Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
L’AUTOSTRADA DEL SOLE FU COSTRUITA IN SEI ANNI, OGGI SI SPENDE SOLO E NON SI REALIZZA NULLA
L’Autostrada del Sole fu terminata in sei anni. La cominciarono nel 1956 e nel 1962 le
macchine da Milano già viaggiavano fino a Napoli.
Bei tempi, almeno per le opere pubbliche.
Sarà stato il boom, lo spirito del Dopoguerra o chissà che, ma allora nell’Italietta che si stava facendo grande, le infrastrutture le costruivano sul serio.
C’erano anche a quei tempi ruberie e scandali come quello delle piste di Fiumicino e il ministro democristiano dei Trasporti, Giuseppe Togni.
Oppure, rimanendo sull’Autosole, la “variante Fanfani” ad Arezzo, la sua città , con il tracciato deviato per esaudire i desiderata del signor ministro.
Quelle infrastrutture fecero comunque grande il Paese e ancora oggi viviamo di rendita su quelle opere.
Adesso si spende tanto e spesso non si realizza nulla.
Cronaca degli ultimi giorni: la Variante di Valico dell’Autosole e l’arresto dello stato maggiore per le Infrastrutture lombarde che stava occupandosi anche di Expo 2015.
Sono gli ultimi casi di una regola fissa delle grandi opere: per un motivo o per un altro ormai non se ne salva una, siano esse necessarie per migliorare la malmessa dotazione del Paese o al contrario progettate solo per succhiare quattrini pubblici e distribuire mazzette.
Rapida rassegna.
Dopo anni di grancassa il ponte sullo Stretto di Messina ha giustamente fatto la fine ingloriosa che tutti sanno.
I tempi di costruzione e le spese per la Metro C di Roma sono fuori di gran lunga rispetto alle previsioni.
Per il Mose, le paratie mobili sulla laguna di Venezia che a detta di chi le vuole dovrebbero salvare la città dall’acqua alta, si allargano sia i tempi di consegna sia i costi.
Il Tav, la linea ad alta velocità tra Torino e Lione, è oggetto di una contestazione durissima incentrata sulla convinzione che sia sostanzialmente inutile.
I quattrini pubblici scorrono a fiumi. Le megalomanie berlusconiane per il ponte di Messina sono costate 400 milioni circa per il pagamento del progetto e per tenere in vita la società apposita, con i suoi amministratori, dirigenti e ben 54 dipendenti.
E non è finita perchè le imprese chiamate in causa, da Eurolink-Impregilo a Parsons, pretendono di essere pagate per il disturbo: quasi 800 milioni di euro.
Per la linea C, la nuova metropolitana di Roma, rispetto ai tempi di costruzione e al costo dell’opera stabiliti nel contratto dell’autunno 2006, siamo oltre ogni limite: doveva essere consegnata in 1.760 giorni e siamo a 2.700 circa e forse sarà pronta nell’estate del 2015. Doveva costare 2 miliardi e 683 milioni di euro e invece ammontano a 3 miliardi e 740 milioni le somme elencate nell’ultimo aggiornamento contabile scaturito dal famoso e contestato accordo di settembre tra Campidoglio e costruttori.
Le 74 paratie mobili del Mose sono in costruzione dalla bellezza di più di un quarto di secolo (27 anni, per l’esattezza).
Quando cominciarono il costo preventivato riportato all’euro era di 1 miliardo e 200 milioni. I soldi già spesi sono sei volte tanto.
Ovvio che l’Italia resti al palo, impoverita da sprechi e ruberie che non migliorano una dotazione infrastrutturale carente.
Neanche l’ordinaria manutenzione riusciamo più a garantire e fa rabbia pensare che ci siano manager pubblici come Pietro Ciucci, amministratore dell’Anas, che si vanta di qualche milione di utile a fine anno mentre le strade vanno a pezzi.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
IL MALESSERE DELLA SOCIETA’ MODERNA INIZIA DALLA MANCANZA DI VISIBILITA’ DELLE NOSTRE COSCIENZE
Questa storia potrebbe intitolarsi la storia delle sorelline invisibili.
Si chiamano Uma e Maya, hanno sette e cinque anni e sono bambine in carne e ossa. La storia, per fortuna ma neanche tanto, è un storia di finzione, nel senso che è stata sceneggiata da un gruppo televisivo per una specie di Candid Camera.
Siamo in un centro commerciale di Londra, vicino a Victoria Station, in un sabato mattina, orario di punta.
Le due sorelline vengono lasciate sole in mezzo alla folla immensa degli acquirenti. Devono fingere di aver perso la mamma, Uma stringendo al petto un pupazzo rosa, Maya, la più piccola, succhiando il pollice, guardandosi intorno spaurita e chiedendo aiuto.
La madre, in realtà , si nasconde dietro un pilastro per vedere se qualcuno offre loro un soccorso alle figlie, ma non è lei la persona invisibile, sono le due bambine sperdute.
In venti minuti si contano 615 passanti, ma solo una donna si ferma per aiutare le piccole.
È Perl Pitcher, una signora sulla settantina, con una borsetta in mano, che si china a chiedere se per caso c’è qualcosa che non va.
Gli altri passano via rapidi, come se nulla fosse, come se Uma e Maya fossero invisibili.
La madre non crede ai suoi occhi. Se la scena non fosse stata preparata da una troupe televisiva, per un sondaggio sociologico, sarebbe drammatica.
Forse lo è ugualmente: i clienti aggirano i due piccoli ostacoli viventi senza lasciarsi distrarre, e si affrettano a fare i loro acquisti.
Ammettiamo pure che la folla del sabato mattina, in un non luogo per antonomasia com’è il centro commerciale metropolitano, non si trova nelle condizioni migliori per entrare in relazione con l’altro, con gli altri.
