Destra di Popolo.net

GLI IMPAPOCCHIATI

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

I POLITICI ITALIANI SONO MASOCHISTI, BRONZEI O IPOCRITI?

La spettacolare omelia in cui Papa Francesco ha maltrattato le centinaia di politici seduti davanti a lui, bollando come corrotte le loro anime, ha fatto sorgere in molti di noi un dubbio esistenziale.
Come è possibile che i destinatari di un simile schioccar di fruste, anzichè rotolarsi nel fango o almeno scappare a gambe levate, siano rimasti rigidi nei loro completini e sorrisini d’ordinanza, dichiarandosi addirittura stupiti che Bergoglio abbia lasciato la cappella senza salutarli?
Azzardo delle ipotesi.
a) I politici italiani sono masochisti. Se li insulti, godono. Più alto è lo scranno da cui arriva il maltrattamento, più sottile sarà  la qualità  del loro piacere.
Quando Napolitano accettò la rielezione a presidente riempiendoli di contumelie gli risposero con un’ovazione. Le parole spietate del Papa li avranno condotti direttamente all’estasi.
b) I politici italiani sono bronzei. Nemmeno un Papa che di fatto li paragona agli assassini di Gesù riesce a scalfire il giubbotto antiproiettile della loro autostima. Esistono anche altri modi per definire l’attitudine a lasciarsi rimbalzare addosso qualsiasi accusa senza mai perdere la calma nè soprattutto l’appetito, ma sono tutti troppo volgari.
c) I politici italiani sono ipocriti. Come chiamare altrimenti chi condivide le critiche rivolte alla propria categoria fino a spellarsi le mani, ma è convinto che riguardino tutti tranne lui?
Ricordano la vecchia storiella della coppia di amici che vaga da giorni nel deserto, finchè uno dei due sbotta: «Sei un cretino!». E l’altro: «Dici a me?».

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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RENZI ABOLISCE 2.159 CONS. PROV., MA CREA 25.000 CONS. COMUNALI E 5.000 ASSESSORI IN PIU’

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

IL PIAZZISTA AUMENTA SEGGI E POLTRONE NEI COMUNI FINO A 10.000 ABITANTI… E PER I SINDACI DEI PICCOLI COMUNI VIA LIBERA AL TERZO MANDATO, ALTRO CHE ROTTAMAZIONE

Perchè tanta fretta, da parte del governo, per l’approvazione del disegno di legge per l’abolizione delle Province?
A sentire Renzi, tutto nascerebbe dalla necessità  di arrivare alla cancellazione degli enti prima dell’election day del 25 maggio, quando i cittadini, in caso di mancata approvazione della legge, si sarebbero trovati a dover rieleggere anche i consigli provinciali e i loro relativi presidenti, con conseguenze a cascata facilmente immaginabili.
Una dichiarazione ad effetto, quella di Renzi, che anche molti parlamentari hanno trangugiato senza colpo ferire, peccato che nulla sia vero.
Il presidente del Consiglio ha “barato”.
Perchè la riforma ha anche un altro effetto: aumenta i componenti dei consigli comunali per i paesi più piccoli.

In particolare a fronte del taglio di 2159 poltrone con la cancellazione delle Province, aumentano i seggi per i consiglieri (pari a 26096) e i posti da assessore (+5036) dei Comuni fino a 10mila abitanti.
Primi calcoli basati su due dati: la legge vigente fino a ora (la riforma Calderoli del 2011) e i dati degli abitanti dei Comuni italiani del 2014 (fonte Anci).
Eppure Matteo Renzi aveva parlato di 3mila posti per i politici in meno.
L’indizione dei comizi? Non sarebbe avvenuta
Perchè non è vero che le Province non sarebbero andate al voto?
Perchè se anche lo scorso 25 marzo, il ddl Delrio fosse stato affossato dal voto favorevole sulla pregiudiziale di costituzionalità  presentata dai grillini, nessuna provincia sarebbe comunque dovuta andare al voto a breve.
Il comma 325 della legge di stabilità  del 2013 parla chiaro: si applica alle “Province in scadenza naturale del mandato” ovvero “cessazione anticipata degli organi provinciali tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2014, il regime commissariale di cui all’articolo 1, comma 115, della legge n. 228/2012”.
Tradotto: per le Province commissariate non ci sarebbero problemi, perchè il commissariamento è comunque fino al 30 giugno, cioè un mese dopo la finestra elettorale, e per quelle che invece non sono ancora state commissariate, di fatto lo diventerebbero.
Dunque, nessun rischio di voto, nessun rischio di cascami legali successivi, nessun ulteriore esborso economico per l’ulteriore scheda elettorale. La legge di Stabilità  aveva già  previsto tutto.
La fretta di Renzi e l’aumento delle poltrone dei Comuni
E, allora, perchè tanta fretta da parte di Renzi?
E, soprattutto, perchè una tale bugia?

