Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL GIRO DI PROPAGANDA DEL PREMIER: NON SEMPRE TROVA SOLO I BAMBINI CUI RACCONTARE FIABE, ORA ANCHE I GENITORI INCAZZATI
Protesta dei genitori e dei lavoratori precari della scuola questa mattina a Scalea, in Calabria, dove il premier Matteo Renzi si è recato per partecipare a una manifestazione per la legalità promossa dal Partito Democratico nella cittadina calabrese il cui consiglio comunale è stato sciolto per mafia.
“Torna a casa Renzi! Nel tuo programma non c’è la parola Sud! Vergognati presidente del c…”.
Questa una delle scritte esposte, mentre su un altro cartello si può leggere: “Prima c’erano i cavalli di razza, adesso solo ‘renzini'”.
Su altri cartelli proteste per la presenza di sottosegretari indagati nel governo: “Renzi, perchè Gentile no e Barracciu sì?”.
Fuori dai cancelli dell’istituto scolastico Caloprese di Scalea decine di cittadini (tra cui molti precari della scuola e lavoratori della sanità ) hanno accolto Renzi chiedendo attenzione con fischi, contestazioni e striscioni: “Siamo disperati – racconta una lavoratrice ai microfoni di Sky – prendevamo 800 euro al mese, ora neanche 400. Abbiamo famiglia, moriamo di fame”.
Un’altra cittadina dice: “Vogliamo lavoro, non vogliamo la mafia”.
Diversi cartelli e striscioni esposti, tra cui: “Fuori le ditte dalle scuole e dentro i lavoratori ex Lsu Ata”, e “I guadagni delle ditte di pulizia sono i veri sprechi nelle scuole”.
Le mamme reggono uno striscione con la scritta “Le mamme sono indignate, chiedeteci perchè”.
“Renzi dovrebbe venire qui una volta al mese – dice una delle mamme – per capire come sta realmente il nostro paese: oggi, per il suo arrivo, hanno pulito tutto, ma basta fare un giro per le vie periferiche di Scalea per capire il degrado che c’è”.
Al suo arrivo il premier non si è fermato davanti ai cancelli della scuola come è avvenuto a Siracusa, ma è entrato direttamente nel cortile.
La scuola adesso è off limits per giornalisti e cittadini.
Dopo l’incontro con i ragazzi a scuola, il premier si sposterà al municipio dove incontrerà gli amministratori locali e successivamente è prevista una conferenza stampa.
Una volta entrato nella scuola, Renzi ha iniziato il suo discorso. “Dobbiamo smettere di pagare per il passato e iniziare a pagare per il futuro”, ha detto il presidente del Consiglio agli studenti dell’istituto scolastico Gregorio Caloprese di Scalea, in provincia di Cosenza.
(da Agenzia)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
LE OPINIONI DI MALGIERI, VENEZIANI, SOLINAS, BUTTAFUOCO, DE TURRIS
Un fenomeno Le Pen anche in Italia? L’intellighenzia di destra dice no.
E non perchè in Italia non ci siano le stesse istanze raccolte dal Front National in Francia ma perchè nessuna delle forze politiche che hanno provato a intestarsi la vittoria di Marine Le Pen sembrano capaci di interpretare lo stesso ruolo in Italia.
SUCCESSO ANTICO
«Il Front National – spiega Gennaro Malgieri – esiste dal 1961 e negli anni ha saputo creare una classe dirigente di prim’ordine. Non si tratta di un semplice fenomeno “anti-euro”, non a caso Le Figarò ha titolato parlando di “Voto di adesione”, non di protesta».
L’ANOMALIA
Secondo l’analisi di Stenio Solinas su Il Giornale , «gli eredi del Msi hanno dilapidato le radici comuni con il Front National e non hanno compreso la forza del populismo». E il treno della storia non gli concederà una seconda possibilità .
Analisi sostanzialmente condivisa da tutti gli intellettuali conservatori.
«La destra italiana – spiega Gianfranco De Turris – ha gettato alle ortiche la sua chance in due occasioni: col congresso di Fiuggi e con lo sbarco nel Pdl. La seconda andava evitata, la prima andava fatta diversamente. Invece si preferì rinnegare tutto il bagaglio identitario per accreditarsi nei salotti buoni. E non lo si sostituì con null’altro».
«Questa destra è la stessa che ha votato il fiscal compact o il pareggio di bilancio. Come può ora essere simile a quella della Le Pen?» si chiede ancora Malgeri.
