Dicembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
MILIONI DI CLIC PER IL DOCUMENTARIO CHOC DELL’OPPOSITORE NAVALNY
La festa di apertura dell’hotel di lusso Pomegranate, sul mare della Grecia, era stata sontuosa. 
I suoi ricchi proprietari russi non avevano badato a spese per intrattenere centinaia di ospiti Vip volati lì soprattutto da Mosca.
Si esibiva una delle più amate popstar russe e a salutare gli ospiti c’era Vladimir Medinsky, ministro della Cultura di Vladimir Putin.
C’erano champagne alla spina e originali fuochi d’artificio e un laser show che si era concluso con un gigantesco tricolore russo proiettato su tutto l’edificio. Anche il fioraio arrivava da Mosca
In un primo momento l’apertura dell’hotel, due anni fa, sembrava l’ennesimo racconto, quasi un luogo comune, sui ricchi russi che spendono generosamente all’estero.
Ma ora è al centro del più discusso caso di corruzione degli ultimi tempi che collega presumibilmente alti magistrati con una delle più scellerate bande criminali del Paese.
Ad avviare le indagini è stato Alexei Navalny, il più importante leader dell’opposizione russa. Gli attivisti della sua fondazione anticorruzione hanno indagato per nove mesi gli interessi commerciali dei figli di Yuri Chaika, procuratore generale della Russia.
I loro risultati sono stati prontamente divulgati in un documentario di 45 minuti postato su YouTube.
Boom online
Nel video una delle accuse più devastanti è che Artyom Chaika – figlio maggiore del pubblico ministero e uno dei principali proprietari del Pomegranate – co-gestisca l’hotel con un partner commerciale che ha avuto legami con due capibanda condannati per un uccisione di massa di 12 persone, tra cui quattro bambini.
Più significativo ancora della natura delle accuse è che 3,2 milioni di persone abbiano visto il filmato di denuncia nella prima settimana dalla divulgazione.
Per tre giorni è stato il video più popolare sul web russo — il primo caso per un film che racconta una serie di complessi intrecci di corruzione.
L’interesse pubblico senza precedenti è notevole dato il controllo rigoroso del Cremlino sui media russi.
«Quando ho sentito parlare per la prima volta di legami criminali non ci credevo, non può essere vero, è troppo assurdo ho detto ai miei collaboratori», racconta Navalny. «Ma, incredibilmente, è tutto vero. È come un film di mafia. L’altra cosa che non mi aspettavo è la grande attenzione che abbiamo suscitato. Ha smosso gli animi perchè è così scioccante e la gente lo guarda e dice: ok sappiamo che la corruzione è endemica, ma questo è davvero troppo».
Il film, che secondo alcuni è un «video bomba», sostiene che oltre a essere comproprietaria del Pomegranate con Chaika, Olga Lapatina, ex moglie di un sostituto procuratore, era in affari con le mogli dei due capi della banda Tsapok, che terrorizzò una regione nel sud della Russia con stupri e rapine.
Secondo l’inchiesta di Navalny inoltre, Artyom Chaika, 39 anni, risulta coinvolto nell’esproprio di una compagnia di navigazione nell’Estremo Oriente russo il cui direttore fu presumibilmente strangolato. Si sostiene che i pubblici ministeri locali la cui carriera dipende dal padre di Chaika aiutarono Artyom a strappare il controllo dell’azienda.
Il documentario sostiene anche che delle gare per contratti pubblici lucrativi sono stati truccate a beneficio del fratello di Artyom, Igor, 27 anni.
«Quello che fa Artyom Chaika non ha alcun rapporto con gli affari», dice Navalny nel film. «È banditismo, è razziare e intimidire la gente usando l’ufficio del Procuratore Generale russo guidato da Yuri Chaika … Il figlio del procuratore capo è il fulcro di una vasta rete di corruzione costituita sotto la protezione del padre».
Il film, molto duro, sostiene che i fondi investiti da Artyom Chaika in conti bancari, attività commerciali e proprietà immobiliari in Grecia e Svizzera sono in parte il risultato di attività illegali.
