Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
PARLA L’AVVOCATO CHE “UCCISE” IL PORCELLUM
Felice Besostri è uno dei legali dal quale partì l’iter giudiziario che portò la legge Calderoli alla bocciatura davanti alla Consulta.
E non è tenero nemmeno nei riguardi dell’Italicum, il testo frutto dell’accordo Renzi-Berlusconi che ha ricevuto il primo via libera dalla Camera.
“E’ un trucco, un tradimento della libera volontà degli elettori, in violazione di precise norme costituzionali“, dice commentando il premio di maggioranza così come previsto dal nuovo testo.
E il gran dibattito sulle quote rosa?
“Cosmesi sui cadaveri, le liste bloccate sono comunque incostituzionali, anche con il cinquanta per cento di donne”.
E i tempi per un nuovo giudizio costituzionale?
“Se la legge viene approvata in fretta, il ricorso potrebbe rientrare in un procedimento ancora aperto in Cassazione come strascico della questione Porcellum ed essere in breve mandato alla Consulta”.
Altrimenti, conclude l’avvocato, si percorrerà la via ordinaria.
Piero Ricca
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
E APRE AL DIALOGO: “CONFRONTIAMOCI”
È “confronto” la parola magica. Consapevole che il Senato possa trasformarsi nella sua steppa russa, Matteo Renzi la mette così, in modo assai poco renziano: “Oggi — dice in conferenza stampa – ho consegnato ai ministri un ddl costituzionale di riforma del Senato, che formalmente consegniamo a tutti i leader politici che stanno in Parlamento, di maggioranza e opposizione, ai soggetti sociali protagonisti e non formalizziamo in Parlamento, diamo 15 giorni di tempo a chi vuole darci informazioni migliorative e poi incardiniamo”.
Quindici giorni, dunque. Per un “confronto” su un testo che è tutt’altro che chiuso.
Perchè l’approvazione dell’Italicum ha lasciato aperte le piaghe nel corpo nel Pd. Non si tratta più di casi singoli di malessere verso Renzi. Ora ci sono, fotografati dal pallottoliere della Camera, i numeri del dissenso: sulle preferenze, sulle quote rosa, insomma sull’accordo con Berlusconi.
E il rischio è che a palazzo Madama inizi la vera Grande Guerra, come la chiama qualche renziano informato.
Già , a palazzo Madama. Dove il secondo tempo sull’Italicum si intreccia col primo tempo sulle riforme costituzionali.
E le scintille già si intravedono nelle raffiche sparate nel giorno dell’approvazione della legge elettorale alla Camera. I lettiani non votano, i turchi assicurano che è l’ultima fiducia al buio a Renzi, Pier Luigi Bersani annuncia che al Senato il gruppo non può essere messo di fronte a un prendere o lasciare: “Questa legge va migliorata, ci sono cose che non mi convincono. Capisco gli accordi ma mi stupirei se Berlusconi avesse l’ultima parola, non c’è alcuna ragione e in qualche passaggio mi è sembrato questo”.
E allora si capisce perchè Renzi tema che, prima delle europee, possa rimanere bloccato nella steppa russa.
Nelle intenzioni vorrebbe “far fare un giro” alla riforma del Senato per poi passare all’Italicum e approvare tutto prima delle Europee.
Dove per “fare un giro” si intende approvarla in prima lettura in Aula. Di fronte alle intenzioni c’è, appunto, la steppa.
Perchè il premier sa di essere atteso al varco da una Commissione Affari Costituzionali che considera ostile. Palazzo Madama non è Montecitorio. Senza mediazioni, su tutto, è difficile che passi qualcosa. Perchè il Pd non ha la maggioranza. E i renziani puri, nella commissione presieduta dalla Finocchiaro, non ci sono.
Ecco allora che non è un caso che il premier abbia deciso di convocare una riunione con il suo gruppo la prossima settimana, per provare a procedere in modo più inclusivo sul percorso — riforma del bicameralismo e poi Italicum — e nel merito.
E non solo con i suoi visto che il partito di Alfano ha già fatto sapere, per bocca di Schifani, che senza modifiche non è disposto a votare l’Italicum a scatola chiusa.
E allora non è un caso che un testo dettagliato, “chiuso”, di riforma del bicameralismo ancora non c’è.
Anzi, Renzi ha spiegato che serviranno “un paio di settimane” per sfornarlo.
