Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
IGNORATA LA NUOVA LEGGE, LOCAZIONI SALVE PER L’IMPRENDITORE SCARPELLINI
La Camera non rinuncia agli “affitti d’oro”, continuerà a pagare 32,5 milioni l’anno per gli uffici di 400 deputati ospitati negli immobili di Sergio Scarpellini.
A dicembre 2013 la Camera aveva deciso con una legge di interrompere le costosissime locazioni.
Ma a oggi nulla s’è fatto. E ora è uno scaricabarile tra l’ufficio dei Questori, l’ufficio di Presidenza. E i partiti.
Tutti vogliono interrompere i contratti, nessuno lo fa.
Gli edifici in questione sono chiamati Palazzo Marini due, tre e quattro, tutti nel centro di Roma attorno a Montecitorio, sono di proprietà della Milano 90 dell’imprenditore Sergio Scarpellini. E sono al centro di un doppio scandalo.
Primo, i loro esorbitanti costi fuori mercato: 650 milioni di euro di affitto dal 1997 per vent’anni (a fronte di un valore commerciale di 330 milioni stimato dal Demanio).
Secondo, una clausola capestro, raramente adottata nel diritto amministrativo, che impedisce in modo esplicito il recesso anticipato dei contratti.
Sull’onda della spending review, alla fine dell’anno la Camera s’era dotata di una norma, voluta dal grillino Riccardo Fraccaro, per poter recedere dalle locazioni.
Ma non fu mai applicata. «Quella norma – spiega il questore Paolo Fontanelli, Pd – era stata valutata “a rischio” dall’Avvocatura dello Stato in quanto aveva tempi di preavviso troppo stretti, appena 30 giorni. Scarpellini avrebbe potuto impugnare il provvedimento e si rischiava la beffa di doverlo pagare due volte, con un danno, e non un vantaggio per le casse della Camera».
Per questo s’era deciso di migliorare la norma-Fraccaro, inserendo una modifica nel “salva-Roma”.
Per due volte, però, quel decreto è stato ritirato.
Col risultato che ora la Camera (vigente solo la norma Fraccaro), si trova di fronte ad un dilemma.
È possibile recedere dai contratti col rischio di perdere una eventuale causa civile?
Questa ipotesi avrebbe il costo sociale di licenziare i 300 dipendenti della Milano 90.
E quello politico di sfrattare 400 deputati, e relativi collaboratori, nel giro di un mese, lasciandoli senza uffici. Insomma, un grattacapo per Questori e Presidenza.
L’impasse politica ha generato uno scambio di accuse tra grillini, Pd e Presidenza.
Il primo ad attaccare è Fraccaro. «Gli immobili di Scarpellini costano trentadue milioni di euro all’anno – tuona il deputato 5Stelle Riccardo Fraccaro – 7 mila euro al mese per deputato. Una cifra assurda. La norma consente il recesso: perchè i democratici fanno resistenza e la presidente Boldrini non mette al voto il recesso dei contratti in ufficio di Presidenza? ».
I contratti, spiega Fraccaro, avranno una scadenza naturale nel 2016, 2017 e 2018. «Interromperli prima – ha aggiunto – farà risparmiare per questo periodo 32,5 milioni all’anno»
La Presidenza ha replicato facendo sapere che la votazione può essere messa all’ordine del giorno solo se arriva la richiesta dall’ufficio dei Questori. Che non è arrivata.
Fontanelli ha precisato che «sono stati gli stessi grillini, facendo ostruzionismo al “salva Roma”, a ostacolare la legge che avrebbe consentito il recesso senza difficoltà ».
Ma tra i questori prevale prudenza e cautela.
«In tempi di spending review – spiega il questore Gregorio Fontana, Fi – siamo tutti d’accordo a interrompere i costosissimi affitti. Ma chi si prende la responsabilità di lasciare senza ufficio 400 deputati e relativi collaboratori? E di mettere trecento dipendenti sulla strada? Vogliamo che tutti i 630 deputati si assumano pubblicamente in Aula, con una votazione, la responsabilità »
E mentre la Camera sta cercando di interrompere gli “affitti d’oro” con Scarpellini, quest’ultimo sta tentando di rinnovarli con la Camera.
Nei mesi scorsi ha chiesto il rinnovo dei contratti per altri diciotto anni.
Ma, almeno su questo, i deputati sono stati unanimi. Negandoglielo.
Alberto Custodero
(da “la Repubblica”)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
ACCUSA DI ELEZIONI FARSA PER PERMETTERE AL VICESINDACO DI RICEVERE UN’INVESTTURA POPOLARE DOPO ESSERE STATO “IMPOSTO DALL’ALTO”… “ORMAI SIAMO ALLA FEUDALIZZAZIONE”
L’esito delle primarie Pd per la candidatura a sindaco di Firenze appare scontato: il superfavorito nella sfida del 23 marzo è infatti Dario Nardella, nominato da Matteo Renzi vicesindaco reggente una volta spiccato il volo per Palazzo Chigi.