Come sempre, bisogna leggere con attenzione l’intero articolato per capire dove si annida il senso di tanta fretta.
Ed, in particolare, si trova al comma 27 (cioè quello che prima era l’articolo 27, poi diventato comma in virtù dell’inserimento del maxi emendamento), dove si fa riferimento alla “ricomposizione dei consigli comunali”.
Cioè: nel nuovo articolo 28 della legge vengono elencate una serie di disposizioni per un incremento del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali per i Comuni fino a 3mila e fino a 10mila abitanti, nonchè sulla “rideterminazione degli oneri connessi all’attività  di amministratore locale, onde assicurare l’invarianza finanziaria di tali previsioni, innanzi recate dall’articolo 21 dell’A.S. n. 1212”. Insomma, è previsto che per i Comuni più piccoli (fino a 3mila abitanti) il consiglio comunale sia composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri e un numero massimo di due assessori, mentre per quelli fino a 10mila si passa a 12, più quattro assessori.
Finora la riforma Calderoli prevedeva 6 consiglieri per i Comuni fino a 1000 abitanti, 6 consiglieri e due assessori per i Comuni tra i mille e i 3mila abitanti, 7 consiglieri e 3 assessori per i Comuni tra i 3mila e i 5mila abitanti e 10 consiglieri e 4 assessori per i Comuni tra i 5mila e i 10mila abitanti.
Tutto molto semplificato dal ddl Delrio che prevede solo le fasce fino a 3mila e da 3mila a 10mila, che però — oltre a aumentare il numero dei consiglieri per centinaia di cittadine — reintroduce la nomina di due assessori nei Comuni fino a mille abitanti (cancellata in precedenza da Calderoli).
Il ritorno elettorale (del 25 maggio)
Un’infornata di nomine e di poltrone, che in un territorio come l’Italia, frazionato in mille piccoli comuni e campanili, significa molto, anche in termini di ritorno elettorale.

E arrivarci prima del 25 maggio significa, in qualche modo, veder subito i frutti di cotanto sforzo. Certo, nel testo del provvedimento c’è anche scritto che i comuni in questione dovranno comunque far quadrare i bilanci nonostante gli aumenti delle poltrone, ma Renzi ha previsto anche un altro “regalo” ai piccoli comuni, ovvero la possibilità  dei sindaci dei piccoli centri (entro i 3mila abitanti) di avere il terzo mandato consecutivo, togliendo il limite dei due.
In ultimo, l’incompatibilità  a ricoprire cariche istituzionali riguarderà  solo chi detiene cariche in “enti pubblici territoriali con popolazione superiore ai 15mila abitanti”. Davvero un bel regalo per il territorio…

Sara Nicoli

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SECONDO “SPARABALLE” DA MENTANA IN SETTE GIORNI: RENZI PUNTA AL 40%, DISOCCUPAZIONE AL 10% E PIL + 0,9%

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

DOPO GRILLO A “BERSAGLIO MOBILE” IL SECONDO VENDITORE DI PENTOLE ROTTE LE SPARA PIU’ GROSSE DEL SOLITO, MA AGLI ITALIANI PIACE ESSERE PRESI PER IL CULO

