Destra di Popolo.net

ORA E’ FORZA ITALIA A CHIEDERE LE UNIONI GAY

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

MARA CARFAGNA SFIDA RENZI: “UN PATTO DEL NAZARENO SUI DIRITTI CIVILI. PARTIAMO DAL MODELLO TEDESCO”

“Un Patto del Nazareno sui diritti civili, partendo dal modello tedesco per il riconoscimento dei diritti delle coppie gay”.
A parlare è la responsabile del nuovo dipartimento per le libertà  civili e i diritti umani di Forza Italia, Mara Carfagna, ex ministro delle Pari Opportunità , sancendo la svolta gay friendly del partito, sollecitata a gran voce da Francesca Pascale, compagna di Silvio Berlusconi.
Un messaggio al premier Matteo Renzi per dire che “anche sui temi etici possiamo riscrivere insieme le regole del gioco”.
Carfagna non vuole parlare di “metamorfosi” di Forza Italia, quanto piuttosto di “una naturale evoluzione della sensibilità  di un partito. E di unioni gay, di omofobia, o dei diritti delle coppie di fatto ci eravamo già  a lungo occupati proprio durante il governo Berlusconi”.
In questi giorni c’è una vera e propria bufera attorno al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per la circolare in cui vieta la trascrizione dei matrimoni gay contratti all’estero.
“È probabile che sul fronte del diritto Alfano abbia il potere di farlo” sottolinea Mara Carfagna, secondo cui non si può intervenire con ordinanze, ma “c’è bisogno che la politica decida”. E una base “condivisibile”, da cui partire, è la proposta di unioni di fatto per le coppie gay sul modello tedesco.
Quanto alle adozioni, si può discutere di “stepchild adoption”, perchè “è la strada più giusta per tutelare il minore”.
Carfagna bacchetta Renzi quando dice che “ha avocato a sè tutte le deleghe sulle Pari Opportunità , con il risultato che sono finiti nel dimenticatoio provvedimenti fondamentali come la lotta al femminicidio, i soldi per i centri antiviolenza, la legge sulle coppie di fatto”.
Tuttavia tende una mano al premier proponendo “un nuovo patto per i diritti civili”. Forza Italia si dice pronta, “è evidente che deve mettersi al passo dei grandi partiti conservatori europei, che hanno fatto dei diritti civili una realtà ”.

(da “Huffingtonpost“)

