente facendolo funzionare . Dovrebbe essere la politica a immaginare la cucina nuova. E, fuor di metafora, dovrebbe avere di fronte a sè idee di società , programmi, proposte di vita collettiva e, soprattutto nei momenti di crisi come quello che attraversiamo, perfino modelli di società .
Giovani parlamentari e governanti dovrebbero avere un’idea del mondo.
Basta essere nuovi e giovani? No. Quello che conta è la struttura dei poteri cui si fa riferimento e di cui si è espressione. Una volta si parlava di blocco sociale, pensando alle ‘masse’ organizzate in partiti di appartenenza, in sindacati d’interessi consolidati. Si pensava alle classi sociali. Oggi, siamo lontani da tutto questo, in attesa della ricomposizione di qualche struttura sociale che possa esprimere esigenze, richieste e forze propriamente politiche. In questo vuoto politico-sociale che cosa esiste e prospera? La rete degli interessi più forti. È questa rete che esprime i dirigenti attraverso cooptazioni. La democrazia resiste come forma, ma svuotata di sostanza. Se la si volesse rinvigorire, occorrerebbe una società capace di auto-organizzazione politica, ciò che una volta sapevano fare i partiti. Oggi, invece, sono diventati per l’appunto, canali di cooptazione, per di più secondo logiche di clan e di spartizione dei posti. Così, non si promuove il tanto necessario e sbandierato rinnovamento, ma si “allevano” giovani uguali ai vecchi. Ecco la parola: il rinnovamento sembra molto spesso un ‘allevamento’. Il resto è apparenza: velocità , fattività , decisionismo, giovanilismo, futurismo, creativismo ecc. Tutte cose ben note e di spiegabile successo, soprattutto in rapporto con l’arteriosclerosi politica che dominava. Ma, la novità di sostanza dov’è? La ‘rottamazione’ a che cosa si riduce? Tanto più che nelle posizioni-chiave del ‘nuovo’ troviamo continuità anche personali che provengono dal ‘vecchio’ e la soluzione di nodi che ci trasciniamo dal passato è continuamente accantonata, come il cosiddetto conflitto d’interessi.
L’impellente necessità di modificare l’assetto costituzionale è un refrain che abbiamo ascoltato da più parti, negli ultimi anni.
Sì. Le istituzioni possono sempre essere migliorate, rese più efficienti, eccetera. Ma, a me pare che esse siano diventate il capro espiatorio di colpe che stanno altrove, precisamente nelle difficoltà che incontra un aggregato di potere che sempre più difficoltosamente riesce a mediare e tenere insieme il quadro delle compatibilità , in presenza di risorse pubbliche da distribuire sempre più scarse, e in presenza per di più d’una contestazione diffusa. Anche in passato, al tempo di Berlusconi al governo, è accaduto qualcosa di simile, ma non di uguale. L’insofferenza nei confronti della Costituzione a me pare derivasse allora dalle esigenze di un potere aggressivo. Oggi, l’atteggiamento è piuttosto difensivo. I fautori delle ‘ineludibili’ modifiche costituzionali dicono: c’è bisogno di cambiamenti per governare meglio, con più efficienza. Ma lo scopo dominante sembra l’autodifesa. Si tratta di ‘blindarsi’, per usare una parola odiosa molto in voga. Il terrore delle elezioni, la vanificazione dei risultati elettorali, i ‘congelamenti’ istituzionali in funzione di salvaguardia vanno nella stessa direzione.
“Vanificazione dei risultati elettorali”: una cosuccia non da poco in una democrazia.
La grande maggioranza degli elettori si è espressa a favore della fine del berlusconismo. Invece è stato ricreato un assetto governativo-parlamentare nel quale un cemento tiene insieme tutto quel che avrebbe dovuto essere separato. Il Parlamento attuale, sebbene non possa considerarsi decaduto per effetto della legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, dovrebbe considerarsi gravemente privato di legittimazione democratica . Ma si fa ormai finta di niente. Non bisognerebbe far di tutto per rimettere le cose a posto?
Larghe intese versus Grillo.