Il premier Matteo Renzi è ospite in diretta a “Bersaglio mobile”, il programma in seconda serata condotto da Enrico Mentana e alterna banalità  a sogni.
“In questo ultimo mese – racconta il Presidente del Consiglio – mi è cambiato tutto. Da andare in giro in bici, senza scorta nè niente, nell’ultimo mese la vita a Palazzo Chigi è cambiata parecchio”.
Renzi se l’è poi presa con – parole sue – “gufi e i rosiconi che remano contro l’Italia”.
“C’è un elemento – spiega – di natura politica molto importante. Quando vai agli eventi internazionali, tu sei un rappresentante di un paese che è l’Italia. C’ è un esercito di gufi e rosiconi che spera che l’Italia vada a male. Invece io spero che l’Italia possa stare meglio. Quando vai agli incontri internazionali non c’è nessun elemento personale e rappresenti la voce e la rabbia del popolo”.
Renzi che è anche segretario del Partito Democratico si pone un obiettivo alto per il proprio partito: “Alle prossime elezioni del 2018 dobbiamo arrivare al 40%”.
Per le Europee il premier si pone un obiettivo meno ambizioso: “Migliorare il 25% delle ultime politiche” (l’importante è restare a galla).
La previsione dell’ex ministro dell’Economia Saccomanni dell’1% di crescita per il 2014 è secondo il Premier “un pò ottimistica”.
“Le nostre cifre – aggiunge – non sono queste: nel Def avremo un dato tra lo 0,8% e lo 0,9% di crescita. Con gli 80 euro in busta paga derivanti dal taglio del cuneo “spero che alla fine si arrivi all’1% e lo si superi”. Sulla disoccupazione Renzi si augura di scendere sotto il dieci per cento.

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RENZI BLINDA IL DECRETO CHE RICALCA LA PROPOSTA DI FORZA ITALIA E DELLA CONFINDUSTRIA