Poco probabile che il civatiano Iacopo Ghelli e Alessandro Lo Presti dell’area ex Marino riescano a fare lo sgambetto all’ormai ex deputato (“ho scritto una lettera di dimissioni al presidente della Camera”).
Già vicesindaco per tre anni e mezzo con Renzi, era stato eletto alla Camera nel 2013 dopo un boom di preferenze alle primarie di fine 2012: Nardella è però stato richiamato lo scorso 17 febbraio a Palazzo Vecchio dallo stesso Renzi una volta che questi è diventato premier.
Dalla reggenza alla candidatura a sindaco il passo è stato breve.
La nomina di Nardella, malgrado Renzi abbia dichiarato “non mi sono scelto il successore”, è stata interpretata da molti come un sorta di passaggio di consegne in vista delle amministrative di maggio.
Il vicesindaco, definito un “paracadutato” ha comunque sempre dichiarato di volersi misurare con le primarie.
I vertici del Pd vengono accusati da più parti di aver allestito primarie “farsa” per permettere a Nardella di ricevere quell’investitura popolare necessaria a scrollarsi di dosso l’etichetta di “candidato calato dall’alto”.
La strada per trovare qualche sfidante non è però stata affatto facile: l’ufficializzazione delle candidature di Ghelli e Lo Presti è infatti avvenuta in extremis soltanto lo scorso 4 marzo, ultimo giorno disponibile.
La parola passa ora alla base.
Punto fondamentale sarà capire l’affluenza ai seggi: difficile toccare i 37mila votanti delle primarie 2009 (in quell’occasione Renzi vinse con il 40% dei consensi battendo Lapo Pistelli, Daniela Lastri, Michele Ventura e Eros Cruccolini).
A rispedire però al mittente tutte le accuse ci pensa il segretario comunale del Pd Federico Gianassi: “Si tratterà di primarie vere, nessun accordo sottobanco tra i candidati e nessun premio di consolazione per chi perde”.
L’obiettivo del renziano è portare ai seggi “almeno 15mila persone”, in linea ai numeri delle primarie 2012 per la scelta dei candidati al Parlamento.
Si tratta davvero di primarie “farsa” a favore di Nardella?
“E’ un’accusa irrealistica — controbatte Gianassi — gli altri due candidati non sono kamikaze: le primarie non si fanno per forza. E comunque abbiamo dato a tutti la possibilità di candidarsi”.
A puntare il dito contro le primarie del Pd è anche l’ex assessore regionale alla cultura e al turismo Cristina Scaletti (Centro Democratico), estromessa dalla giunta Rossi in seguito al recente rimpasto: “Le primarie del prossimo 23 marzo, per quanto partecipate, saranno sempre e solo una finzione”.
Così come il wrestling in tv — afferma — si tratterà di una “gigantesca messa in scena”. Scaletti si era inoltre appellata a Nardella affinchè a Firenze si tenessero “primarie vere, aperte, di coalizione”.
Si stanno intanto moltiplicando gli appelli di molti cittadini affinchè Scaletti si candidi a sindaco: l’ex assessore scioglierà il nodo probabilmente nei prossimi giorni. A parlare di “primarie finzione” è anche l’ex assessore comunale al bilancio Claudio Fantoni (Pd), dimessosi nel 2012 a seguito di attriti con Renzi: aveva avanzato la propria candidatura per Palazzo Vecchio già a fine 2013.
Con l’ufficializzazione a metà gennaio della ricandidatura a sindaco di Renzi, nel frattempo diventato segretario nazionale, l’ipotesi primarie era però andata in soffitta. Un mese più tardi però, con il passaggio di Renzi a Palazzo Chigi, i giochi si sono riaperti.
La nomina di Nardella a vicesindaco reggente è stata interpretata come una sorta di investitura da parte di Renzi.
Fantoni, che non ha digerito i passi del partito, parla di “deriva padronale”, “monarchizzazione del Pd” e “feudalizzazione di Firenze”.
Il presidente della Provincia Andrea Barducci si sofferma invece sul capitolo partecipazione: “Un eventuale flop sarebbe innegabilmente motivo di riflessione politica sull’utilizzo di questo strumento partecipativo”.
David Evangelisti
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
L’INTRECCIO TRA AFFARI, REGALI E FONDI ALLA POLITICA
“Siamo amici dal 1996, amici veri”. Marco Carrai lo spiega così il rapporto che ha con Matteo Renzi, registrando alla voce “amicizia” quello che in un qualsiasi bilancio andrebbe invece indicato separatamente nelle colonne dare e avere.
Lui è della famiglia. Paga a Matteo l’affitto della casa fiorentina e accompagna Agnese, la moglie di Renzi, in Senato ad assistere all’esordio del marito al governo. “Siamo amici”.