Il leader dell’opposizione ha passato le informazioni alle autorità svizzere dove, dice, Chaika ha preso la residenza, chiedendo loro di aprire contro di lui un fascicolo per riciclaggio di denaro.
«Dovrebbero davvero agire, ma si tratta di una decisione politica», ha detto Navalny. Yuri Chaika ha denunciato il film come «menzognero e privo di fondamento».
Il Cremlino ha detto che le accuse formulate nel film non sono di alcun interesse, in quanto non riguardano la persona del procuratore generale – un commento che i critici di Putin hanno ampiamente ridicolizzato.
Il blogger condannato
Navanly, 39 anni, che è stato arrestato in numerose occasioni, è stato condannato per appropriazione indebita e frode a cinque anni con la sospensione condizionale della pena in un processo che la maggior parte degli osservatori giudicano dettato da motivi politici.
Per altri capi di imputazione suo fratello Oleg è attualmente in carcere con accuse parimenti inventate – una mossa del Cremlino, secondo Navalny, per cercare di metterlo a tacere.
Finora questa tattica sembra solo aver ancora più motivato il leader dell’opposizione che ha oltre un milione di follower su Twitter.
La tv di Stato, che sotto Putin è dominata dalla propaganda, rimane la principale fonte di informazione per la maggior parte dei russi.
Ma sempre più — come dimostra il pubblico record per il film su Chaika – milioni di russi si rivolgono a Internet per le notizie.
«C’è un’altra Russia là fuori, che il Cremlino sta lottando per tenere sotto controllo», ha detto un sul web un imprenditore dell’opposizione.
In risposta il Cremlino ha approvato una serie di norme draconiane per regolamentare Internet, soffocare il dissenso e mettere al bando i contenuti politici sul web.
Ha inoltre creato strumenti in grado di bloccare Twitter, YouTube e Facebook.
«Ma ci sono tendenze impossibili da bloccare del tutto», ha detto Navalny.
«Il film su Chaika e le reazioni che ha suscitato dimostrano che non ci ridurranno al silenzio e là fuori c’è un sacco di gente che vigila».
Mark Franchetti
(da “il Sunday Times”)
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Dicembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL BILANCIO DEGLI ULTIMI DUE MESI TRA STOP E RINVII
L’Ars torna oggi a riunirsi per un prevedibile rush di fine anno.
Non inconsueto, se è vero che Sala d’Ercole è storicamente abituata a tentare di colmare i ritardi con ostentati “straordinari” in periodi festivi o prefestivi.
E d’altronde mai, come in quest’ultimo scorcio di legislatura, il Parlamento siciliano ha girato a vuoto.
Basti pensare che negli ultimi due mesi, dal 31 ottobre a oggi, l’aula ha lavorato per poco più di due ore a settimana. Esattamente 17,4 minuti al giorno o, se volete, circa otto ore e mezzo al mese.
Il dato, da solo, salta agli occhi, anche perchè non è che le commissioni, in una fase di rinnovo dei vertici, abbiano lavorato molto di più.
Insomma, l’ultima seduta prenatalizia, quella che ha fatto registrare il clamoroso tonfo del Dpef, ha chiuso (chiuso?) una stagione grama.
Impressionante lo stallo della prima metà di dicembre: nella settimana che si è chiusa il 6 sono stati 29 in tutto i minuti di attività dell’Ars, in quella successiva appena 26.
Entriamo nel dettaglio: il 2 dicembre i parlamentari si sono ritrovati alle 16,07 e hanno lasciato l’aula alle 16,36.
Otto giorni dopo, il 10 dicembre, la riunione di Sala d’Ercole è cominciata alle 17,03 e i lavori si sono chiusi alle 17,29.
Il bilancio di quei preziosi minuti di attività ? C’è stato l’annuncio di mozioni e interpellanze, la comunicazione all’aula del nuovo ufficio di presidenza del gruppo del Pd, l’ufficializzazione della sostituzione di un componente della commissione antimafia.
