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INTERVISTA A EMMA BONINO: “CI SERVE UNA FBI EUROPEA”

Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile

“SU REGENI SIAMO STATI TROPPO TIMIDI, DOBBIAMO CONTROBATTERE ALLE SGANGHERATE VERSIONI EGIZIANI”

Chiamatela idealista, ma per la radicale Emma Bonino la soluzione resta gli Stati Uniti d’Europa. Sul terrorismo, sulla Libia, sui migranti, perfino sui rapporti tra Italia ed Egitto ai ferri corti per il caso Regeni trasformatosi in un caso internazionale: «Senza politica estera comune non c’è intelligence», dice l’ex ministro degli esteri.
E senza un’intelligence comune dell’Unione contrastare i nuovi jihadisti è pura teoria.
I terroristi di Bruxelles sono passati indisturbati dall’Italia: cosa facevano i nostri servizi?
«Posto che perfino la sicurezza americana fu beffata nel 2001, se i terroristi di Bruxelles non erano segnalati come potevamo intercettarli? L’Europa fa grandi sforzi di coordinamento ma l’intelligence non è questione di coordinare 28 paesi bensì di politica estera, di sicurezza e di difesa comune: se non c’è, non c’è intelligence comune. Nell’integrazione dell’UE la sicurezza è rimasta competenza nazionale: per rimediare bisognerebbe rivedere i trattati e invece i paesi pensano a rivedere le proprie Costituzioni illudendosi che chiudere le frontiere risolva il problema».
Cosa risolve invece?
«Tenere la barra dritta sugli Stati Uniti d’Europa e da lì costruire una politica estera comune e un’intelligence comune tipo Fbi europea. L’Italia, al di là  delle polemiche, è il paese che si sta spendendo di più per una maggiore integrazione. Dico le polemiche perchè mi dispiace sentire i nostri leader che parlano dell’Europa come un’entità  ostile: siamo tra i fondatori dell’UE e se non funziona non è per via dei burocrati di Bruxelles ma perchè così l’hanno voluta i paesi membri, Italia compresa».
Ha l’impressione che l’Italia mantenga un basso profilo sui diversi dossier internazionali?
«Non credo nell’illusione dell’influenza nazionale, non ci aiuta a governare i fenomeni. L’Italia a volte ha preso delle iniziative, come Mare Nostrum. Ma anche lì la mia proposta di farne un intervento europeo incrociò il fuoco di sbarramento di Bruxelles. Davanti ai rifugiati in Grecia penso che abbiamo appaltato i confini europei alla Turchia e mi dico che questa Europa – 500 milioni di abitanti, il continente più ricco del mondo – tra il 2008 e il 2014, durante la peggiore crisi economica, ha concesso 2,5 milioni di visti l’anno mostrandosi così consapevole del proprio invecchiamento e del bisogno di manodopera. E non sappiamo gestire i rifugiati?»
L’Italia è esposta al terrorismo come Francia e Belgio?
«Oltre all’Europa c’è il Pakistan, che piange oggi 70 morti, il Mali, l’Iraq, la Costa d’Avorio. Il punto non è prevedere il prossimo paese target ma ammettere la difficoltà  di capire l’agenda di questi terroristi. Detto ciò non so da dove vengano certe convinzioni e non credo affatto che l’Italia sia al riparo».
L’Italia si sta facendo prendere in giro dall’Egitto su Regeni?
«In questi casi la tenuta e la durata sono la forza delle cose. Io impiegai 6 mesi per riportare in Italia la Shalabayeva. Credo che su Regeni l’Italia debba insistere e controbattere alle versioni sgangherate del Cairo. L’Egitto vorrebbe chiudere perchè la vicenda di un singolo sta facendo il giro del mondo».
Crede che dovremmo richiamare il nostro ambasciatore?
«No, la nostra presenza in Egitto in questa fase è fondamentale. L’asset dell’Italia è non mollare. L’Egitto è un partner importante per noi ma vale anche il contrario. Sono pragmatica: non è che si debba rompere con tutti i regimi autoritari ma serve misura, nè fare il baciamano a Gheddafi, nè coprire le statue davanti agli iraniani, nè affrettarsi a riconoscere Morsi, Sisi o chi per loro. La sorte di Regeni è un’incognita, magari c’è dietro la lotta tra i vari gruppi del mukabarat, il servizio segreto egiziano. Ma l’Italia deve tenere duro anche perchè oggi l’Egitto teme che il caso finisca per squarciare il velo sulla repressione in corso e su migliaia di cosiddetti Fratelli Musulmani in cella senza processo nè capo d’accusa».
Intervenire o no: come legge le incertezze italiane sulla Libia?
«Credo che l’accordo Kobler sia stato precipitoso e che non ci siano basi perchè quel governo entri a Tripoli. Ho l’impressione che finora abbia prevalso la pressione di Usa, Regno Unito e Francia per accelerare i tempi temendo il precipitare degli eventi, ma è un accordo con troppi esclusi e non può funzionare. Dovremmo anche capire cosa significa che a Tripoli ci sono gli islamisti: sono gli stessi di Tobruck, i primi di rito Fratelli Musulmani e gli altri di rito wahabita. L’Italia, come tutti, vuole installare a forza questo governo inviso a Tripoli come a Tobruck. Ma i nostri interessi non sono quelli francesi e l’Europa non ha una politica estera comune: quando sento parlare di operazioni militari mi chiedo contro chi? Per chi? Chi fa il controllo del territorio dopo? Non vedo nessuna strada militare per la Libia a meno di volerla rioccupare, e non mi pare sia in discussione. Bisogna considerare anche che oggi l’esodo dei migranti sembra un po’ ridotto per via dei controlli di Frontex ma i disperati continuano ad arrivare dal Sahel e la Libia resta un serbatoio di profughi e altro: se si chiude la rotta balcanica riesploderà ».