Seguendo l’ascesa politica di Renzi, Carrai ha sviluppato una fitta tela di incarichi e relazioni economiche.
E più il sole illuminava il politico Renzi più si estendeva l’ombra di Carrai e la sua fama di imprenditore. Insieme hanno ideato, progettato e realizzato l’intero percorso che ha portato l’amico Matteo dalla Provincia di Firenze a Palazzo Chigi.
Nel 2005, anno in cui Renzi è eletto presidente della Provincia, Carrai ottiene il primo e all’epoca suo unico incarico: amministratore delegato della Florence Multimedia.
La società creata ad hoc da Renzi per gestire la comunicazione e su cui poi la Corte dei conti aprirà un’inchiesta.
Nel 2007 Carrai avvia quella che diventerà la sua attività principale, fondamentale per la carriera politica di Renzi, dedicandosi alla raccolta fondi a favore dell’amico che vuole diventare sindaco.
Crea le prime due associazioni: la Noi Link e Festina Lente.
Nel 2009 Renzi conquista Palazzo Vecchio, Carrai comincia a pagare l’affitto di un attico in via degli Alfani (come rivelato da Giacomo Amadori su Libero nei giorni scorsi) e i suoi impegni si moltiplicano rapidamente.
Lascia Florence Multimedia e il 18 dicembre 2009 entra in Firenze Parcheggi Spa, società detenuta dal Comune, come amministratore delegato.
Formalmente Carrai è inserito dal secondo azionista, il Monte dei Paschi di Siena, all’epoca guidato da Giuseppe Mussari.
Dopo appena tre mesi diventa anche presidente della Imedia Srl, una società fondata insieme a Stefano Passigli, l’editore, già sottosegretario nel governo guidato da Massimo D’Alema e poi nell’esecutivo di Giuliano Amato.
La Imedia srl chiude le attività in perdita per 51 mila euro.
Il liquidatore è Federico Dalgas. Lo stesso Dalgas che nel frattempo è diventato socio di Carrai in un’altra srl: la D&C, una piccola holding.
I due hanno ciascuno il 50% ma Carrai è il presidente.
Anche questa società chiude in perdita il bilancio 2012: 90 mila euro.
A fronte di un capitale sociale di 30 mila euro, detiene il 9% della Kontact di Giorgio Moretti (amministratore delegato di Dedalus Spa) e il 51% della C&T Crossmedia che ha tra i soci anche Chicco Testa e di cui Carrai diventa presidente.
La C&T nel 2012 si aggiudica l’appalto del Comune di Firenze per la gestione delle guide su tablet per il museo di Palazzo Vecchio.
Nello stesso anno Renzi contende a Pier Luigi Bersani la candidatura a premier. Il sole sale ma l’ombra si allunga.
Carrai crea la fondazione Big Bang, oggi Open, in cui siede, fra l’altro, anche l’attuale ministro Maria Elena Boschi, e diventa consigliere della scuola Holden di Alessandro Baricco.
Le primarie del 2012 le vince Bersani. Carrai intanto dà vita ad altre società .
La Cambridge Management Consuling e la Yourfuture Srl, entrambe con una quota della Fb Group di Franco Bernabè.
Nell’aprile 2013 viene nominato presidente di Adf, la società che gestisce l’aeroporto di Firenze.
A novembre Carrai lascia Firenze Parcheggi e fa il suo ingresso nel cda dell’ente Cassa Risparmio di Firenze. Una fondazione che distribuisce ogni anno 23 milioni di euro sul territorio e ha interessi plurimi.
Dei 45,5 milioni investiti in fondi comuni nel 2012, dieci sono stati investiti nel fondo Algebris di David Serra, amico di Renzi e finanziatore del Big Bang.
Altri 50 milioni sono investiti nel fondo chiuso F2i di Vito Gamberale. L’Ente ha, inoltre, una partecipazione del 3,3% di Intesa Sanpaolo, l’1% della Cassa Depositi e Prestiti, il 10,25% della Cassa di Risparmio di Firenze e il 17% dell’Adf.
Quando Carrai fa il suo ingresso nel cda, l’ente è presieduto da Jacopo Mazzei, poi costretto a lasciare l’incarico a Giampiero Maracchi.
Quando nell’aprile 2013 la Fondazione Big Bang rende noto l’elenco dei finanziatori che hanno versato 600 mila euro per sostenere la campagna elettorale di Renzi, oltre a Carrai e ai 100 mila euro di Serra, figura anche Mazzei con 10 mila euro, seguito da Filippo Landi, Carlo Micheli, Giorgio Colli e Guido Roberto Vitale
La cassaforte costruita da Carrai, intanto, accompagna Renzi nel tentativo riuscito di conquistare il Pd.
Per la campagna elettorale nel 2013, secondo i resoconti che Il Fatto ha verificato, la fondazione ha raccolto 980 mila euro, 300 mila euro in più rispetto all’anno precedente.