Ci sono almeno tre ipotesi sul campo: un Senato non elettivo sul modello di quello illustrato alla direzione del Pd, un Senato a trazione regionale, una ipotesi intermedia. Tra i nodi ancora non sciolti c’è anche — e non è un dettaglio — la questione del relatore. Perchè i rapporti con la Finocchiaro, autrice di un disegno di riforma costituzionale a doppia firma con Zanda, sono ancora avvolti dal gelo.
E qui nasce il dilemma: “Affidare alla Finocchiaro il compito di fare la relatrice o lasciare tutto nelle mani del ministro Boschi?”.
Decisione che ancora non è stata presa. E che sarà presa, probabilmente, dopo il confronto con il gruppo.
Insomma, al momento prevale l’idea di una road map condivisa. È il segno che a palazzo Chigi si stanno già attrezzando nel timore di imboscate.
Proprio quel che è successo alla Camera — i franchi tiratori, la necessità di portare il governo in Aula per non andare sotto — sta inducendo l’inner circle a cambiare modalità . La Camera dice che per poco non saltava tutto.
Renzi che alla Camera si è mosso come un leone al Senato di fronte ai leoni ha intenzione di farsi volpe: accelerare sì, ma coinvolgendo.
Anche perchè sul passaggio al Senato già trapelano le preoccupazioni del capo dello Stato.
Riguardano non solo il nodo delle soglie e delle preferenze, ovvero della tenuta del patto. Ma riguardano anche il merito delle riforma che porterà al nuovo Senato che il capo dello Stato monitora con grande attenzione.
Anche perchè, vista dal Colle, solo una puntuale riforma del Senato rende accettabile il percorso un po’ bizzarro di una legge elettorale valida solo per una Camera.
È un cammino che si annuncia accidentato. Per arrivare a un nuovo Senato che non deve più dare la fiducia e che non ha membri eletti occorre mettere mano a una cinquantina di articoli della Costituzione.
Più un democrat di peso, dalle parti di palazzo Madama, giudica impossibile fare tutto in due mesi.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
“AVREBBE FATTO UN FATTURATO ECCEZIONALE”
Marcello Dell’Utri, in un’intervista alla Stampa, è rimasto incantato dalla conferenza stampa di Matteo Renzi, in cui il premier ha illustrato i provvedimenti economici dei prossimi mesi.
Non ci pensa nemmeno un attimo: “Fantastico”.
Ridacchia: “No, guardi, di più: io l’ho trovato stra-or-di-na-rio!”.
Marcello Dell’Utri, ex senatore di Forza Italia, ex presidente di Publitalia, ascoltato consigliere di Silvio Berlusconi ieri sera ha scoperto un nuovo amore, Matteo Renzi.
“L’ho ascoltato in tivù, mi ha incantato”.
Lo avrebbe assunto a Publitalia?
Di corsa! Avrei fatto un fatturato eccezionale”
Un bravo venditore.
Bravissimo: ha sentito quando ha detto che se non riesce a fare la riforma elettorale “non è la fine di questo governo ma la fine della mia attività politica”? Be’, un grande. Così perentorio non ho mai visto nessuno. È davvero convincente. Ovviamente finchè non farà ciò che ha detto… Ma ora siamo tutti con lui.
Meglio di Silvio?
Ah, se riuscirà a fare ciò che dice, molto meglio. Perchè poi, diciamo la verità , il povero Berlusconi non è riuscito a farlo.
Certo che Renzi piace più alla destra che alla sinistra.
Perchè a sinistra non sono abituati a figure del genere, sono più sobri. Il piglio di Renzi è più usuale a destra.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
FEDERICA GAGLIARDI ERA NELLA DELEGAZIONE DEL G8 DI TORONTO INSIEME ALL’EX PREMIER
Un trolley con 24 kg di cocaina.
Portato a mano come fosse pieno di vestiti e souvenir raccolti in vacanza.
Intorno alle 15 i finanzieri del gruppo di Napoli hanno fermato Federica Gagliardi all’aeroporto di Fiumicino con il suo clamoroso bagaglio.
La donna è la famosa “dama bianca” di Silvio Berlusconi. Stava rientrando da un viaggio in Sudamerica, il suo volo era appena atterrato e in questo momento sono in corso gli accertamenti.
La Gagliardi spuntò, come una visione, sull’aereo che accompagnava Silvio Berlusconi in Canada, in occasione del G20 del 2010.
