Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO WELT CRITICA IL PREMIER ITALIANO: “PROVOCA LA MERKEL CON L’ANTI-RIGORE”
“Matteo Renzi provoca Angela Merkel con l’anti-rigore“.
È il titolo del quotidiano tedesco Welt sulla bilaterale di oggi a Berlino fra il premier italiano e la cancelliera.
“Vuol fare altri debiti e spingere fino ai limiti del trattato di Maastricht“, si legge nel sottotitolo.
Il “punto delicato” della visita di insediamento del premier consiste infatti nel “finanziare il suo programma congiunturale coi debiti: una dichiarazione di guerra alla politica europea tedesca”.
Per fare questo “ha bisogno dell’autorizzazione di Berlino e Bruxelles.
Otterrà il semaforo verde dalla cancelliera?”, è la domanda.
Sottolineando che Renzi è il premier “più giovane” della storia italiana, Welt lo descrive come “deciso, spesso irriverente e anche temerario”.
Un “outsider” rispetto a Mario Monti ed Enrico Letta, che si sono attenuti “alle prescrizioni europee”.
“Lo shock Renzi fa scattare l’allarme a Berlino, Francoforte e alla Bce”, prosegue. Voler finanziare col deficit le promesse fatte agli italiani è “manovra rischiosa” secondo il giornale, che rammenta che il debito pubblico italiano sia già al 133% del Pil.
Anche il Tagesspiegel dedica un lungo articolo alla bilaterale di oggi: “Cari saluti da Firenze”, titola.
Il quotidiano scrive che certamente alla cancelliera piacerà il regalo di Renzi, e cioè la maglietta firmata da Mario Gomez.
“Altri regali potrebbero essere invece accolti con scetticismo”, scrive.
Tuttavia, è la constatazione, in vista del test delle europee, “Renzi ha bisogno di un’accoglienza calda a Berlino”.
Il premier italiano aveva anticipato nei giorni scorsi di voler “semplicemente mostrare alla Merkel il percorso di riforme che l’Italia ha in testa, un percorso che non ha fatto nessuno in Europa in questo tempo. Se noi facciamo bene il nostro dovere, possiamo essere alla guida dell’Europa, non l’ultimo vagone tra i ritardatari”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
SI E’ DETTA DISPONIBILE A COLLABORARE, MENTRE PROSEGUE LO SCARICABARILE TRA I VIP CHE SOSTENGONO DI NON AVERLA MAI CONOSCIUTA
Tremano politici e attori protagonisti dei festini romani a cui partecipava Federica Gagliardi, fermata lo scorso 13 marzo con 24 chili di cocaina nel trolley.
Mentre tutti quelli che l’hanno conosciuta prendono le distanze, si apre la settimana che potrebbe essere decisiva per l’inchiesta napoletana che ha portato alla sua cattura. La dama bianca, come spiega Repubblica, inoltrerà nelle prossime ore da una cella di Civitavecchia la richiesta di essere interrogata dal pm, come conferma il suo avvocato Nicola Capozzoli.
Gli indagati potrebbero essere una decina, tra cui la Finanza avrebbe individuato il broker internazionale, mediatore dei maxi acquisti di coca, cui sarebbe molto legata la Gagliardi.
La Procura di Napoli sta indagando in particolare su eventuali viaggi fatti in Sud America dalla dama bianca, così soprannominata da quando scese dal volo di Stato che portava l’allora premier Silvio Berlusconi e il suo staff al G8 di Toronto in Canada, compreso quello a Panama quando partecipò all’incontro nello staff dell’allora presidente del Consiglio.
Prosegue lo scaricabarile tra i vip, che sostengono di non avere mai conosciuto la Gagliardi, frequentatrice del mondo dello spettacolo e della finanza, amante della bella vita con puntate costanti tra Ibiza, Saint Tropez e Formentera.
Ma com’è possibile che una stagista introdotta nella politica diventi trafficante di cocaina?
Molti sospettano il coinvolgimento dell’imprenditore Giulio Violati, marito dell’attrice Maria Grazia Cucinotta.
Ma lui prende le distanze, sostenendo che si tratta di una “assoluta sciocchezza che sia stato io a portare la Gagliardi nel comitato della Polverini”.
E aggiunge: “Lei venne presentata alla lista civica ‘Insieme cambiamo’ dall’allora consigliere comunale Francesco Maria Orsi. Io non so null’altro”.
Orsi, che secondo molti avrebbe presentato Federica a Berlusconi, finì nei guai nel 2011: prima un giro di droga e festini con prostitute (posizione poi archiviata), poi l’inchiesta su una colossale truffa da un milione per fantomatiche case mai consegnate, procedimento per cui è stato rinviato a giudizio.