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CAOS PD, LA MINORANZA SI DIVIDE E ALLA FINE RESTANO SOLO IN QUATTRO

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

RENZI S’INALBERA PER IL DOCUMENTO CRITICO DEI BERSANIANI

Per ore sul filo rosso tra Palazzo Chigi e i renziani in Senato va in onda una sola preoccupazione: quella di superare la fatidica asticella della maggioranza assoluta, quei 161 voti che rappresentano la soglia politicamente sensibile per un governo che deve dimostrare di avere i numeri per andare avanti.
Politicamente ma non formalmente, perchè basta un voto in più dei presenti per superare la prova. E dunque il pressing sui dissidenti è forte, anzi fortissimo
Lo psicodramma del drappello di «civatiani», ridotto a quattro unità , si consuma in una saletta dietro l’aula del Senato.
«Il Pd fa la cosa più di destra della sua storia», aizza da lontano gli animi dei suoi Pippo Civati.
Alla fine di un lungo tormento, sotto minaccia di espulsione dal Pd fattagli pervenire dagli emissari del premier, lo strappo è inevitabile.
Walter Tocci va da Luigi Zanda per dirgli che voterà  la fiducia e subito dopo si dimetterà  da senatore. Una decisione sofferta che parte da lontano, dal totale disaccordo sulla riforma del Senato.
Gli altri tre, Corradino Mineo, Lucrezia Ricchiuti e Felice Casson, sono in ambascia fino all’ultimo, indecisi se seguire Tocci, più propensi però per uscire dall’aula senza votare no: consci di finire lo stesso sotto processo.
Perchè a chi in mattinata via sms aveva chiesto al premier se a suo avviso anche le uscite dall’aula dovessero comportare massime sanzioni disciplinari, Renzi aveva risposto di sì.
Casson è già  autosospeso dal gruppo dopo il voto della giunta sull’uso delle intercettazioni a carico del senatore Ncd Azzolini: lui da relatore aveva dato parere favorevole, il Pd invece ha votato contro.
«La casta tutela uno della Casta e io sono incompatibile con questi signori, vorrei sapere chi ha dato l’ordine di votare così», attaccava ieri i vertici del partito.
Con Civati sulle barricate, Bersani da una parte, Cuperlo dall’altra con la sua microcorrente Sinistradem, il caos regna nella minoranza Pd.
Ma quando rimbalzano le immagini di una trentina di parlamentari di Bersani circondati dalle telecamere al Senato che scodellano due paginette di critiche sul jobs act Renzi si inalbera.
«Il giorno in cui ho il confronto con la Merkel questi danno l’immagine di un Pd diviso…», commenta con i suoi da Milano.
Ma la faccia soddisfatta del bersaniano Miguel Gotor è emblematica: sorrisone, «in un contesto in cui il premier-segretario esercita una doppia pressione su ognuno di noi è difficile tenere su una posizione così 27 persone», dice mentre stringe tra le mani il documento con in calce 35 firme, compresi gli otto deputati della corrente Area Riformista: che «si è ricompattata», sostiene Alfredo D’Attorre.
Il quale insieme a Davide Zoggia e Stefano Fassina, arriva dalla Camera per dare un segnale di unità  di una corrente che si arrende a votare la fiducia al governo ma spera di poter ingaggiare un braccio di ferro a Montecitorio.
Ma se Renzi ha fatto ingoiare ai bersanian-dalemiani un testo che non riporta la mediazione sull’articolo 18 della Direzione Pd è pure merito della minoranza. Costretta a ricordare le conquiste su precari e poco altro nelle due paginette sbandierate ieri.
«E’ vero l’ho detto a Bersani che quell’annuncio anzitempo sulla lealtà  alla ditta è stato un errore e questo testo sul jobs act è un’operazione di cosmesi», si indigna il duro Fassina.

Carlo Bertini
(da “La Stampa”)

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RENZI E UN SELFIE CON LA MERKEL SUL LAVORO