Francesca Paci
(da “La Stampa”)

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INTERVISTA AL PROCURATORE SPATARO: “I SERVIZI SEGRETI NON BASTANO. PER SCONFIGGERE IL TERRORISMO GIUDICI E POLIZIA”

Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile

“NO A LEGGI SPECIALI, COOPERAZIONE GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE”

Nella lotta al terrorismo c’è un’impostazione errata che oggi sembra cara all’Europa: volere privilegiare l’attività  di intelligence, trascurando invece la questione della cooperazione giudiziaria».
Il procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro è uno dei pochissimi magistrati ad avere affrontato tutte le sfide criminali più pericolose: gli Anni di piombo, le mafie e quindi il terrorismo «cosiddetto islamico », secondo quella che reputa «l’unica definizione idonea a evitare ogni impropria, se non offensiva, generalizzazione».
Ha condotto in prima persona la più importante indagine in Europa sulla degenerazione della guerra globale scatenata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, facendo condannare gli agenti della Cia che rapirono Abu Omar e i loro complici italiani.
E anche per questo fa subito una premessa: «Credo fortemente alla funzione delle agenzie di informazione in ogni democrazia. Ma ho più volte affermato che va potenziata la sinergia tra le tutte le istituzioni e le forze in campo, non il mero rafforzamento delle attività  di intelligence. Bisogna anche operare per rendere effettiva la cooperazione giudiziaria internazionale, di cui sono protagonisti la magistratura e le forze di polizia tradizionali».
Su questo punto l’Europa sembra all’anno zero.
«Le difficoltà  dipendono dalla differenze di ordinamento. Molti paesi dell’Unione europea non accettano che siano i pubblici ministeri a dirigere le indagini della polizia giudiziaria, con la conseguente sottrazione delle inchieste alle scelte politiche. E allo stesso modo nella maggioranza degli stati non esiste il principio – per noi irrinunciabile – di assoluta indipendenza del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo».
Quando la lotta al terrorismo viene affidata agli 007 c’è il rischio che venga a cadere ogni possibilità  di controllo democratico?
«Se si opera principalmente attraverso i servizi di intelligence è chiaro che la guida non potrà  che essere politica. Di qui le scelte prevalenti in favore dei servizi care ai governi europei, anche a scapito dell’efficienza operativa e della qualità  dei risultati. Inoltre le regole secondo le quali operano i servizi non possono che essere, per definizione, segrete, dunque diverse tra loro ed incontrollabili, tali da alimentare spesso metodi d’azione a dir poco criticabili».
Ma i problemi sono solo di natura costituzionale?
«Non solo. Spesso si manifestano enormi resistenze nel mettere in comune, a fini investigativi, le notizie e i dati davvero utili. Le banche dati esistono ma non comunicano. Evidentemente molti si ritengono proprietari esclusivi delle notizie importanti. In questi anni ho riscontrato alcune difficoltà  nella collaborazione con le autorità  francesi e britanniche, mentre la cooperazione ha funzionato egregiamente nei rapporti tra Italia, Germania e Spagna. Non a caso sono paesi che hanno rispettivamente conosciuto il terrorismo interno delle Brigate Rosse, della Raf e dell’Eta, riuscendo a sviluppare anticorpi efficaci – dall’analisi delle strategie e del “pensiero” di quei gruppi, alla specializzazione investigativa ed allo scambio immediato delle notizie utili – che ancora oggi servono».
Lei ritiene che l’esperienza maturata negli Anni di piombo sia ancora utile?
«La sintesi del mio pensiero sta in quella famosa frase del presidente Pertini: “Abbiamo sconfitto il terrorismo nelle aule di giustizia e non negli stadi”. Un’affermazione che allude alla correttezza dell’azione istituzionale ed alla centralità  dell’azione giudiziaria».
Molti sostengono che oggi la portata della minaccia sia tale da imporre leggi speciali, paragonando la situazione creata dagli attentati di Parigi e Bruxelles a una vera guerra, da combattere con ogni mezzo.
«La nostra democrazia non può tornare indietro di un solo passo e non possono esistere, come qualcuno teorizza, zone grigie nell’affrontare il terrorismo. Non si torna indietro neppure di un millimetro, per la semplice ragione che sui diritti non si tratta. È ovvio che ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi, che comportano l’esistenza di scenari di guerra. Ma l’Italia ha saputo dire no a misure straordinarie come quelle introdotte dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Dal 2005 il nostro paese ha varato tre decreti per rispondere alla minaccia del terrorismo, tutti convertiti in legge con grandissima maggioranza parlamentare ».
Ci sono diversi esponenti politici, non solo di destra, che ritengono insufficienti le misure adottate in Italia e accusano la magistratura di eccessivo garantismo contro il terrorismo.
«Anche grazie a questi provvedimenti abbiamo conseguito eccellenti risultati nel contrasto del terrorismo internazionale, tanto che, comparando i dati dei processi celebrati in Europa, gli esiti in Italia sono tra i migliori, se consideriamo i numeri delle condanne definitive. Ciò è sicuramente frutto della grande professionalità  della nostra polizia giudiziaria, ma non si deve escludere la ricaduta positiva di un sistema di leggi, che si è dimostrato efficace e rispettoso dei diritti delle persone indagate».
Un’altra delle richieste che vengono avanzate riguarda la raccolta di massa di dati sensibili, come quella sui viaggi aerei, e lo scambio nella Ue.
«A chi sostiene che sia legale e utile nella lotta al terrorismo raccogliere milioni di dati, così controllando e classificando mezza umanità , si deve rispondere ripetendo che la concentrazione di miriadi di dati indistintamente raccolti – è provato – non è mai servita a nulla. Questa raccolta, esattamente come renditions, torture e prigioni illegali, rischia solo di fornire ai terroristi storie ed immagini da usare a scopi di proselitismo: così è avvenuto con quella delle tute arancioni indossate dai prigionieri di Guantanamo, immagine sfruttata per la tragica scenografia dei crudeli “sgozzamenti” dell’Is».