Un minuto, o su di lì, è stato dedicato al ricordo dell’uccisione di due braccianti agricoli a sud di Siracusa, avvenuta nel 1968.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
PER RISTRUTTURARE IL TRATTO FERROVIARIO OCCORREREBBERO ALMENO 6 ANNI (SENZA INTOPPI)
Un’illusione, una boutade a voler essere buonisti, è concretare tale prospettiva in pochi mesi o
anni.
Genova Principe e Milano Centrale distano 154 chilometri e gli Intercity impiegano un’ora e 30′.
Togliendo qualsiasi fermata (tra perditempo di frenata, accelerazione e sosta) si scenderebbe a un’ora e 24′. Per arrivare a soli 60 minuti si dovrebbe viaggiare a una media impensabile.
Attualmente, Intercity e Frecciabianca, in rango C di velocità , toccano i 160 solo tra Voghera e Lungavilla (meno di 10 km) e in prossimità di Rogoredo, i 155 tra Cassano Spinola e Tortona e alle porte di Arquata, i 150 tra Bressana Bottarone e Pavia (13 km scarsi) e brevissimamente vicino a Locate Triulzi.
Per il resto la linea consente un massimo di 120 km/h con due micidiali attraversamenti di stazioni, quelli di Ronco Scrivia (non si può andare oltre i 60) e di Tortona (80): per velocizzarli servirebbe la totale rivoluzione del piano binari.
Otto anni fa il treno no-stop Principe-Rogoredo impiegava 1 ora e 10′ ricorderà qualcuno. Ma, primo, il chilometraggio era più basso, e, secondo, fu il costante ritardo giornaliero di almeno 10 minuti, oltre agli orari poco appetibili dai viaggiatori, a decretarne vita breve per la bassissima frequentazione: 4 mesi durò l’offerta dal lunedì al venerdì, altrettanti la sola proposta al lunedì mattina e al venerdì sera.
Allora, sottolinea il comitato viaggiatori che da anni monitora la Genova-Milano, non esisteva la ricchissima offerta per i pendolari tra Pavia e la metropoli lombarda nelle ore di punta, le stesse in cui dovrebbe inserirsi la traccia di un treno veloce da/per la Liguria che possa essere apprezzato dall’utenza (e quindi, seguendo la primaria logica di mercato delle aziende di trasporto, vedere i costi coperti dall’introito della bigliettazione).
Tra le 7.30 e le 8.30 e tra le 17.30 e le 18.30 in quella tratta si arriva a distanziamenti minimi di tre minuti fra convogli di ben sette categorie, diversissimi nelle prestazioni di marcia.
Direte: un treno che non ferma ovunque può superare gli altri. No, perchè fra Pavia e Milano Rogoredo non esiste più un solo binario di precedenza, tutti sacrificati allo sciagurato piano nazionale “Rete snella” messo in opera dagli anni Novanta per tagliare progressivamente il personale, disabilitando le stazioni ed eliminando migliaia di scambi, col risultato che qualunque perturbazione in linea si trasforma in un calvario (come martedì scorso quando il blocco di un treno merci a Locate Triulzi ha causato enormi ritardi).
Dunque, per poter andare da Genova a Milano in ferrovia in un’ora occorre innanzitutto che la linea Pavia-Rogoredo sia quadruplicata, riservando ai treni “veloci” i nuovi binari e facendo loro guadagnare almeno 10 minuti di percorrenza: il progetto giace da anni, dimenticato, presso il Comitato Interministeriale Programmazione Economica, e al di là delle dichiarazioni di facciata nè Trenord nè Regione Lombardia hanno particolare interesse a togliervi da sopra la polvere.
Ed è indispensabile che divenga operativo tra Genova e Novi Ligure il Terzo Valico (dove si potranno toccare i 250 km/h di velocità ) col successivo raddoppio fino a Tortona. Se anche i finanziamenti venissero erogati, se i cantieri procedessero spediti, se le contestazioni mai sopite fossero superate, una prospettiva ragionevole è quella del 2021.
Tutto il resto è sogno (o presa in giro).