Non c’è bisogno di richiamare il famoso saggio di Marc Augè, dove si studiano quegli spazi di passaggio in cui il solo scopo è impossessarsi, a gran velocità , dell’oggetto di consumo per tornare a casa rasserenati.
Mettiamoci pure il fatto che le due bambine non saranno state interpreti perfette del ruolo di figlie abbandonate loro assegnato dalla «fiction» televisiva.
Mettiamoci tutto, persino l’iper-cautela (politicamente corretta) di non apparire maniaci travestiti da soccorritori. Ma…
Qualche anno fa un cadavere era rimasto disteso, per ore, sotto un ombrellone del lungomare di Napoli mentre alcune signore si spalmavano la crema sulle spalle, un gruppetto di uomini chiacchierava nella totale tranquillità , altri continuavano a prendere la tintarella o a leggere indisturbati sulla sdraio.
Quanti clochard in agonia ignorati sui marciapiedi delle nostre città , quanti pedoni investiti da «pirati» fuggiti via sinceramente convinti di non aver neanche sentito il botto.
Alla vigilia di Natale del 2010 un Uomo invisibile, fermo sulla corsia d’emergenza della A1 per verificare il guasto del suo furgone, era stato travolto da un camion e trascinato sull’asfalto per 90 chilometri.
C’era un tempo in cui i vivi dovevano lottare con i fantasmi dei morti che volevano rendersi testardamente visibili al mondo, ora i vivi appaiono invisibili ai vivi.
Una percezione sovvertita ci fa reagire immediatamente agli evanescenti impulsi virtuali e ci lascia imperturbati di fronte alla realtà in carne e ossa.
Ma ci sono parole sufficienti quando in una società diventano invisibili persino i bambini?
Paolo Di Stefano
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
NELL’INCHIESTA SULLA BANCA POPOLARE DI MILANO TUTTI I CREDITI CONCESSI A ESPONENTI DI CENTRODESTRA…SANTANCHE’, BRAMBILLA, LA RUSSA, ROMANI…FATTURE NON PAGATE E UNO SCONFINAMENTO DI 400.000 EURO
Per i politici del Pdl e i loro parenti alla Banca Popolare di Milano l’aria è cambiata dopo la
rimozione dell’ex presidente Massimo Ponzellini, finito poi agli arresti domiciliari nel maggio del 2012.
Dopo la pubblicazione delle intercettazioni dell’indagine sui fidi facili della Bpm, nelle quali si svelavano le raccomandazioni di Daniela Santanchè, Ignazio La Russa, Paolo Romani e le pressioni per le pratiche di Paolo Berlusconi e Michela Vittoria Brambilla, nessuno ha verificato cosa sia successo ai crediti di politici, amici e familiari.
La posizione di Paolo Berlusconi per esempio è rimasto un caso singolare.
Il fratello dell’ex premier vanta una concessione personale di un milione di euro per cassa e gode sulla sua holding Pbf Srl di una linea di credito di ben 5 milioni di euro, interamente utilizzati. Una posizione generosa da parte di Bpm che si è garantita solo con una fideiussione personale di Paolo Berlusconi e con l’impegno della società di Paolo Berlusconi a usare i soldi che le deriveranno da un incasso futuro per un’operazione immobiliare: la Cascinazza. Solo il 26 settembre scorso, visto il protrarsi dei termini per la chiusura dell’operazione Cascinazza, Pbf ha rilasciato una garanzia ulteriore a Bpm. Nessuna ipoteca però ma solo un’altra lettera di Paolo Berlusconi che stavolta si impegna a cedere non solo i proventi dell’operazione Cascinazza, se mai si chiuderà , ma anche gli utili o i proventi della cessione delle quote sociali.
“Sistemate la roba o sono sfracelli”
Secondo le intercettazioni telefoniche Massimo Ponzellini minacciava sfracelli con i suoi se “non sistemavano la roba della Brambilla”.
Effettivamente il gruppo della famiglia dell’ex ministro Michela Vittoria Brambilla, composto dalla Sal che si occupa di commercio di prodotti ittici e dalla Trafilerie Brambilla può contare sulla Bpm.
Il consiglio di gestione del 23 ottobre scorso ha analizzato la situazione e ha revocato la linea capital market da un milione di euro della Trafilerie Brambilla.
Ma ancora oggi il rischio di Bpm verso il gruppo resta notevole: 4 milioni e 400 mila euro di affidamento che è stato già utilizzato per 3,8 milioni di euro.
Anche la Alphabet S.c.r.l. una società che si occupa di trasmissioni tv sul digitale terrestre e che è di Ilaria Sbressa, moglie del manager Mediaset Andrea Ambrogetti, era stata raccomandata da un personaggio importante: l’allora ministro Paolo Romani. Nell’agosto del 2011 Alphabet, riferibile al 70 per cento alla Sbressa che la controlla tramite Interattiva SRL, ottiene 300 mila euro per anticipo fatture grazie solo a una fideiussione generica rilasciata dalla stessa Sbressa.
Nel dicembre del 2011 la posizione passa a incaglio. Nel marzo 2012 veniva concordato un piano di rientro per 5 mila euro mensili mediante la firma di pagherò con avallo della stessa Sbressa. Però il piano non è stato rispettato. A oggi l’esposizione è pari a 321 mila euro con 20 mila euro di rate in mora.
Le telefonate di Ignazio
Anche la Quintogest è divenuta famosa grazie alla telefonata intercettata di Ignazio La Russa che il 27 luglio del 2011 sollecitava Ponzellini perchè “si trova in difficoltà perchè non ha i soldi sufficienti a dare ai propri clienti”.
Poi La Russa chiede una risposta per “chiudere in un modo o nell’altro … perchè mi dicono che anche all’esito della tua risposta loro … potrebbero anche decidere di vendere”.