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

IL VERTICE CON I LEADER EUROPEI SENZA RISULTATI… UTILE PER DISTRARRE DAL CAOS AL SENATO

A cosa serve un vertice europeo che non produce documenti, decisioni, e che alcuni capi di governo (David Cameron) preferiscono disertare? Ovviamente a nulla.
Se non a garantire all’organizzatore, Matteo Renzi, applausi internazionali alla sua riforma del lavoro nel giorno più delicato.
La conferenza “ad alto livello” (la traduzione di high level sarebbe in realtà  “di alto livello”) è così poco operativa che alla riunione di apertura dei ministri del Lavoro, quello italiano ospitante, cioè Giuliano Poletti, non si presenta neppure, impegnato in Senato a duellare con il Movimento Cinque Stelle.
“Le conferenze non risolvono problemi, servono solo a creare un clima”, riconosce Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo in scadenza di mandato.     L’umore di Renzi, incupito dal caos al Senato sulla riforma del Lavoro, è stato comunque rasserenato dal pomeriggio milanese: nei locali della vecchia fiera, uno dopo l’altro, sono arrivati ministri, capi di governo, istituzioni europee.
E quelli importanti si sono prestati a diventare testimonial del renzismo per un giorno. Il socialista Martin Schulz, appena rieletto al Parlamento europeo anche coi voti del Pd italiano, parla di governo “fantastico”.
Il premier è abile a spremere ogni stilla comunicativa da una chiacchierata pomeridiana di meno di tre ore.
Renzi fa anche trasmettere in streaming l’inizio della discussione, cosa abbastanza inusuale, giusto il tempo di far capire che ha confidenza con tutti i capi di governo e che è lui a gestire la riunione: “Possiamo cominciare? Benvenuti a Milano”.
In conferenza stampa il premier ha l’aria accigliata, furioso per il caos in Senato.
Ma si gode il momento: con lui ci sono Van Rompuy, Schulz, il presidente uscente della Commissione Josè Barroso, Angela Merkel e Franà§ois Hollande.
L’esclusione degli altri si può giustificare perchè le due precedenti conferenze sull’occupazione (altrettanto produttive di quella di ieri) si erano tenute a Berlino e Parigi.
La cancelliera tedesca è alle prese con la frenata dell’economia, la produzione industriale è crollata del 5,7 per cento ad agosto, e con la Bundesbank, la sua banca centrale, che ormai attacca pubblicamente la Bce di Mario Draghi.
Hollande ha una popolarità  al 13 per cento e sta lavorando a una legge finanziaria per il 2015 che probabilmente sarà  bocciata da Bruxelles perchè non riduce il deficit, arrivato al 4,4 per cento del Pil.
“Non abbiamo parlato di budget”, premette Hollande per chiarire che non si è trattato di un processo a Parigi, ma “la Francia vuole usare tutte le flessibilità  previste dal patto di stabilità , faremo 21 miliardi di risparmi e li useremo anche per ridurre il costo del lavoro”.
La Merkel non cede di un millimetro: “Renzi e Hollande hanno annunciato riforme importanti, come Consiglio europeo abbiamo deciso di rispettare il Patto di Stabilità  e crescita, ci sono flessibilità  previste, la Francia ha detto di rispettare i propri impegni, sono fiduciosa che tutti rispetteranno le promesse”.
Ma la pressione sulla Germania sta salendo, anche il capo del dipartimento fiscale del Fondo monetario, Kenneth Kang, ha suggerito che i “fondi europei vengano usati per investimenti pubblici a livello nazionale” (a Kang il Jobs Act piace).
Su questo arriva un’apertura quasi sorprendente della Merkel: “Siamo pronti ad affrontare il problema dei soldi per il co-finanziamento che finiscono nel deficit”.
In pratica: i Paesi devono poter spendere la loro quota in progetti finanziati dall’Europa senza veder peggiorare i propri conti pubblici.
Con i tempi europei ci vorranno mesi prima di vedere dichiarazioni più specifiche, come minimo fino al Consiglio europeo di dicembre quando la nuova Commissione di Jean Claude Juncker presenterà  i dettagli del suo piano da 300 miliardi.
Nel frattempo i 28 Paesi devono mandare a Bruxelles le leggi finanziarie per il 2015. Renzi sa di essere guardato con un po’ di diffidenza, soprattutto per la scelta di rinviare il pareggio di bilancio al 2017, e quindi ripete per l’ennesima volta: “Abbiamo un problema di reputazione e quindi ritengo giusto per l’Italia rispettare il vincolo del 3 per cento, non mi intrometto nelle scelte di altri Paesi , come la Spagna e la Francia”.
Sì, perchè se qualcuno deve essere bocciato, sarà  Hollande.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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TACI, IL RIINA TI ASCOLTA