Bella, 28 anni, dipendente della Regione Lazio assunta dall’allora Governatrice Renata Polverini: fu quello il primo e forse unico momento di notorietà , che finì su tutte le copertina di quotidiani e settimanali come la possibile nuova fidanzata del Cavaliere. Per un po’ la ragazza finì nel dimenticatoio, fin quando il suo nome non spunta nuovamente un anno dopo, questa volta per una storia meno simpatica.
Il suo mentore politico, il consigliere comunale del Pdl Francesco Maria Orsi, l’uomo che aveva raccontato di aver presentato Federica al Cavaliere, finisce travolto in un’inchiesta di mazzette, prostitute e cocaina.
“Ma io con quelle cose non c’entro nulla”, si era difesa lei.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
LA STORIA DI UNA POLIZZA VITA DA 175.000 EURO SOTTOSCRITTA A 86 ANNI DI ETA’… CON LUI COME BENEFICIARIO
«Scrivo la presente lettera perchè resti memoria di quanto accaduto».
Inizia così un documento che rivela una diatriba familiare di cui si è reso protagonista Geronimo La Russa.
A firmare la lettera è Lidia Peveri, nonna del primogenito dell’ex ministro Ignazio La Russa, scomparsa nell’ottobre del 2013.
E lo fa, racconta, per conservare il ricordo di quello che lei stessa definisce «un inganno» perpetrato ai suoi danni dal nipote nell’agosto 2010, quando la signora aveva 86 anni e Geronimo, tra le altre attività , rivestiva un incarico pubblico di una certa importanza, quello di vice presidente dell’Aci di Milano.
Lidia Peveri spiega che, dopo la morte del marito, avvenuta nel gennaio 2010, «mio nipote Geronimo si volle interessare della mia situazione economica» e «con varie argomentazioni insistette affinchè aprissi un conto presso la sua banca di fiducia e vi depositassi parte del denaro».
Giunti all’agenzia Unicredit di piazza San Babila, a Milano, «pochi minuti prima della chiusura, mi furono posti innanzi molti fogli che venni invitata a firmare subito, data la imminente chiusura, e che quindi non feci in tempo a leggere.
Li firmai fidandomi di mio nipote, nella certezza di solo depositare i miei denari», continua la memoria.
Dopo qualche mese, però, la signora Lidia decise di riportare il suo patrimonio più vicino a casa sua, nei pressi di Melegnano, a qualche chilometro di distanza dalla città : «Ebbi la tristissima sorpresa di scoprire di essere stata ingannata e di aver quel giorno sottoscritto una polizza di assicurazione a beneficio, guarda caso, di mio nipote».-
«l’Espresso», che pubblica la storia nel numero in edicola venerdì 14 marzo, raccontando come l’ingente patrimonio dei nonni materni di Geronimo sia stato distribuito fra i vari rami della famiglia, ha potuto consultare i documenti citati nella memoria: la polizza è datata 5 agosto 2010, è emessa da CreditRas e prevede un premio unico versato alla sottoscrizione dalla signora Peveri di 175 mila euro.
Il beneficiario unico è Geronimo La Russa.
Camilla Conti e Luca Piana
(da “l’Espresso“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
NEL 2013 IL DISAVANZO E’ RIMASTO AL 3% CONTRO IL 2,6% RACCOMANDATO DALL’EUROPA… DRAGHI CHIEDE CHE IL DEBITO SIA MESSO IN “TRAIETTORIA DISCENDENTE”… E RENZI CHE SPERAVA DI SFORARE…
La Banca centrale europea gela l’Italia.
Il nostro Paese — secondo la Bce — “non ha fatto tangibili progressi rispetto alla raccomandazione della Commissione Ue” per far scendere il deficit, rimasto al 3% nel 2013 contro il 2,6% raccomandato dall’Europa.
L’organismo guidato da Mario Draghi chiede che Roma faccia “i passi necessari” per rientrare nel deficit e assicuri che il debito sia messo “in traiettoria discendente”.
L’obiettivo del 2,6% che deve essere raggiunto nel 2014, secondo le stime recenti di Bruxelles.
Ma su quei decimi di punto percentuale di spazio di manovra — quantificati in circa 6 miliardi di euro — si gioca anche parte della riserva finanziaria dalla quale il governo vuole attingere per innescare la ripresa.
Ma nel bollettino della Bce c’è spazio anche per una piccola nota positiva che riguarda l’Italia.