Le larghe intese sono la negazione della dimensione politica. Sono il regime della paralisi, della stasi. Platone paragona il buon politico al buon tessitore, al buon nocchiero, al buon medico. Nei suoi dialoghi, non è mai detto che il politico è colui che s’immagina come debba essere la convivenza nella polis: non si aveva nell’antichità l’idea che la politica fosse fatta di contrapposizione di modelli. L’idea della politica come scelta è una novità moderna. Oggi sembra che si viva in un eterno presente, in cui una posta di natura politica non esiste. Se non ci sono scelte, non c’è politica, e se non c’è politica non c’è democrazia, ma solo conflitti personali, di gruppo o di clan per posti, favori e, nel caso peggiore, garanzie d’immunità .
Quindi siamo senza futuro.
Finchè la palude non viene smossa. Perchè i cittadini vanno sempre meno a votare? Una volta si diceva ‘son tutti uguali’, intendendo ‘sono tutti corrotti’. Ma oggi è peggio, si pensa: ‘tanto non cambia nulla’. È un effetto della stasi politica. Il Movimento 5 Stelle è nato col dichiarato intento di smuovere la palude, addirittura di investirla con una burrasca che rovesci tutto. Una negazione, dunque. Ma, la politica deve contenere anche un intento costruttivo. Questo, finora, non è visibile o, almeno, non è percepito. Non che sia molto diverso, presso gli altri partiti, solo che questi sono già radicati e godono perciò del plusvalore che viene dall’insediamento istituzionale. Per chi si affaccia, un’idea chiara e forte del ‘chi siamo’ e ‘per cosa ci siamo’ è indispensabile. La tabula rasa e la rete non sono programmi. Non lo è nemmeno la lotta alla corruzione che, di per sè, rischia d’essere solo una competizione per la sostituzione d’una oligarchia nuova a una vecchia. Oltretutto, la storia e la stessa ‘materia del potere’ mostrano che nella politica la lotta contro la corruzione è senza prospettiva. Contro la corruzione devono valere le istituzioni di controllo e l’intransigenza dei cittadini. La politica è intrinsecamente debole. La ragione sta in quella che, all’inizio del secolo scorso, è stata definita la ‘ferrea legge delle oligarchie’, il che significa che i grandi numeri, per essere governati, hanno bisogno dei piccoli. I piccoli — e l’osservazione vale per tutti, anche per i 5 Stelle — prima o poi si chiudono in se stessi e si alimentano con la corruzione, alimentandola a propria volta. In difetto di politica, alla corruzione non c’è limite perchè essa, nei regimi autoreferenziali, non è la patologia, ma la fisiologia del potere. Se si vuole: è la fisiologia dentro una patologia.
Senza speranza, dunque?
Siamo di fronte a un bivio. Da una parte c’è il progressivo arroccamento che, prima di implodere, passerebbe attraverso misure, dirette o indirette, contro la democrazia e la Costituzione. Dall’altra, la rianimazione della politica e la riapertura dei canali della partecipazione, che dovrebbe portare al rafforzamento della democrazia e della Costituzione. La prima strada è pericolosa anche per chi volesse percorrerla, perchè l’inquietudine sociale, prima o poi, esploderebbe con esiti che non vorremmo nemmeno immaginare. La seconda è difficile perchè la politica non s’inventa a tavolino scrivendo documenti, ma si costruisce quotidianamente nel rapporto con i bisogni, le aspirazioni, le difficoltà e i dolori dei cittadini.
Cosa pensa della decisione di non chiedere un passo indietro ai sottosegretari indagati?
La giovane ministra per i rapporti col Parlamento ha detto che non si chiede a qualcuno di dimettersi solo perchè inquisito. Giusto. Altrimenti, la politica sarebbe in balia non solo, o non tanto, della discrezionalità dei giudici, ma soprattutto di denunce pretestuose o calunniose, alle quali il magistrato deve dare corso. La questione però sta in quel “solo”. Politica e giustizia hanno logiche diverse. Nulla vieta al governo di difendere — fino a un certo punto — i suoi inquisiti con le ragioni che gli sono proprie, cioè con ragioni politiche. Ma deve spiegare perchè lo fa, pur in presenza di motivi di sospetto; deve assumersene la responsabilità ; deve giustificare perchè abbandona uno e protegge un altro. Non basta dire che si tratta ‘solo’ di procedimenti penali avviati e non conclusi (con una condanna). La presunzione d’innocenza non c’entra nulla con la dignità della politica.
Lei è mai stato tentato dalla politica?