La Russa ha tante ragioni per raccomandare questa società che allora era presieduta da Filippo Milone, oggi sottosegretario alla difesa, e che era partecipata con il 49 per cento dalla Fondiaria Sai dei Ligresti (legati alla famiglia La Russa) e che soprattutto era partecipata indirettamente al 34 per cento dalla società Idi Consulting, controllata da Laura De Cicco, moglie dell’ex ministro del Pdl.
Quintogest ora ha cambiato compagine e la moglie di La Russa ha ceduto le sue quote in Idi Consulting per 11 mila euro (il valore nominale) il 6 febbraio del 2012.
Ma quando l’allora ministro della difesa chiama l’allora presidente di Bpm Ponzellini, l’interesse è fortissimo.
La società , come dice il suo nome, eroga credito in cambio della cessione del quinto dello stipendio. Ma Quintogest, come dice La Russa ha bisogno di cash perchè non presta soldi suoi ma quelli di Bpm e anche Ubi banca.
Oggi Bpm è esposta per 44 milioni verso Quintogest.
Il 27 luglio poco prima della telefonata di La Russa a Ponzellini, Antonio Giordano, socio forte della Quintogest dice ad Antonio Cannalire che aveva parlato con La Russa. E quando lui gli aveva detto “Vedi che non sono cose facili” il ministro aveva risposto “allora chiamo io Massimo (Ponzellini Ndr)…vedrai che è facile”.
La Russa nel luglio 2011 non poteva immaginare che Ponzellini sarebbe stato fatto fuori: l’aumento di 6 milioni di euro rispetto ai 44 milioni di plafond esistenti allora, non è mai stato accordato. E la moglie ha ceduto le quote, come previsto da La Russa. Il Fatto ha letto le carte della Banca d’Italia e della Procura di Milano e anche quelle interne della stessa Bpm, utilizzate dagli ispettori per ricostruire la storia delle aperture di credito milionarie a politici, amici e familiari. Le cose in Bpm stanno lentamente cambiando con l’insediamento dei nuovi vertici ma le carte sulle pratiche vip rendono evidente che in Italia l’accesso al credito per i potenti è un gioco da ragazzi. della magistratura.
Visibilia, miracoli a sei zeri
La storia della società di raccolta pubblicitaria di Daniela Santanchè, la Visibilia Srl è davvero istruttiva.
Visibilia Srl vende spazi pubblicitari sui giornali, inizialmente quelli della famiglia Angelucci (Libero e il Riformista ) poi prevalentemente su Il Giornale di Paolo Berlusconi e della Mondadori.
La società ha bisogno di credito ma Daniela Santanchè non presenta garanzie personali (come una fideiussione) o reali (come un’ipoteca sull’appartamento milanese di via Soresina) ma presenta le fatture da incassare.
Dall’istruttoria dell’agenzia della Bpm si scopre che Daniela Santanchè dipende fortemente dai contratti con Il Giornale dei Berlusconi: “Il contratto stipulato con Il Giornale prevede minimi fissi garantiti per (…) un milione e 200 mila euro mensili per tutto il 2010”, scrive la Bpm.
Nel maggio del 2011 i nodi vengono al pettine: “dal febbraio 2011 al maggio 2011 la percentuale degli insoluti è del 79,6 per cento”.
Nel settembre 2011 il Servizio Crediti della Bpm esprime un “giudizio fortemente critico”.
A dicembre 2011 Daniela Santanchè promette un doppio contratto con Eni ed Enel, mai arrivato.
Il 2 dicembre telefona all’allora direttore generale Enzo Chiesa: “Ma ce la sbloccano quella cosa? Perchè per noi è importante”.
Chiesa replica: “direi di sì. Santanchè incalza: “quando mi dà questa bella notizia?”
E Chiesa risponde “O domani o lunedì. La chiamo io”.
Proprio a dicembre del 2011 il servizio crediti di Bpm non prende provvedimenti drastici pur riducendo le linee di credito a 3,5 milioni di euro, dai 6 milioni e 250 mila euro (dei quali 4 milioni circa erano utilizzati) accordati nei tempi d’oro di Massimo Ponzellini.
Poi il nuovo management guidato dal presidente Andrea Bonomi taglia l’affidamento a 1,7 milioni.
Un tetto che però sta stretto all’imprenditrice-politica che infatti lo sfonda per 450 mila euro arrivando a un’utilizzazione effettiva che sfiora i 2 milioni e 200 mila euro. Lo sconfinamento della società dell’ex sottosegretario già a luglio scorso è stato segnalato da Bpm alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
novembre 2012
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
CHIUSE LE INDAGINI SU PONZELLINI: L’ EX PRESIDENTE DELLA BANCA POPOLARE DI MILANO AVREBBE CONCESSO, CONTRO L’INTERESSE DELLA BANCA, UN FINANZIAMENTO “NELL’INTERESSE ESCLUSIVO” DELLA PITONESSA PER LE SUE SOCIETA’ VISIBILIA
Due milioni e 800mila euro “nell’interesse esclusivo” di Daniela Santanchè, amministratore delle società Visibilia2 e Visibilia srl.
E’ uno dei presunti finanziamenti illeciti concessi dall’ex presidente di Bpm Massimo Ponzellini elencati dai pm milanesi nell’avviso di chiusura delle indagini a carico di Ponzellini e di altre 16 persone, notificato oggi dal nucleo di polizia tributaria della Gdf.
Il pm di Milano Roberto Pellicano sostiene inoltre che Ponzellini, assieme ad altre persone, tra cui il suo braccio destro Antonio Cannalire, avrebbe creato all’interno della banca “una struttura parallela e deviata verso interessi personali” per erogare finanziamenti illeciti.