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
SUON DI FANFARE PER UN GENOVA-MILANO CHE NON FA FERMATE E IMPIEGA UN’ORA E MEZZA COME UN COMUNE INTERCITY CHE FA DUE FERMATE…IL COMUNICATO CHE FA RIDERE TUTTA ITALIA: “LAVORI PER DUE TERZI A CARICO DELLA LOMBARDIA, UN TERZO ALLA LIGURIA E IL RESTANTE (MA QUALE?) A CARICO DI RFI E GOVERNO”
La giunta regionale ligure annuncia trionfalmente l’idea di un collegamento ferroviario, con un comunicato che non è proprio dei migliori, il treno diretto Genova – Milano in treno “in modo diretto”.
Promessa di Giovanni Toti: «Un’ora». In realtà ci vuole un’ora e mezza, dettagli.
Con la complicità dei compari in politica della Lombardia, s’inventa questo schema chiarissimo: «Questa è una scommessa, è la prima prova di un convoglio che può collegare Genova e Milano in modo diretto, in un tempo che noi ci auguriamo stia tra un’ora e venti e un’ora e cinque, se Ferrovie ci daranno una mano a risistemare la rete».
«Oggi grazie alla collaborazione della Regione Lombardia, grazie a Trenord e grazie al fatto che crediamo in un progetto comune che coinvolge i due capoluoghi, contiamo di poter arrivare, entro diciotto mesi, a concretizzare questo progetto».
Queste le comiche rappresentate dal presidente della Regione Liguria Giovanni Toti a bordo del treno no stop, partito da Genova Principe alle 15.20 e giunto a Milano centrale alle 17 circa.
Un viaggio sperimentale a cui ha preso parte tutta la giunta – d’altra parte, non è che ci sia altro da fare – con il presidente della Lombardia Roberto Maroni, insieme all’assessore ai trasporti lombardo Alessandro Sorte, i vertici di Trenord e di Rfi.
L’obiettivo, ci insegna la Regione, è quello di costruire un percorso per arrivare, con la primavera prossima, a sette collegamenti di treni giornalieri per unire i due capoluoghi, in modo da poter ”costruire l’area del Nord Ovest”.
A tale scopo i due “Governatori” hanno firmato una lettera di intenti che verrà portata nei prossimi giorni all’attenzione del Ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio per riuscire a ottenere quegli investimenti necessari a sbloccare i nodi sulla rete ferroviaria per consentire il collegamento entro l’ora.
«Chiediamo a Delrio — hanno detto Toti e Maroni — un tavolo che coinvolga le due regioni, gli operatori e i gestori della rete per superare i quattro nodi che impediscono attualmente di raggiungere la massima velocità : in corrispondenza di Milano Rogoredo, Ronco Scrivia, Tortona e la galleria dei Giovi».
Non si capisce la divisione dei costi, almeno come viene spiegata nel comunicato: due terzi alla Lombardia, un terzo la Liguria e i restanti (quali?) a carico di Rfi e del Governo.
I due “Governatori” a quanto pare hanno tanto alito politico e sforzo amministrativo da piegare la matematica.
«L’esperimento è riuscito — ha concluso il presidente della Regione Liguria Toti – oggi c’è stato un avvio simbolico, contiamo molto sul fatto che vada a buon fine, grazie anche al ruolo di fratello maggiore svolto dalla Regione Lombardia e all’impegno del Governo e di Rfi. ”
Anche se, a quanto pare, Rfi avrebbe nicchiato rispetto a quest’ipotesi.
Tutti d’accordo, dunque, tranne la matematica e un paio di nozioni che qualunque vecchio ferroviere avrebbe potuto fornire ai due “Governatori”: la linea appenninica è vecchia e non supporta mezzi di nuova generazione, quindi anche se (“se”) l’offerta commerciale di Rfi dovesse (“dovesse”) trovare interessante questo strano treno che, a quanto pare, anche a fronte di nuovi pesanti interventi strutturali su una linea concepita più di cento anni fa non permetterebbe più di 20-30 minuti di anticipo (esagerando) rispetto agli attuali Intercity, non è detto che l’approverebbe.
Piccolo dettaglio finale: un normale Intercity, facendo due fermate intermedie, impiega un’ora e mezza per arrivare a Milano. Ieri senza fermate il treno dei desideri ci ha messo lo stesso tempo.