Nel Belpaese, in Spagna e a Malta il bilancio strutturale quest’anno dovrebbe migliorare “in qualche misura più di quanto atteso nell’autunno 2013, anche se pur sempre meno dei requisiti posti dal Patto di stabilità ”.
L’analisi sottolinea che, nel complesso dell’Eurozona, il miglioramento strutturale sarà pari “solo allo 0,13% del Pil”, appena un quarto dello 0,5% previsto dal Patto. In altri sette Paesi (Belgio, Germania, Estonia, Francia, Lussemburgo, Olanda e Slovenia) il bilancio strutturale “dovrebbe migliorare meno o peggiorare più” di quanto atteso in autunno.
Estendendo lo sguardo a tutta l’Eurozona, la Bce prevede che “in prospettiva, la ripresa in atto dovrebbe proseguire, seppure a un ritmo contenuto”.
In particolare, si dovrebbe concretizzare un ulteriore miglioramento della domanda interna, sostenuto dall’orientamento accomodante della politica monetaria, e da condizioni di finanziamento più favorevoli e dai progressi compiuti sul fronte del risanamento dei conti pubblici e delle riforme strutturali. Inoltre, spiega ancora l’Eurotower, “i redditi reali beneficiano di prezzi dell’energia più contenuti. L’attività economica dovrebbe altresì trarre vantaggio da un graduale rafforzamento della domanda di esportazioni dell’area”.
Al tempo stesso, seppure in fase di stabilizzazione, la disoccupazione resta elevata nell’area dell’euro e i necessari aggiustamenti di bilancio nei settori pubblico e privato “continueranno a pesare sul ritmo della ripresa”.
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
“PER ORA SOLO PAROLE, ASPETTIAMO E VEDIAMO”…. IL PROBLEMA FITTO
«Mi dicono sia stato un super mega show, un libro dei sogni, il ragazzo del resto è bravo con le parole» ironizza Silvio Berlusconi quando in serata gli raccontano della conferenza stampa di Matteo Renzi a Palazzo Chigi.
La diretta tv non l’ha seguita, impegnato per quasi tre ore nel “parlamentino” al piano terra di Palazzo Grazioli per la riunione fiume coi dirigenti pugliesi di Forza Italia, capitanati da Raffaele Fitto
Ai suoi, il Cavaliere consente di sbizzarrirsi nei commenti, lo faranno a ruota tutti, da Toti alla Bergamini, dalla Gelmini alla Bernini.
Ma il leader preferisce tenersi alla larga da qualsiasi commento pubblico, evita accuratamente di infierire sebbene si dica preoccupato per l’ipotesi di aumento della tassazione sulle rendite finanziarie.
«Aspettiamo, vediamo » si defila. In fondo Berlusconi plana su Roma in mattinata, nelle stesse ore in cui l’Italicum viene approvato alla Camera.
E non nasconde la soddisfazione per quel primo via libera al testo frutto del suo accordo col premier che (per ora) ha retto, nonostante insidie e voti segreti.
Non gli va di infierire, insomma
Alla quarantina tra consiglieri e amministratori pugliesi che lo intrattengono per mezzo pomeriggio, il leader racconta per l’ennesima volta la storia dei «quattro colpi di Stato», della «persecuzione giudiziaria» in questi vent’anni, promette che lui non si farà da parte e che vorrebbe candidarsi anche alle Europee.
«Anche se aspetto di capire cosa mi dicono i miei avvocati, vedrete che i giudici si preparano a bocciare i nostri ricorsi pur di escludermi dalla competizione e farmi fuori» dice.
Che la sua candidatura sulla carta resta in piedi Berlusconi lo aveva abbozzato anche al vertice ristretto andato in scena qualche ora prima nella sala da pranzo. Commensali: Giovanni Toti, Denis Verdini, i capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta, la portavoce Deborah Bergamini, Simone Baldelli (vicepresidente della Camera).
La scadenza del 15 aprile per le candidature alle Europee ora è diventata prioritaria nel timing di Palazzo Grazioli, sempre dopo la questione che più sta a cuore al Cavaliere: la decisione del Tribunale di sorveglianza sui servizi sociali o i domiciliari ai quali destinarlo per nove mesi.
E il caso che sta diventando di giorno in giorno sempre più ingombrante è quello riconducibile alla candidatura di Raffaele Fitto.