Una “struttura adatta a recepire, coltivare e soddisfare le richieste di finanziamento di una cerchia di soggetti segnalati da ambienti politici o imprenditoriali in grado di retribuire i membri dell’associazione” per delinquere.
Secondo il pm, infatti, c’era “un’area di pratiche” dentro Bpm “definibili come pratiche del ‘Presidentè (Ponzellini), trattate dalla suddetta struttura con modalità illegittime” in contrasto con gli interessi e le regole dell’istituto di credito.
Dal provvedimento d’arresto per Ponzellini, tra l’altro, erano saltati fuori una serie di nomi di politici (non indagati): dagli ex ministri Paolo Romani, Aldo Brancher e Ignazio La Russa ai parlamentari Daniela Santanchè e Alfredo Messina.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
ROGNONI AL TELEFONO: “TRITURIAMO LE CARTE”
L’attività di Infrastrutture lombarde (Ilspa), il suo agire senza controlli, gli appalti
milionari senza gara, sono stati «favoriti e preservati da una ramificata rete di relazioni di carattere politico-affaristico ».
I magistrati milanesi identificano il mondo e le presunte coperture che avrebbero permesso gli illeciti, in «ambienti riconducibili alla Compagnia delle Opere (Cdo)».
E nello specifico, rimarcano anche «i rapporti di assidua frequentazione e vicinanza con contesti gravitanti in special modo intorno alla precedente giunta della Regione Lombardia (a guida Formigoni, ndr)».
Se con il blitz di giovedì scorso la procura di Milano ha decapitato la società , con accuse che parlano di associazione a delinquere e turbativa d’asta, nelle pieghe delle carte allegate all’ordinanza, si fa un passo ulteriore.
I pm Robledo, D’Alessio e Pirotta, parlano di una «struttura che opera su due profili separati». Il primo, quello delle false consulenze, si spartiva incarichi milionari e coinvolgeva liberi professionisti, quasi tutti finiti ai domiciliari. Il secondo, che resta sullo sfondo, sembra il più inesplorato e inquietante.
E coinvolge «appalti per opere di rilevanza strategica per il territorio, che appaiono gravemente turbate nella fase della scelta del contraente ».
I LEGAMI CON LA CDO
Perchè, è la domanda su cui sembra ruotare tutta la questione, i vertici di Ilspa, hanno falsato le carte, favorito alcuni liberi professionisti garantendo introiti al di fuori di leggi e mercato?
I principali beneficiati sono Fabrizio Magrì e Carmen Leo, due dei 4 avvocati finiti agli arresti domiciliari. Di Magrì la procura ricorda i «legami influenti di natura economico affaristica ».
Come i compensi – in totale per 110 mila euro – «percepiti dalla Relive Company, società milanese della Cdo, non a caso rappresentata da Antonio Intiglietta».
Magrì, certamente fino al 2010, è un associato Cdo.
Agli atti ci sono i pagamenti dell’iscrizione da 350 euro l’uno. E insieme all’avvocato Sergio De Sio – anche lui ai domiciliari e anche lui di Cl – Magrì ottiene «notevoli vantaggi economici » da questo rapporto privilegiato e da questo sentire comune e vicinanza «con l’area riferita alla presidenza regionale dell’epoca».
Sono molti i sospetti che portano ai fedelissimi di Formigoni.
Nelle carte si parla delle entrature che Magrì avrebbe ottenuto anche in Fiera Milano (da sempre roccaforte di Cl), e poi si parla di intimi dell’ex governatore, come l’ex direttore generale della Sanità , Carlo Lucchina, del segretari generali Nicola Sanese e di Marco Carabelli, che sarebbero intervenuti «affinchè i compensi pretesi dal manager (l’avvocato, ndr),gli fossero corrisposti…»
LE OMBRE SU EXPO
Che il blitz che ha portato agli arresti di giovedì, sia solo una tappa, lo si intuisce in diversi passaggi delle carte in mano all’accusa.
«Dal contenuto di varie conversazioni è emersa esattamente la condotta del Magrì volta a “esportare” le medesime pratiche illecite prodigate con Ilspa, per pilotare incarichi e assunzioni in Expo».
I discorsi emersi nelle intercettazioni effettuate dal Nucleo di polizia tributaria, sono tutti concentrati «sui lavori della piastra», l’opera intorno alla quale si svilupperà la manifestazione.
Nel corso delle telefonare «i protagonisti citano addirittura un “metodo Ilspa” prendendo ad esempio i lavori per la realizzazione del nuovo Palazzo Lombardia (opera faraonica da 570 milioni di euro,ndr),laddove ammettono, senza giri di parole, di aver fatto svolgere lavori in variante senza la preventiva formalizzazione».
I COMPENSI DALLA FIERA
Per la Guardia di Finanza, «sono numerosi e convergenti gli indizi e le indicazioni ricavate tali da far ragionevolmente ritenere che la scelta dei “soliti professionisti” sia condizionata più da ragioni legate alla loro appartenenza o vicinanza ad ambienti politico-affaristici, piuttosto che alle loro specifiche competenze».
A supporto della propria analisi, la Gdf nota che «nei periodi in cui Magrì risulta aver conseguito erogazioni dall’Ente Fiera», (oltre un milione e 200mila euro), la legale rappresentanza era rivestita da Luigi Roth (in quota Cl, ndr)». Roth, «dal novembre 2009 al dicembre 2011, assume anche la legale rappresentanza del Consorzio Città della Salute, poi posto in liquidazione il 20 dicembre 2011, con liquidatore Danilo Musumeci, dirigente della struttura di controllo del Sireg della Regione».
E dagli accertamenti bancari, risulta «che dal luglio 2010 fino al marzo 2012, lo studio legale Ennio Magrì ha percepito dal Consorzio compensi pari a 315mila euro».