Ma i finanziatori non sono ancora stati resi noti, probabilmente l’elenco sarà pubblicato il prossimo mese.
Ma intanto il nome è cambiato, ora si chiama Open, e nel suo cda sono stati inseriti i nuovi fedelissimi di Renzi: Boschi, Luca Lotti, Alberto Bianchi.
E Carrai. L’amico vero.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROCURA CONTESTA AL SOTTOSEGRETARIO ALTRI 40 MILA EURO…. LA DIFESA DELLE “MISSIONI” VACILLA: “SPENDEVA A CAGLIARI CON LA CARTA”
Nei corridoi del Partito democratico parlano di doccia fredda.
Francesca Barracciu, sottosegretario alla Cultura, aveva garantito di essere pronta a entrare nella squadra di governo “perchè con i magistrati era tutto chiarito”.
In suo favore si erano esposti il ministro Maria Elena Boschi e lo stesso premier Matteo Renzi.
Ma venerdì scorso è arrivato il colpo di scena. Il pm di Cagliari Marco Cocco ha interrogato in gran segreto l’ex consigliere regionale, indagata per peculato aggravato nell’ambito dell’inchiesta sui fondi sui gruppi consiliari della Regione Sardegna, proponendo a Barracciu due sorprese.
In primo luogo la procura le contesta di aver speso senza giustificazione altri 40 mila euro, oltre ai 33 mila per i quali è già indagata da sei mesi.
“Lo abbiamo scoperto solo venerdì — spiega il suo difensore, Carlo Federico Grosso — ma abbiamo preso tre settimane di tempo per rispondere, l’onorevole deve riordinare le idee, contestano episodi che sono di tre anni fa”.
Ma soprattutto i magistrati la accusano di aver mentito.
Barracciu aveva sostenuto il 6 dicembre scorso di aver speso 33 mila euro, tra il 2006 e il 2009, in viaggi politici e istituzionali.
“Abbiamo anche indicato uno per uno gli appuntamenti politici cui la signora ha partecipato, con la propria automobile”, aveva spiegato Grosso. Alla media di 62 chilometri al giorno, 942 chilometri al mese, 24 mila all’anno su e giù per la Sardegna. Gli inquirenti hanno in seguito messo a confronto il resoconto sui viaggi dell’indagata con i movimenti della sua carta di credito, scoprendo che in più di un’occasione il sottosegretario si trovava in posti diversi da quelli dichiarati, spesso a Cagliari dove ha sede il consiglio regionale, in almeno un caso all’estero.
La conclusione dei pm: lei era a Cagliari, dunque non c’era nessuna benzina da rimborsare.
Lei si è difesa sostenendo che fossero spese fatte prima di partire per la missione o dopo il rientro.
Una linea difensiva giudicata debole dal pm Cocco, che sembra orientato a procedere con la richiesta di rito immediato, che presuppone l’evidenza della prova.
L’avvocato Grosso allarga le braccia e dice: “Valuteremo l’ipotesi se è meglio difendersi da sottosegretario o meno. Questa è una valutazione politica, spetta alla mia cliente. Ma ne parleremo”.
La donna che doveva guidare il nuovo corso renziano in Sardegna diventa così un imbarazzo crescente per il Pd. E per Renzi stesso, che in difesa di Barracciu si è speso senza riserve.
Molto popolare in Sardegna, renziana della prima ora, dopo l’esperienza da consigliere regionale si è candidata alle Europee nel 2009, ma è entrata a Strasburgo solo un anno e mezzo fa come la prima dei non eletti al posto di Rosario Crocetta eletto governatore in Sicilia.
Sei mesi fa ha conquistato alle primarie del centrosinistra il ruolo di sfidante del governatore uscente berlusconiano Ugo Cappellacci.
Poche ore dopo il trionfo, mentre parla del suo futuro a Ballarò, la informano che a suo carico c’è un avviso di garanzia.
È accusata di peculato e di 33 mila euro non giustificati. Lei non salta neanche sulla sedia, mezzo partito è nelle sue stesse condizioni. Ma col tempo, a ogni accertamento i magistrati ne scoprono una nuova.
Renzi spedisce in Sardegna il suo emissario, Stefano Bonaccini, e lo incarica di risolvere il problema: eliminare un candidato indagato e in calo di popolarità .
Il 30 dicembre, in una drammatica resa dei conti a Oristano, la fanno fuori.
Mentre il Pd mette in pista Francesco Pigliaru, che batterà Cappellacci, Barracciu, che è tipa tosta, proclama la sua innocenza e punta i piedi. Il 4 gennaio va a Firenze e strappa a Luca Lotti, altro fedelissimo di Renzi, una promessa: lei fa la brava e avrà un assessorato di rilievo, magari il più ambito, la Sanità .
Ma Pigliaru, appena eletto, le sbarra la strada: “Niente indagati nella mia giunta”.
A quel punto nasce il governo Renzi e le viene concesso il risarcimento estremo: sottosegretario alla Cultura.
