Maggio 20th, 2016 Riccardo Fucile
LA PRESIDENTE MAGGIONI: “BASTA RISSE, PIU’ INCHIESTE E MENO TALK, ALTRO CHE EPURAZIONI”
“Non ci sto a vedere la Rai trasformata in un suk, quest’azienda merita più rispetto”.
La presidente di viale Mazzini Monica Maggioni parla dei cambiamenti in corso e delle critiche sulle novità in arrivo per l’informazione.
E attacca: “Le resistenze vengono da chi vede intaccata la sua zona di potere”.
La nuova Rai avrà meno tg e meno spazi di approfondimento?
“No, l’informazione non diminuisce e non diminuirà . Quel che c’è è un disegno generale di riscrittura dei racconti della realtà e una differenziazione dell’offerta sulle varie reti”.
A decidere saranno Andrea Fabiano, Ilaria Dallatana e Daria Bignardi?
“Ci sono delle linee guida sulle quali i direttori di rete stanno lavorando. Nascono dal rapporto con il Paese, dal bisogno di innovazione e cambiamento, dalla necessità di un racconto più complesso e più articolato di quel che si può trovare in uno studio dove ci si dà sulla voce. Da qui a quando verranno presentati i palinsesti emergeranno i vari cambiamenti. Spero che non assisteremo ogni volta a polemiche insensate”.
Una novità è la chiusura del programma di Rai2 Virus di Nicola Porro. Sono arrivate accuse di “epurazione renziana”. Da presidente, come risponde?
“Mi faccia rispondere da giornalista. Qualche epurazione nella mia vita l’ho vista davvero, ma mai con una trattativa in corso sul programma successivo, il mantenimento dello stesso trattamento economico, la possibilità di studiare un format diverso insieme al nuovo direttore di rete. Se le epurazioni sono così, vorrei essere epurata anch’io”.
Non è che verranno eliminati i programmi più scomodi?
“L’unica cosa vera è che da presidente non posso sopportare la trasformazione di quest’azienda in una specie di suk. Questo non è un mercato dove uscire allo scoperto e gridare per far sì che i difensori pubblici accorrano a difenderti. Stiamo provando a scrivere i nuovi palinsesti: emergeranno molti punti di vista, tante Italie le cui voci in questi anni non si sono udite, che non hanno trovato lo spazio adeguato”.
Chiuderete anche il Ballarò di Massimo Giannini?
“Non voglio entrare nelle dinamiche delle singole reti e nel racconto dei singoli programmi. Per me, l’autonomia editoriale dei nuovi direttori di rete è fondamentale: ognuno di loro ci proporrà la sua idea e le sue modalità di racconto”.
Nel sentir invocare dal governo e dai vertici Rai un nuovo tipo di racconto sale il timore che sia un modo per cercare di nascondere il conflitto. Di “neutralizzare” la realtà perchè dia meno fastidio al potere.
“Non sono per niente d’accordo. Oggi si può dare molto più fastidio alla politica che non fa le cose che promette andando nei luoghi e facendo le inchieste, piuttosto che chiudendosi in un salotto. C’è molta più scomodità nell’incontro diretto con la realtà . Guardi il programma di Giovanni Floris su La7, parlo di lui perchè lo conosco da vent’anni: quando si sposta fuori dall’ambito stretto del talk, paradossalmente è molto molto più scomodo. Io capisco che esistano le logiche politiche e che si riporti sempre tutto a quelle, ma per una volta possiamo tentare di riformare un linguaggio?”.
Quindi il problema è sempre la crisi del talk show?
“Vogliamo ripetere anche in quest’intervista che il modello del talk è in crisi? Ok, facciamolo. Questo però non vuol dire chiudiamoli tutti, semplicemente ingegniamoci perchè lo spazio del dibattito possa essere garantito da format nuovi”.
Si aspettava queste resistenze dentro la Rai?