Stessa prospettiva indicata da Marcello Veneziani: «Quando la destra italiana è cresciuta, non è rimasta alternativa al sistema ma è stata inserita nel gioco. Con l’alleanza con Berlusconi si è creata una cesura tra la destra “di palazzo” e la componente più radicale, rimasta ai margini».
Una situazione che destinata a protrarsi nonostante l’inevitabile, uscita di scena dell’ex premier: «Le soglie di sbarramento previste dall’Italicum impediranno un affrancamento da questo “neoberlusconismo”, che continuerà ad essere un ostacolo insormontabile per una destra di tipo francese».
POCA CREDIBILITà€
«Il “gemello” italiano del Front National non esiste più – avvisa Pietrangelo Buttafuoco – tantomeno possono sperare di esserlo gli epigoni attuali. Mi fa ridere, ad esempio, Alemanno quando ora festeggia la Le Pen. Qualche anno fa, da sindaco di Roma, non avrebbe mai preso una posizione del genere».
«L’enorme handicap di Fratelli d’Italia – spiega ancora De Turris – è schierare nelle sue file gli stessi esponenti responsabili della morte della destra in Italia. Oggi, in quel campo, restano solo le macerie causate da Fini».
L’unico a dare qualche «chance» alla Meloni è Giampaolo Rossi: «La leader di Fdi sta facendo un gran lavoro per ricostruire una destra identitaria e moderna, provando a uscire dall’angolo in cui l’avrebbero relegata le posizioni radicali».
Al tempo stesso, Rossi spera ancora in un colpo di coda di Berlusconi: «È il leader che più di tutti ha pagato l’influenza dei potenti europei. Nonostante ciò, continuo ad assistere ad atteggiamenti troppo moderati da parte di Forza Italia».
GRILLO È ALTRA COSA
Su un aspetto, però, sono tutti d’accordo. Il M5S e il Front National sono lontani anni luce. E non perchè, come sostengono i grillini, «noi siamo democratici».
Ma perchè alle spalle del partito della Le Pen c’è un’elaborazione concettuale completamente assente nel partito italiano.
«Non basta essere anti-euro per essere come la Le Pen – dice Buttafuoco – dietro il Front National c’è un sistema di valori ben preciso. Grillo, semmai, assomiglia alla lista Tsipras. Con candidati diversi».
«Il dna del M5S è di sinistra radicale – concorda Rossi – e infatti manca completamente di concetti come liberismo o identità nazionale».
«Grillo sa bene che il Front National non è classificabile con le categorie destra-sinistra – conclude De Turris – ma se ne tiene furbamente lontano, per non spaventare il suo elettorato assimilabile a quello dei centri sociali».
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL CLUB DEL XV MUNICIPIO DI ROMA RISPOLVERA LA VECCHIA STRATEGIA
Dentiere “a prezzi convenzionati” e veterinario gratis per gli iscritti al Club Forza Italia.
Perchè “la gente si è allontanata dalla politica e se non ci inventiamo qualcosa per recuperarli, è finita”.
Vincenzo Leli, presidente del Club Forza Italia del XV Municipio di Roma, ovvero “il primo della capitale”, spiega a La Stampa la strategia per (ri)conquistare elettori e cittadini.
Che, una volta presa la tessera del Club, sono stati i primi a chiedere “se avevano diritto a qualche convenzione nei Caf o dal meccanico. Altri hanno buttato lì l’idea del veterinario”. Quella delle dentiere gratis è un vecchio cavallo di battaglia del Berlusconi degli esordi mentre l’idea della cura degli animali risale a tempi più recenti.
L’ex premier infatti, nei mesi scorsi, aveva apertamente parlato dell’importanza degli animali domestici per gli italiani.
E così si era fatta strada anche l’ipotesi dei circoli Forza Dudù.
Leli non si è lasciato sfuggire il suggerimento degli elettori di Forza Italia.
“Qui siamo a Roma Nord — spiega al quotidiano torinese — la zona più benestante della città ” dove “la percentuale di abitanti con animali domestici è alta”.
Quindi ha stipulato una convenzione con un “amico veterinario”.
Risultato: “La prima visita è gratis, dalla seconda gli iscritti hanno un prezzo agevolato. Così anche chi di solito non va dal veterinario, coglie l’occasione per farlo”.
Ma veniamo ai numeri. Gli animali domestici degli iscritti del Club nel XV Municipio sono circa 350.