Gianluca Di Feo
(da “La Repubblica”)

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LA CRESCITA INFELICE

Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile

DAL CAPITALISMO AL SADOMASOCHISMO

Per Marcel Fratzscher, un economista tedesco non allineato al pensiero unico, quando una minoranza di persone si arricchisce ai danni di tutte le altre, il prodotto interno lordo dell’intero Paese peggiora.
A prima vista sembra una banalità : se pochi ricchi rastrellano il rastrellabile e la maggioranza dei consumatori ha sempre meno soldi in tasca e tantissima paura di spenderli, chi può ancora permettersi di comprare frigoriferi, maglioni e telefonini, alimentando la fantomatica Crescita? Invece gli economisti tedeschi di sistema si sono scagliati contro il tapino, sostenendo che i suoi dati (peraltro desunti dall’Ocse, non da Disneyland) sono sbagliati e le sue conclusioni abborracciate.
Perchè è vero che anche in Germania i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri, ed è verissimo che il risanamento dei conti pubblici lo hanno pagato il ceto medio immiserito e i giovani disoccupati o sottopagati.
Ma lungi dal mortificarla, l’aumento della disuguaglianza e dell’infelicità  collettiva ha fatto bene alla signorina Crescita.
Infatti il reddito pro capite è in salita, seppure a scapito di tre tedeschi su quattro, che come nella storia dei polli di Trilussa si ritrovano abbondantemente sotto la media.
Mi guardo bene dall’entrare in queste dispute tra scienziati.
Ma se anche i rivali di Fratzscher avessero ragione, un sistema economico che cresce sulla pelle di tre quarti della popolazione e trova degli economisti disposti a menarne vanto senza proporre uno straccio di alternativa, sancisce il passaggio definitivo dal capitalismo al sadomasochismo.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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SANDERS NON MOLLA E VA ALL’ATTACCO DI HILLARY

Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile

PER ORA SONO 1.712 I GRANDI ELETTORI DELLA CLINTON E 1.004 QUELLI DI SANDERS

Bernie Sanders non molla la presa e incassa una serie di vittorie che galvanizzano il suo elettorato pronto a sostenerlo sino alla convention democratica di Filadelfia del prossimo luglio.
E nonostante il distacco che lo separa dalla front runner Hillary Clinton in termini di delegati, il senatore social-democratico punta a mettere a segno nuovi successi e annuncia battaglia dura anche alle primarie di New York.
È nell’estremo Ovest che Sanders mette a segno vittorie con largo margine: Stato di Washington, Alaska e Hawaii, dove nei caucus distacca la rivale Clinton.
Una delle giornate migliori per il senatore del Vermont convinto di poter replicare in Wisconsin, dove si vota il 5 aprile.
«Abbiamo un sentiero di vittoria – dice – nessuno può negare che la nostra campagna stia vivendo un momento favorevole». Poi si rivolge ai giovani, la base forte del suo consenso: «Stiamo vincendo grazie al vostro straordinario contributo, e continueremo a farlo per rendere migliore il futuro dell’America».
E secondo quanto riportato dai media americani per le prossime tappe elettorali Sanders ha messo a punto una strategia, ovvero andare all’attacco con un «tour» serratissimo e una tattica simile a quello applicato in Michigan, dove nelle scorse settimane il senatore liberal ha messo a segno un sorpasso inaspettato.
Puntando tutto sulla sfida con la rivale proprio nello Stato tra quelli a lei più favorevoli, New York, di cui è stata senatrice, e che vota per le primarie democratiche il prossimo 19 aprile.
E anzichè giocare in difesa Sanders passa all’attacco tornandone a criticare le iniziative elitarie. Come la cena del 15 aprile con Hillary Clinton, George e Amal Clooney nella Bay Area, in California, dove due posti al tavolo principale costeranno oltre 350 mila dollari, il 400% del reddito medio annuo per un cittadino di San Francisco.
«Una oscenità », avverte il senatore, che chiarisce di essere un fan di Clooney come attore e che la sua «non è una critica a lui, ma al sistema corrotto di finanziamento della campagna elettorale».
«Un sistema – prosegue – dove i grandi finanziatori hanno un peso sproporzionato sul processo politico».
Dopo quella di gala, il 16 aprile si terrà  un’altra cena di raccolta fondi per l’ex First lady nella villa dei Clooney in California e parteciparvi costerà  33 mila dollari a testa.
Il Golden State voterà  per le primarie il 7 giugno, e in palio ci sono 475 delegati.
Ad oggi il conto dei delegati vede Hillary in testa con 1.712 grandi elettori a fronte dei 1.004 di Sanders, ma al netto dei superdelegati, che danno il sostegno indipendentemente delle votazioni il bilancio è di 1.243.
Ne servono 2.383 per ottenere la nomination democratica e allo stato attuale il confronto rischia rendere ancora più profonda la spaccatura tra l’elettorato della Clinton e quello di Sanders.
Col rischio di un alienamento di quest’ultimo e, in caso di vittoria di Hillary, di un’ondata di astensionismo al voto di novembre dando un vantaggio trasversale al candidato repubblicano, Trump o Cruz.