“Le resistenze non sono dentro la Rai. Le assicuro che in Rai c’è un sacco di gente che non vede l’ora di ricevere una telefonata per andare a raccontare un pezzo d’Italia in modo nuovo. La resistenza viene dalle zone consolidate, zone di potere. Da persone che non vogliono perdere la propria area di influenza. Non è ammissibile sentir dire che la Rai è fatta da deficienti perchè chiude un programma in una data. La Rai è fatta da 12mila persone che hanno il diritto di non vedersi trattare come burattini da chi vuole usarle per il proprio tornaconto. Non è possibile che ogni persona che vede modificato il proprio spazio gridi alla censura. Allora, se si tagliassero due edizioni dei tg che accadrebbe?”.
Ci sarà il taglio di alcune edizioni?
“Lo ripeto, non abbiamo alcuna intenzione di ridurre l’offerta informativa della Rai, solo di differenziarla, di usare meglio i soldi che le vengono dati. Meglio avere cinque troupe che raccontano cinque storie di Italie diverse che cinque troupe sulla stessa conferenza stampa. Se questa viene considerata riduzione dell’informazione, allora non so davvero da dove ripartire. Ogni cambiamento implica che si vadano a intaccare alcune posizioni, ma rifiuto il vecchio adagio per cui ci sono sempre delle ragioni oscure. Perchè non ci sono”.
(da “La Repubblica“)
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Maggio 20th, 2016 Riccardo Fucile
MA LUI NON LO COMUNICA: LA TRASPARENZA VALE SOLO PER PIZZAROTTI?… RINUNCERA’ ALL’IMMUNITA’?
La trasparenza è un principio fondamentale, ma solo a parole. Non sempre infatti i politici del Movimento
5 Stelle rispettano le regole che sostengono di seguire per differenziarsi dai «partiti tradizionali».
Lo dimostra il deputato grillino Girgis Giorgio Sorial che ieri, dopo essere stato rinviato a giudizio, ha mostrato una forte reticenza nel comunicare quanto accaduto in aula.
Il politico, accusato di aver offeso l’onore e il prestigio dell’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano, si è trincerato infatti dietro un «non rilascio dichiarazioni».
È stato inutile cercare di ricordargli il «dogma» tanto invocato e sbandierato dai 5 Stelle sulla trasparenza che gli eletti devono avere nei confronti dei cittadini.
Avvicinato prima nei corridoi del tribunale penale di Roma e poi contattato telefonicamente, Sorial non ha voluto riferire come si fosse conclusa l’udienza, arrivando a riattaccare la cornetta senza dare una risposta.
Nonostante il silenzio, la notizia è venuta alla luce.
Il deputato lombardo è stato rinviato a giudizio per una vicenda che risale al gennaio 2014. L’indagine era nata in seguito a un esposto della deputata Pd Stella Bianchi che aveva denunciato come l’onorevole avesse utilizzato l’espressione «boia» riferendosi all’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
«Il boia Napolitano — aveva affermato l’imputato durante una conferenza stampa – sta avallando una serie di azioni per cucire la bocca all’opposizione e tagliarci la testa. Ha messo una tagliola sulle opposizioni».
Un’affermazione che costituisce reato, almeno secondo il sostituto procuratore Sergio Colaiocco. Per questo motivo il pentastellato dovrà affrontare un processo in sede penale.
Una vicenda giuridicamente semplice, ma resa complessa dalla reticenza del parlamentare. Eppure il sindaco grillino di Parma, Federico Pizzarotti, è stato sospeso dal Movimento proprio nei giorni scorsi perchè accusato di aver tenuto nascosto per quasi tre mesi l’avviso di garanzia per abuso d’ufficio.
«Non ha comunicato ai cittadini e ai vertici del movimento di essere indagato», aveva tuonato Luigi Di Maio.
Non è la prima volta che un politico 5 Stelle viene rinviato a giudizio. In provincia di Venezia, a Mira, il sindaco Alvise Maniero dovrà affrontare un processo per lesioni colpose a causa di un incidente avvenuto la sera del 20 luglio 2012: un ragazzino di 13 anni rimase gravemente ferito dopo essere salito sul tetto della piscina comunale ed essere precipitato nella vasca vuota a causa del cedimento di un lucernaio.
Secondo la procura la colpa del sindaco consisterebbe nel non aver garantito la sicurezza nel cantiere.