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

LA TESTIMONIANZA DI NAPOLITANO E I GARANTISTI ALL’ITALIANA

Hai capito i garantisti all’italiana? Pretenderebbero di vietare a dieci imputati di assistere a un’udienza del loro processo perchè un testimone non vuole.
La pantomima va in scena nella repubblica, anzi nella monarchia del Napolitanistan, già  culla del diritto e ora del rovescio.
Orde di corazzieri sdegnati e giuristi per caso si scagliano a Camere, reti ed edicole unificate contro i pm di Palermo che, anzichè violare la Costituzione e il Codice e dunque condannare il processo alla nullità  assoluta tenendo gli imputati fuori dalla porta, propongono di farli entrare.
“Pm choc” (Messaggero). “Schiaffo dei pm” (Giornale). “Sfregio dei pm” (Libero). “Punto di non ritorno oltre il quale non ci si rialza più” (Il Sòla-24 Ore). “Trappola ordita contro il Quirinale, sceneggiata lesiva dell’onore e della funzione del Capo dello Stato, visione distorta per non dire perversa della funzione giudiziaria” (il Foglio). “Una macchina impazzita… in direzione di un traguardo che non promette nulla di buono sul piano dell’opportunità  politica e della decenza…
La vergogna di esporre il capo dello Stato a una testimonianza in presenza di fior di criminali, assassini e stragisti… Baraccone… Pateracchio istituzionale” (Stampa). “Estremo e coerente capitolo di una sfida lanciata qualche anno fa dai Pm siciliani”, ma “sul Colle si confida in una scelta della Corte tale da preservare il prestigio e la dignità  del capo dello Stato” (Corriere). “Non comprendo il significato processuale nè istituzionale del parere della Procura” (Zanda, Pd: e studiare?). “Parere che stupisce e non mi spiego” (Finocchiaro, Pd, laureata in Legge ed ex pm). “Inaccettabile, si è passato il segno” (Speranza, Pd). “A prescindere da valutazioni imperscrutabili (la Costituzione e le leggi, ndr) auspichiamo che all’Italia e alle sue istituzioni sia risparmiato lo sfregio di due capi dell’anti-Stato presenti alla deposizione del capo dello Stato” (Quagliariello, Ncd). “Autentica provocazione che ci auguriamo non verrà  raccolta dalla Corte” (Cicchitto, ex P2, ora Ncd).
Sciocco chi che l’Istituzione perda prestigio e decoro in base al comportamento più o meno indecoroso di chi la occupa.
Invece no: è il fatto di essere ascoltati da Riina che fa perdere prestigio.
Ma qui, se abbiamo capito bene, il problema non è neppure che gli imputati assistano al loro processo (infatti nessuno obietta sulla presenza di Mancino): bensì che assistano due mafiosi e assassini.
Oh bella, se Riina e Bagarella fossero due dame della carità  o due monaci trappisti non sarebbero sotto processo per la trattativa Stato-mafia.
Quindi, par di capire, la Corte dovrebbe dividere gli imputati buoni (politici e carabinieri) da quelli cattivi (i mafiosi, con cui però politici e carabinieri 22 anni fa trattavano proprio perchè erano mafiosi, poco dopo Capaci e anche dopo via D’Amelio).
“Che dirà  il mondo?”: tranquilli, il mondo sa già  tutto.
Sa che l’Italia è stata governata sette volte da Andreotti, poi dichiarato mafioso fino al 1980. Sa che, dopo di lui, venne B., noto corruttore e frodatore, affiancato da Dell’Utri, poi condannato a 7 anni per mafia e ora detenuto nel carcere di Parma a poche celle di distanza da Riina (con cui, se vorrà , potrà  collegarsi dalla stessa saletta con il Colle per la deposizione del presidente della Repubblica nata dalla trattativa). L’unico stupore, nel mondo, potrebbe sorgere dalla scoperta che in Italia si vieta agli imputati di presenziare ai loro processi e di interrogare i testimoni, violando i diritti della difesa come neppure a Guantanamo.
E che i politici e i giornalisti “garantisti” ignorano la Costituzione e le leggi del loro Paese.
Per fortuna il Corriere ci informa che “al Quirinale non piace che si attribuiscano a Giorgio Napolitano sentimenti incontrollati o scatti d’umore quasi scomposti, evocando ad esempio ‘ira’ o ‘rabbia’. Questo presidente, per formazione e carattere, è uomo che sa ‘governare le passioni’”.
Non a caso S.A.R. “ha voluto definire con gli umanissimi aggettivi ‘triste’ e ‘amaro’ l’esito della nuova fumata nera” per i giudici della Consulta.
E allora che si agitano a fare i corazzieri?
Sua Maestà  ha raggiunto finalmente una completa, umanissima atarassia. Dai che è la volta buona che parla.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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AZZOLLINI, IL SALVATO DAL PD PER EVITARE GUAI ALLE COOP

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

L’INTERCETTAZIONE NEGATA: “DOPO LE TRANSAZIONI OGNUNO DEVE BENEFICIARNE”