La linea del Pd resta garantista, ma fino a un certo punto.
Anche perchè il rumore intorno al caso Barracciu imbarazza la pattuglia di parlamentari Pd sardi indagati con lei per lo stesso reato: Silvio Lai, Siro Marrocu, Marco Meloni e Francesco Sanna, tutti chiamati a rispondere di cifre dai 30 ai 90 mila euro.
L’avvocato Grosso, uno dei migliori penalisti in Italia chiamato da Torino per la gravità del caso, si dice sicuro di poter chiarire tutto nel prossimo interrogatorio.
Che potrebbe però arrivare troppo tardi.
Emiliano Liuzzi e Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
UNA DOMANDA SULLE MISURE ECONOMICHE DEL PREMIER SUSCITANO L’ILARITA’ DELLE MASSIME CARICHE EUROPEE
“Il rispetto degli impegni presi” in sede europea è “fondamentale” per la fiducia nell’Italia e nell’Ue.
Lo ha detto il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso precisando però di non poter fare commenti sulle dichiarazioni di Renzi sul deficit “prima di discuterne con lui”.
E proprio il presidente del Consiglio, a stretto giro, ha ribadito la propria posizione: “L’Italia sta rispettando tutti i vincoli, l’Italia è un paese che i vincoli li rispetta”.
I sorrisi di Barroso e Van Rompuy.
Il botta e risposta tra i due fa il pari con un altro brevissimo, ma simbolico, siparietto, andato in scena nella conferenza stampa congiunta del presidente della Commissione con Herman Van Rompuy.
Alla domanda del corrispondente di Radio Radicale David Carretta sulle possibilità che le misure annunciate da Renzi, tra cui soprattutto l’aumento del deficit, possano rappresentare uno strumento necessario per vincere l’Euroscetticismo i due si lasciano andare a uno scambio di sorrisi che a molti ha ricordato le risate della coppia Merkel-Sarkozy, ai tempi del governo di Silvio Berlusconi.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
DEPOSITATO DALLA DEFUNTA PRESSO UN LEGALE DI FIDUCIA: “NON INTENDO LASCIARE NULLA A GERONIMO, MI HA INGANNATA”
Esiste una seconda lettera che documenta lo scontro per i beni milionari tra Geronimo La Russa, figlio dell’ex ministro e la nonna. Lidia Peveri, la nonna di Geronimo La Russa scomparsa lo scorso autunno, non aveva scritto solo la memoria rivelata da “l’Espresso” una settimana fa, e che tante polemiche ha suscitato .
Il 21 settembre del 2011 era andata nello studio dell’avvocato di fiducia, a Melegnano, e aveva messo nero su bianco le preoccupazioni di quei giorni.
Non l’aveva fatto soltanto perchè rimanesse «il ricordo», come aveva ripetuto nel primo documento, dell’inganno che riteneva di aver subito da Geronimo.
Aveva la necessità di spiegare perchè degli ultimi beni di famiglia rimasti in suo possesso non lasciava nulla al nipote, nato dal matrimonio della figlia Marica con l’ex ministro Ignazio La Russa.
E sentiva il bisogno, in occasione della lettura del testamento, di far sentire la propria voce perchè fra la stessa Marica e il fratello Libero — lo zio che Geronimo ha accusato di aver manipolato la prima lettera — tornassero, si legge nel documento, «la pace e l’affetto che sempre hanno regnato nella mia famiglia e nel mio cuore».
Questa seconda lettera, come scrive “l’Espresso” nel numero in edicola domani, è rimasta segreta per oltre due anni, affidata ai legali dello studio guidato dall’avvocato Guido Grignani, specializzato proprio in successioni, nonchè uno dei più conosciuti nella zona a Sud di Milano.
È stata consegnata e letta alle parti come da volontà della signora Lidia, il giorno dell’apertura del testamento vero e proprio.
Della sua esistenza non sapeva nulla fino a quel giorno nemmeno Libero Cottarelli che, contattato telefonicamente in Romania, dove vive, ha deciso per la prima volta di rispondere alle accuse che gli sono piovute addosso da Geronimo: «Non vogliamo nè vorremo mai un centesimo, pretendiamo solo che tutta la verità venga a galla», spiega.
«Scrivo quanto segue per amore di verità e giustizia», è l’incipit della nuova lettera scritta da Lidia Peveri.
Che prosegue: «Ho quattro nipoti. Geronimo è oggi proprietario, per motivi che ancora non comprendo, della maggior parte del patrimonio della famiglia Cottarelli». Un patrimonio milionario, va ricordato, che comprendeva immobili a Riccione, Melegnano e Milano, nonchè terreni, titoli e depositi.
Lidia dice di essere stata indotta a donare a Geronimo «a causa delle sue insistenze» alcuni di questi immobili.
E aggiunge che, considerando anche le risorse del padre, «ho scritto il mio testamento nominando solo gli altri tre nipoti».