“Guardi — spiega Leli — abbiamo 700 iscritti e da un rapido calcolo ho stimato che almeno la metà di loro ha un cane o un gatto. Pensi che su 1.800 famiglie che vivono all’Olgiata abbiamo 200 tesserati: ecco, lì posso dire con certezza che che tutti hanno un animale domestico”.
Ma le convenzioni non finiscono qui, perchè al Club stanno pensando ad altri sconti.
Obiettivo: aiutare gli anziani.
Quindi, dice Leli, “sono in contatto con alcuni studi dentistici”. Così, conclude, “i nostri iscritti avranno la dentiera a un prezzo agevolato”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
UNA DISCARICA DI 30 ETTARI DOVE SONO STATI INTERRATE 250.000 TONN. DI RIFIUTI TOSSICI E SCARTI INDUSTRIALI EX POLO CHIMICO MONTEDISON
Una discarica di veleni tossici dell’ex polo chimico Montecatini Edison che ha contaminato l’acqua “distribuita a circa 700 mila persone senza controllo e persino a ospedali e scuole“.
L’Istituto Superiore di sanità riporta in una relazione le conclusioni dell’analisi delle acque contaminate dalla discarica in Provincia di Pescara, richiesta dall’Avvocatura dello Stato e depositata a Chieti, dove sono sotto processo i vertici di Montedison e Solvay con oltre 20 indagati dopo l’inchiesta del Corpo Forestale.
Per l’Iss “la qualità dell’acqua è stata indiscutibilmente, significativamente e persistentemente compromessa per effetto dello svolgersi di attività industriali di straordinario impatto ambientale in aree ad alto rischio per la falda acquifera e per le azioni incontrollate di sversamento”.
La discarica di Bussi, secondo il presidente della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera Ermete Realacci, è “una bomba ecologica, la più grande d’Europa, sepolta ai piedi del Parco del Gran Sasso e di quello della Majella, in Abruzzo”.
Si tratta, ha proseguito Realacci che ha “presentato un’interrogazione ai ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico”, di “una discarica di circa trenta ettari, a poca distanza dalla confluenza dei fiumi Tirino e Pescara, dove sono state interrate quasi 250 mila tonnellate di rifiuti tossici e scarti industriali della produzione di cloro, soda, varechina, formaldeide, perclorati e cloruro di ammonio dell’ex polo chimico Montecatini Edison, per un danno ambientale stimato in 8,5 miliardi di euro e un costo di 600 milioni per la bonifica. Che continuano a inquinare la terra e il sottosuolo”.
E dopo 40 anni di denunce, che stanno portando i responsabili di questo disastro nelle aule giudiziarie, potrebbe finalmente partire “un’operazione di bonifica e riqualificazione che funga da modello per le riconversioni industriali del Paese”, ha aggiunto Realacci.
“Ai ministri interrogati ho inoltre chiesto — ha concluso — se vogliano istituire, di concerto con la Regione Abruzzo e il Comune, un tavolo tecnico per favorire la riconversione dell’area con progetti che siano compatibili con gli interventi di bonifica e la tutela dell’ambiente”.
In merito all’interrogazione ai ministri sulla discarica di Bussi è intervenuta anche la senatrice Pd Stefania Pezzopane secondo cui “il rischio, come ci conferma l’Ispra, è gigantesco e i quantitativi di materiali e scorie di rifiuti tossici enormi. Il risanamento ambientale e la bonifica di quei siti — continua Pezzopane — sono da troppi anni dimenticati e rinviati. Tra l’altro — ricorda la senatrice ed ex presidente della Provincia de L’Aquila — Bussi è anche un comune inserito nel cratere sismico del tragico terremoto del 2009 e mi chiedo e chiedo al governo che fine abbiano fatto quei 50 milioni stanziati dal Parlamento e prelevati dai fondi per la ricostruzione post sisma e che nelle intenzioni presumo dovessero servire a riqualificare e reindustrializzare quel territorio”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA FUNZIONARIA DELL’UFFICIO APPALTI DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA NON SOLO ERA LA MOGLIE DEL TITOLARE CHE SI E’ AGGIUDICATO I LAVORI, MA ERA LEI STESSA SOCIA
Non accenna a placarsi a Reggio Emilia la questione dell’appalto vinto dalla società del cugino del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, allora sindaco della città , nel giugno del 2009.