GLI INTERROGATORI
Ieri, intanto, davanti al gip Andrea Ghinetti, si sono svolti i primi interrogatori di convalida.
L’ex capo dell’ufficio gare Pierpaolo Perez – legali Giovanni Briola e Raffaella Oggioni – ha reso una dichiarazione spontanea, rivendicando la trasparenza del suo operato. Rognoni, difeso dall’avvocato Francesco Centonze, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
In una intercettazione del 19 luglio 2012, l’ex numero uno Ilspa, mentre sta redigendo un incarico illegale, si raccomanda con l’ingegnere Alberto Porro, project manager in Ilspa: «Non scriverti ‘ste robe qui!».
E Porro lo rassicura: «Ok, tanto poi questi (documenti, ndr)li trituriamo ». In un’altra conversazione Rognoni si lamenta al telefono: «C’ho troppi soldi io sul conto, non va bene… questi fanno la patrimoniale entro Natale».
E in effetti agli atti dell’inchiesta risulta un tesoretto di oltre 3,2 milioni, frutto degli ultimi quattro anni di stipendi percepiti come manager pubblico: 781mila nel 2008, 673mila nel 2009, 921mila nel 2010 e 900mila nel 2011.
Rognoni, insieme ai familiari più stretti, aveva anche costituito nel 2006 un fondo con 17 immobili tra appartamenti, negozi e relative pertinenze, e, l’anno successivo, un trust a più riprese dotato di fondi cospicui, la cui titolarità nel 2010 è stata trasferita ai figli.
De Riccardis e Randacio
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
DAL PD A FORZA ITALIA L’ALLARME DELLE FORMAZIONI “TRADIZIONALI”
«All’apparir del vero tu, misera, cadesti». Nichi Vendola usa Leopardi per dire che qua crolla tutto, che l’Europa sta per essere travolta e con essa la sinistra continentale tanto brava a parole ma sempre pronta a sottoscrivere le politiche del rigore imposte dal centrodestra.
È un verso che descrive anche la Grande Paura dei partiti italiani dopo la domenica francese. Rischia l’Europa ma rischiano anche le forze tradizionali, quelle che vogliono rimanere agganciate al Vecchio continente seppure libero finalmente dal vincolo dell’austerity.
L’allarme è scattato nelle forze di governo e in quelle dell’opposizione che rifiutano la ricetta populista.
A Largo del Nazareno, sede del Pd, si studiano le mosse della campagna elettorale per l’elezione dell’Europarlamento.
Il coordinatore Lorenzo Guerini, da qualche giorno, è alle prese con le proposte grafiche di slogan e propaganda.
Ma il Partito democratico ragiona soprattutto su come utilizzare al meglio la figura di Matteo Renzi nella sfida campale con Beppe Grillo.
Già da ieri sera si è cominciato a pensare a messaggi video del premier da far circolare nei mesi di aprile e maggio. E a suo coinvolgimento maggiore in alcuni tradizionali appuntamenti con la piazza
Doveva rimanere defilato dalla partita delle urne, Renzi.
Per non trasformare il voto del 25 maggio in un referendum su se stesso. Per questo aveva escluso la presenza del suo nome nel simbolo.
Una richiesta che non era un’uscita estemporanea del vicepresidente Matteo Ricci, ma un appello forte dei suoi uomini rimasti al partito.
Sondaggi alla mano, il vantaggio era certo.
Non succederà , ma Renzi dovrà farsi vedere più del previsto se l’obiettivo minimo rimane superare il 26,1 del2009 e quello massimo il raggiungimento di “quota 30 per cento”. «Dobbiamo far passare il messaggio che si cambia verso anche in Europa – spiega Guerini, vero numero due del Pd che presto sarà affiancato da Debora Serracchiani – Il problema è il vento populista che soffia forte, un punto a favore è l’unità del partito intorno a un’idea dell’Europa che ora guardi più all’occupazione e al disagio sociale e meno al rigore».
I fantasmi italiani si chiamano Grillo, Lega, Forza Italia, quello che potrebbe diventare il fronte degli euroscettici invocato da Marine Le Pen a Parigi.
Ma Vendola è furibondo anche con i partiti della sinistra. E con Hollande «che si azzarda a dire che è un voto locale nascondendo l’onda nera che parte dalla Francia».
La questione è che il presidente francese «fa campagna elettorale contro l’austerity e poi sottoscrive gli strumenti dell’austerity.
È una contraddizione che non regge più e può distruggere l’Europa ».
Sarà difficile anche per la lista Tsipras combattere gli anti-Euro proponendo la soluzione di un’altra Europa, «ma vedo peggio i partiti socialisti e la loro politica compromissoria».
E Renzi? Non deve fare l’errore di Hollande, «non può recitare tutte le parti in commedia. Farsi le coccole con la Merkel e denunciare i vincoli del patto di stabilità . Questo atteggiamento non funziona. Ha portato l’Europa a non essere più il continente dell’Erasmus ma quello della povertà »
Roberto Speranza però difende la scelta del Pd di affidarsi a Renzi per la guida del governo. Proprio nell’ottica «dello scontro tra politica e antipolitica.
Anzi, tra campo democratico e il campo che mette in discussione tutte le istituzioni democratiche.
Quando abbiamo scelto Renzi – spiega il capogruppo Pd alla Camera – lo abbiamo indicato come guida de4l campo democratico. Avevano bisogno di un elemento di rottura per alzare l’argine contro il fiume in piena dei populismi».
È la crisi economica la levatrice di questa protesta populista, dice Speranza. Da noi si somma alla profonda crisi della politica
La Grande Paura prende anche il Nuovo centrodestra.