Le comiche di Toti continuano, attendiamo la prossima puntata dal binario 17.
(da “il Secolo XIX”)
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Dicembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA SFIDA DEL PRESIDENTE DELLA SQUADRA FEMMINILE MINACCIATA: “GIOCHEREMO, SBAGLIATO ARRENDERSI”
“Io non ho ancora preso una decisione, ma una cosa la posso dire: le ragazze il 10 gennaio saranno in campo contro la Lazio”.
Anche ieri è stata una giornata intensa per il presidente dello Sporting Locri, Ferdinando Armeni. Una giornata fatta di incontri, di telefonate di solidarietà , di attestati di stima, ma nella quale non è mancata “qualche amarezza”.
A tarda sera però la decisione: “La squadra giocherà la prossima partita di serie A del campionato di Calcio a 5”.
Presidente, quindi è deciso…
“Guardi, io penso che sia giusto così. Che sia giusto giocare. Naturalmente devo confrontarmi con gli altri soci e con le istituzioni, bisogna che vi siano tutte le condizioni, ma mi piacerebbe vedere in campo le ragazze. Se lo meritano e lo merità la città “.
Questo significa che la squadra non sarà ritirata e che l’avventura continua?
“No, per quanto mi riguarda non ho preso ancora una decisione e restano in piedi tutte le mie perplessità . In questo momento non riesco a pensare a nulla, non ho la giusta serenità , troppe cose sono accadute e troppo in fretta. Io resto dell’idea di lasciare, di cedere il testimone a chiunque abbia voglia di impegnarsi per il futuro dello Sporting e di Locri. Ma non ho deciso nulla, devo riflettere”.
Il presidente della Lazio Valerio Piersigilli ha detto di aver paura di venire a giocare a Locri.
“Mi ha molto ferito quell’affermazione e anche per questo dobbiamo scendere in campo. Locri è una città civile, abbiamo mille problemi purtroppo, ma le parole di Piersigilli sono offensive. Ha espresso solidarietà , le sue giocatrici hanno fatto tante telefonate alle nostre ragazze, questa sua uscita però è incomprensibile. Tra l’altro per sapere di questa terra gli basterebbe chiedere alle sue atlete, alcune di loro sono della provincia di Reggio Calabria e altre hanno giocato tante volte anche a Locri. Dovrebbe informarsi meglio. Anche per questo dobbiamo giocare, dobbiamo far vedere quanto è bella e civile la nostra realtà , e questo a prescindere dalla presenza di una minoranza di criminali ignoranti”.
Presidente, a distanza di qualche giorno ha potuto farsi un’idea delle ragioni alla base delle minacce?
“No, mi creda. Non ho idea. Tra l’altro so che i carabinieri stanno facendo il loro lavoro con cura ed io ho piena fiducia nelle istituzioni. Non posso fare altro che collaborare con gli investigatori e attendere l’esito delle indagini”.
Ma che interessi potrebbero esserci attorno alla squadra?
“Guardi non credo che ce ne siano di veri. Tendo ad esludere che i clan si interessino di una piccola realtà come la nostra. Ritengo che si tratti di cretini, di imbecilli, magari pericolosi, che non si rendono conto di quello che hanno fatto e dell’immagine che stiamo dando della Calabria. Per il resto girano solo cattiverie gratuite”.
A cosa si riferisce?
“Si è detto che la società o io abbiamo dei debiti, ma non è vero. Non c’è un solo fornitore che possa vantare un solo centesimo di credito. Si è persino detto che sotto sotto c’è una questione di donne. Figuriamoci, ho una bella famiglia e una bimba piccola. Sono solo volgarità . Io non ho nulla da nascondere, tanto che ho già consegnato i bilanci societari agli inquirenti”.
E se si trattasse di un mitomane?
“Lo ripeto, non posso escludere nulla. Se si trattasse di un pazzo e venisse arrestato domattina saremmo tutti più sereni. Per quanto ne so io può trattarsi di qualsiasi cosa, ed è questo che mi preoccupa”.
Giuseppe Baldessarro
(da “La Repubblica”)
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