Nel pranzo, alcuni commensali si premurano di far presente quanto sia «inopportuna» una corsa del peso massimo pugliese nella circoscrizione Sud.
La tesi è che bisognerebbe evitare l’exploit elettorale dell’ex governatore, tanto più in una competizione in cui farà il suo esordio Giovanni Toti, in cui corrono tutti gli eurodeputati uscenti e in cui, giocoforza, non potrà essere in gara Berlusconi. L’escamotage allora sarebbe la regola della non candidabilità dei parlamentari nazionali, affidando la decisione ufficiale alla Commissione elettorale del partito da convocare a breve. Berlusconi non ne fa cenno a Fitto alla presenza dei dirigenti pugliesi.
Il deputato, che non è stato tenero con la gestione recente, torna oggi a Grazioli per un nuovo incontro, questa volta a quatt’occhi.
Carmelo Lopapa
(da “la Repubblica“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
AMMACCATA IN PARTENZA, LA LEGGE ELETTORALE SFIDA INSODDIFAZIONI BIPARTISAN
L’Italicum è già in viaggio per il Senato, passato a Montecitorio con 365 sì, 156 no e 40 astenuti. Ma dentro mancano un sacco di cose.
E alcune, a giudicare dai voti che hanno permesso questo impianto finale, non possono che suscitare scandalo.
Infatti, a sentire l’altro giorno in aula Davide Ermini del Pd, si aveva l’impressione di sognare. Perchè l’esponente renziano, nel momento di votare l’emendamento presentato dal popolare Pino Pisicchio sul conflitto d’interessi nella legge elettorale, motivava in questo modo il rifiuto dem di dare il via libera a una proposta di assoluto buon senso: “Il Pd è da sempre a favore del principio del conflitto di interessi, ma non siamo convinti dalle soluzioni proposte dagli emendamenti; e poi, ci par di capire, c’è qualcuno che confonde il tema del conflitto d’interessi con l’ineleggibilità ”.
No, Pino Pisicchio non aveva fatto alcuna confusione nello scrivere un emendamento, peraltro sottoscritto anche da Pippo Civati, che prevedeva l’ineleggibilità per i titolari legali di aziende concessionarie pubbliche e anche per il proprietario che controlla direttamente o indirettamente l’azienda.
“Mi ero limitato a voler aggiornare una legge del febbraio del ’53, la numero 60, che prevedeva un’incompatibilità e un’ineleggibilità parametrata, appunto, al mondo degli anni 50, ma il Pd non ci ha proprio sentito; si sono comportati, insomma, un po’ come nelle elezioni del ’48, quando i democristiani erano terrorizzati dall’idea che Dio li vedesse votare Pci nel segreto dell’urna”. L’emendamento Pisicchio, insomma, è finito al macero e nessuno ripresenterà il problema al Senato.
“Ma figurarsi — commenta Civati — io non ho proprio votato, visto come stavano andando le cose e la questione del conflitto d’interessi mi pare un’enormità , così come mi pare folle che non venga riproposta al Senato, ma non lo faranno. Io non potevo votare una legge elettorale di cui non condivido quasi nulla. A tutto c’è un limite. E c’è l’articolo 67 della Costituzione che, tra l’altro, consente ai singoli parlamentari di non accettare una decisione soprattutto quando fa quello che non aveva dichiarato di fare (o addirittura aveva dichiarato di non fare) in campagna elettorale. Per me conta ancora qualcosa, anche se ormai è chiaro che si farà fatica, in questo Paese, anche ad andare a votare”.
In effetti, gli emendamenti sul conflitto d’interessi erano più d’uno, non solo quello firmato da Pisicchio e Civati. Ce n’erano altri tre, uno firmato da Gennaro Migliore di Sel, un altro dell’M5S a firma Fraccaro-Toninelli, e addirittura uno a firma del Pd Valiante che — ovviamente — è finito dritto nel cestino come i precedenti. La questione, da parte di Sel, però non è finita qui.
Al Senato gli uomini di Vendola hanno intenzione di rimettere mano alla legge, “o, almeno — dice Migliore — si tenterà di farlo”.
Perchè, “in questa legge — prosegue— manca troppa roba. È una legge senza milioni di cittadini, perchè c’è una croce e i chiodi li ha messi Verdini, e sono le liste bloccate e le soglie di sbarramento all’8% che così alte ci sono solo in Russia al 7 e in Turchia al 10 e ciò significa escludere milioni di cittadini; senza la certezza del voto, perchè voti la Lega al nord ed eleggi un leghista con lo 0,1% in Molise, come si fa a concepire un tale flipper?”.