Camilla Conti e Luca Piana
(da “L’Espresso“)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
E’ IN CORSO LA CONVENZIONE CONSIP PER 70 MILIONI… L’ULTIMA GARA SI E’ CONCLUSA CON L’ACQUISTO DI 210 AUTO BLINDATE PER UN VALORE DI 25 MILIONI
Il venditore è un fenomeno oppure il mercato delle auto blu funziona al contrario, con cento vecchie ne compri mille nuove.
Renzi ha annunciato così la dismissione delle prime 100 auto di servizio della pubblica amministrazione.
Saranno su eBay dal 26 marzo al 16 aprile, con previsioni d’incasso alquanto incerte ma sicuri ritorni d’immagine.
In ultimo è arrivato pure il commissario Cottarelli, con le sue tabelle: “massimo 5 vetture e solo per i ministeri”.
E’ la definitiva rottamazione del simbolo del potere? Non proprio.
Nessuno, forse, ha informato premier e commissario che mentre loro rivendono le auto usate sul web lo Stato si prepara a comprarne di nuove nei concessionari: 210 vetture pubbliche, tutte blindate, con una possibilità di spesa fino 25 milioni di euro in due anni.
Non è uno scherzo. E neppure una novità , visto che la gara Consip per l’acquisto è partita a dicembre e il termine per le offerte era il 27 febbraio scorso, giusto un paio di settimane prima della roboante serie d’annunci e cinque giorni dopo l’insediamento di Renzi. Non solo.
E’ addirittura in corso, pienamente operativa da tempo, un’altra convenzione per l’acquisto centralizzato di 1100 tra berline e utilitarie.
Valore della convenzione, 15 milioni di euro.
E’ tutto? No, a ben vedere ce n’è anche un’altra per veicoli green, autovetture elettriche e ibride, valida fino al 2016.
Ci sono infine i centri d’acquisto periferici che continuano le prenotazioni: a metà gennaio, in piena bufera per l’inchiesta delle Procura di Palermo sulle spese pazze dei gruppi, la Regione Sicilia pubblicava un bando per il noleggio di sette auto blu blindate.
Già , perchè c’è anche il noleggio, oggetto di una quarta convenzione Consip attiva da due anni e fino al 2015: 4.045 autoveicoli per tutti i gusti.
Elettrico, benzina, metano e Gpl. Cinque lotti per un valore totale di 40 milioni di euro.
Insomma, gli annunci sulle auto blu sono definitivamente entrati in cortocircuito con la realtà .
Ma la domanda dalle cento pistole è: si possono interrompere gli acquisti?
La risposta è si, le convenzioni sono revocabili, a condizione di sapere che ci sono. E nessuno, per ora, le ha revocate.
A spiegare il meccanismo è il responsabile del procedimento dell’ultima gara chiusa, quella da 210 vetture ora all’esame della commissione che selezionerà il vincitore. Consip stipula contratti quadro dopo aver rilevato il fabbisogno delle amministrazioni. Quando la convenzione è attiva quelle che hanno titolo possono usufruirne per rinnovare il proprio parco veicoli all’interno del massimale e dei prezzi unitari indicati nella convenzione.
Ma il governo può interrompere gli acquisti?
“Come per tutte le convenzioni non è un’acquisto diretto”, spiega il responsabile Maurizio Ferrante. “Se subentra una norma che inibisce l’acquisto per ragioni di contenimento della spesa non c’è alcuna penalizzazione, le gare non prevedono un impegno all’acquisto, neppure per un veicolo”.
Ma la norma non è subentrata, nessun decreto a firma di Renzi che blocchi o restringa la possibilità delle amministrazioni di ordinare veicoli nuovi nei prossimi 2 anni.
E qui sta il rischio, il trucco, la breccia che fa rientrare l’auto blu dalla finestra.
La spending review di Monti e la legge di Stabilità di Letta avevano inibito fino al 31 dicembre 2014 l’acquisto di autovetture a tutte le amministrazioni dello Stato, periferiche e centrali, ad eccezione di tre categorie: Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, servizi sociali e sanitari volti a garantire i livelli essenziali di assistenza.
La seconda categoria, a ben vedere, è ampiamente compatibile coi servizi scorta e col tradizionale scarrozzamento in auto blu.
Benchè il bando non sia una gara su delega per gli Interni e la Giustizia, c’è da ritenere che vetture blindate sotto il profilo balistico siano rivolte essenzialmente ai due ministeri.
Del resto chi controlla la destinazione finale dell’acquisto? Consip mette a disposizione il servizio e fa esperire la gara pubblica abilitando le stazioni appaltanti che (a qualsiasi titolo) possono accreditarsi.
Le verifiche sulla reale destinazione d’uso spettano poi alla Corte dei Conti e alla Guardia di Finanza. Che come si muovono riscontrano illeciti a dimostrazione che la galleria per far passare le auto pubbliche, volendo, si trova.