Ciò cui mi sento più adatto è l’insegnamento. Per la politica, soprattutto per la politica, occorrerebbe una vera vocazione. Ricorda la conferenza di Max Weber intitolata, per l’appunto, la politica come professione-vocazione? Ecco: non sento la vocazione. C’è poi una considerazione che riguarda un potenziale conflitto d’interesse. Chi si occupa di attività intellettuali deve essere disinteressato personalmente. Ancora citando Weber: non deve cedere alla tentazione di mettere se stesso, e i suoi interessi, davanti all’oggetto dei suoi studi. Potrebbe esserci la tentazione di dire cose e sostenere tesi non per amore della verità (la piccola verità che si può andar cercando), ma per ingraziarsi questo o quel potente che ti può offrire, arruolandoti, una carriera politica.
Perchè la politica non attrae più i migliori?
Una volta avere in famiglia un deputato o un senatore era come avere un cardinale. Oggi, talora, ci si vergogna perfino. Ha visto quanti ‘rifiuti eccellenti’, opposti alla seduzione di un posto al governo? Se la politica non ha prospettive ma è semplicemente un girone d’affari, non servono politici, servono affaristi
Vota?
Ho sempre votato, malgrado tutto. C’è una pagina di Non c’è futuro senza perdono del premio Nobel per la Pace e arcivescovo di Città del Capo, Desmond Tutu, in cui si descrive la coda al seggio dei neri del suo Paese che, acquistati i diritti politici dopo l’apartheid, per la prima volta vanno a votare, piangendo. Attenzione a dire che il voto è un orpello.
Cosa pensa dell’Italicum nato dall’accordo tra il Pd e Forza Italia?
Non so che cosa ne verrà fuori. Mi colpisce, comunque, che la legge elettorale sia decisa dagli accordi d’interesse di tre persone (Berlusconi, Renzi, Alfano), invece che dalle ragioni della democrazia, cioè dalle ragioni di tutti i cittadini elettori. Mi colpisce tanta arroganza, mentre con un Parlamento delegittimato come l’attuale, si tratterebbe di fare la legge più neutrale possibile. Mi colpisce che si pensi a una legge che, contro un’indicazione precisa della Corte costituzionale, creerebbe una profonda disomogeneità politica tra le due Camere. Mi colpisce che si dica con tanta leggerezza che non importa, perchè il Senato sarà abolito. Mi colpisce che nel frattempo, comunque, si sospenderà il diritto alle elezioni, perchè la contraddizione tra le due Camere impedirà di scioglierle. Mi colpisce che non ci siano reazioni adeguate a questa passeggiata sulle istituzioni.
E l’idea di “diminuire” il Senato?
Vedremo la proposta. Fin da ora, vorrei dire che piuttosto che un pasticcio — interessi frammentati di politici locali con una spruzzata di cultura —, piuttosto che una cosa indefinita, senza una funzione, una propria ragion d’essere stabile e continuativa, meglio l’abolizione radicale. Meglio il nulla, piuttosto che l’umiliazione. Esistono già commissioni paritetiche, per la bisogna. Si cerchi di non trattare le istituzioni come merce vile che si vende al qualunquismo antiparlamentare al prezzo di qualche piccolo risparmio sul ‘costo della politica’. I Senati, o ‘seconde Camere’, o ‘Camere alte’ hanno profonde ragioni d’esistenza. Le loro funzioni, quali che esse specificamente siano, si giustificano con l’esigenza di introdurre nei tempi brevi della democrazia rappresentativa la considerazione d’interessi di più lunga durata, che riguardano — come si dice — le generazioni future. Sono assemblee moderatrici rispetto all’incalzare del consenso elettorale che deve essere incassato a intervalli brevi dall’altra assemblea. La prima Camera è necessariamente miope; la seconda Camera deve essere presbite. Deve far valere le ragioni della durata su quelle dell’immediatezza. La sua composizione e le sue funzioni dovrebbero tener conto di questa vocazione, essenziale affinchè la democrazia rappresentativa non dilapidi in tempo breve le risorse di tutti, nell’interesse elettorale di qualcuno. Mi pare che i discorsi dei nostri riformatori restino molto in superficie, rispetto alla profondità della questione.
Non è un bel momento, anche per le istituzioni di garanzia.