Francesco Semprini
(da “La Stampa”)

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IL CASO MARO’ APPRODA ALL’AJA, DOMANI IL VERTICE UE-INDIA

Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile

RICHIESTE “MISURE PROVVISORIE” A TUTELA DEI MARO’… LA FINE DELL’ARBITRATO PREVISTO NON PRIMA DEL 2018

L’Italia vuole che Salvatore Girone rientri in patria e che vi resti fino alla fine del procedimento arbitrale che la vede opposta all’India sulla vicenda dei due marò. E lo ribadirà  il mercoledì e giovedì nell’udienza davanti al Tribunale arbitrale internazionale, istituito presso la Corte permanente di arbitrato dell’Aja e incaricato di dirimere la questione sulla giurisdizione del caso, contesa tra Roma e Delhi.
“Con il ricorso all’arbitrato internazionale, il caso non è più una questione bilaterale”, ha dichiarato oggi il direttore generale per l’Europa occidentale del ministero degli Esteri indiano, K. Nandini Singla, alla vigilia – il 30 marzo – dell’atteso vertice a Bruxelles tra l’Unione europea e l’India, più volte rinviato anche a causa della crisi diplomatica con l’Italia.
“Abbiamo sempre desiderato avere relazioni forti con l’Italia che – ha sottolineato ancora Nandini – vediamo come un partner chiave all’interno dell’Unione europea”.
“L’Italia ha portato la questione al tribunale dell’Aja e l’India si è unita a questo processo, partecipando già  a un’udienza ad Amburgo e con l’idea di continuare a partecipare”, ha proseguito il responsabile indiano, senza tuttavia entrare nel merito dell’udienza di domani e giovedì.
L’Ue potrebbe dunque sollevare al vertice la questione dei marò con il premier Narendra Modi, in cerca di un Accordo di libero scambio per accrescere il ruolo dell’India sulla scena globale.
Il giorno dopo Modi volerà  anche a Washington per il Summit sulla sicurezza nucleare, dove auspica di superare le resistenze degli Stati Uniti all’ingresso indiano al Nuclear Suppliers Group e di aprire così una via preferenziale verso l’adesione al Missile Technology Control Regime (Mtcr), su cui l’Italia ha invece posto il veto proprio per aumentare la pressione su Delhi.
La richiesta di “misure provvisorie” a tutela del Fuciliere di Marina, da quattro anni residente nell’ambasciata italiana nella capitale indiana dove vive in libertà  vigilata, era stata avanzata lo scorso 11 dicembre dal governo italiano.
Richiesta resa ancor più urgente anche alla luce dei tempi lunghi previsti per la fine dell’arbitrato – non prima dell’estate del 2018 – che dovrà  decidere se spetti alla magistratura italiana o a quella indiana occuparsi del caso dei due militari in servizio antipirateria accusati di aver ucciso due pescatori indiani il 15 febbraio 2012 al largo del Kerala.
Massimiliano Latorre si trova già  a Taranto su permesso della Corte Suprema indiana per motivi di salute concesso dopo l’ictus che lo colpì nell’estate del 2014 e da allora più volte reiterato. L’ultimo permesso scadrà  il 30 aprile e una nuova udienza dell’Alta corte indiana è prevista il 13 aprile.
Dal canto suo, l’Italia ha già  fatto sapere che Latorre, tuttora alle prese con la difficile riabilitazione dalla malattia, resterà  a casa fino alla fine dell’arbitrato, forte della sentenza con cui lo scorso agosto il Tribunale del mare di Amburgo (Itlos) impose a Italia e India di congelare ogni procedimento giudiziario nei confronti dei due militari.

(da agenzie)