E non è neanche la prima volta che persone vicine al Movimento abbiano problemi con la giustizia in seguito alle loro esternazioni sull’operato di Giorgio Napolitano: 22 commentatori del blog di Beppe Grillo nel 2012 avevano commentato un post del leader con frasi ritenute lesive dell’onore e del prestigio dell’allora Presidente della Repubblica.
Una faccenda che getta altra legna sul fuoco, anche alla luce di quanto affermato recentemente dal presidente del Consiglio: «I famosi cittadini si stanno nascondendo dietro l’immunità : chiedete a Di Maio, Di Battista, Sibilia, Catalfo di rinunciare», ha rivelato mercoledì Matteo Renzi.
(da “il Tempo”)
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Maggio 20th, 2016 Riccardo Fucile
MIMUN CON LUI FINO ALLA FINE… A MIRELLA: “AMORE, AMORE”
“Lo conoscevo dal 1956. Avevo 3 anni. Marco abitava in pensione insieme a Sergio Stanzani a casa di mia nonna Zaza, a Monteverde vecchio».
Il direttore del Tg5 Clemente Mimun è stato accanto a Marco Pannella a lungo durante la malattia del leader radicale.
«Negli ultimi cento giorni quasi sempre. Ho fatto il “vivandiere”. Non mangiava più quasi nulla e allora gli portavo le cose di cui è sempre stato ghiotto. Gli portavo la colazione dal Portico di Ottavia, l’humus, le pizzette rosse, il millefoglie alla crema che adorava».
Il 2 maggio aveva compiuto 86 anni. Come avete festeggiato il suo compleanno?
«Con i soliti amici, i suoi compagni di una vita, vecchi e nuovi. Per lui il Partito radicale non era un partito, era una famiglia. Marco sorrideva, esprimeva tanta gratitudine per tanto amore. Avevamo comprato uno champagne eccezionale, ma lui ne ha bevuto pochissimo. Da quel giorno è stata una rapida discesa fino alla morte. Ha tentato di resistere ai dolori che si facevano insopportabili. Poi la resa. Alcuni giorni fa, dopo l’ennesimo rantolo, con un sorriso amaro ha fatto il gesto di spararsi alla tempia».
Quali sono state le ultime cose che ha detto. Ha parlato pure di politica?
«Per Marco la politica, quella con la P maiuscola, è stata la sua vita. Una vita che lui fino alla fine ha definito felice perchè dedicata alla libertà . Le ultime parole le ha dette alla sua ex compagna Mirella Parachini: “amore, amore”. E al suo medico, il dottor Santini quando lo ha sedato: “grazie, grazie”. Prima di morire a Marco Angioli, che per lui era come un figlio, ha detto “scusa, scusa” per tutti i sacrifici e il lavoro che il suo assistente ha dovuto affrontare».
Con i giornalisti Pannella non è mai stato tenero. Li maltrattava, li considerava dei pennivendoli al servizio del regime partitocratico. Anche con lei, che è stato direttore di diverse testate televisive, è stato così polemico?
«Io sono stato l’unico giornalista che Marco non ha mai attaccato. Ho sempre cercato di dare ai radicali e a lui lo spazio necessario. Aveva ragione ad essere critico nei confronti dell’informazione. Diciamo la verità : ai giornalisti non fregava nulla di lui, delle sue battaglie. Del resto Pannella non era uno dei tanti politici italiani. Non ricambiava favori, non aveva notizie da passare sottobanco. Il Partito radicale non faceva parte del sistema che aveva potere dentro la Rai».
Oggi tutti riconoscono la funzione di Pannella nella modernizzazione dell’Italia, di essere il padre delle conquiste dei diritti civili. Ma il suo consenso elettorale è andato sempre più calando. Si può dire che in vita è stato emarginato?
«E’ quello che succede ai profeti, a chi è stato la vera coscienza critica del Paese. Era un uomo con gli occhi sognanti, il paladino delle battaglie impossibili. È morto senza una lira, ma ha lasciato una grande eredità ideale che qualcuno dovrà raccogliere».
Ha lasciato un messaggio?