Le istituzioni di garanzia sono la magistratura, dunque anche la corte costituzionale, e il presidente della Repubblica. Poi c’è la libera stampa, che dovrebbe vigilare nell’esercizio della sua funzione al servizio della pubblica opinione. Siccome nelle oligarchie, come si è detto, le segrete cose — trattative, patti non dichiarati e dichiarabili, corruzione delle funzioni pubbliche — sono fisiologiche, le istituzioni di garanzia e libera stampa dovrebbero fare da contraltare quando occorre. In ogni caso, non mescolarsi e non omologarsi.
Il sistema italiano è perfettamente riassunto dal rapporto tra Rai e politica: è una commissione parlamentare che vigila sul servizio pubblico — e sull’informazione che produce — e non il contrario. Ben più che un paradosso.
È uno dei grandi rovesciamenti che ci tocca osservare in questi tempi. Non l’unico. Pensiamo ad esempio al sistema elettorale. Dovrebbe garantire che la base della vita politica stia presso i cittadini elettori. La logica della legge che abbiamo avuto fino a ora e, con ogni probabilità , di quella che avremo se la riforma andrà in porto, è invece quella della nomina dall’alto (delle segreterie dei partiti), con ratifica degli elettori. Uno dei principi del Fascismo era: ‘il potere procede dall’alto ed è acconsentito dal basso’.
Torniamo a Weber: cosa può indurre uno studioso a rinunciare a un bene sommo quale l’autonomia?
Le risposte più banali sono la seduzione del potere, la carriera. C’è però, credo, la tentazione dell’apprendista stregone o della ‘mosca cocchiera’: pensare di guidare la politica. Quando Carl Schmitt è stato processato a Norimberga, ha osato dire: ‘Non sono io a essere stato nazista, era il nazismo a essere schmittiano’.
Il pericolo non è essere costretti a sostenere certe tesi a tutti i costi?
Se si riferisce all’atteggiamento di molti costituzionalisti nei confronti dell’ultima fase della presidenza di Giorgio Napolitano, direi che è prevalsa l’idea che il presidente della Repubblica fosse l’ultimo baluardo, al di là del quale il caos, il disastro, il fallimento. Ciò ha portato a giustificare l’assunzione di compiti e il compimento di atti che nella storia costituzionale repubblicana, non si erano mai incontrati. Al punto che si parla ormai come cosa ovvia, non problematica, d’una repubblica presidenziale che ha preso il posto del sistema parlamentare. Tutto ciò si è manifestato in un attivismo finora sconosciuto. Ma è stato un attivismo orientato a quella che si dice essere la stabilità e la continuità , e che si traduce in conservazione. Mi pare che si possa dire che è prevalsa la paura del nuovo, il pessimismo politico. Solo apparentemente per paradosso, l’attivismo costituzionale è coinciso con il conservatorismo politico. La Costituzione, prevedendo un ruolo neutrale e super partes, del presidente della Repubblica, dà , mi pare, un’indicazione opposta: l’imparzialità costituzionale per consentire le innovazioni politiche, il rinnovamento della vita politica. Ottimismo politico.
Silvia Truzzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 9th, 2014 Riccardo Fucile
UN RICORSO BLOCCA L’ALLESTIMENTO DELLA GALLERIA DI REGGIO CALABRIA… CHIUSI 4 PIANI TRANNE DUE SALE
Mai slogan fu più azzeccato. «Gira e rigira la Calabria ti stupisce sempre», c’era scritto a caratteri cubitali nella sala del Consiglio regionale dove ieri il governatore Giuseppe Scopelliti presentava un accordo con l’Alitalia per far arrivare frotte di turisti da tutto il mondo: destinazione il museo della Magna Grecia di Reggio Calabria, dove sono esposti da tre mesi i Bronzi di Riace. Ma soltanto loro, però.
A proposito di stupore, immaginate quello di chi, entrando in quel museo, scoprirà che sono aperte soltanto due sale, con le statue meravigliose trovate nel 1972 nelle acque calabresi e pochi altri straordinari oggetti, come la testa del Filosofo.
Il resto dello spazio è completamente vuoto, e tale rimarrà ancora per un anno: se tutto andrà per il verso giusto.
Perchè il calvario del Museo progettato negli anni Trenta del secolo scorso dall’architetto Marcello Piacentini non è ancora finito.
Si era impegnato allo spasimo il ministro dei Beni culturali del governo di Enrico Letta, Massimo Bray, perchè aprisse i battenti prima di Natale.
Quattro anni avevano aspettato i Bronzi di Riace sdraiati nell’androne di palazzo Campanella, dov’erano stati ricoverati in attesa che venisse completata la ristrutturazione del museo.