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BOOM DI ESTETISTE E TAKE AWAY: IL NUOVO VOLTO DEL COMMERCIO

Marzo 29th, 2016 Riccardo Fucile

IN CRISI L’EDILIZIA, CRESCONO I SETTORI LEGATI ALLA CURA DELLA PERSONA

Giardinieri, parrucchieri, estetiste, ma anche tassisti privati, take away, fornai.
Gli anni di crisi hanno trasformato il volto dell’artigianato italiano, come emerge dai dati di Unioncamere e InfoCamere sulla base delle iscrizione al registro delle imprese. Tra il 2009 e il 2015 oltre 117mila unità  in meno (-8 per cento), un saldo che racconta una vera rivoluzione nelle scelte lavorative degli italiani (ma anche degli immigrati che decidono di lavorare qui).
Un’emorragia di muratori (35.800), carpentieri (-6100). Idraulici (-3500), falegnami (-3450), imbianchini (-2600), serramentisti (-2000). Mentre aumentano imprese di pulizia, manutentori di paesaggi, e figure dedicate alla cura della persona come estetiste e parrucchieri. Ed esplodono i take away (+3240).
MALE IL MATTONE  
Una fotografia dell’Italia (e non solo) che cambia, che si adatta al nuovo tenore di vita e modifica le abitudini.
Le professioni legate all’edilizia versano in crisi profonda da anni e fino a che la casa non tornerà  ad essere un investimento remunerativo la gente sarà  sempre meno disposta ad investirci. Questione di logica.
E così tutti quelli che in qualche modo legano il proprio mestiere al mattone sono penalizzati e in molti decidono di mollare. Magari migrando verso altri lavori.
Il più redditizio di tutti? Sembra essere il take away, cibo su ordinazione, un modo rapido di risolvere il problema «fame» ma anche un nuovo costume di vita.
Sempre più donne lavorano e la sera c’è meno tempo di fare la spesa ma anche di preparare una cena. Più semplice una chiamata e avere dopo un quarto d’ora pizza, hamburger, insalata, cibo etnico a domicilio. Stesso discorso per le imprese di pulizia:facile e con meno impicci burocratici da sbrigare rispetto all’assunzione di un dipendente.
Crescono anche gli NCC (noleggio con conducente) in perenne e ferrea lotta con i tassisti. Il loro successo è dovuto alle tariffe concorrenziali, ma anche al servizio su misura che offrono al cliente.
350MILA IMPRESE STRANIERE  
In questa mappa delle professioni artigiane che cambiano occorre tenere presente il fenomeno degli stranieri che scelgono di venire in Italia e che qui investono nella loro vita privata e professionale.
L’anno scorso le imprese individuali aperte da cittadini nati fuori dall’Unione Europea sono state 23mila in più. In totale sono più di 350mila e rappresentano il 10,9% delle imprese individuali che operano in Italia. E i piccoli imprenditori sono per circa un terzo artigiani. Gran parte di loro si dedicano ai servizi alle imprese e al commercio.
Quasi due titolari su 10 delle imprese extra-Ue arrivano dal Marocco e quasi uno e mezzo dalla Cina.
La maggior presenza è in Lombardia, Liguria, Toscana, Lazio dove le piccole imprese di immigrati superano il 15 per cento del totale delle imprese presenti nella regione. Ed è Prato la città  «simbolo» di questa invasione di stranieri nel tessuto economico. Ed è sempre qui che esplodono le contraddizioni di un fenomeno che se da un lato, e per alcuni, è il segno di una maggior integrazione dei cittadini stranieri, dall’altro, e per altri, è il sintomo di uno squilibrio e non una ricchezza per la nostra economia quando i profitti di queste professione vengono poi portati all’estero, nei paesi di origine di questi imprenditori.
Secondo il presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello «i dati dimostrano che gli artigiani hanno messo in campo nuovi modelli di sviluppo per reagire alla crisi, ma è necessario preservare quelle tradizioni e quelle competenze che sono l’espressione più elevata del nostro saper fare e che rendono i nostri prodotti unici e riconoscibili nel mondo».
“LA MIA VITA DI COLF 2.0: DECIDO IO ZONE E ORARI”  
Colf 2.0 alla riscossa. Se fosse un film, sarebbe questo il titolo della nuova leva delle pulizie domestiche. L’ennesimo mondo facilitato da una startup innovativa.
Questa si chiama Helpling ed è la migliore piattaforma per trovare online un aiuto qualificato per le faccende di casa. L’Uber delle colf, che ha da poco lanciato una crociata contro il mercato nero. E da quasi un anno ha cambiato la vita di Tiziana Clemente, una delle prime iscritte: «Prima di me ha iniziato a collaborare con Helpling il mio compagno. Io avevo sempre lavorato con anziani e disabili. Poi ho visto che lui lavorava tanto e ho deciso di seguirlo». La richiesta, in un mercato da 19 miliardi l’anno, non manca. E ora c’è anche una piattaforma sul web. «A me – dice Tiziana – è bastato creare un profilo, e scegliere giorni, orari e zona. Gestisco io tutto, è la cosa più importante».
“NON C’È TEMPO DI CUCINARE, COSàŒ LA MIA PIZZA VA A RUBA”  
Giuseppe ha 40 anni, viene dalla Calabria e ha aperto un take away in una zona centrale di Roma, Pizza style.
È felice di aver trasformato in professione la sua passione, la cucina, ma anche di avere centrato il settore dove investire.
«Il take away è in espansione perchè c’è tanta gente che non ha il tempo di fare da mangiare, a pranzo o quando torna a casa la sera. I nostri clienti hanno tutte le età , perchè ormai sono cambiate le abitudini degli italiani e bisogna essere in grado di intercettare i nuovi bisogni».
Ma la cosa di cui va fiero è quella di avere dato lavoro a sette persone. «Le ho assunte prima e dopo il jobs act». Ma anche qui le grane non mancano: «Il problema è che ci sono tante persone che si improvvisano e invece occorre formazione e serietà ». C’è anche molta concorrenza. «Ho deciso da poco di fare pagare la consegna, per avere la possibilità  di assumere altre persone, ma sono in tanti a tenere i prezzi all’osso e rovinano il mercato. Anche se poi la gente capisce l’importanza di un servizio di qualità ».
“CONSEGNO A DOMICILIO CIBI SELEZIONATI DI QUALITà€”  
Filosofia e bicicletta. Libri e piatti gourmet. La vita di Stefano Lanzi, 21 anni, è come quella di tanti studenti. Divisa tra studio e lavoro. Ma in più c’è il gusto di lavorare in un campo emergente, giovane, di gran moda: quello del «food delivery».
Non più solo la pizza: grazie ai tanti nuovi servizi nati sul web, le scelte per il cibo a domicilio si sono moltiplicate. E Stefano, a Milano, fa il fattorino ciclabile per Foodora: la startup tedesca specializzata in menu selezionati e di qualità . «È un mondo che ho conosciuto grazie ad amici – spiega – e ho deciso di provare. Ho fatto domanda per diventare “rider” ed eccomi: ora ho un contratto part-time».
Ed è un lavoro che ammicca anche a un certo tipo di stile di vita.
Ecologico, senza corse in motorino, tutto da pedalare. «Tra noi rider si è creata una community: ci fermiamo a chiacchierare nel giardino di Foodora, in via Morone, e spesso si esce insieme».