Già , come si fa?
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 13th, 2014 Riccardo Fucile
A PAROLE ROTTURA CON IL PASSATO, MA CON LE “RELAZIONI” NON SI MANGIA E SENZA FATTI NON CRESCE LA BUSTA PAGA
Non è stato quel mercoledì da leoni che si poteva immaginare. Ma nemmeno quel giorno da pecora che si poteva temere.
In un giorno solo, Matteo Renzi ha incassato un cospicuo «dividendo » politico.
Il via libera della Camera alla riforma elettorale, che con tutti i suoi difetti materiali e costituzionali si rimette comunque in moto dopo otto anni di immobilismo.
Il via libera del Consiglio dei ministri al pacchetto «lasvoltabuona », che con tutti i suoi svarioni tecnici e mediatici indica comunque la volontà di accelerare la fuoriuscita dalla crisi.
Depurata da un tasso intollerabilmente alto di autocelebrazione retorica e propagandistica – che per troppe volte lo spinge a parlare di «rivoluzione impressionante per l’Italia » e di «passaggio storico incredibile» – il messaggio del premier in conferenza stampa oscilla tra lo shock e lo spot.
Lo shock è evidente. Quando a dieci milioni di poveri italiani a reddito fisso, gravati da almeno cinque anni di saio fiscale, annunci uno sgravio in busta paga da circa mille euro all’anno a partire dallo stipendio del 27 maggio prossimo, l’effetto scossa è garantito.
Equando alle piccole e medie imprese, stremate da cinque anni di recessione in cui sono bruciati 135 miliardi di ricavi, annunci un taglio di 10 punti dell’Irap finanziato con l’aumento delle rendite finanziarie al netto dei titoli di Stato, l’effetto-svolta è assicurato.
Intanto, fai due cose ad alto impatto sociale e perequativo che, se ormai non suonasse così retrò, una volta Norberto Bobbio avrebbe potuto definire con legittimo orgoglio «di sinistra».
Per la prima volta dopo molti anni, dai un segnale immediato alla «povera gente» di La Pira, e sposti finalmente un po’ di tassazione dal lavoro alla rendita.
La rottura rispetto al passato c’è, ed è netta.
Renzi giustamente non vuole ripetere l’errore di Prodi nel 2006 e di Letta nel 2013, dando poco a tutti.
Il «derby» tra lavoratori e imprese, per adesso, si risolve tutto a favore dei primi, e con un piatto non di lenticchie ma di 10 miliardi di euro.
Non importa se le stime sugli effetti delle due misure alternative sono discordanti (secondo il Tesoro tagliare l’Irpef produce uno 0,8% di aumento di Pil, mentre secondo Prometeia tagliare l’Irap fa aumentare il reddito nazionale dell’1%).
Quello che importa è fare una scelta netta. E Renzi la fa.
Ma le buone notizie finiscono qui. Per adesso il presidente del Consiglio lo shock al sistema lo può solo annunciare a parole, e non somministrare nei fatti.
Qui si annida lo spot elettorale.
Nelle novità anticipate da Renzi, di operativo ed immediatamente esecutivo c’è assai poco. Gli sconti Irpef, così come lo sgravio Irap, «entreranno in vigore dal primo maggio».
Ma questa è solo una promessa, non ancora scritta in alcun provvedimento di legge ma solo nella «relazione» illustrata dal premier ai ministri e poi ai cronisti.
E con le «relazioni» non si mangia, nè si fa crescere nessun netto in busta paga. Quando saranno presentate le misure concrete? Saranno decreti o disegni di legge? Come nella peggior tradizione tremontiana, il premier glissa e rinvia tutto al varo del Documento di Economia e Finanza.
La stessa cosa vale per le altre «grandi riforme ».
Sul fronte politico, il disegno di legge costituzionale che abolisce il Senato non è ancora presentato nè incardinato, ma solo trasmesso ai partiti perchè ne valutino i contenuti.
Sul fronte economico, il famoso «sblocco totale» dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese è affidato a un disegno di legge, i cui tempi medi di approvazione non sono mai inferiori agli 8-10 mesi.