“Abbiamo scoperto” spiega il consigliere comunale del M5s Matteo Olivieri, “che il Comune era consapevole della piccola quota di partecipazione della funzionaria dell’ufficio gare, Enrica Montanari, alla società che poi si è aggiudicato l’appalto”.
Come il Fatto aveva raccontato infatti la Delrio Bonfiglio & figli di Delrio Paolo Sas era amministrata dal cugino del sindaco Delrio, Paolo Delrio, che in qualità di socio accomandatario possedeva il 99 per cento della Sas.
Mentre il restante uno per cento era intestato a Enrica Montanari.
In pratica la funzionaria responsabile dell’unità appalti e contratti del Comune non era solo la moglie del titolare ma era lei stessa socia accomandante (senza poteri di amministrazione) con una quota minima.
Proprio l’ufficio della dottoressa Montanari inviò gli inviti alle 20 società che il Comune decise di coinvolgere nella gara a inviti.
Dalle carte si scopre che il 14 aprile del 2009 i dirigente dell’ufficio tecnico “scuole e nidi di infanzia” del comune di Reggio Emilia, Ilaria Martini, scrive a “Enrica Montanari, Ufficio gare” quanto segue: “Si trasmette l’elenco delle ditte da invitare alla procedura negoziata relativa all’ampliamento e ristrutturazione della scuola dell’infanzia Allende”
L’elenco è composto di 20 ditte e include la società del marito Paolo Delrio, cugino del sindaco.
Dopo un mese e due giorni, il 16 maggio, parte il fax di invito alle venti società preselezionate per partecipare alla “gara” con termine perentorio entro il 3 giugno. Rispondono solo in quattro.
Il 5 giugno proprio nell’ufficio appalti e contratti,si decreta la vittoria della società di Paolo Delrio (& funzionaria-socia-consorte ) che presenta l’offerta più bassa. Sottolinea il consigliere Olivieri “a leggere le carte, Enrica Montanari aveva conoscenza dell’esistenza della ‘gara’ un mese prima degli altri contendenti”.
Non solo. Quello stesso giorno, il 5 giugno 2009, Paolo Bonacini, dirigente del Servizio Affari Istituzionali del Comune, dal quale dipende l’ufficio di Enrica Montanari, scrive alla Procura di Reggio Emilia: “Si richiede il rilascio del certificato del casellario giudiziale intestato alle 2 persone di cui all’elenco allegato per controllo autocertificazione relativa alla gara d’appalto”.
In pratica, prima di aggiudicare definitivamente (cosa che accadrà il 24 giugno 2009) alla Delrio Bonfiglio e figli di Del Rio Paolo Sas, il Comune vuole sapere cosa risulta al casellario sui soggetti che figurano nella visura storica estratta il giorno stesso e allegata alla richiesta.
Peccato che, sotto la richiesta per due, si legga un solo nome: Delrio Paolo.
“Sembra quasi che”, commenta Olivieri, “il Comune si sia fermato un attimo prima di chiedere il casellario di una sua funzionaria perchè avrebbe svelato a tutti che stava assegnando un appalto a una società nella quale era presente lei stessa con una piccola quota”.
Anche il consigliere Pdl Cristian Immovilli ha presentato un’interrogazione sul ruolo di Enrica Montanari e sugli appalti ottenuti dal cugino dell’ex sindaco Delrio. Secondo l’assessore Catellani, la dottoressa Montanari non aveva comunicato ufficialmente la sua partecipazione ma il regolamento del Comune non lo imponeva. Invece la società del cugino ha ricevuto pagamenti per 793 mila euro dal 1997 al 2010, sia prima che dopo l’elezione di Graziano Delrio a sindaco nel 2004. Nell’elenco fornito dall’assessore, però, non ci sono i 140 mila euro della scuola Allende, forse perchè il pagamento era stato contestato.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’IDEA DI ROTONDI E’ MIGLIORABILE
E’ interessante l’idea del simpatico Rotondi di mettere in lista per le europee – al posto del capostipite – i figli di Berlusconi: tutti e cinque, uno per circoscrizione.
Si può fare anche di meglio, volendo.
Dal momento che bisogna trovare 73 candidati – tanti sono gli europarlamentari da eleggere – sarebbe magnifico presentare delle liste monocognome: tutti Berlusconi, dal primo all’ultimo, così non si scontenta nessuno.
Basterebbe attingere agli elenchi telefonici, dove troviamo quattro Berlusconi a Bordighera, due a Soprana, cinque a Vigo di Cadore e tre a Roma.