Fabrizio Cicchitto rivolge alla sinistra la stessa accusa di Vendola: «Finora infatti i socialisti francesi e i socialdemocratici tedeschi sono risultati del tutto subalterni alla linea ultrarigorista». Questo spiega bene la sconfitta di Hollande. «L’Ncd darà il suo contributo affinchè il governo Renzi riesca nella difficile operazione di evitare le derive populiste e di superare un rigorismo a senso unico».
Ma Angelino Alfano attende di vedere le prossime mosse di Forza Italia.
Ieri i dirigenti di Fi hanno dato il primo saggio di una linea indefinita limitandosi a commentare con soddisfazione la sconfitta dei socialisti francesi.
Ma sanno che la campana dell’antieuropeismo può suonare anche per loro.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
DALL’OLANDA ALL’UNGHERIA, LA CAVALCATA DEI MOVIMENTI CRITICI DELLA UE CHE A MAGGIO ARRIVERà€ NELL’ EUROPARLAMENTO
Le Municipali in Francia sono “una sirena d’allarme” per le Europee di maggio: Lapo
Pistelli, viceministro degli Esteri, giudica così l’esito del voto di domenica, con l’avanzata del Front National di Marine Le Pen, euro-scettico e xenofobo.
Pistelli parla a un convegno sulla Presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue dal 1° luglio al 31 dicembre: c’è l’ansia che un Parlamento europeo ‘contro’ renda il semestre un calvario.
Gli utlmi sondaggi a livello europeo sono chiari.
Per PollWatch2014, l’Assemblea di Strasburgo che uscirà dalle urne il 22 e 25 maggio sarà ancora dominata da socialisti e popolari, i cui gruppi, insieme, avranno una larga maggioranza: circa 210 seggi a testa — 751 il totale -, con Pse in lieve crescita e Ppe in forte calo, al punto da rischiare di subire il sorpasso.
Ma la sinistra euro-critica ed euro-scettica riunita intorno al greco Alexis Tsipras scavalca i liberali e diventa il terzo gruppo — dentro, Syriza, che potrebbe diventare il primo partito greco, la sinistra radicale francese, la Linke tedesca, Sel e altre formazioni italiane.
A seguire conservatori, verdi, autonomisti.
Fuori dagli attuali schieramenti ci saranno, però, un centinaio di eurodeputati euro-critici ed euro-scettici di varie tendenze (e non facili da catalogare, come i Veri Finlandesi).
In Italia, il sondaggio prevede il prevalere degli eletti Pse su quelli Ppe: 22 contro 20 su 73 seggi.
Ma ben 24 eurodeputati italiani — i ‘grillini’, sostanzialmente — vanno nella casella ‘non iscritti’.
Mentre i sette restanti escono dalla Lega e da altre formazioni politiche.
Le previsioni tengono già conto della sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha sancito l’incostituzionalità della soglia di sbarramento al 3% alle elezioni europee.
Così, potranno ‘esordire’ a Strasburgo partiti come l’Afd anti-euro, i Pirati, l’Npd neo-nazista.
Il caso tedesco è uno specchio della frammentazione dell’elettorato europeo: il voto di protesta non esprime una forza compatta.
Un perno certo è l’Alleanza tra la francese Le Pen e l’olandese Geert Wilders, leader del Pvv, cui s’è unita la Lega di Matteo Salvini: insieme per liberare i popoli dell’Ue “dal mostro Bruxelles”.
I partiti della Le Pen e di Wilders divergono su molti punti, dal giudizio sull’Islam ai diritti dei gay.
A fare da collante al loro matrimonio politico è il comune rigetto dell’integrazione europea: Marine predica “sovranità nazionale” su moneta e bilancio; Geert ci va giù pesante definendo l’Unione uno “stato nazista”.
Fatta l’alleanza, bisogna quindi reclutare altri membri per darle efficacia: i secessionisti fiamminghi del Vlaams Belang, i democratici svedesi – estrema destra -, l’Afd tedesca, il Fpoe austriaco reduce da una forte affermazione elettorale (e che ha ancora le stimmate del suo fondatore Joerg Haider).
Interessano anche gli euro-scettici britannici dell’Ukip, guidati da Nigel Farage, partito che da solo conta già 13 eurodeputati e che, però, intende smarcarsi dalla neonata Alleanza.
Esclusi, invece, i greci di Alba Dorata, i bulgari di Ataka, gli ungheresi di Jobbik e i tedeschi dell’Npd, tutti accusati di derive razziste e antisemite.
Se la predica viene da quel pulpito c’è da credere vi sia del vero.
La porta resta aperta al M5S cui la Le Pen guarda con interesse da tempo.
Grillo e Casaleggio negano apparentamenti, anche se alcune posizione dei Cinque Stelle, ad esempio sull’immigrazione, sono vicine a quelle dell’Alleanza.
Anche il manifesto europeo in sette punti dei ‘grillini’ piace, soprattutto il referendum per la permanenza nell’euro.
Secondo i calcoli attuali, l’Alleanza potrà contare su una quarantina di seggi (la soglia per formare un gruppo politico a Strasburgo è di almeno 25 eurodeputati da almeno sette Stati) e potrebbe calamitarne altri.
Discorso a parte meritano gli autonomisti e i separatisti, catalani, scozzesi, fiamminghi. Oggi ci sono con loro pure i leghisti, che, però, hanno già pronta la nuova casacca.
Con la bussola all’ottimismo, i dubbi sui rapporti di forza a Strasburgo e la corsa alla presidenza della Commissione sono antidoti contro l’ennesimo calo dell’affluenza alle urne europea, che sarebbe per l’Unione sconfitta persino peggiore dell’affermazione di euro-critici ed euro-scettici.