“Dopo le transazioni, ognuno deve avere il suo … il suo, diciamo, beneficio”.
Quale sarebbe il beneficio? E chi avrebbe dovuto goderne?
Non lo sapremo: su quest’intercettazione, nella quale il senatore di Ncd Antonio Azzollini parla con il funzionario pubblico Vincenzo Balducci, l’indagine è a rischio. Il motivo è semplice: il Senato ha negato, almeno per ora, l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni su Azzollini.
E con chiunque, in quei mesi del 2009, il parlamentare parlasse di un affare da 150 milioni.
Un affare che — come vedremo — porta anche la firma della coop rossa Cmc.
Azzollini per l’accusa è il “regista nella gestione dei plurimilionari finanziamenti” e, parlando con Balducci, continua: “Poi ti dirò tutto… Chi incontriamo e che riusciamo a fare… Vedi di andare a prendere l’autorizzazione da questi della Regione…”.
Frasi che ora risultano inutilizzabili, eppure parliamo di un mega-cantiere sotto sequestro da un anno, migliaia di bombe ancora sul fondale del porto, un’opera faraonica che non vedrà  mai la luce, l’inchiesta per truffa ai danni dello Stato da 150 milioni di euro condotta dalla procura di Trani, il principale indagato, Azzollini, che siede ancora a guida della commissione bilancio del Senato e si accinge a fare da mattatore della prossima finanziaria.
Paola Natalicchio, la giovane sindaca di Molfetta che da dodici mesi si trova a combattere, da sola, con tutto questo e con le “macerie” del porto voluto dal suo predecessore, proprio il potente senatore Antonio Azzollini, è furibonda con il Pd. “Voglio una spiegazione dalla segreteria nazionale del Pd”, ripete, incredula, davanti alla clamorosa scelta dei democratici, che l’altra notte, insieme a Lega e Ncd (Forza Italia era assente), nella giunta per le elezioni, hanno votato contro l’uso delle intercettazioni dell’ex sindaco di Molfetta, indagato per truffa aggravata e associazione a delinquere: “Voglio sapere che spiegazione danno di questo voto al Pd”.
Al Nazareno, a dire il vero, non danno nessuna spiegazione.
E anche i senatori, finiti nel mirino, preferiscono non argomentare la scelta. “C’è stato un errore da parte della procura che avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione ad intercettare”, dicono a mezzabocca, mentre fuori dal parlamento si levano i primi: “Vergogna”.
Un paio di senatrici, Ginetti e Pezzopane, sembra che siano state incerte fino all’ultimo se schierarsi con il relatore del Pd Casson che aveva proposto il via libera o con il resto del gruppo.
Poi più che la relazione dell’ex magistrato democratico ha potuto la forza di persuasione di Giuseppe Luigi Salvatore Cucca.
Il capogruppo Pd all’eterno della Giunta, sconosciuto ai più. È stato lui l’altra notte a chiedere una irrituale interruzione, poco prima del voto, per riunire in extremis i “suoi”, che, per altro, erano già  stati convocati al mattino da Luigi Zanda, presidente dei senatori Pd: “È vero ma ho detto solo loro di leggere bene le carte e votare secondo coscienza”, conferma Zanda al Fatto.