Ma anche lui nega: “Violati dice questo? Uffa, ‘sta Gagliardi? Che palle! Io l’ho incontrata lì al comitato. Non so chi la portò. Ma so, ad esempio, che di recente, aveva lavorato per un candidato che sosteneva Ignazio Marino sindaco di Roma. Insomma, era tornata dal lato del Pd”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
SILVIO NON GRADISCE LA RACCOLTA FIRME PER LA GRAZIA, NON NE SAPEVA NULLA
Stavolta l’ha fatta grossa Daniela Santanchè. Talmente grossa da far andare su tutte le furie Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere infatti, secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, si sarebbe arrabbiato di fronte all’iniziativa della Santanchè, che ha avviato una raccolta di firme per la grazia all’ex premier da presentare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Berlusconi a quanto pare non ne sapeva nulla.
La raccolta firme sarebbe stata concepita “a sua insaputa”. E da una personalità come Daniela Santanchè, di certo poco incline a fare da pontiere.
“Con questa iniziativa hanno passato il segno. La Santanchè s’è indebitamente appropriata di un’idea che semmai doveva essere lanciata dai club, mica da lei”, avrebbe detto ieri sera ad Arcore.
“Secondo voi, io avrei mai affidato un appello per la mia grazia a una persona che è apertamente ostile al presidente della Repubblica? Secondo voi, io avei messo in mano questa iniziativa a una che non va d’accordo con almeno tre quarti del partito? Questa storia avrà delle conseguenze…”.
E ancora: “La Santanchè ha cercato a tutti i costi di avere un incarico, e alla fine ha ottenuto di occuparsi della raccolta fondi… Io non l’ho mai autorizzata a fare appelli o raccogliere firme”.
Il caso Santanchè è solo l’ultimo di una serie di movimenti interni al partito che il Cavaliere non vede di buon occhio.
Si va dal varo del “governo ombra” del partito ad opera di Gianfranco Rotondi alle uscite di Denis Verdini in compagnia di Nicola Cosentino e Luciana Scalzi.
Il suo timore, secondo il Corsera, è che il partito si stia preparando in vista del 10 aprile, quando la decisione del tribunale di Milano sulla pena principale potrebbe metterlo in panchina per un po’.
Di qui la decisione – che l’ex premier avrebbe preso ieri sera – di non far candidare parlamentari di Forza Italia alle elezioni europee.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
LA SETTIMANA NERA DI BERLUSCONI
Selfie a San Siro. In tribuna c’è Galliani, ovviamente, con una faccia peggiore della sua cravatta gialla.
E poi c’è lei, senza il fidanzato. Francesca Pascale, in camicia di jeans e giacca bianca, è in compagnia di amici e cede alla moda del momento di autoimmortalarsi.
È l’ultimo sorriso prima della catastrofe. Il Parma di Roberto Donadoni, pilastro rossonero del Milan sacchiano, ne fa quattro e scaraventa il Milan nel punto più basso della gestione berlusconiana.
La curva sud è vuota. Contestazione, cori e cortei. Prima e dopo la partita. “Balotelli pezzo di merda”. “Galliani fuori dai coglioni”. I motivi preferiti di un repertorio vasto che ufficialmente risparmia la famiglia Berlusconi, anche se nel comunicato degli ultras si ricordano gli anni dei grandi acquisti senza badare a spese.
Il clou alle cinque della sera. La partita finisce e una delegazione di tifosi, accompagnati dal titolare di Giannino, ristorante dei vip meneghini, incontra l’allenatore Seedorf e quattro giocatori: Bonera, Kakà , Abate, Balotelli.
Un colloquio pacifico, che porta una tregua per le prossime e rimanenti dieci giornate.
Il Milan è fuori da tutto e la promessa è di varare il rilancio a settembre. Sempre che, dopo la grande amarezza di ieri, il Cavaliere abbia di nuova la tentazione di mollare tutto e vendere.
Non sarebbe la prima volta, nonostante le smentite. La voce, forse, riprenderà a circolare. Il crollo del Milan mette un sigillo crudele e doloroso alla Quaresima nera del Cavaliere.
Rinchiuso ad Arcore per il fine settimana, B. è sempre più divorato dalla paura e dalla rabbia per la decisione che i giudici di sorveglianza di Milano prenderanno a partire dal 10 aprile per la condanna del primo agosto scorso. Domiciliari o servizi sociali?