Purtroppo non ce n’è nessuno in tutto il Sud, ma per fortuna c’è la Lombardia, dove ne vivono 83 solo a Veniano, 50 a Lurago Marinone e 20 a Saronno.
Pure troppi.
Si potrebbe tirare la monetina.
Testa, sei in lista. Croce, fai il figurante a “Verissimo”.
Sebastiano Messina
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
MA SCAJOLA ATTACCA E FITTO MINACCIA DI DIMETTERSI
«Il partito io l’ho già messo in liquidazione, anzi lo chiudo. E questi continuano a litigare per le poltrone, non hanno capito niente ».
Silvio Berlusconi atterra a Ciampino nel pomeriggio, accompagnato dal trio Francesca Pascale, Maria Rosaria Rossi e Alessia Ardesi.
Solito casual blue look, scuro come lo è il suo umore. È un fiume in piena, non vuole nemmeno ricordare il ventennale del successo del ’94 che cade domani, «non c’è niente più da festeggiare».
Mastica rabbia contro i parlamentari che nelle stesse ore stanno mugugnando in molteplici capannelli in Transatlantico.
Tutti scontenti dopo le nomine e la chiusura alla candidatura dei big alle Europee.
«Ma cosa vogliono? Per colpa loro Forza Italia è diventata ormai una prigione, per me esistono solo i club» si sfoga con pochissimi, fidati dirigenti appena messo piede a Palazzo Grazioli.
IL BRAND NEL SIMBOLO
Unico incontro ufficiale, quello con i dirigenti marchigiani. Il responsabile elettorale Ignazio Abrignani si presenta con i bozzetti del nuovo simbolo per le Europee.
C’è il logo Forza Italia e sotto, su sfondo azzurro, campeggia cubitale il nome del leader: Berlusconi.
È la sfida che sarà portata nell’urna il 25 maggio. Il capo non potrà esserci, ma il nome dovrà funzionare da traino comunque. I legali dicono che si può e dunque si deve fare.
LO SCONTRO NELLA NOTTE
L’ex premier è ancora amareggiato per il duro scontro avvenuto la notte prima.
Ad Arcore, il vertice con i capigruppo Romani, Brunetta e Baldassarre (Ue), con il consigliere Toti, Verdini e l’avvocato Ghedini è andato avanti fino alle 2 del mattino.
La battaglia è stata campale, raccontano alcuni dei partecipanti.
Verdini, Baldassarre e Brunetta a insistere fino all’ultimo per candidare «i 12 portatori di voti: i pesi massimi devono essere tutti in campo, Fitto e Scajola compresi.
Toti e Romani di opinione opposta.
Alla fine prevale la linea del no, «solo volti nuovi» in nome del rinnovamento. E per ufficializzarla viene convocato il Comitato di presidenza nuovo di zecca.
Ma è lì, nella notte di Arcore, che si è consumata l’ultima battaglia sul futuro, su chi dovrà reggere il partito dopo il 10 aprile, quando scatteranno i servizi sociali, su chi avrà l’ultima parola sulle liste.
E Verdini quella battaglia l’ha persa. Il Comitato dei trenta alla fine risulta composto da 23 che sono emanazione diretta del capo (e del suo «cerchio magico») e da soli sette riconducibili al toscano.
I DISSIDENTI
Il Transatlantico pullula di forzisti che lamentano di non essere entrati nel gruppetto di «serie A»dei trenta.
Quelli vicini a Fitto si riuniscono per decidere che fare dopo l’esclusione del loro capo.
Arriva dal Senato Gasparri, a far quadrato con lo stesso deputato pugliese, con Francesco Paolo Sisto, con Renata Polverini e Saverio Romano.
Altri pugliesi, assieme ai senatori campani vicini a Cosentino iniziano a parlare di addio a Forza Italia, tentati dalla fuga in gruppi autonomi.
Ma è uno strappo che Fitto non condivide, frena tutti. Lui per primo ribadisce che non lascerà mai il partito.
LA SFIDA DI FITTO
L’ex governatore pugliese decide comunque di giocare il tutto per tutto e pubblica una nota con cui lancia la sfida: «Proprio perchè condivido il richiamo del presidente Berlusconi contro gli egoismi e le rendite di posizione, se dovesse permanere la tesi di non candidare i parlamentari nazionali, sono pronto a candidarmi, e disponibile a dimettermi dal Parlamento”.