Cucca ha temuto che la linea non fosse abbastanza chiara. E ha invocato, a giunta già  in corso, un quarto d’ora a porte chiuse con i “suoi”.
Un summit concitato, durante il quale ci sarebbe stata anche una telefonata a Palazzo Chigi, minacciata almeno, per serrare le fila.
“Non c’è bisogno”, gli hanno risposto i presenti. Che, nove mesi dopo la richiesta della procura, in un periodo già  in odore di legge finanziaria, hanno votato compatti per il no all’uso delle intercettazioni di Azzollini, abbandonando Casson al suo destino di “relatore”.
“Sembra proprio che, da presidente della commissione, Azzollini oggi possa spostare più pedine di Silvio Berlusconi”, osserva il senatore Mario Giarrusso, del M5S, gli unici a dire sì all’uso di quelle intercettazioni, che la procura rischia di non poter più usare contro Azzollini.
Quella di Azzollini è una storia di blitz telefonici, minacce (“io a quello gli dò due cazzotti”) ai funzionari riottosi, fitte strategie con i vertici della potente cooperativa rossa Cmc di Ravenna, a cui il senatore di centrodestra fa in modo che venga assegnato l’appalto, irrealizzabile perchè il porto di Molfetta è pieno di bombe. Questo raccontano le telefonate di Azzollini che secondo i senatori del Pd non si devono utilizzare.
E poi pressioni sui vertici dei ministeri, controllori, ragionieri dello Stato, presidenti di sezione del Consiglio dei lavori pubblici, convocati nello ufficio al Senato.
La stanza del potente presidente della commissione bilancio, dove si decidono le finanziarie dello Stato e intanto si studia come continuare a far scorrere soldi in direzione del porto di Molfetta, la grande opera con cui il sindaco-senatore, che ha ricoperto i due incarichi per sette anni, ha finanziato per anni il suo feudo pugliese.
I pm di Trani lo chiamano il “metodo Azzollini”.
Una capacità  di persuasione che in molti sospettano possa essergli tornata utile anche di fronte alla giunta per le elezioni. Guglielmo Minervini, uno dei due candidati Pd alle primarie pugliesi, è stato il primo a lanciare l’allarme: “Da presidente della commissione bilancio, Azzollini può determinare le fortune o le sfortune di buonissima parte dei senatori”, ha scritto al presidente Dario Stefà no, anche lui candidato alle primarie pugliesi, accusando la giunta da lui presieduta di fare “melina”.
Il voto arrivato mentre è alle porte la prossima finanziaria rilancia i sospetti. Il M5S grida all’inciuco.
Vendola punta il dito contro “le larghe intese” divenute “sconce intese”.
All’ombra della Cmc di Ravenna, quella per cui si dà  da fare il “compagno” Primo Greganti, anche lui sorpreso dai pm milanesi che indagano sugli appalti Expo, a frequentare il Senato.
Civati chiede spiegazioni al Pd. E la senatrice Puppato domanda ai suoi: “Avremmo avuto uguale atteggiamento se non si fosse discusso del dominus della legge finanziaria?”.