Maria Corbi, Stefano Rizzato
(da “La Stampa”)

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M5S, QUANTI PROBLEMI DI DEMOCRAZIA INTERNA

Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile

RIMINI, NAPOLI, MILANO, LATINA E NON SOLO: TUTTI I LIMITI DEL MOVIMENTO

A Roma gira un sondaggio, commissionato dall’ Huffington post , secondo cui Roberto Giachetti avrebbe raggiunto e anzi superato Virginia Raggi. Non è una buona notizia, ma dopo una settimana di polemica battente sul caso Acea è anche nelle cose ( in sintesi : Raggi ha promesso di metter mano alla dirigenza e ha criticato la presenza dei privati nella composizione societaria, il titolo è crollato in borsa e il Pd è partito all’attacco).
I 5 stelle comunque non se ne curano. Perchè sono convinti di essere in vantaggio, sì, e poi perchè certo non possono aprire un altro fronte sulle amministrative.
Roma, con Torino, è l’unica città  dove tutto sembra andare per il verso giusto. La speranza è dunque che rimanga così, anche perchè altrove è invece un disastro.
Nota è la vicenda di Milano, con la candidata Patrizia Bedori che si è ritirata prima ancora che la campagna elettorale cominciasse ufficialmente.
Ha dato la colpa alla stampa, Bedori, ma ad attaccarla, anche per la sua fisicità , sono stati pezzi del Movimento, e molte perplessità  sulla sua forza elettorale arrivavano proprio dalle stanze della Casaleggio associati.
«Ho fatto autoanalisi e ho deciso di ritirarmi», ha detto Bedori. E così il blog ha dovuto convocare una consultazione tra gli iscritti certificati per confermare che il candidato sindaco del Movimento sarà  non la prima, non la seconda (che ha ritirato la disponibilità  da tempo) ma la terza scelta, il terzo classificato nelle primarie fisiche che il Movimento ha scelto di organizzare a Milano (tra mille polemiche, ovviamente). Gianluca Corrado è così il candidato sindaco per i 5 stelle, indicato da 634 iscritti certificati, il 72 per cento degli 876 che hanno risposto al post del blog di Beppe Grillo.
Più grave è la situazione di Napoli.
Qui il ritardo nella costruzione della lista e nell’individuazione di un candidato («ci siamo concentrati sui tavoli tematici» spiegava all’Espresso Vincenzo Viglione, consigliere campano, quando Roma, Milano e Torino avevano da tempo un loro candidato o avevano almeno attivato la procedura partecipata per trovarlo) non si spiega solo con la presenza di Luigi de Magistris, sindaco uscente e candidato sostenuto da Sinistra Italiana, che da favorito ha un profilo che si sovrappone con molte delle istanze 5 stelle.
Ritardi e incertezze sono frutto delle ormai frequenti lotte intestine. Correnti, dissidenti, espulsioni. A Napoli si è arrivati addirittura a una lista alternativa, una Napoli a sei (!) stelle, dove la sesta sarebbe «la vera democrazia diretta», almeno a sentire i fondatori.
Il progetto nasce dal gruppo di espulsi, 35, cacciati dal Movimento, che in città  è capitanato da Roberto Fico più che da Luigi Di Maio.
L’insoddisfazione per il candidato individuato dal Movimento è solo l’ultima delle molle: «Napoli», ha spiegato l’avvocato Luca Capriello, capofila del dissenso, «merita di più di un candidato brianzolo che tifa Juve».
Ma è spostandosi in provincia che il Movimento dà  il meglio di sè.
A Rimini, ad esempio, i 5 stelle non si presenteranno, anche se alle europee del maggio 2014 avevano sfiorato il 24 per cento.
Il secondo partito della città  non corre per le comunali. E malinconico è il commento dell’eurodeputato Marco Affronte, con Giulia Sarti voce critica del Movimento nella zona. «Giochiamo a armi pari», ha scritto su Facebook, appena appreso che il blog di Grillo non aveva concesso la certificazione alla lista: «Fatelo o il Movimento morirà  di microcefalia. Un corpo da adulto con su una testa da bambino».
Destino simile tocca agli attivisti di Salerno e Caserta, per tornare in Campania, di Latina, per venire più vicino a Roma, in una terra dove tra tematiche ambientali e infiltrazioni i 5 stelle dovrebbero avere a disposizione una prateria, e a quelli di Ravenna, per risalire ancora a nord. A Latina è stato lo scontro tra i due meet up della città  a produrre il vuoto.
Entrambi avevano individuato un proprio candidato, senza praticamente parlarsi. E tra Bernardo Bassoli e Francesco Ricci il blog ha scelto di saltare un giro.
E pazienza se il Movimento 5 stelle era sempre il secondo partito in città , alle europee, con il 24 per cento, appena 8 punti dietro al Pd.
Anche a Ravenna è stata la presentazione di due diverse liste a spingere Casaleggio e Grillo a dire che no, è proprio meglio saltare un giro. E a poco servirà  la raccolta firme lanciata su change.org .
Si moltiplicano poi i ricorsi, contro le espulsioni, contro le diffide per l’uso del simbolo.
Ce ne saranno a Napoli, ancora, sempre ad opera del gruppo che ha dato vita alla nuova lista, e il 4 aprile ci sarà  la prima udienza per le comunarie che hanno incoronato Raggi.
A fare ricorso sono stati Paolo Palleschi, Roberto Motta e Antonio Caracciolo, il ricercatore della Sapienza che era stato escluso per le sue dichiarazioni giudicate negazioniste.
È probabile che finisca con un nulla di fatto, con la constatazione che di faccende interne a un’associazione privata si tratta (seguendo ciò che Cantone dice anche delle primarie del Pd»). Ma sono sempre scocciature.
E sintomo di un Movimento che soffre sempre di più i limiti dei processi decisionali.