Ed è per questo che si allarga il fronte delle iniziative berlusconiane.
Obiettivo: mettere pressione sul tribunale che dovrà discutere le misure alternative.
La prima mossa è stata quella dell’annuncio della candidatura alle Europee, in barba alla Severino, ribadita da Giovanni Toti.
Poi la Santanchè ha ripescato la richiesta di grazia al Quirinale e infine, ieri, il Giornale di Sallusti ha lanciato una campagna di disobbedienza civile tra i lettori, sempre per candidare B. alle elezioni del 25 maggio.
I vertici di Forza Italia si riuniranno domani per studiare e organizzare la mobilitazione per la grazia. Nelle stesse ore, la Corte di Cassazione esaminerà il ricorso dei legali del Cavaliere contro l’interdizione di due anni rideterminata il 19 ottobre scorso dalla Corte d’Appello di Milano.
Nel cerchio magico non si nutrono grandi aspettative, ritengono scontato l’esito negativo.
In varie telefonate ricevute ieri, Berlusconi ha manifestato una contenuta soddisfazione per il rilancio della questione della grazia.
A B. non sfugge che le iniziative di questi giorni celano un feroce scontro tra i falchi di Verdini e il cerchio magico di Palazzo Grazioli sul controllo delle liste per le Europee.
In ogni caso i primi gazebo per le firme da trasmettere al Quirinale proprio il 10 aprile (e Napolitano già sarebbe in allarme) dovrebbe essere montati in tutta Italia nel prossimo weekend.
Un segnale di disgelo è arrivato pure da Ncd, con l’annuncio di Nunzia De Girolamo, neocapogruppo alla Camera: “Firmerei la richiesta di grazia”.
Gianfranco Rotondi, nella sua veste di premier del governo ombra del centrodestra, ha diramato un comunicato solenne: “Tutti i sostenitori in rete del governo ombra sono pregati di mobilitarsi per la raccolta di firme promossa dal ministro della Difesa Daniela Santanchè”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
ENORMI TAGLI AL SOCIALE E NORME INUTILIZZABILI SUL CUNEO FISCALE
Ecco le famose tabelle di Cottarelli. Sono i tagli, tagli veri alla spesa pubblica.
Il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli appunto, ha presentato venerdì scorso i primi risultati del suo lavoro.
Dove tagliare. Dove riorganizzare. Come spendere meglio.
Uno studio presentato sotto forma di slide, lo stile dell’era Renzi, che si muove su cinque capitoli fondamentali: 2,2 miliardi vengono recuperati dall’efficientamento diretto (800 milioni da iniziative su beni e servizi, 200 dalla pubblicazione telematica degli appalti pubblici, 100 da consulenze e auto blu, 500 dagli stipendi dei dirigenti della pa, 100 da corsi di formazione, 100 dall’illuminazione pubblica, 400 da proposte varie); 200 milioni da riorganizzazioni (riforma province e spese enti pubblici); 400 da costi della politica (Comuni, Regioni e finanziamento ai partiti); 2 miliardi da trasferimenti a imprese e famiglie (un miliardo dai fondi statali alle aziende soprattutto autotrasporto, 400 milioni da quelli regionali, 200 da microstanziamenti, 100 dal trasporto pubblico locale e 300 da quello ferroviario) e 2,2 miliardi da spese settoriali (1,4 da pensioni, 300 milioni dalla sanità , 100 dalla difesa, 200 dall’allineamento della contribuzione delle donne, 200 da revisione delle pensioni di guerra).
Tavole sintetiche, una settantina, che illustrano dove mettere mano (citando poche fonti, spesso un lavoro di Piero Giarda di due anni fa).
Dove recuperare i fondi per tagliare le tasse sul lavoro e riuscire a mettere in busta paga, per i redditi più bassi, 80 euro al mese; in pratica l’altra faccia (finora rimasta riservata) dell’operazione.
Si tratta di «proposte per una revisione della spesa pubblica» nel triennio 2014-2016, che dovrebbero fruttare «risparmi lordi massimi», così li definisce il commissario, per 7 miliardi su base annua, che tuttavia risulteranno essere inferiori se le misure venissero adottate in corso d’anno.
Ciò significa che se in vigore dal primo maggio, come annunciato mercoledì dal premier, disponibili non saranno tutti e 7 i miliardi, ma solo 3.
Parliamo di proposte, non di somme certe.
Adesso sarà necessario che la Ragioneria generale dello Stato, a cui il lavoro è stato recapitato sempre venerdì, verifichi la fattibilità dei tagli.