Una breccia: «Quella indicata da Fitto potrebbe essere una strada seria, ma non ci sono battaglie in corso» prova a minimizzare Toti in serata a Zapping, Radiouno.
L’ESCLUSIONE DI SCAJOLA
Il leader è ancora riluttante sulla concessione di una deroga a Fitto. Di certo ha escluso la corsa di Claudio Scajola, come pure quella di Nicola Cosentino alle Europee.
Un eventuale rifiuto di Berlusconi? «Non ne capirei il motivo, ma come sempre rispetterei la sua decisione » mette le mani avanti l’ex ministro intervistato da Affaritaliani. it.
«Ho dato la mia disponibilità , dobbiamo essere competitivi, tanto più in assenza di Berlusconi». Ma non sarà così.
IL COMITATO DELLA DISCORDIA
Si riunirà per la prima volta domani (o al più venerdì) nel ventennale della vittoria del ’94. Ma la pubblicazione dei trenta nomi del Comitato di presidenza e dei 37 partecipanti ma non votanti ha generato un fiume di veleni e polemiche.
Sembra un paradosso ma finiscono nella «lista B» proprio quelli della vecchia guardia, fondatori forzisti: da Galan a Miccichè alla Prestigicomo, altri come Martino o Scajola non compaiono nemmeno.
«Le rivoluzioni liberali si fanno con i liberali – ragiona Galan intervistato dal periodico Formiche– Scorrendo la lista dei settanta componenti dell’ufficio di presidenza di liberali ne conto assai pochi ».
La Santanchè, anche lei tra gli «esterni», non è invece polemica.
«Abbiamo voluto Berlusconi al comando e dobbiamo rispettare le sue scelte. Dovrebbe preoccuparci piuttosto tutti di una data che cambierà la storia del nostro partito, il 10 aprile». Ma il più sferzante di tutti, parlando in radio aLa Zanzara, è Vittorio Feltri.
«Berlusconi è finito in un cerchio magico come Bossi, candidi tutti i cinque figli. Toti? Toti chi? E la Pascale faccia la fidanzata e pensi a Dudù, stia tranquilla che qualche lira arriva».
Scendendo dall’aereo privato il leader aveva ironizzato sulla storia del cerchio. «Di magico in Forza Italia ci sono solo io, che ancora dopo 20 anni di guerra che mi fanno sono ancora qui vivo e vegeto».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
CHE HANNO A CHE FARE COSTORO CON IL RIGORE MORALE DI ENRICO BERLINGUER?
Gli storici del futuro, se vorranno descrivere la classe dirigente italiana del 2014 per quello che era, non potranno prescindere dai Portfolio di Umberto Pizzi e dai Cafonal di Dagospia.
Per esempio il parterre della “prima” del film di Walter Veltroni su Enrico Berlinguer. Lasciamo da parte l’idea malsana di sporcare un bel film come Quando c’era Berlinguer chiamando a battezzarlo gente come Gianni Letta, Fedele Confalonieri e Cesare Romiti: la grande soirèe era per Uolter un certificato di esistenza in vita, e possiamo pure perdonargliela. Concentriamoci invece su certi invitati che hanno voluttuosamente risposto alla sua cartolina precetto, in uno sfacciato sfrecciare di autoblu.
Per quanto eticamente discutibili, si tratta di persone intelligenti e di prim’ordine, non assimilabili al de-mi-monde froufrou della Roma godona che si mette in posa davanti ai paparazzi e si pavoneggia a favore di telecamera per piazzare la faccia e il nome sui giornali. Ma che gli dice il cervello?
Ci vorrebbe un sondino nella materia cerebrale di questa gente per scoprire cosa passava loro per la testa mentre sullo schermo sfilavano le immagini e soprattutto le parole del segretario comunista.
Parole di etica, onestà , pulizia, frugalità , rigore, intransigenza, passioni, ideali magari sbagliati o superati ma pur sempre nobili, sinceri e vissuti.
Possibile che nessuno dei presenti ne sia rimasto colpito a morte, trasformandosi— come ai bei tempi dell’Antico testamento — in una statua di sale?
Possibile che nessuno si sia domandato: ma che mi direbbe Berlinguer se mi incontrasse oggi?
Possibile che nessuno si sia sentito fuori posto o abbia avvertito l’irrefrenabile pulsione di profittare del buio in sala per scivolare via strisciando?