Così succede, del resto, per l’uso improprio che è l’altro male duro a morire.
Lo conferma la quantità di consiglieri regionali recentemente indagati per le spese pazze e i rimborsi gonfiati sotto la voce “spese di trasporto”.
Eccoli i due binari che hanno creato negli anni il parco di auto pubbliche più grande d’Europa (52mila secondo l’Espresso).
La scoperta che mentre si vende in realtà si compra lascia interdetti per primi i potenziali beneficiari, quei sindacati delle Forze dell’Ordine che per anni hanno chiesto uomini e mezzi. E ora arrivano i mezzi e tagliano gli uomini.
Massimo Blasi, segretario confederale della Cisal, prova a usare l’ironia: “Il rischio, se si prendono per buone le tabelle di Cottarelli sugli organici delle forze dell’ordine, è che ci arrivino le auto e nessuno le possa guidare”.
Da qui, l’informativa urgente a Renzi: “Attenzione Matteo, dici che le vendi ma guarda che le stai comprando”.
E con 100 usate sarà poi difficile prenderne 1000 nuove, anche per il più micidiale dei venditori.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO UN SONDAGGIO SAREBBE IL PIU’ GRADITO DALL’ELETTORATO FORZISTA… IL VANTAGGIO DI UNA IMMAGINE MAI TOCCATA DA SCANDALI
L’erede politico di Berlusconi, il «Mister X» al quale l’ex premier vorrebbe passare il testimone, è anch’egli un imprenditore televisivo. Per giunta milanese.
Quel che più conta, porta lo stesso cognome del leader di Forza Italia.
Cambia soltanto il nome, seppure di poco: Pier Silvio anzichè Silvio.
Si tratta del figlio quarantaquattrenne, sottoposto a un pressing davvero intenso perchè accetti di rivoluzionare (in peggio) la propria esistenza finora molto tranquilla e sicuramente sobria, se confrontata ai parametri di famiglia.
Precisiamo subito che Pier Silvio non sembra propenso a farsi trascinare sul ring. Oppone una resistenza fondata su considerazioni molto sensate.
Ma la questione risulta tuttora aperta, e non è mai semplice far cambiare idea al Cavaliere quando si mette in testa una fissa.
Testimoni superattendibili giurano di aver sbirciato il discorso, scritto di suo pugno da Silvio, con cui Pier Silvio dovrebbe accettare la candidatura alle prossime elezioni europee quale capolista «azzurro» in tutte e cinque le circoscrizioni.
A certi suoi ospiti il Cavaliere ha mostrato con orgoglio un «trailer», dove si vede suo figlio che parla disinvolto e brillante in una convention aziendale: la prova che a Pier Silvio non mancherebbe la verve per duellare in pubblico con un battutista del calibro di Renzi.
E a questo proposito, circola ad Arcore un sondaggio riservatissimo dell’istituto Tecnè.
È aggiornato al 18 marzo, e misura il gradimento degli italiani.
Al primo posto della hit parade troneggia Renzi (42,2 per cento), seguito a distanza da Letta al 25,5. Terzo si piazza Berlusconi senior (23 per cento).
Ma subito dopo, distaccato di un’incollatura e in ascesa rispetto a un precedente campione, ecco Berlusconi junior: quarto con il 20,6 per cento di approvazione, due punti più della sorella Marina.
Della quale molto si era parlato come possibile risorsa del centrodestra, nonostante lei avesse ripetutamente smentito. Così come era circolata voce che Barbara (figlia di Veronica) ardesse dalla voglia di cimentarsi, nonostante le disavventure del Milan di cui è dirigente, con conseguente calo di popolarità .
Pochi, anzi nessuno, aveva immaginato che l’occhio del Cavaliere stesse posandosi invece sul secondogenito.
Ai suoi occhi ha i seguenti pregi: 1) è giovane 2) maschio 3) di bella presenza 4) senza grilli per la testa (una compagna fissa da 17 anni, la soubrette Silvia Toffanin) 5) concentrato sul «fare», inteso come lavoro a testa bassa in azienda.
Insomma, chi meglio di lui per dare un senso di continuità fisica, anzi genetica, a una leadership che la condanna in Cassazione impedisce a suo padre di esercitare?
Quando gli hanno messo sotto il naso le rilevazioni Tecnè, Silvio ha fatto un salto sulla sedia: «Ecco la conferma delle mie intuizioni…».
Ed è partito alla carica.
Però Pier Silvio resiste (sebbene a sera con minor vigore, dopo alcune telefonate di notabili «azzurri» terrorizzati dalla prospettiva che un suo no possa spalancare le porte a Barbara).
Lui dirige Mediaset da quasi vent’anni. Mollare in questo momento il volante sarebbe, esemplificano esagerando nel mondo del Biscione, «come se Marchionne smettesse di guidare la Fiat».