Luca Sappino
(da “L’Espresso”)

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GARANZIA GIOVANI, UN FLOP: SOLO 3 SU 100 TROVANO UN LAVORO

Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile

IN DUE ANNI, A FRONTE DI 865.000 ISCRITTI, APPENA 32.000 CONTRATTI… CIASCUNO E’ COSTATO BEN 36.000 EURO… IL BOOM DI FINTI TIROCINI

A quasi due anni dal lancio, il programma Garanzia Giovani, nato per aiutare gli under 30 a trovare un lavoro, si rivela un flop.
È quanto emerge da un report dell’Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol), ente pubblico di ricerca che dipende dal ministero del Lavoro.
Quasi un milione di giovani si sono iscritti al programma, ma solo 32 mila (il 3,7%) hanno trovato un lavoro vero.
Dunque ciascun contratto è costato oltre 36 mila euro. Gran parte dei soldi arrivati dall’Europa (1,5 miliardi) si disperde in sprechi e costi burocratici.
Progetto ambizioso
Il programma Garanzia Giovani nasce nel maggio 2014 per offrire opportunità  di lavoro o formazione a ragazzi tra 15 e 29 anni, disoccupati o «neet» (coloro che non studiano, non lavorano e non si formano).
In Italia sono oltre due milioni, circa un giovane su quattro. Da Bruxelles arrivano 1,5 miliardi di euro distribuiti alle Regioni in base al tasso di disoccupati.
Oltre un milione di giovani si sono iscritti al piano, che garantiva una risposta in quattro mesi. Impegno in gran parte non rispettato.
Al netto delle cancellazioni (per mancanza di requisiti o perchè qualcuno nel frattempo trova lavoro) il totale di iscritti al 18 marzo è di 865 mila.
Se ne aggiungono 7/8 mila ogni settimana. Numeri record nel campo delle politiche del lavoro.
Gli uffici per l’impiego non riescono a gestirli. Dopo quasi due anni, un iscritto su quattro non ha ancora ricevuto risposta. Alcune regioni fanno ancora peggio.
In Lombardia, Campania, Calabria e Molise uno su tre è ancora in attesa. In Piemonte il record negativo: senza risposta il 47% dei partecipanti.
I 642 mila fortunati che hanno ricevuto una chiamata dai servizi per l’impiego risultano semplicemente «presi in carico» dal sistema: significa che effettuano un colloquio.
Ma non si può valutare il successo del piano sulla capacità  di istituire una pratica.
Solo per 227 mila al colloquio ha fatto seguito una «misura concreta». In gran parte si tratta di tirocini.
Oltre 52 mila hanno seguito corsi di formazione. I «veri» contratti di lavoro sono stati appena 32 mila. Cinquemila ragazzi sono stati invece indirizzati verso il Servizio civile. Il ministro Poletti, interpellato, preferisce non commentare.
Lavori mascherati?
Come mai 139 mila tirocini, oltre quattro volte i contratti? Perchè i ragazzi sono pagati meno e le imprese risparmiano due volte: buona parte della retribuzione è infatti coperta dai fondi europei di Garanzia Giovani in versione «Pantalone».
La spesa per i tirocini ammonta a 404 milioni di euro. Niente di male, almeno finchè non si scorre l’elenco delle offerte sul sito del ministero del Lavoro: commesso, muratore, cameriera, aiuto pizzaiolo, assistente idraulico, badante, barista.
La verità  è che il tirocinio è spesso lavoro mascherato con orari che a volte superano le 40 ore settimanali, ritardi nei pagamenti e nessun progetto formativo.
E così nella bacheca annunci online c’è perfino chi cerca un pescivendolo ambulante «con esperienza».
Il business dei corsi
Dove sono finiti gli 1,75 miliardi stanziati? Un euro su tre in tirocini. Il resto tra centri per l’impiego e bonus alle imprese. Ma anche in una miriade di corsi, convegni, seminari.
Nel bilancio del programma ci sono 240 milioni di euro sotto la voce «formazione».
Altri 120 sono destinati all’«accompagnamento al lavoro». Circa 75 milioni sono stati stanziati per affiancare i ragazzi che tentano di mettersi in proprio, mentre 61 milioni sono andati in accoglienza e orientamento.
Il timore è che una fetta non marginale della torta si sia persa nei gangli della burocrazia. Perchè i giovani senza lavoro, per tanti, sono un affare.