Cosa pensava Romiti, noto per una condanna definitiva per finanziamento illecito ai partiti e falso in bilancio, di fronte al politico-simbolo della “questione morale”? Quali pensieri attraversavano la mente di Letta e Confalonieri, dopo un’intera vita trascorsa accanto a Berlusconi, che a parte le prime quattro lettere del cognome è la più plateale antitesi dell’ex segretario del Pci?
Già nel 1975 Confalonieri pranzava ad Arcore con Mangano e Dell’Utri: ma che ci fa uno così alla prima del film su Berlinguer?
Letta Zio fu beccato la prima volta nel 1980 per i fondi neri dell’Iri, proseguì con le tangenti (amnistiate) al Psdi (“La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”), e avanti così, pappa e ciccia con i Bisignani, i Pollari, i Bertolaso: ma che c’entra con Berlinguer?
Giuliano Amato era il braccio destro di quel Craxi che Berlinguer chiamava “il gangster”, mentre metà del Pci (i “miglioristi”, detti talvolta “piglioristi” per le loro arti prensili) moriva dalla voglia di cadere nelle sue braccia.
Quando morì, squarciato dall’ictus al comizio di Padova, era reduce da uno scontro all’arma bianca col leader migliorista Napolitano, ovviamente ostile alle sue battaglie sulla questione morale e sulla scala mobile.
Tant’è che, come rivelò Macaluso, “quando Berlinguer morì, Napolitano aveva in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo. Mai recapitata”.
Naturalmente anche Napolitano era presente alla première, molto “commosso”, così come uno stuolo di ex comunisti che hanno passato gli ultimi vent’anni a rinnegare e a tradire la questione morale inciuciando col Caimano.
Berlinguer morì da uomo solo, isolato e sconfitto: dai suoi e dagli altri, che avevano già orientato le vele al vento “nuovo” del craxismo e poi della sua malattia senile: il berlusconismo.
E ora tutti i craxiani e i berlusconiani di destra, di centro (c’era pure Quagliariello) e di sinistra vanno a piangere con la lacrima retrattile sulla sua tomba, anzi sui titoli di testa e di coda.
L’estremo oltraggio camuffato da omaggio.
L’altro giorno papa Francesco ha detto, con la sua disarmante semplicità : “Tutti questi preti e suore su quei macchinoni! Ma non si può!”.
Ecco, il “non si può” vale forse — da qualche mese — in Vaticano.
In Italia no, in Italia si può tutto.
Yes we can. Anzi, sepoffà .
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’ITALICUM SLITTA A GIUGNO… RENZI TEME DI PERDERE IL PARTNER BERLUSCONI
“Il Senato ormai è un Vietnam…”, ammette il senatore Dem Francesco Russo, relatore del disegno di legge Delrio sulla trasformazione delle province in enti di secondo livello, testo ‘stressato’ dalla prova in commissione dove il governo è stato battuto su due emendamenti.
Nonostante lo stress, il provvedimento (sul quale potrebbe, secondo fonti di agenzia, essere posta la fiducia), dovrebbe passare, dice Russo, il test in aula al voto finale di domani .
“Ce la facciamo…”, confida.
Lo stesso Matteo Renzi twitta con ottimismo: “Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani #lavoltabuona”.
Però la consapevolezza è che sulle province si sono scatenate le tensioni dei centristi, non proprio convinti del provvedimento e poi scontenti della legge elettorale per le europee, approvata per ora solo a Palazzo Madama, e anche dell’Italicum, approvato finora solo alla Camera.
Nel primo caso, il problema maggiore sta nel fatto che si è deciso di non abbassare lo sbarramento del 4 per cento, cosa stigmatizzata dal senatore di Popolari per l’Italia, Mario Mauro, per questo assente in commissione al voto sul testo di revisione delle province.
Nel caso dell’Italicum, persistono gli strascichi delle polemiche che hanno accompagnato l’esame del provvedimento a Montecitorio.
Ma c’è una novità : per ora è intenzione di Matteo Renzi di non procedere subito ad un’approvazione definitiva della legge pensata con Silvio Berlusconi, ma di lasciarla in stand-by fino a dopo le europee di maggio.
E il motivo sta nelle fibrillazioni interne a Forza Italia, che rischiano di portare l’ex Cavaliere al terzo posto in classifica tra i partiti italiani: dopo Pd e M5s.
Un incubo per i partiti tradizionali.
Urge rivedere il piano: è questa la volontà prevalente nel Pd, nella maggioranza di governo e anche in Forza Italia.