Nello studio consegnato anzitutto ai ministri interessati, è lo stesso Cottarelli a sottolineare difficoltà e dubbi nel reperire le somme ipotizzate.
Per esempio, nell’introduzione, lo stesso commissario cita alcuni caveat.
Il primo: «I risparmi di spesa indicati sono al lordo di possibili effetti sulle entrate; lo spazio effettivamente disponibile per ridurre il cuneo fiscale dipende dall’impatto sul quadro macroeconomico e dai relativi effetti sulle entrate».
Il secondo: «Alcune proposte richiedono programmi dettagliati di riforma entro l’estate 2014 basati sugli obiettivi ben definiti».
Il terzo: «Le proposte per il 2014 richiedono tempi per la preparazione della necessaria legislazione».
Il quarto, e più corposo, che l’ex capo dipartimento degli Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale battezza vagamente “criticità ”, rimarca tre ostacoli enormi, tre macigni sulla strada tra Renzi e gli 80 euro in tasca agli italiani: «A obiettivi di indebitamento netto su Pil invariati rispetto alla legge di stabilità , una parte rilevante dei risparmi di spesa andrebbero a riduzione del deficit non della tassazione, soprattutto nel 2015 e nel 2016».
Vuol dire che una parte minima per l’anno in corso e un’altra più rilevante per quelli successivi non possono essere utilizzate per intervenire sul cuneo.
Non solo, Cottarelli si premura di spiegare che «i risparmi ottenuti a livello locale dovrebbero essere utilizzati per ridurre la tassazione locale», ovvero: se tagli le spese a Regioni e Comuni, le somme così ricavate devono andare a tagliare le addizionali regionali e comunali e non quella nazionale.
Infine «serviranno probabilmente soluzioni innovative per il personale in esubero come effetto delle riforme strutturali», è scritto nello studio.
Tanto per fare un esempio, se tagli le Province devi poi decidere cosa fare dei dipendenti che comunque rimangono sul “groppone” delle casse pubbliche.
Più avanti, verso le conclusioni, il commissario si domanda, con un involontario effetto comico: «Cosa fare del personale in esubero?».
Ci sarebbe insomma da valutare, più in generale, il costo sociale di tutta l’operazione.
Fabrizio dell’Orefice
(da “il Tempo“)
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Marzo 17th, 2014 Riccardo Fucile
PRECARIZZAZIONE DEL LAVORO, COMPRESSIONE DEI DIRITTI E COMPORTAMENTI ANTI-SINDACALI NEL SISTEMA DI IMPRESE “DI SINISTRA”
Giuliano Poletti dice ai sindacati di non preoccuparsi: il decreto sul lavoro non aumenta la precarietà .
Il ministro del Lavoro ci mette la sua faccia gioviale di neopolitico e di guida ultradecennale del sistema cooperativo attraverso Legacoop, la Confindustria rossa: diritti, progressismo, solidi legami con la filiera Pci-Ds-Pd e, ovviamente, con la Cgil.
Come si fa a non fidarsi? Qualche motivo, a ben guardare, c’è: aziende nate attorno a mutualismo e solidarietà , oggi in larga parte funzionano come una normale impresa capitalista — guerriglia ai diritti e alle retribuzioni dei lavoratori compresa — pur continuando a conservare i benefici che la legislazione concede loro in quanto faccia “buona” dell’imprenditoria, una faccia continuamente rivendicata nelle stentoree dichiarazioni dei vertici e nelle pubblicità con cui dalla tv si rivolgono agli italiani.
Ecco qualche spunto sul tema.
La commissione d’inchiesta
Che gran parte del sistema cooperativo obbedisca ormai alla logica del profitto è opinione diffusa. Lo sostiene con forza l’Unione sindacale di base (Usb), che nella distribuzione è il secondo sindacato interno, e l’unico conflittuale, e in Coop Italia, dalle ultime elezioni, il primo.
Il punto è: chi e come controlla che un’impresa sia davvero cooperativa?
Oggi siamo più o meno all’autocertificazione. Eppure quello status consente libertà mica piccole: non solo un fisco di favore, ma pure la non applicazione al socio-lavoratore dello “Statuto dei lavoratori” o la possibilità di derogare ai contratti nazionali.
La passione per la finanza
Di come le grandi cooperative usano il risparmio sociale s’è occupato sul Fatto Quotidiano Giorgio Meletti a ottobre: “Le Coop impiegano gli oltre 10 miliardi del prestito dei soci in operazioni finanziarie, dai Bot alla Borsa. Nel 2012 erano immobilizzati in partecipazioni azionarie 2,2 miliardi di euro (…) Le nove Coop hanno partecipazioni azionarie per 2,2 miliardi e un patrimonio netto di 6 miliardi”. Come Mediobanca: “Solo che quella è una banca d’affari, la Coop una catena di supermercati”. E, dunque, non soggetta alla vigilanza di Bankitalia.