Gabriele Martini
(da “La Stampa”)

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IL PRETE CHE AIUTA I TRUFFATI DALLE BANCHE: “HO SALVATO CENTO PERSONE DAL SUICIDIO”

Marzo 28th, 2016 Riccardo Fucile

ARTIGIANI, IMPRENDITORI E PENSIONATI HANNO BRUCIATO I SOLDI DI UNA VITA… IL PARROCO CHE AIUTA A RESISTERE

Quando le hanno provate tutte e non sanno più dove sbattere la testa si rivolgono a don Enrico Torta.
Il parroco di Dese vicino a Venezia che dopo essersi occupato di usura, a 78 anni guida gli azionisti e i correntisti della Popolare di Vicenza che hanno visto svaporare i risparmi. «Le telefonate sono continue. Li sento piangere, persone disperate che non hanno più nemmeno la forza di reagire».
I soci in difficoltà  sono 119 mila. Il buco di bilancio del 2015 viaggia sul miliardo e 400 milioni di euro. Pure declinato nel rivolo di azionisti, una batosta spesso letale.
Patrizio Miatello, impresa di trasporti a Vedelago vicino a Treviso e braccio destro di don Torta, ai numeri della banca aggiunge le cifre del costo sociale del dissesto.
«Abbiamo salvato più di 100 persone che volevano suicidarsi a causa di questi “piccoli problemi”», denuncia alla tribuna dell’assemblea della Popolare.
L’ARTIGIANO  
C’è un artigiano che di «piccoli problemi» ne ha due. Uno con la Popolare di Vicenza e uno con un’altra banca.
La sua officina meccanica è una di quelle che lavorando nell’indotto partecipa a tenere in piedi l’intera economia del Nord-Est. I risparmi di una vita di sacrifici – 40 anni in officina, sabato e domenica compresi, niente Natale o Pasqua – li aveva investiti tutti nella Popolare.
Quando ha scoperto che le sue azioni erano arrivate a valere lo 0 virgola niente, per non chiudere è andato a bussare a un’altra banca. Gli effetti lunghi della crisi, l’impossibilità  di fornire solide garanzie se non il proprio lavoro, hanno fatto il resto.
«Quando gli hanno detto che se non rientrava subito gli avrebbero tolto la casa è crollato. L’ho sentito piangere: “Se questa è la vita che devo fare tanto vale uccidersi”. Si sentono annientati e soli. Abbandonati da politica e da istituzioni.
Aveva bisogno di 10 mila euro. Sembrano pochi ma sono tanti in certi casi. La Provvidenza lo ha fatto incontrare con una persona buona. Ma quanti finiscono nel giro degli usurai?», racconta don Torta del piccolo artigiano alle prese con le carte bollate per salvare vita e azienda.
IL MACELLAIO
Il suo negozio andava bene. Bastavano lui dietro al bancone e la moglie alla cassa, per tirare avanti più che dignitosamente. La figlia no. Per la figlia sognava un altro futuro, lontano da questo paesino del Nord-Est.
Adesso che finalmente si era laureata e si doveva sposare, aveva pensato di regalarle la casa. Una consuetudine tra queste famiglie con un alto valore della famiglia.
«Di fronti a dissesti come questi si guarda sempre ai conti economici. Poi ci sono i drammi umani. Le situazioni di disagio si contano a decine. Dove non ti nascondono ti aver pensato di farla finita», ammette l’avvocato Andrea Arman anche lui alla guida di un’associazione di azionisti della banca.
«Il macellaio aveva depositato 600 mila euro. Quando chiese di prelevarne 400 mila euro per costruire la casa della figlia si sentì fare una proposta che sembrava allettante. La banca gli avrebbe concesso un prestito di 400 mila euro. In cambio avrebbe sottoscritto azioni della Popolare per 600 mila euro. Ora si trova senza più il capitale e con un debito enorme con il rischio che gli tolgano casa e negozio».
LA PENSIONATA  
I casi disperati sono tra gli anziani. Dopo una vita di lavoro da impiegata in una piccola fabbrica della zona era riuscita a mettere da parte 65 mila euro.
Nemmeno troppi, abbastanza per questa donna sola, senza marito o figli. La pensione da 900 euro è sufficiente se si sanno fare i giochi di equilibrio.
«Quella donna non ha più nulla. Nelle carte della banca risulta aver accettato i suggerimenti di chi sta dietro le sportello. Facile che abbia firmato, visto che questa donna sa zero di finanza. “La serenità  della mia vecchiaia era in quel conto. Ho perso soldi e la serenità  per andare avanti”. Cosa puoi dire a una donna così?», chiede a tutti don Torta.
MADRE E FIGLIO  
L’avvocato Arman non cura la parte legale degli azionisti. «Questione di principio. Però in studio ne vedo arrivare a decine. L’ultimo pochi giorni fa. Un ragazzo rimasto orfano di padre da poco tempo. Con una parte dei risparmi della madre – stiamo parlando di 25 mila euro – volevano pagare il rito funebre. Ma in banca sono rimasti 130 euro. Tutto il resto se l’è mangiato la Popolare di Vicenza. Le azioni bloccate dalla banca erano state acquistate dalla donna che a 78 anni era indicata nel profilo Mifid come “diplomata con la propensione ad investimenti ad alto rischio”. Ma lei ha solo la licenza media, nemmeno un risparmio da parte e tutta la disperazione di chi non ha più niente».

Fabio Poletti
(da “la Stampa”)

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