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

DECRETO POLETTI SUL LAVORO: “PRONTO AD APPROVARLO CON CHI CI STA”…E CON LA MINORANZA PD LO SCONTRO NON RIENTRA

Sul dl Poletti smotta il Pd, ma Matteo Renzi non si smuove di un millimetro.
La tattica del segretario-premier è sempre la stessa. Se c’è discussione interna, se la variegata minoranza si agita, il leader chiede il voto in direzione, si fa approvare la relazione a maggioranza e va avanti.
I voti in direzione ce li ha, anche se oggi dopo un dibattito concentrato più sul contestato decreto lavoro che sull’ordine del giorno che parlava di riforme costituzionali, i numeri sono stati più risicati. E’ finita con 93 sì, 8 astenuti e 12 contrari. C’erano degli assenti.
Ma tanto basta al premier per non demordere: il dl Poletti, che ha appena iniziato il suo iter in commissione Lavoro alla Camera, è blindato, per come la vede il governo.
Anche a costo di approvarlo con i voti di Forza Italia, partito che pur dall’opposizione applaude all’iniziativa del governo Renzi su contratti a termine e apprendistato.
Oggi è arrivato anche il plauso di Confindustria e del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Mentre, insieme alla minoranza Pd, si agitano i sindacati, dalla Cigli di Susanna Camusso alla Cisl di Raffaele Bonanni fino a Maurizio Landini della Fiom, che finora ha sempre avuto un miglior rapporto con il premier Renzi ma che sul dl Poletti è sul piede di guerra.
Soprattutto il decreto della discordia è la prima vera grana di Renzi in quel Pd che ha conquistato a mani basse a dicembre.
Perchè sul dl Poletti la variegata minoranza del partito si è unita miracolosamente: cuperliani, Giovani Turchi, bersaniani, dalemiani, tutti a chiedere una modifica del testo varato dal governo, che elimina la causale nei rinnovi dei contratti a tempo (di durata massima 36 mesi), elimina la pausa obbligatoria tra un rinnovo e l’altro e non obbliga le imprese ad assumere gli apprendisti al termine dei 36 mesi.
Un’unità  della minoranza che non si vedrà  nel voto finale in direzione. I 12 voti contrari sono stati infatti espressi da Pippo Civati e dagli esponenti a lui vicini; le 8 astensioni sono arrivate da alcuni esponenti dell’area Cuperlo (oltre allo stesso Gianni Cuperlo anche Nico Stumpo, Davide Zoggia, Alfredo D’Attorre, Guglielmo Epifani, Francesco Verducci, Michela Campana, Barbara Pollastrini).
Diversi altri membri della Direzione non hanno invece partecipato alla votazione: tra di loro, i bersaniani Stefano Fassina ed Enza Bruno Bossio, il lettiano Francesco Boccia.
Però in Parlamento la situazione è diversa, perchè lì, almeno in partenza, i rapporti di forza tra renziani e non renziani non rispecchiano gli equilibri di maggioranza-minoranza in direzione.
Di certo, in commissione Lavoro gli esponenti di minoranza sono di più rispetto ai renziani.
Nè sembrerebbe che un eventuale coinvolgimento di esponenti di minoranza in segreteria Pd possa portare ad un ammorbidimento delle posizioni.
Anche perchè l’indicazione di Renzi di affidare i ruoli di vicesegretario ai fedelissimi Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini fa storcere il naso a tutti in minoranza, anche a chi — come il Giovane Turco, Matteo Orfini — poteva rappresentare una personalità  di possibile inclusione in squadra, almeno nei disegni del premier.
E comunque anche sul ticket Serracchiani-Guerini, Renzi non cede. “Il congresso lo abbiamo vinto noi, la maggioranza non si può stravolgere”, spiegano i suoi.
“Alla fine della discussione votiamo, perchè discutere e votare è caratteristica del Pd”, dice Renzi in direzione, dove sa di vincere senza sforzi.
Il punto però è che si pone lo stesso obiettivo anche in vista della discussione in Parlamento, proprio come ha fatto sull’Italicum, altra prova di forza verso la recalcitrante minoranza interna, che però non si è mostrata compattissima sulla legge elettorale.
Il dl lavoro è altra storia o almeno così viene spiegato. Perchè sul dl lavoro la minoranza pensa di recuperare almeno un pezzo del ‘vecchio feeling andato’ con la base del partito.
Esattamente lo stesso calcolo che, dal punto di vista opposto, si fa Renzi. Convinto di riuscire a convincere sulla bontà  della proposta.
“Leggo discussioni e ultimatum sul lavoro, che capisco poco. Non è una parte a piacere, il pacchetto sta insieme”, sostiene il segretario-premier in riferimento al dl sui contratti a termine già  approvato e alla legge delega sui contratti di inserimento (e non solo) da approvare in Parlamento e con tempi più lunghi.
Fassina glielo dice chiaro e tondo: “La proposta sul mercato del lavoro è la proposta della destra, la proposta di Sacconi e di Forza Italia. Se mi si dice che per esigenze di compromesso dobbiamo prendere il pacchetto della destra ne discuto. Sono disponibile alla mediazione politica. Ma non sono disponibile alla umiliazione intellettuale”.
Se ne capirà  di più la settimana prossima, quando i deputati Dem della Commissione Lavoro incontreranno il ministro Poletti.
Certo, trovarsi di fronte a un premier che va avanti come un treno pone problemi seri anche alla minoranza, che si vede già  avviata verso un terribile bivio tra voto contrario e responsabilità  di spaccare il Pd oppure voto a favore e resa.
E le cose andrebbero anche molto peggio se il governo dovesse porre la questione di fiducia, il che però è improbabile a meno che Forza Italia non decida di passare in maggioranza a tutti gli effetti: impossibile in periodo di campagna elettorale per le europee.
Però votare il dl Poletti sarà  possibile eccome per i berlusconiani, già  pronti sul tema.
“Eviterei di definire la proposta ‘di destra’: non sono vicino alla Cooperative rosse, ma l’ha presentata Poletti…”, sottolinea in direzione Paolo Gentiloni, che spezza lance a favore del premier osando anche linguaggi coloriti. “In giro, mi dicono ‘onorè, no glie rompete er… a Renzi’. Per dire: fatelo lavorare. Stiamo attenti a non apparire noi del Pd come quelli che sfogliano il carciofo di questo pacchetto, della serie togli quella parte che non va bene, ecc. Io sono d’accordo con Matteo su dl lavoro: non è un optional, fa parte di un pacchetto…”.
E’ insomma il segnale a Confindustria, scontenta della scelta del governo di tagliare solo l’Irpef per i lavoratori e non l’Irap per le imprese.
Renzi va avanti: la direzione del Pd ha deciso così, spiegano i suoi.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A PIETRANGELO BUTTAFUOCO: “LO STATUTO SICILIANO? FRUTTO DELLA TRATTATIVA”

Marzo 29th, 2014 Riccardo Fucile

“COMMISSARIATE LA SICILIA, AUTONOMIA E MAFIA SONO COLLEGATE”