Quattro lunghi anni, con i lavori che andavano a rilento, si fermavano, poi ripartivano, per rifermarsi ancora, e i costi che salivano e salivano, fino a triplicarsi: da 10 a 33 milioni. Mentre le più belle statue di bronzo giunte a noi dall’antichità , precipitate in un avvilente dimenticatoio, venivano trasformate in protagonisti di spot propagandistici travalicando il pessimo gusto («Che ne dici di un po’ di montagna?». «Dai, al mare ci siamo sempre divertiti!» «Uff! Duemila anni…»).
E la riapertura si allontanava sempre più. Il museo della Magna Grecia doveva essere pronto per le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, il 17 marzo 2011?
Ebbene, i Bronzi vi rientrano soltanto a dicembre 2013.
Nell’occasione, Bray non nasconde «grandissima emozione» nel vedere i due capolavori rimessi finalmente in piedi dopo 1.460 giorni «qui nel loro museo, un luogo bellissimo che abbiamo restaurato e restituito alla città ».
Ma forse, preso dal comprensibile entusiasmo, eccede nell’ottimismo. Perchè se i Bronzi sono tornati finalmente a casa, lo stesso non si può dire per le altre centinaia di formidabili reperti che dovrebbero essere esposti lì insieme alle due statue.
Una delle collezioni archeologiche più importanti e ricche d’Europa rimane chiusa nei depositi perchè manca ancora da realizzare l’allestimento nonchè gli impianti climatici di tutti gli spazi rimanenti. Parliamo di quattro piani interi.
E per quanto i soli Bronzi valgano assolutamente la visita al museo (provare per credere), è una cosa francamente inaccettabile dopo che Reggio Calabria ha dovuto aspettare tutto quel tempo solo perchè le porte del palazzo di Piacentini venissero riaperte
Da quando la ristrutturazione del museo reggino è iniziata hanno esaurito il loro mandato quattro ministri dei Beni culturali: Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Lorenzo Ornaghi e Massimo Bray. La patata bollente ora passa nelle mani del quinto, Dario Franceschini.
Il 10 gennaio scorso la soprintendente ai beni archeologici della Calabria, Simonetta Bonomi, dichiara davanti alle telecamere di Uno Mattina: «Adesso si sta lavorando per consentire la riapertura completa del museo, prevista per giugno. Le condizioni per rispettare la scadenza ci sono tutte, dopo l’aggiudicazione definitiva dei lavori». L’appalto vale cinque milioni, non bruscolini.
Peccato solo per quel ricorso al Tar che ha di nuovo bloccato tutto. Il consorzio Research contesta l’esito della gara vinta da una cordata di cui fanno parte le società Set up live, Protecno e la cooperativa Gnosis, chiedendo la sospensiva. Che però il Tribunale amministrativo respinge.
A concederla ci pensa invece il Consiglio di Stato, per ironia della sorte, proprio nelle stesse ore in cui Scopelliti e l’amministratore delegato di Alitalia Gabriele Del Torchio presentano l’accordo per portare i turisti al museo di Reggio Calabria.
E la vicenda, ben raccontata da Antonietta Catanese sul Quotidiano della Calabria , prende una piega imprevedibile nel vortice della burocrazia.
I lavori sono fermi e la palla, per la decisione sul merito della questione, rimbalza di nuovo al Tar. Che ha fissato l’udienza per il mese di luglio, cioè ben oltre il termine stabilito per la riapertura completa.
Se il tribunale confermerà il risultato della gara, allora i lavori potranno riprendere, ma non termineranno prima di cinque mesi: tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015.
Nella migliore delle ipotesi, ovviamente.
E sempre che la decisione del Tar non venga seguita da un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato. In quel caso, è tutto da vedere. Se invece il Tribunale amministrativo darà ragione a chi ha promosso la causa, si dovrà rifare la gara.
Nel frattempo non resta che consolarsi con Giuseppe Verdi. Sabato 15 marzo il museo archeologico della Magna Grecia ospita una mostra dedicata al grande compositore, di cui l’anno scorso ricorreva il bicentenario della nascita, che ha già fatto tappa a Roma.
Titolo: «Giuseppe Verdi. Musica, cultura e identità nazionale».
Di spazio, si può starne certi, ce n’è in abbondanza.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: denuncia | Commenta »