Giampiero Gramaglia)
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
TRA DINASTY FAMILIARE E OSTILITA’ ALLE POLITICHE EUROPEE, ALEGGIA UNA CONFUSIONE PERICOLOSA
Silvio Berlusconi ha ormai pochi giorni per pronunciare qualche parola chiara sul destino del suo movimento.
Per far conoscere agli italiani – quelli ancora disposti a votarlo, e sono molti – se dopo il 10 aprile, giorno in cui si deciderà la sua sorte giudiziaria, esisterà ancora un centrodestra con un leader e una proposta politica per il Paese.
I segnali non sono positivi. La battaglia politica per il potere nel movimento si mescola alla dynasty familiare.
Non si conoscono le idee per affrontare la sfida con Renzi e il Pd nelle elezioni europee. C’è solo una manifesta ostilità alle politiche rigoriste di Bruxelles, sulla scia dei movimenti populisti: una confusione pericolosa per un partito che fa parte dei Popolari europei, quasi un tentativo di rivalsa nei confronti di un’Europa che ha contribuito all’estromissione di Berlusconi.
Tutto il resto è un conflitto che si concentra esclusivamente sui capilista delle elezioni di maggio.
Come se la posta in gioco fosse chi vincerà tra la fidanzata di Arcore e i discussi boss politici Denis Verdini e Raffaele Fitto.
L’errore di Berlusconi
C’è un grave errore politico all’origine della deriva in cui è precipitato uno schieramento che dovrebbe (e può) rappresentare il mondo liberale e conservatore.
Quello compiuto da Berlusconi quando non ha voluto o saputo distinguere i suoi problemi giudiziari dal destino politico del partito.
Quando ha deciso di rompere la maggioranza che sosteneva Enrico Letta, nei giorni del voto sulla decadenza da senatore prevista dalla legge Severino per i condannati in via definitiva.
Da quel momento il centrodestra non è esistito più, se non come aggregato di partiti nei sondaggi di opinione.
Il Popolo della Libertà è stato cancellato, il suo segretario Angelino Alfano, insieme a tutti i ministri, ha abbandonato il partito per fondare il Nuovo centrodestra.
E soprattutto la rinata Forza Italia non è decollata: il suo fondatore vive sempre più rinchiuso ad Arcore e Palazzo Grazioli circondato da poche figure che filtrano i suoi rapporti con il mondo.
Non si sa chi guida il partito, dove si prendono le decisioni (non certo in un super affollato ufficio di presidenza), quali sono i reali compiti dei neonati club Forza Silvio.
È tutto un agitarsi di capi e capetti che si ritagliano minuscole porzioni di potere in attesa del momento in cui Berlusconi sarà obbligato dalla magistratura all’inattività politica.
Un movimento trascinato ai servizi sociali
L’ex Cavaliere è rientrato in gioco solo per definire con Renzi il patto sulla legge elettorale. È come se avesse deciso di trascinare il suo movimento ai servizi sociali (o peggio agli arresti domiciliari come molti temono) con lui.
Proprio i guai giudiziari avrebbero dovuto suggerire a Berlusconi di aprire finalmente un confronto vero sul futuro del suo movimento, preparando tutti i passi per una nuova leadership e una rinnovata piattaforma programmatica che non sia la ripetizione degli slogan di venti anni fa.
Una leadership che il fondatore di Forza Italia può favorire ma che deve nascere da una battaglia e da una vera selezione, come è accaduto nel centrosinistra con primarie e rottamazione della vecchia classe dirigente.
I gradi di condottiero si conquistano sul campo, coinvolgendo tutti gli spezzoni dispersi del centrodestra.
Le investiture dinastiche e tantomeno il potere conquistato con il controllo delle candidature e degli apparati non portano da nessuna parte.
E non serviranno a rilanciare un progetto politico nè a garantire la presenza, necessaria, di un polo dei moderati competitivo in Italia.
Luciano Fontana
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 25th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI FERMA I FIGLI IN POLITICA E ATTACCA I COLONNELLI: “VOGLIONO L’EREDITA’ MA NON SONO MORTO”
«Qualcuno ha pensato che si fosse aperta la successione. Ma si è sbagliato. Alla guida di
Forza Italia e del centrodestra resto io, per ora e anche per il futuro. Non sono morto».
Silvio Berlusconi ha davanti a sè Verdini e Toti, i capigruppo Romani e Brunetta e quello europeo Baldassarri, l’avvocato Ghedini.
A tavola, all’ora di cena ad Arcore, non c’è la Pascale e nemmeno la segretaria-ombra Maria Rosaria Rossi.
Non è un caso, niente cerchio magico. Il leader esterna col tono grave dei momenti solenni, il partito che lui prova a riprendersi e a resettare è una maionese impazzita.
Prima che inizi il vertice politico, alla presenza dei soli Verdini, Toti e Romani nomina l’ufficio di presidenza atteso da mesi, per riportare la calma e accontentare praticamente tutti (trenta membri effettivi, più trenta non votanti).
Ma soprattutto pubblica una nota con la quale di fatto chiude alla candidatura dei big del consenso, da Fitto a Scajola, invocando il «rinnovamento» e chiedendo che «tutti mettano da parte ambizioni personali» in vista delle Europee.
Ma la ferita resta aperta e le reazioni non tarderanno ad arrivare.
Nel partito come in famiglia.
I figli di seconde nozze, Barbara, Eleonora e Luigi vengono ricevuti a cena domenica sera. Marina e Piersilvio ieri a pranzo.
Le due dinastie sono tornate ai ferri corti, proprio sull’onda della possibile «discesa in campo». Anche perchè il patriarca, ultimo sondaggio alla mano, ha deciso che semmai una delle due dovrà sacrificarsi, quella sarà Marina.
E comunque non ora, non per le Europee.