Per ora, la priorità viene data ai testi di riforma costituzionale per la trasformazione del Senato in camera delle autonomie e per la revisione del Titolo V della Costituzione.
E’ a questi dossier che il premier Renzi sta lavorando di buona lena al suo ritorno dai vertici internazionali dell’Aja. Ci lavora con il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi per definire un testo da presentare domani sera alla riunione con i parlamentari del Pd.
L’idea è di approvarlo in prima lettura al Senato prima delle europee di maggio: per dare un segnale riformatore indirizzato agli elettori italiani e ai partner europei.
E l’Italicum? Per ora, “è meglio che decanti”, afferma Andrea Giorgis, deputato di minoranza Pd e costituzionalista.
E la sua non è un’opinione personale o di area: trova riscontri anche tra i renziani. Primo perchè, anche a volerci mettere tutto l’impegno, i tempi sono strettissimi e “sarà già tanto se entro le europee riusciamo ad approvare in prima lettura l’abolizione del Senato e la riforma del Titolo V”, dicono i Dem da Palazzo Madama.
Ma c’è un’altra ragione: politica.
Sostanzialmente la lotta interna che sta devastando Forza Italia ha fatto suonare più di un campanello d’allarme anche nel Pd, soprattutto dalle parti del premier, primo sostenitore dell’Italicum insieme a Berlusconi.
Il fatto è che dal 10 aprile, l’ex Cavaliere sarà ai servizi sociali oppure ai domiciliari per la condanna per frode fiscale.
E se questo fattore era arcinoto anche ai tempi della stipula del ‘contratto’ sull’Italicum, di certo a febbraio non si prevedevano le tensioni di famiglia e con i notabili di Forza Italia che stanno lacerando quel che resta del partito.
Al Pd girano sondaggi che relegano Fi al terzo posto in lista, dopo i Dem, avviati ad una buona performance alle europee, e i cinque stelle, forti della loro propaganda euroscettica.
E questo è un problema per i sostenitori dell’Italicum, sistema a doppio turno, di impronta decisamente maggioritaria, che rischierebbe di far salire sul podio del ballottaggio Renzi e Grillo invece che Renzi e Berlusconi.
E’ vero che alle politiche si ragiona per coalizioni, riflettono i parlamentari renziani. Per dire che alle politiche Forza Italia magari potrebbe ancora ottenere una percentuale più alta grazie agli alleati, a differenza delle europee magari destinate a premiare più il voto di protesta grillino contro l’euro, stile Marine Le Pen in Francia, formazione di ultradestra reduce da una buona perfomance alle amministrative per ragioni interne ma anche europee.
Ma se Forza Italia fosse ormai avviata ad un declino inesorabile e incontrovertibile? Che ne sarebbe dell’Italicum?
Per questo, meglio lasciarlo decantare per rifletterci su e pensare a delle modifiche, mette in conto Giorgis. Sempre a patto che l’abolizione del Senato e la riforma del Titolo V riescano a passare per le forche caudine di Palazzo Madama, dove già si fa sentire uno spirito di resistenza della corporazione dei senatori, di certo non contenti di ‘sparire’ dalle istituzioni o comunque di perdere i poteri di cui godono attualmente. In quanto, la griglia di base da cui parte Renzi per la sua riforma è di disegnare un Senato non elettivo, che non possa più esprimere la fiducia ai governi e con senatori senza indennità parlamentare.
Su questo, dicono dalla cerchia ristretta del premier, non si tratta.
Certo se le previsioni ottimistiche di Russo non dovessero avverarsi, se il ddl sulle province non passasse al voto di domani, si aprirebbe davvero un altro scenario: “preoccupante”, sostiene una fonte renziana alla Camera incrociando le dita.
Del resto, oggi, il governo nato solo un mese fa ha ricevuto il primo schiaffo: la pregiudiziale di costituzionalità presentata dal M5s sul testo ‘taglia-province’ è stata respinta con soli 4 voti di scarto: 112 sì contro 115 no e un’astensione.
Si pensi che al voto di fiducia che ha battezzato la nascita dell’esecutivo Renzi al Senato la maggioranza era di 169 senatori.
E anche sulle province non c’è tempo da perdere: il testo deve essere approvato alla Camera entro il 5 aprile, altrimenti alle europee del 25 maggio si tornerà a votare anche per le 52 amministrazioni provinciali in scadenza e le 22 commissariate, amministrazioni che il ddl Delrio lascerebbe in vita così come sono fino alla fine del 2014.
(da “Huffingtonpost“)
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