«Sì, ha lasciato un messaggio registrato di 40 secondi ai militanti. In sostanza dice “ragazzi, niente tristezza, non mollate mai, sappiate che alla fine abbiamo vinto noi”. In queste parole c’è tutto Marco Pannella. Un uomo che non si arrendeva mai. Il suo lascito sarà immenso e le sue battaglie laiche, a cominciare da quella per la promozione dello Stato di diritto, sono quelle di un gigante politico del XX secolo».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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Maggio 20th, 2016 Riccardo Fucile
LETTIERI, VALENTE E BRAMBILLA SOTTO AL 20%
Un uomo solo al comando. A due settimane dal voto, il sondaggio Demos & Pi fotografa un trend elettorale
che va nettamente a vantaggio del sindaco uscente, Luigi de Magistris. Il confronto nudo e crudo con i principali avversari, a qualunque livello, lo vede saldamente in testa.
Non tanto però da garantirgli la vittoria al primo turno.
La prima domanda rivolta dai sondaggisti agli intervistati è chi sceglierebbero tra i singoli candidati se si votasse oggi.
De Magistris è davanti, col 42,1 per cento. Un dato che sfonda la soglia significativa del 40 per cento.
E vale la pena ricordare che si tratta di una cifra assai superiore al 27,5 per cento che l’ex magistrato raccolse al primo turno cinque anni fa.
Segno che i cinque anni di governo, per quanti dubbi possano aver scavato, hanno anche rafforzato il consenso. Ma non al punto da far vincere il sindaco al primo turno. Ma forse quello che rende de Magistris ancora più forte è la debolezza dei suoi principali avversari. Nessuno riesce a superare la quota del 20 per cento e quindi nessuno pare essersi guadagnato fin qui i galloni di sfidante più accreditabile.
Gianni Lettieri, che fu suo competitor cinque anni fa, è al 19,7 per cento, praticamente la metà del 38,5 conseguito nel 2011, anche se a suo svantaggio gioca il 4,1 per cento che gli viene drenato dal candidato sindaco di Fratelli d’Italia, Marcello Taglialatela. In ogni caso Lettieri resta sotto al totale messo insieme dalle sue liste (Forza Italia e altri), che arrivano al 21,2.
Valeria Valente non sfonda. La candidata del Pd è ferma al 16,4 per cento, un punto sotto anche al pentastellato Matteo Brambilla, che viaggia al 17,3.
Una statistica che, se confermata, cullerebbe le amare previsioni di Antonio Bassolino: il Pd era quarto in classifica, per questo l’ex sindaco disse di voler scendere in campo nel lontano settembre 2015, ma la posizione è ancora quella, un po’ come il Milan che non riesce a tornare in Europa, e il dato percentuale è perfino inferiore al già risicato 19,1 per cento raccolto nel 2011 dal candidato post-primarie del Pd, ovvero Mario Morcone.
Per giunta, le due principali liste a suo sostegno, Pd e la lista personale del sindaco, superano da sole il 20 per cento, indicando dunque una tendenza di almeno un 5 per cento dell’elettorato al voto disgiunto.
Anche Brambilla è su quei livelli, a conferma che i Cinque Stelle avrebbero dilapidato a loro volta quasi nove punti rispetto al 26,5 per cento riscosso in città appena due anni fa, alle Europee.
Il dato di lista comunque, anche in questo caso, è superiore a quello del candidato: 21,4 contro 17,3 per cento. Sono tutti differenziali che portano acqua al successo personale di de Magistris, le cui principali liste assommano circa il 25 per cento.
Con queste cifre all’ipotetico primo turno, il ballottaggio diventa una formalità .
Ecco infatti de Magistris stravincere con tutti: 62,9 a 37,1 contro Lettieri (cinque anni fa il match si chiuse per 65 a 35), poi 63,5 a 36,5 contro Valente e 64,9 a 35,1 contro Brambilla. Insomma de Magistri ha ormai la sua base elettorale consolidata, che lo porta oltre il 60 per cento al ballottaggio, degli altri tre invece sostanzialmente uno vale l’altro.
Di fatto, la sua amministrazione viene giudicata “abbastanza positiva” dal 49 per cento, e un altro 6 per cento va addirittura sul “molto positivo”. Totale: 55 per cento. Sull’altro piatto della bilancia c’è un “abbastanza negativo” al 28 per cento e un molto negativo al 16, per un totale di 44. Solo l’1 per cento non sa o non risponde.