Mariagrazia Gerina

argomento: denuncia, Giustizia | Commenta »

IL DECRETO ABRACADABRA DEL MAGO MATTEO

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

UN GRANDE PENTOLONE DOVE GALLEGGIANO LINEE GUIDA, BUONI PROPOSITI E CATTIVI PENSIERI

Galleggiano fino a perdersi, nel continuo moto ondoso renziano che restituisce a riva pezzi di provincie abrogate ma vive, di leggi elettorali definite ma forse anche sconfessate, riforme annunciate ma mai approvate, tagli decisi ma poi revocati.
La debolezza di Matteo Renzi sta nella sua forza, il punto di crisi coincide con la smisurata abilità  illusionistica che correda ogni suo atto.
Dà  sistematicamente per certo l’incerto, trasforma il fumo in arrosto, confonde volutamente il dire con il fare.
Quando l’immaginazione al potere si spinge oltre il lecito, la tecnica illusionistica diviene totalizzante e i provvedimenti si trasformano in sacchi vuoti, misure parziali e contraddittorie, testi incompleti.
Un perenne sbriciolamento di commi, di previsioni e di coperture che fa affondare nel dubbio anche il cuore più fedele, il militante più generoso.
Nel Jobs act non si capisce quale sia la misura delle nuove tutele offerte ai giovani lavoratori e quante quelle tolte ai vecchi.
E quale sia il limite al licenziamento.
La riforma dell’articolo 18 è dentro una bolla sospesa: sarà  cambiato ma nessuno sa come. Esattamente come sono inghiottite dall’oscurità  le promesse di realizzare una riforma elettorale che superi l’indecente Porcellum.
Restano vivi i listini bloccati, rimane intatto il potere delle segreterie dei partiti, integro il blocco dei nominati. Però si sta lavorando all’opposto: forse le preferenze, forse un mix.
Renzi è per la salvaguardia del territorio, la tutela del paesaggio, la mitigazione del cemento.
Poi sforna il decreto che chiama Sblocca Italia e che invece sembra frutto di un trust di betoniere.
I controlli di legalità  saltati, i controllori semplicemente eliminati dalla scena.
Tutto il potere al concessionario, alle ditte appaltatrici.
La potenza di Matteo Renzi si è ancora una volta esplicata in quella che appare la sua più grande qualità : la prestidigitazione.
In politica è utile, e in un certo senso decisivo per dare passione alle proprie idee e gambe al proprio popolo, far apparire un buon proposito come un fatto acquisito.
E ieri sia Angela Merkel che Franà§oise Hollande hanno salutato con favore l’approvazione del Jobs act, la legge che darà  lavoro a chi ne è sprovvisto. Lui, sorridendo, ha raccolto l’apprezzamento: “Gli impegni presi si mantengono. Noi cambieremo l’Italia”.
Come si sa ha già  approvato la riforma costituzionale, abrogato il Senato o quasi, realizzata la spending review. Vero? Falso?
Siamo nella condizione, grazie a questa procedura illusionistica, di avere le idee confuse al punto che due mattine fa i senatori sono stati convocati per votare il Jobs act ma nel mezzo della discussione si sono accorti che il testo sul quale dibattevano era superato da uno nuovo che però non si conosceva.
Sulla Stampa Mattia Feltri ha documentato nei dettagli lo stralunato confronto. “Ma di cosa stiamo parlando, presidente?”, chiedeva un senatore. E il presidente di turno, inflessibile: “Questo è il testo e andiamo avanti”.
Era un testo pro tempore, un foglio di passaggio, una scrittura cangiante.
Più di un testo sembrava un pretesto per spingere i senatori a scornarsi sul nulla e dimostrare ancora una volta che palazzo Madama è meglio chiuderlo.
Poi è giunta Maria Elena Boschi in un bell’azzurro elettrico e tutte le caselle sono andate in porto.
Renzi è un innovatore nato e ha così definito la cornice della richiesta di fiducia orale: un voto sull’articolo 18 e tutto il resto.
Anzi, scorgendo i vuoti nell’emendamento sottoposto all’approvazione, ha spinto sull’acceleratore imponendo la fiducia alla fiducia. E’ nata così la “fiduciona”.
Un atto insieme patriottico e sentimentale: vuoi bene all’Italia? Allora vota sì.
Cosicchè a Milano il premier ha potuto dimostrare ai colleghi europei che — abracadabra — tra il dire e il fare non c’è più di mezzo il mare.

Antonello Caporale
(da “il Fatto Quotidiano”)

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IN ARRIVO A DESTRA UN’ALTRA PATACCA: IL “FRONTE POLTRONISTA” CON LEGA, FRATELLI D’ITALIA, LA DESTRA DI STORACE E CASA POUND

Ottobre 9th, 2014 Riccardo Fucile

LA “COSA NERO-VERDE” PER SCOPIAZZARE LE PEN UNIREBBE RAZZISTI E ANTIEURO, NAZIONALISTI E SECESSIONISTI, AFFOGATORI DI PROFUGHI E CATTIVI LETTORI DELLA CULTURA DI DESTRA… UNA OPINIONE? MUSSOLINI LI AVREBBE MANDATI A SPACCARE LE PIETRE