C’è di più: Pier Silvio non ha mai espresso pulsioni forti per la politica.
Esiste anzi il fondato sospetto che le sue idee collimino solo in parte con quelle del paterno genitore (in passato aveva manifestato simpatie per la Bonino).
Dovesse mai cimentarsi, darebbe dispiaceri a papà .
Che poi è il destino comune dei figli.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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Marzo 20th, 2014 Riccardo Fucile
DAL DEPUTATO PD CONDOTTE CENSURABILI DA ANNI, MA A TUTTI E’ CONVENUTO CHIUDERE GLI OCCHI
Alla notizia dell’arresto disposto dal gip di Messina (Camera permettendo) per Francantonio Genovese, deputato renziano, viene in mente Franca Rame.
Poco più di un anno fa, il Fatto pubblicò l’elenco degli impresentabili del Pd che aspiravano a un posto al sole in Parlamento.
Fra questi troneggiava il ras di Messina, per cui non valeva il detto “ha più conflitti d’interessi che capelli in testa” solo perchè è pelato. Franca lanciò un appello a Bersani perchè non candidasse questi signori.
Dopodichè si riunì la famosa e fumosa “Commissione di garanzia” per vagliare la presentabilità o meno dei pretendenti al seggio e stabilì che, nella nutrita pattuglia delle quote marron siciliane, Crisafulli e Papania meritavano l’esclusione. Francantonio — come pure, fuori dall’isola, l’imputato Bubbico — invece no.
Figlio del sei volte senatore dc Luigi Genovese, nipote dell’otto volte ministro Nino Gullotti, lui stesso nato nella Dc, poi passato al Ppi, alla Margherita e al Pd, deputato regionale nel 2001, sindaco di Messina nel 2005, coordinatore regionale del Pd dal 2008, prima veltroniano, poi franceschiniano, poi bersaniano, ora naturalmente renziano, Genovese è soprannominato “Franzantonio” perchè azionista e dirigente della “Caronte”, la società dei traghetti dello Stretto controllata da Pietro Franza.
Non c’era bisogno di attendere il suo arresto per sapere che uno così non avrebbe mai dovuto sedere in Parlamento, ma neppure in Comune: i suoi conflitti d’interessi erano noti a tutti, bastava leggere Avanti popolo di Gian Antonio Stella (2006) o Se li conosci li eviti di Peter Gomez e del sottoscritto (2008).
Eppure Veltroni, che oggi celebra Berlinguer e la sua “questione morale”, gli affidò nel 2007 il neonato Pd in Sicilia e nel 2008 la stesura delle liste elettorali nell’isola. Dove, à§a va sans dire, campeggiava il suo nome.
Lo stesso fece un anno fa Bersani, incurante di una memorabile puntata di Report sugli scandali degli enti di formazione professionale siciliana finanziati dalla Regione, in gran parte controllati dalla famiglia Genovese.
La società Lumen presieduta dal deputato regionale Franco Rinaldi, cognato di Genovese e soprattutto marito di Elena Schirò, che lavora alla Lumen. Rinaldi e Genovese soci nella Training Service.
L’Nt Soft in mano ai nipoti di Genovese e Rinaldi.
L’Esofop presieduta dalla cognata di Rinaldi e amministrata da Chiara Schirò, moglie di Genovese.
La sede dell’Enaip e dell’Aram affittata da una società in cui compare Genovese.
E così via.
Ciononostante, anzi proprio per questo, Francantonio restò in lista: grazie al suo capillare sistema clientelare, alle primarie di Capodanno aveva incassato 19.590 preferenze, risultando il più votato d’Italia.
Per questo il centrosinistra non ha mai neppure pensato di fare la legge sul conflitto d’interessi: non solo per salvare B., ma anche per proteggere i propri capibastone.
Per loro i conflitti d’interessi non sono un handicap, ma un elisir di lunga vita e di tanti voti. Appena rieletto, Genovese fu puntualmente indagato (con moglie arrestata). E nessuno fece un plissè.
Neppure Renzi, che se lo ritrovò alleato alle primarie e folgorato sulla via della rottamazione (altrui).
Venghino, signori, venghino.
Ora che ha sul groppone un mandato di cattura per peculato, truffa, riciclaggio e associazione a delinquere, inscena la classica pantomima di “autosospendersi dal partito” che avrebbe dovuto cacciarlo da un pezzo.
Si spera che la maggioranza alla Camera (cioè il Pd, grazie al premio del Porcellum) autorizzi il giudice a procedere, evitando almeno l’ultimo sconcio. E che Renzi, come segretario del Pd, dica parole chiare, senza mandare avanti la solita Boschi a blaterare di “presunzione di innocenza” (come nel caso Barracciu che si fa ogni giorno più imbarazzante).
Qui il penale è solo l’effetto di condotte indecenti note da anni, che la politica avrebbe dovuto sanzionare ben prima dell’arrivo dei giudici.
Ove mai esistesse, la politica.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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