LA GUERRA DI SUCCESSIONE
Berlusconi ce l’ha con tutto lo stato maggiore del partito. Ce l’ha come mai in passato con Nicola Cosentino che ha rotto in Campania attaccando in ultimo la Pascale nei giorni scorsi. «Mi ha tradito, con lui il rapporto è ormai irrecuperabile» hanno sentito ripetere all’ex Cavaliere a più riprese ieri.
Il timore è che mezza dozzina di senatori di Forza Campania sia in trattativa per passare al Nuovo centrodestra di Alfano, più per vendetta che per convenzione.
Ma ce l’ha anche con Fitto e Scajola, pronti a entrare in lizza per le Europee e che tanto lo hanno pressato in queste settimane.
«Tutti contro tutti, mi sembra di essere tornato ai tempi della mia decadenza e che hanno portato alla scissione » è un altro degli sfoghi delle ultime ore. Ma nel mirino – e questa è la novità – finisce anche il duo Pascale-Rossi, le due sacerdotesse del tempietto di Arcore che troppo in là si sono spinte ed esposte in queste settimane.
A ferire Berlusconi è stato il «non detto», quel che si cela dietro il dibattito che tiene banco ormai nel partito: l’apertura formale e sostanziale della corsa alla successione, nell’imminenza del 10 aprile.
Come se i suoi attendessero la decisione dei giudici sui servizi sociali o sui domiciliari per spartirsi le spoglie politiche.
Una discussione in cui ognuno cerca di piazzare il proprio cavallo vincente.
La Pascale che scende in campo per Marina, altri che ipotizzano Barbara, mentre Verdini e la Santanchè giocano contro il «cerchio magico» e altri lottano per contarsi alle Europee. Berlusconi fa saltare il tavolo.
«Nessuna successione, il leader unico resto io» ha ripetuto dunque a cena ieri sera. È il tentativo di ricompattare, ma non ci riuscirà .
Le decisioni prese nel pomeriggio lasciano scontenti quasi tutti, per un motivo o per l’altro.
E in tutti si è diffusa ormai la convinzione che la corsa alla successione è solo rinviata al 26 maggio, all’indomani delle Europee.
E molto, in quella corsa, dipenderà dall’esito del voto.
Se Forza Italia crollerà davvero sotto il 20 per cento in assenza del leader e di candidati forti, tutti gli equilibri sono destinati a saltare e forse anche il «cerchio magico » rischia di essere spazzato via.
I FIGLI IN STANDBY
«Non possiamo proiettare l’immagine di un partito familistico, proprio noi che abbiamo innovato in politica, il dibattito è stato controproducente » è la frase che hanno sentito ripetere al padre tanto domenica sera a cena i figli di Veronica, quanto ieri a pranzo Marina e Piersilvio.
L’effetto sorpresa della candidatura di uno di loro sarebbe ormai bruciato.
Ma è un discorso congelato, non accantonato. Berlusconi ha fatto testare Marina, Piersilvio e Barbara e il responso del sondaggio consegnato nelle ultime ore è stato abbastanza chiaro. L’unica che supera un tasso di gradimento superiore al 50 per cento è la primogenita, la più conosciuta, quella considerata «più autorevole ».
Del resto, nonostante le ambizioni e la disponibilità concessa da Barbara, l’unica pedina alla quale il padre abbia realmente pensato. Ma non per ora.
La soluzione familiare sarebbe ripescata d’emergenza solo se il 10 aprile e poco dopo i giudici lo consegnassero ai domiciliari.
Se la sua leadership venisse messa davvero fuori gioco. Ipotesi ritenuta assai remota fino a qualche giorno fa, ma che adesso Ghedini e Longo avrebbero rispolverato come uno spauracchio sì, ma da tenere in considerazione.
Le esternazioni dei giorni scorsi sulla giustizia e sui magistrati non configurerebbero esattamente il prototipo del condannato che abbia accettato la pena e riconosciuto la colpa.
EUROPEE
«Mi auguro che tutti all’interno del nostro movimento politico ben comprendano la gravità del momento, la crisi di fiducia che investe la politica tutta, e l’esigenza di rinnovarci che viene chiesta con forza dal paese» è il monito dell’ex premier rivolto ai suoi attraverso una nota. Scritta a più mani, alla presenza di Toti e prima che arrivino a Villa San Martino gli altri dirigenti. Ha tutto il sapore di essere uno stop alle candidature «forti» e al contempo ingombranti con cui alcuni big sperano di pesarsi.
Magari proprio a discapito dell’astro nascente Toti (capolista nel Nordovest).
«Uno sforzo che dobbiamo affrontare tutti insieme mettendo da parte interessi personali, ambizioni individuali e la difesa di rendite di posizione assolutamente incompatibili con questo percorso. Sono certo – conclude Berlusconi – che tutta la nostra classe dirigente saprà fare quadrato per respingere ogni egoismo e per costruire insieme la Forza Italia del futuro».
Scajola dice di «sottoscrivere l’appello».
Fitto rinvia ogni commento all’esito del vertice di ieri sera, attende che la decisione dell’esclusione dei parlamentari sia definitiva.
UFFICIO DI PRESIDENZA
Sono trenta, compreso Berlusconi, i componenti dell’organismo, ai quali si aggiungono altri 37 esponenti che potranno partecipare al comitato, ma da «osservatori ».
Dentro c’è Fitto, ma non c’è Scajola. Ci sono Toti, Fiori, la Rossi e Bondi, Verdini e, tra gli altri, la Gelmini, la Carfagna, la Bernini, i capigruppo, la Calabria e il giovane sindaco di Pavia Cattaneo.
La Santanchè compare solo tra i «partecipanti » esterni, come Furlan dell’Esercito di Silvio.
Il leader prova a blindarsi in un fortino di super fedelissimi per sconfiggere il caos.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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