I napoletani hanno dunque una visione chiara di come ha amministrato de Magistris, naturalmente si spaccano, ma i soddisfatti sono chiaramente maggioranza.
D’altro canto la statistica sui problemi della città dice che i napoletani sono afflitti soprattutto da quelli che meno hanno a che fare con la amministrazione che siede a Palazzo San Giacomo.
Il cruccio principale resta la disoccupazione: il 26 per cento la sceglie come prima opzione, il 15 per cento come seconda. La somma delle due opzioni porta a quota 41: su un totale di 200 opzioni possibili, significa che un quinto dei napoletani individua nei problemi del lavoro la sua principale fonte di preoccupazione. Al secondo posto in questa classifica delle emergenze da affrontare ci sono criminalità e ordine pubblico, con un 18 per cento di prima scelta e 11 di seconda, per un totale di 29.
Nettamente staccate le altre incombenze più tipiche del governo di una città : il trasporto pubblico ha una soma di 20 per cento, i servizi sociali arrivano solo al 17, la raccolta rifiuti all’11, con buona pace del dibattito spesso accesissimo sul tema. A 11 c’è anche il sostegno alle famiglie meno abbienti, solo il 10 per cento cita la lotta alla corruzione, il 9 la viabilità , il 6 immigrazione e campi rom.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 20th, 2016 Riccardo Fucile
MEROLA 49,8%, BORGONZONI 17,7%, BUGANI 16,5%, BOOM DEL CIVICO BERNARDINI 10,3%
Virginio Merola manca d’un soffio la vittoria al primo turno, al 49,8%, mentre alle sue spalle si gioca il derby per il secondo posto tra la leghista Lucia Borgonzoni, al 17,7%, e il grillino Massimo Bugani, al 16,5%.
In caso di ballottaggio, il sindaco uscente vincerebbe comunque contro chiunque, con percentuali vicine al 70%.
Questa la fotografia scattata a due settimane dal voto del 5 giugno dal sondaggio Demos realizzato per Repubblica su 1028 interviste ai bolognesi.
Secondo l’indagine il primo cittadino sarebbe ampiamente davanti agli altri, separato solo di una manciata di voti (lo 0,2%, che con una affluenza del 71% come fu quella del 2011 corrisponderebbe a meno di 400 voti) dall’asticella del 50%, e quindi dalla vittoria al primo turno.
Un risultato “personale” che pare superiore a quello della coalizione di centrosinistra che lo sostiene.
Il Pd è infatti, secondo Demos, al 42% (una percentuale del 4% superiore a quella del 2011, quando i dem arrivarono al 38,4%, ma di 12,5 punti inferiore a quello delle Europee, quando erano al 54,5%), mentre la lista guidata da Amelia Frascaroli, che cinque anni fa prese il 10,3%, oscilla ora attorno al 3%.
Completano la coalizione di centrosinistra due liste civiche di centro e i socialisti. Molto lontana da Merola, al secondo posto, la leghista ex “zecca rossa” Borgonzoni, che nonostante abbia raccolto attorno a sè tutto il centrodestra arriva solo al 17,7%, segno evidente che la candidata non è gradita.
Male anche la Lega che crolla al 6,8% e Forza Italia al 6,7%
Dietro la leghista, staccato di una incollatura, c’è il fedelissimo di Beppe Grillo Massimo Bugani, al 16,5%: un risultato lontano rispetto a quelli cui i 5 Stelle vengono accreditati a livello nazionale e inferiore pure al consenso del Movimento a Bologna, al 18,8%.
Sorprende, subito sotto il podio, il civico centrista Manes Bernardini, quarto al 10,3%, spinto dal voto “moderato” e pure dal sostegno di Udc ed Ncd, che riesce a prendere il doppio della sua lista, “Insieme Bologna”, ferma al 5,4%.
Segno che è spinto da un consenso in larga parte personale.
Infine, ultimo tra i cinque principali sfidanti a Palazzo d’Accursio è il candidato di Sinistra Italiana Federico Martelloni, che con la Coalizione Civica anti-Pd si ferma al 4,7%, poco di meno rispetto alla sua lista, che registra il 4,9%.
(da “La Repubblica”)
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