La “cosa nero-verde” è un cantiere alle battute conclusive. Per il grande lancio manca l’imminenza di una campagna elettorale, ma il sogno dei “registi” italiani che ci lavorano da un paio di mesi è che l’appuntamento sia ravvicinato, magari nella primavera 2015.
“Modello Le Pen” in salsa tricolore e un ponte già  aperto con la leader francese del Front National
La guerra dichiarata all’ondata migratoria, all’operazione “Mare Nostrum”, all’“Europa dei burocrati e dei banchieri” a fare da cemento per la costruzione dell’edificio.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni i big sponsor del partitone che nel giro dei prossimi mesi potrebbe abbracciare tutto ciò che si muove alla destra di Forza Italia, abbandonando proprio Berlusconi al suo destino.
Quindi, partiti minori e movimenti satelliti, dalla Destra di Storace a Casa Pound. L’obiettivo è chiaro: trasformare appunto i satelliti in un unico grande pianeta che prenda il posto (e le percentuali) della vecchia Alleanza nazionale.
Il giovane leader del Carroccio ha fiutato per primo il colpaccio, non solo guardando Oltralpe. L’altro giorno ha fatto notizia la sua visita ai giovani di Casa Pound nel palazzo occupato nel quartiere Esquilino di Roma, in via Napoleone III. Un abbraccio non casuale, del resto. Loro, gli “irregolari” di destra, hanno sostenuto alle Europee la candidatura del leghista Mario Borghezio nella circoscrizione finora inaccessibile del Centro, regalandogli l’elezione a sorpresa con 5.837 preferenze.
Ma il vero tandem Salvini lo sta costruendo – anche per ragioni generazionali – con Giorgia Meloni, miss 350 mila preferenze alle ultime Europee, rimasta fuori per quel soffio che ha inchiodato Fratelli d’Italia (3,7 per cento) appena sotto lo sbarramento.
Ma adesso i due hanno aperto una pagina nuova. «Se si votasse domani il centrodestra non esisterebbe e io andrei solo con Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni» si è sbilanciato il 20 settembre scorso il capo del Carroccio giusto da palco di Atreju, la festa dei giovani di FdI. Con la padrona di casa che plaude alla «grande apertura: con la Lega condividiamo molte cose», pur puntualizzando che per loro il tema dell’unità  nazionale sarebbe ancora «imprescindibile». Dettagli.
Tant’è che la prova generale del “Modello Le Pen” ha già  un primo appuntamento ufficiale in agenda, il prossimo sabato 18 ottobre. I due leader giurano che non l’hanno concordato, ma tanto la Lega a Milano quanto FdI a Reggio Calabria celebreranno quel giorno un anno di “Mare Nostrum” per attaccare ad alzo zero «l’invasione di immigrati clandestini» resa possibile dall’operazione di salvataggio nel Mediteranneo.
I due, a parte le foto con calice in mano postate su Twitter, non fanno mistero di sentirsi quasi ogni giorno.
Le campagna euroscettiche le discutono insieme, sulle politiche dell’immigrazione vanno a nozze. «Sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono, ma tutto dipenderà  da quanto Matteo spingerà  sull’acceleratore del secessionismo» ha spiegato la Meloni rassicurando quei colleghi, da La Russa ad Alemanno, che osservano con un pizzico di scetticismo.
La grossa partita sarà  quella delle prossime Politiche, ma le Regionali di primavera sono più vicine. «E i numeri giocano dalla nostra parte » rilanciano tanto l’europarlamentare Salvini quanto la deputata Meloni.
La Lega continua a lievitare, il sondaggio Euromedia di due giorni fa per “Ballarò” la quotava al’8, FdI al 4,2, insieme oltre il 12 per cento. Il sogno comune è la soglia immaginifica del 15, soprattutto se il cantiere verrà  aperto.
«Io posso essere interessato solo se è Giorgia a farsi promotore di un processo di aggregazione – mette le mani avanti Francesco Storace, fondatore de La Destra – Farmi rappresentare in Europa da Borghezio non è che mi abbia fatto impazzire.
Il fatto è che per ora, come si dice a Roma, siamo al “caro amico”, tutto è frastagliato, intorno vedo solo casino».
Più sensibili i movimentisti di Casa Pound. I giovani romani che di tanto in tanto occupano edifici da affidare «solo ad italiani» hanno accolto Salvini come un leader. «Lo abbiamo voluto incontrare perchè condividiamo quel che dice, dal no Euro al no immigrazione, come il ritorno alla sovranità  dei popoli sono temi di battaglia a noi cari» spiega Simone Di Stefano, vicepresidente di Casa Pound Italia (un condanna a tre mesi in casella giudiziaria per aver rubato la bandiera Ue dalla sede istituzionale romana».
Il braccio destro di Gianluca Iannone, leader riconosciuto del movimento, però distingue: «Ci interessa meno dialogare con gente come la Meloni o La Russa o Alemanno già  ministri del caso Marò o sindaci nei quali non ci siamo identificati affatto».
Meglio dialogare con la Lega. La cosa “nero-verde” può prendere il largo.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”“)

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