Precarie per sempre
L’80 per cento dei lavoratori del commercio coop sono donne: spesso sono precarie, malpagate, costrette a organizzare la loro vita attorno alle esigenze del supermercato, ad andare in bagno a comando. Il tutto, sempre, col sorriso sulle labbra. Per contratto. Non è un’esagerazione: la Coop Estense, tempo fa, ha proposto la valutazione del sorriso delle dipendenti tra i criteri per accedere al salario integrativo.
Quanto alla precarizzazione, una storia per tutte.
Catia Bottoni, 40enne da Colleferro (Roma), detiene una sorta di record in questa specialità : in 12 anni di Ipercoop ha collezionato la bellezza di 27 contratti diversi, sperimentando in pratica tutte le fantasiose forme di precarietà inventate dal legislatore.
Quando la Coop l’ha cacciata, nel 2009, faceva la commessa a 45 chilometri da casa. Da allora, Catia prova a far valere le sue ragioni: l’azienda le ha proposto un contratto part time a Formia, 100 km da casa.
Per protesta s’è pure incatenata due volte sotto la sede di Legacoop: l’allora presidente, Giuliano Poletti, non l’ha mai ricevuta.
La Coop? Come Marchionne
La storia di Lucia Di Maio, 50enne da Solofra (Avellino), ricorda quella degli operai di Melfi che Fiat si rifiutava di reintegrare.
Nonostante una sentenza della magistratura di aprile 2013, infatti, per mesi Unicoop Tirreno ha fatto finta di niente. Quando poi ha deciso di rispettare la legge, a fine gennaio, le ha ordinato di presentarsi al lavoro nel punto vendita di Orbetello, oltre 400 chilometri da casa sua. I “compagni” della grande distribuzione hanno un concetto personale del rispetto della legge. Il limite di 36 mesi ai contratti a termine prima di dover assumere non lo prendono nemmeno in considerazione. Un solo esempio: a Livorno, dopo un decennio di precariato, Unicoop a inizio 2013 si apprestava a passare“atempoindeterminato ” cinque lavoratrici. Poi, però, ci ha ripensato: licenziate. Di fronte allo sciopero indetto dai colleghi, il capolavoro: dipendenti precettati.
La Coop? Come Valletta
Nei supermercati, anche della Coop, non mancano comportamenti antisindacali (più volte certificati da sentenze) e nemmeno i “reparti confino” come nella lontana Fiat di Vittorio Valletta.
I “puniti” vengono inviati o in pescheria o alla cassa, specialmente quella “veloce”, che è sempre presidiata. à‰ successo pure a Francesco Iacovone, dipendente coop dal 1989, oggi responsabile commercio dell’Usb a cui dobbiamo alcune di queste storie: dopo il passaggio dalla Cgil al sindacalismo di base arrivarono il reparto confino, le minacce in bacheca, la macchina danneggiata e persino le botte durante un’assemblea dei soci.
Storie così, magari meno drammatiche, non sono rare: sulla scheda di valutazione di un dipendente abbiamo letto che l’interessato non può essere promosso.
Motivo? Fa il sindacalista. Non manca nemmeno l’ordinario marchionnismo: dal delegato Rsu trasferito o demansionato fino alla schedatura fotografica degli scioperanti.
La gaffe del calendario
Coop Lombardia anche nel 2014 ha fatto un bel calendario con le facce dei suoi dipendenti: “Non solo cassiere, capi reparto, addetti alle vendite, ma anche mamme, papà , sportivi, appassionati di musica e sognatori”. Ecco, tra di loro c’è pure una madre sola che non viene promossa proprio perchè deve allevare una figlia. Da sola.
Il futuro: franchising e subappalti
Unicoop Tirreno ha annunciato per il 2014 lo sviluppo dell’e-commerce a Roma e il progetto franchising di cooperativa.
Il primo viene realizzato subappaltando tanto l’informatica quanto la logistica. Tradotto: nella coop, accanto ai dipendenti dell’azienda, ci sono quelli in subappalto, che lavorano per meno soldi e diritti.
Lo stesso si può dire per il franchising, l’affitto del marchio: sembrerà la Coop, si leggerà Coop, ma con quella forma di impresa tutelata dall’articolo 45 della Costituzione non avrà nulla a che fare.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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