Tenuto conto che 22 miliardi li aveva già restituiti il governo Letta nel 2013, e altri 27 miliardi erano già stanziati dalla legge di stabilità , non c’è molto da esultare. Il mitico «Jobs Act», con l’assegno di disoccupazione universale e il salario minimo garantito, è affidato a un disegno di legge-delega, quindi all’erratica volatilità del Parlamento. Tenuto conto che per convertire la vecchia legge delega sul fisco ci sono voluti due anni, non c’è molto da festeggiare
Al fondo, le poche iniziative reali, che scattano subito, sono quelle che danno attuazione agli impegni già assunti dal governo precedente.
Dall’edilizia scolastica all’ampliamento del Fondo di garanzia per le pmi. Dal taglio del 10% delle bollette elettriche alla tutela del dissesto idrogeologico. Poco di nuovo. Se non l’energia e la determinazione che Renzi sprigiona e trasmette, e che diventano il nucleo duro e quasi a se stante della sua missione e della sua comunicazione politica.
È attraverso quell’energia e quella determinazione che sei indotto a valutare il capo del governo. È su questa base che lui stesso ti chiede di credergli.
Contro tutti quelli che lui chiama «i gufi».
Ma questo è un «atto di fede», più che un «fatto politico». Lo puoi accettare quando ragioni sul futuro dell’Italicum. Molto meno quando rifletti sui conti dell’Italia.
E qui sta un altro punto debole della «macchina del consenso» renziana.
Le coperture finanziarie restano ancora troppo incerte, e quasi tutte una tantum. Dalla spending review (che per Renzi vale 7 miliardi, mentre Cottarelli la contiene a 3) al risparmio dell’onere per interessi sul debito (che oggi con lo spread a 177 vale X, domani con lo spread a 300 può valere Y).
Dalle norme sul rientro dei capitali dall’estero (che qualcuno cifra in 5 miliardi, qualcun altro in 2) al «tesoretto» che ci separa dal tetto del deficit al 3% (che vale lo 0,6% rispetto al Pil, ma non è interamente spendibile).
La disinvoltura di Renzi è eccessiva, e stride con la prudenza di Padoan.
Soprattutto perchè ciascuna di queste coperture implica una correzione del Fiscal compact, e quindi dovrà essere sottoposta al vaglio della Ue. È giusto che il premier voglia negoziare senza complessi con i nostri «tutor» a Bruxelles, tentando anche di rimettere in discussione i paradigmi di un rigore a volte incomprensibile, soprattutto per i popoli d’Europa.
Ma queste, finchè non sarà chiaro l’esito del negoziato, restano comunque incognite gigantesche, che pesano come macigni sul governo e sulla sua «svoltabuona». Le istituzioni comunitarie, purtroppo, non le convinci con un hashtag, ma con la solidità dell’impegno che assumi, e con la serietà con la quale lo onori.
Per questo, al di là dell’elevata seduzione politica che il suo «manifesto» esercita sull’opinione pubblica (a partire proprio dalla «rinsavita» Cgil di Susanna Camusso), il giudizio sulla manovra va congelato.
E va rimandato ad una fase attuativa che sarà fatalmente più lunga di quella che lo stesso premier immaginava, se è vero che adesso proprio lui (che ha fatto della «velocità » la sua cifra di leader) è costretto a spiegare ai giornalisti «se volevate cambiare il mondo domattina con 42-43 decreti legge, ebbene, ve lo dico da laureato in diritto amministrativo, questo è impossibile ».
Bentornato nel mondo reale, viene da dire. Soprattutto in una democrazia bloccata come la nostra, il governo non si può esaurire nelcomando. Persino il Grande Rottamatore è costretto a sperimentarlo sulla sua pelle.
Non è una buona ragione per fermarsi, e desistere di fronte ai «no» di qualunque altra «casamatta del potere ». Ma il compito resta immane in un’Italia ancora sotto stretta sorveglianza, così vicina alla Slovenia e così lontana dalla Germania.
Come resta incerto il destino della riforma elettorale, appeso all’«amore» innaturale tra un ex Sindaco e un ex Cavaliere, e sospeso in un Senato che si può trasformare in un Vietnam. Un azzardo nell’azzardo.
Che obbliga l’acrobata all’ultimo avvertimento: «Se non supero il bicameralismo perfetto, considero chiusa la mia esperienza politica ».
Un altro modo per dire, agli amici e ai nemici; con questo shock-spot provo a vincere le europee, ma se non ci riesco in autunno si torna a votare.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)
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