La Sicilia? “Dovete svegliarvi, la situazione è gravissima. La prima emergenza non è la mafia, ma lo Statuto speciale, che nasce dalla prima trattativa Stato-mafia: abolitelo e commissariate la Sicilia”.
Dopo la bocciatura della Finanziaria regionale da parte del commissario dello Stato, si moltiplicano gli allarmi sul rischio di default per l’isola, e Pietrangelo Buttafuoco torna a invocare l’intervento del presidente del Consiglio per commissariare la Sicilia: “Se adesso Renzi vuole togliere il Senato, discutendo sul titolo V non può risolvere alla radice questo problema?
Tranne qualche allarme isolato, i giornali non sembrano preoccupati.
I giornali del Nord non se ne occupano perchè non gliene fotte niente a nessuno della Sicilia, gli interessa solo il brand ‘mafia’. Ma più grave del problema della mafia è questo cancro dell’autonomia. Il famoso uovo che viene prima della gallina è l’autonomia. Prima c’è l’uovo dell’autonomia e poi la gallina della mafia.
Buttafuoco, l’autonomia per la Sicilia è un tabù: in molti la raccontano, con orgoglio, come la pagina più gloriosa della nostra storia.
Ma quando mai. Noi siciliani dobbiamo fare autocritica, qui il primo ostacolo è lo Statuto speciale. Ci vuole un lavoro di ricognizione affettuoso ma crudele: l’Evis (l’esercito separatista, ndr) era inquinato da interessi mafiosi, dobbiamo ammettere che quella stagione conobbe momenti ambigui, tragici, sporchi dove c’erano interessi sovranazionali e si passò dal tragico al pittoresco, dall’offrire la corona di Sicilia a Umberto di Savoia o farne la 51° stella degli Usa. E il bandito Giuliano non era un eroe, non era Bobby Sands. Oggi Cosa Nostra è uno squalo che nuota nel mare dell’autonomia.
E quindi gettiamo l’acqua con tutto lo squalo. Stop temporaneo alle elezioni regionali e un commissario per rimettere a posto i conti. E poi?
Togli l’autonomia e si ricomincia. Se non crei un trauma profondo nella coscienza dei siciliani non ne esci più. È tutta una catena di affetti e di disperazione: dalla formazione al precariato, dai contratti agli appalti, dagli enti ai sotto-enti avvolti nelle nebbie di numeri e di algebre.
La terra frana anche sotto i piedi dei deputati all’assemblea regionale, che hanno iniziato a farsi dare gli anticipi sul Tfr: c’è aria di prendi i soldi e scappa.
Il ceto politico siciliano è il peggiore in assoluto: prima la Sicilia era un laboratorio politico, ora è la fogna del potere, il posto peggiore. Le occasioni elettorali sono concorsi per assegnazioni di posti di lavoro nella forma di consiglio comunale, di consiglio provinciale, di assemblea regionale o di posti di sottogoverno: una soluzione per aprire una pausa nella disoccupazione costante.
E Crocetta?
Un simpatico narciso che fa danno a se stesso e ai cittadini, si trova lì perchè il centrodestra si spaccò, con il beneplacito elettorale di Berlusconi.
Non è che lei ce l’ha con Crocetta perchè tagliò i fondi del Teatro Stabile di Catania, quando lei era il presidente?
Mi sono dimesso molto prima. Non arrivano i soldi, mi tolgo io, pensai, e aiutiamo il teatro
Andò via in polemica con chi l’aveva nominata, Raffaele Lombardo, fondatore del Movimento per l’Autonomia, la stessa che lei ora vuole abolire.
Contro di me aveva scatenato i suoi uomini e aveva tolto i fondi. Mi fecero sfumare l’allegria e la contentezza. Lo Stabile a Catania è il direttore artistico Giuseppe Di Pasquale, l’allievo prediletto di Andrea Camilleri. Facevano la guerra a lui sperando di trovare in me un sicario.
E dunque commissariamo la Sicilia.
E in fretta. I paesi sono sempre più deserti, abbandonati. Sospendiamo le stupidaggini che derivano dalle ebbrezze elettorali. Ho chiesto a Renzi di parlare con i prefetti, di non accontentarsi delle rassicurazioni dei ‘piritolli’ dell’antimafia glamour. Se persino la mafia sta diventando problema secondario, dovete svegliarvi.
Buttafuoco, lei appare “diversamente” democratico.
Io sono borbonico, l’unica sovranità  che riconosco è quella del buon re Ferdinando.

Giuseppe Lo Bianco
(da “il Fatto Quotidiano“)

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