VIETNAM PARLAMENTARE SULLE PROVINCE, GOVERNO TENTATO DAL RINVIO DELL’ITALICUM
L’ITALICUM SLITTA A GIUGNO… RENZI TEME DI PERDERE IL PARTNER BERLUSCONI
“Il Senato ormai è un Vietnam…”, ammette il senatore Dem Francesco Russo, relatore del disegno di legge Delrio sulla trasformazione delle province in enti di secondo livello, testo ‘stressato’ dalla prova in commissione dove il governo è stato battuto su due emendamenti.
Nonostante lo stress, il provvedimento (sul quale potrebbe, secondo fonti di agenzia, essere posta la fiducia), dovrebbe passare, dice Russo, il test in aula al voto finale di domani .
“Ce la facciamo…”, confida.
Lo stesso Matteo Renzi twitta con ottimismo: “Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani #lavoltabuona”.
Però la consapevolezza è che sulle province si sono scatenate le tensioni dei centristi, non proprio convinti del provvedimento e poi scontenti della legge elettorale per le europee, approvata per ora solo a Palazzo Madama, e anche dell’Italicum, approvato finora solo alla Camera.
Nel primo caso, il problema maggiore sta nel fatto che si è deciso di non abbassare lo sbarramento del 4 per cento, cosa stigmatizzata dal senatore di Popolari per l’Italia, Mario Mauro, per questo assente in commissione al voto sul testo di revisione delle province.
Nel caso dell’Italicum, persistono gli strascichi delle polemiche che hanno accompagnato l’esame del provvedimento a Montecitorio.
Ma c’è una novità : per ora è intenzione di Matteo Renzi di non procedere subito ad un’approvazione definitiva della legge pensata con Silvio Berlusconi, ma di lasciarla in stand-by fino a dopo le europee di maggio.
E il motivo sta nelle fibrillazioni interne a Forza Italia, che rischiano di portare l’ex Cavaliere al terzo posto in classifica tra i partiti italiani: dopo Pd e M5s.
Un incubo per i partiti tradizionali.
Urge rivedere il piano: è questa la volontà prevalente nel Pd, nella maggioranza di governo e anche in Forza Italia.
Per ora, la priorità viene data ai testi di riforma costituzionale per la trasformazione del Senato in camera delle autonomie e per la revisione del Titolo V della Costituzione.
E’ a questi dossier che il premier Renzi sta lavorando di buona lena al suo ritorno dai vertici internazionali dell’Aja. Ci lavora con il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi per definire un testo da presentare domani sera alla riunione con i parlamentari del Pd.
L’idea è di approvarlo in prima lettura al Senato prima delle europee di maggio: per dare un segnale riformatore indirizzato agli elettori italiani e ai partner europei.
E l’Italicum? Per ora, “è meglio che decanti”, afferma Andrea Giorgis, deputato di minoranza Pd e costituzionalista.
E la sua non è un’opinione personale o di area: trova riscontri anche tra i renziani. Primo perchè, anche a volerci mettere tutto l’impegno, i tempi sono strettissimi e “sarà già tanto se entro le europee riusciamo ad approvare in prima lettura l’abolizione del Senato e la riforma del Titolo V”, dicono i Dem da Palazzo Madama.
Ma c’è un’altra ragione: politica.
Sostanzialmente la lotta interna che sta devastando Forza Italia ha fatto suonare più di un campanello d’allarme anche nel Pd, soprattutto dalle parti del premier, primo sostenitore dell’Italicum insieme a Berlusconi.
Il fatto è che dal 10 aprile, l’ex Cavaliere sarà ai servizi sociali oppure ai domiciliari per la condanna per frode fiscale.
E se questo fattore era arcinoto anche ai tempi della stipula del ‘contratto’ sull’Italicum, di certo a febbraio non si prevedevano le tensioni di famiglia e con i notabili di Forza Italia che stanno lacerando quel che resta del partito.
Al Pd girano sondaggi che relegano Fi al terzo posto in lista, dopo i Dem, avviati ad una buona performance alle europee, e i cinque stelle, forti della loro propaganda euroscettica.
E questo è un problema per i sostenitori dell’Italicum, sistema a doppio turno, di impronta decisamente maggioritaria, che rischierebbe di far salire sul podio del ballottaggio Renzi e Grillo invece che Renzi e Berlusconi.
E’ vero che alle politiche si ragiona per coalizioni, riflettono i parlamentari renziani. Per dire che alle politiche Forza Italia magari potrebbe ancora ottenere una percentuale più alta grazie agli alleati, a differenza delle europee magari destinate a premiare più il voto di protesta grillino contro l’euro, stile Marine Le Pen in Francia, formazione di ultradestra reduce da una buona perfomance alle amministrative per ragioni interne ma anche europee.
Ma se Forza Italia fosse ormai avviata ad un declino inesorabile e incontrovertibile? Che ne sarebbe dell’Italicum?
Per questo, meglio lasciarlo decantare per rifletterci su e pensare a delle modifiche, mette in conto Giorgis. Sempre a patto che l’abolizione del Senato e la riforma del Titolo V riescano a passare per le forche caudine di Palazzo Madama, dove già si fa sentire uno spirito di resistenza della corporazione dei senatori, di certo non contenti di ‘sparire’ dalle istituzioni o comunque di perdere i poteri di cui godono attualmente. In quanto, la griglia di base da cui parte Renzi per la sua riforma è di disegnare un Senato non elettivo, che non possa più esprimere la fiducia ai governi e con senatori senza indennità parlamentare.
Su questo, dicono dalla cerchia ristretta del premier, non si tratta.
Certo se le previsioni ottimistiche di Russo non dovessero avverarsi, se il ddl sulle province non passasse al voto di domani, si aprirebbe davvero un altro scenario: “preoccupante”, sostiene una fonte renziana alla Camera incrociando le dita.
Del resto, oggi, il governo nato solo un mese fa ha ricevuto il primo schiaffo: la pregiudiziale di costituzionalità presentata dal M5s sul testo ‘taglia-province’ è stata respinta con soli 4 voti di scarto: 112 sì contro 115 no e un’astensione.
Si pensi che al voto di fiducia che ha battezzato la nascita dell’esecutivo Renzi al Senato la maggioranza era di 169 senatori.
E anche sulle province non c’è tempo da perdere: il testo deve essere approvato alla Camera entro il 5 aprile, altrimenti alle europee del 25 maggio si tornerà a votare anche per le 52 amministrazioni provinciali in scadenza e le 22 commissariate, amministrazioni che il ddl Delrio lascerebbe in vita così come sono fino alla fine del 2014.
(da “Huffingtonpost“)
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